Il testo che segue è la versione riveduta ed ampliata nel 2013, a partire da una versione precedente, erronea in molti punti, che era stata pubblicata sulla rivista "Sortir de l'economie", n° 4 dell 2012. Questa versione, del 2013, sensibilmente diversa nella sostanza, è apparsa nella raccolta "Quelques ennemis du meilleur des mondes", Sortir de l’économie, Le Pas de Côté, 2013. [Nota di Clément Homs]
Sull'invenzione greca della parola "economia" in Senofonte
- Critica di un inganno etimologico moderno -
di Clément Homs
Nel pensiero moderno, astorico, borghese e limitato, l'etimologia delle parole è una chiave per meglio definirlo. Più si risale alle radici etimologiche della parola, più si riesce a comprendere la cosa di cui la parola è il significante. Generalmente, si soprassiede sui problemi di traduzione e si proiettano quindi i significati moderni sulle radici etimologiche di una parola, senza capire lo spessore del suo significato sociale ancora intrinsecamente legato ad uno contesto di rapporti sociali storicamente situato, dal quale a mio avviso non ci si può strappare se non al prezzo di un anacronismo. È questa la tragedia del termine "economia".
L'ortografia del termine francese «économie» è attestata dal 1456 e fa seguito a quello di «yconomie» (1370-1372), con la medesima etimologia «oikosnomos». Nel XVI secolo, il senso evolve dall'arte di ben amministrare una casa, o dalla buona amministrazione dei beni altrui, a quello della gestione nella quale viene evitata ogni spesa inutile [*1]. Queste due descrizioni appaiono insieme nella prima definizione del termine che si può trovare, nel 1690, nel Dictionnaire universel de Furetière, il quale lega le nozioni di gestione oculata e di prudenza: l'economia viene definita come «La prudente gestione oculata che si fa dei propri beni, o di quelli degli altri. L'economia costituisce la seconda parte della Morale, che insegna a ben governare una famiglia, una Comunità. Questa concezione spiega bene l'economia. A volte si ricopre l'avarizia con il nome onesto di economia» [*2] Tuttavia è lo scozzese Francis Hutcheson, il professore di Adam Smith, che per la prima volta, nel 1742, torna alla definizione etimologica di «economia» che ai suoi occhi, «tratta di diritti ed obblighi in una famiglia» [*3]. Stessa cosa nel regno di Francia, Emile Rousseau non demorde nell'articolo « Économie » dell'Enciclopedia di Diderot e D'Alembert, «questa parola proviene da oikos, casa, e nomos, legge, e abitualmente non significa altro che il saggio e legittimo governo della casa, per il bene comune di tutta la famiglia. Il senso di questo termine, in seguito è stato esteso al governo di quella grande famiglia che è lo Stato. Per distinguere le due accezioni, in quest'ultimo caso la si chiama, economia generale, o politica; e nell'altro caso, economia domestica, o privata» [*4].
Tre secoli dopo, Angela Merkel dichiara ancora la sua volontà di gestire le finanze pubbliche sul modello della «casalinga sveva» e in Francia, nel 2008, Nicolas Sarkozy ha affermato di voler gestire la crisi economica da «buon padre di famiglia». Si nota così che il discorso politico, ma anche l'economia politica, così come la conversazione quotidiana che si svolge all'angolo della strada, riporta sempre l'economia ed i suoi fondamenti ad un funzionamento familiare trans-storico. «L'economia, che cos'è? Andate a vedere l'etimologia greca della parola "oikonomia", ci ripetono!» Così, per definire questa parola, in qualsiasi dizionario contemporaneo si trova l'idea secondo la quale questo termine deriva dal latino "oeconomia", che a sua volta deriva dal greco antico "oikonomia" ("gestione della casa") formato dalle parole "oîkos" ("casa") e "nómos" ("legge"). Tale definizione presuppone che l'economia in quanto pratica, vale a dire "la vita economica", sia qualcosa di naturale, di trans-storico e che in tutte le culture e società umane , essa avrebbe sempre avuto delle pratiche di questo tipo di "gestione del suo nucleo familiare", dove si gestiscono con oculatezza i propri beni, si produce, si economizza, si investe, si scambia, si risparmia, si risponde ai propri "bisogni", ecc.. Pratiche, dove la logica dell'interesse e la ragione utilitaristica avrebbero sempre strutturato la vita quotidiana fin dentro la famiglia e più largamente l'insieme delle relazioni di parentela [*5]. Al di là della banalità di base secondo cui andrebbe risposto, dicendo che nell'economia, il movimento tautologico del valore non ha assolutamente come principio e finalità quello di costituire un modo di organizzarsi (su scala familiare, cittadina, statale, ecc.) al fine di rispondere a dei bisogni, ma è contro l'inganno etimologico di quest'accezione che dobbiamo subito dire alcune poche parole. Ci limiteremo qui a tornare sul vero significato di tutta la prima occorrenza storica del termine "oikonomia" nell'antica Grecia, solo per dare inizio ad una discussione che si amplierà per mezzo dei testi futuri.
Dalla guerra alla terra
Nel corso dell'ultimo terzo del V secolo a.C., nell'antica Grecia nasce un nuovo genere letterario, che poi nel IV secolo porterà alla proliferazione di opere che trattano il modo in cui gestire un grande patrimonio rurale ed agricolo: gli antichi trattati agronomici. Questa "letteratura per pater familias", come suggerisce Moses Finley parlando del contesto romano [*6], secondo S. Latouche dovrebbe in qualche modo essere paragonata a quella che nel 19° e nel 20° secolo avrebbe prodotto dei testi volti all'insegnamento dell'economia domestica alle ragazze di buona famiglia [*7]. La parola «economia» («oikonomia« in greco) appare per la prima volta intorno al 370 a.C. in uno di questi trattati, un testo di Senofonte di Atene, Oikonomikos (L'Economia) [*8].
Senofonte faceva parte di quel gruppo di grandi aristocratici terrieri, allievi di Socrate (Crizia, ecc.) e decaduti dopo la guerra del Peloponneso (431-404 a.C.) a causa della loro cospirazione contro la democrazia ateniese che avevano avversato come il loro maestro, obbligato dai democratici a bere la cicuta nel 399 a.C.. Si può infatti pensare che era forse uno dei due capi della cavalleria della tirannia aristocratica dei Trenta, responsabile di aver represso ed assassinato gli oppositori nel 411 a.C., una tirannia che aveva soppresso la democrazia ateniese fondata da Efialte [*9]. Sostenitore del modello politico spartano, tutti i testi di Senofonte trasudano dei valori degli «aristoi» che avevano segnato la reazione socratica contro la democrazia. Allontanato dalla sua città, a partire dal 401 a.C. diviene quindi un mercenario e un comandante militare nelle guerre che si scatenano fra i figli del re persiano Dario II, e in questa maniera si arricchisce. Un'avventura che lo avvicinerà al re di Sparta, il quale gli permette di ridiventare un grande proprietario fondiario ed ottenere una grande tenuta a Scillus (vicino ad Olympia) di cui si occuperà dal 381 al 371 a.C..
In questo primo trattato intitolato L'economia, in cui quindi appare per la prima volta il termine «oikonomia», Senofonte, attraverso un dialogo socratico, ci parla in realtà, sotto la maschera del personaggio Iscomaco, della sua esperienza di quasi vent'anni a Scillus, che vuole condividere con tutti i grandi proprietari aristocratici, nella quale ha realizzato il suo ideale di grande proprietario coltivatore: il suo scopo, per lui aristocratico rovinato, in realtà è quello di recuperare la sua fortuna monetaria ed utilizzerà la sua nuova proprietà per riuscire in questo suo unico fine. Nella prima parte dell'opera (I-VI), Socrate discute con l'aristocratico Critobulo che ha urgente bisogno di consigli per i suoi affari che vanno in malora. Dal momento che Socrate è povero e non gli viene riconosciuta alcuna competenza in materia di amministrazione domestica ed agricola, propone di riferirsi al dialogo che egli ha avuto, sul medesimo argomento, con Iscomaco, un uomo esperto che appartiene al gruppo sociale degli «aristoi» e che sa come far fruttare la sua proprietà. In questa seconda parte dell'opera che è di parecchio la più lunga (VII-XXI), Iscomaco racconta quindi come egli regola la sua produzione ed ottiene il più possibile di eccedenza da portare al mercato locale. Così come si fa ad accrescere un patrimonio rivendendo a caro prezzo dei terreni comprati a buon mercato e bonificati per la coltivazione. A Scillus, Senofonte ha messo in pratica un'agricoltura orientata il più possibile alla commercializzazione del tipo «commercio di mercato» (seguo qui la tipologia di Karl Polanyi [*10]) e non solo rivolta all'auto-consumo familiare come era allora normale per le strutture agricole (generalmente, nelle strutture agricole greche, solo il 15% della produzione veniva scambiato, mentre il resto era destinato all'auto-consumo [*11]. Perciò, questo trattato si presenta come un trattato di agronomia, «una guida per i proprietari terrieri di buona famiglia» (Finley), dove viene dimostrato che l'agricoltura permette di riguadagnare la propria fortuna ed il proprio precedente status, se il proprietario si impegna nella gestione, presta attenzione ad alcune conoscenze di agronomia poco note e sa addestrare la propria moglie, il suo amministratore e i suoi schiavi. Tutto un programma.
Nessun anacronismo, tuttavia. Senofonte non parla di tecniche economiche in senso moderno e non sviluppa un'analisi economica, «fondamentalmente, si tratta di un'etica» [*12] che viene proposta al lettore. Sottolinea Finley: «In Senofonte, non una sola frase esprime un principio economico o rappresenta un'analisi economica, non c'è niente sull'efficienza della produzione, sulla scelta "razionale", sulla distribuzione delle colture» [*13]. In termini di proposte, ci sono solamente degli insegnamenti morali e psicologici, ad esempio sulle buone virtù di sua moglie, ecc..
Ma più essenzialmente, si può qui ipotizzare che Senofonte abbia trasposto alla sua proprietà di Scillus ciò che aveva visto durante i suoi anni di mercenario nella Persia dell'Asia Minore (l'attuale Turchia) fino alle rive del Tigri e dell'Eufrate. Infatti, sappiamo che è alla fine del V secolo a.C., in seguito alle guerre del Peloponneso, che decolla la comercializzazione e la monetarizzazione massiccia dei trasferimenti di beni dell'antica Grecia. Ma quest'improvvisa avanzata dell'emergere di un fenomeno economico è legato a delle importanti trasformazioni nel fenomeno bellico. Alla fine delle cruente guerre del Peloponneso, gli eserciti di opliti legati al modello del cittadino-soldato avevano lasciato il posto al modello del mercenario che verrà ad essere utilizzato dalle città e dai regni, a causa delle trasformazioni del fenomeno bellico (grandi battaglie, macchine da guerra, ecc.). Delle persone volevano vendere i loro corpi e la loro attività in cambio di un soldo («misthos») [*14]. Presi in un rapporto salariale, queste persone quindi consumano, spendendo questo denaro diventato il fine della loro attività, comprando dei prodotti (se escludiamo i saccheggi nel corso delle campagne militari). E lo spostamento di questi eserciti sollevava dei problemi logistici immensi. Polanyi ha fatto anche notare come «in quest'epoca, i principali promotori dei mercati [commercio di mercato] furono gli eserciti greci, soprattutto le truppe di mercenari» [*15]. L'esercito, nel suo dislocamento, veniva quindi seguito da un «treno» disparato costituito dalle famiglie dei soldati, dai commercianti, dagli artigiani, dai mercanti di schiavi e dalle prostitute. Ora, dopo la battaglia di Counaxa, nel 401 a.C., in cui venne ucciso Ciro il giovane, il capo dei mercenari greci, lo spartano Clearco, venne catturato e giustiziato. Allora, Senofonte viene eletto comandante della retroguardia dell'esercito di mercenari greci ora comandati dal generale spartano Chirisofo e che si ritrovano da soli sulla pianura fra il Tigri e l'Eufrate. Chirisofo guida allora la ritirata di 13.600, che verrà conosciuta come quella dei "Diecimila" - ritirata che Senofonte racconterà nella sua opera più famosa, l'Anabasi.
Prima di raccontare la sua esperienza relativa allo sfruttamento agricolo di Scillus, volto al «commercio di mercato», Senofonte ha quindi conosciuto assai bene, in quanto mercenario e comandante di esercito, questa nuova pratica precedentemente assente o rara nell'antichità. Nei treni logistici degli eserciti mercenari greci, prosegue Polanyi, «il mercato alimentare dove le truppe potevano approvvigionarsi utilizzando soprattutto il denaro che gli era stato dato in cambio dei loro servizi (a meno che non praticassero la requisizione sul posto) si integrava in un insieme più vasto - la vendita del bottino, soprattutto degli schiavi e del bestiame, così come l'approvvigionamento presso dei ristoratori che seguivano l'esercito con la speranza di un profitto. [...] I generali intraprendenti immaginavano dei nuovi metodi per stimolare le attività commerciali locali, per finanziare i ristoratori in modo che si prendessero cura delle truppe e per ingaggiare degli artigiani locali nei mercati improvvisati al fine di assicurare la fornitura di armi» [*16]. In questo modo contribuiscono al progredire della commercializzazione e della monetarizzazione del trasferimento dei beni fino ad allora limitato ad un auto-consumo-base-della-vita incastrato in dei rapporti sociali che sono al livello della loro logica strutturale, di tipo politico-religioso, e dove il «commercio di mercato» (Polanyi) è inesistente o si trova allo stato di nicchia.
A maggior ragione, quando Alessandro Magno alla fine del IV secolo a.C. sconfigge i persiani, fonde il tesoro del vinto per dare solvibilità alle enormi masse di mercenari che consumeranno quei redditi per mezzo della nascita di questo «commercio di mercato». Grazie a quest'esperienza, nell'opera di Senofonte, «i tabù [aristocratici]» - sottolinea Vincent Azoulay - «riguardo allo scambio di mercato sembrano quindi, in certe condizioni, poter essere attenuati, temperati, perfino puramente e semplicemente rimossi» [*17]. Senofonte accetta tali sviluppi e i rapporti salariali con i mercenari di cui è il capi, anche se ritiene che bisogna legarli a dei rapporti carismatici per poter meglio assicurarsi la loro fedeltà. Infatti, se da un lato si deve constatare in quest'autore un vero e proprio «aggiornamento con lo scambio salariale e commerciale» [*18], bisogna anche rilevare dei «limiti del suo acculturarsi rispetto allo scambio salariale» [*19]. Si tratta del rapporto delicato ed ambiguo di un aristocratico con lo scambio commerciale ed il denaro [*20].
Manuali per arricchirsi
Forte di quest'esperienza di «commercio di mercato», di cui traspone un po' la pratica sul suo possedimento agricolo, Senofonte consiglia quindi ne L'economia cos'è che funziona per accrescere le capacità di commercializzazione delle produzioni di un possedimento. Propone perciò quello che egli stesso ha messo in pratica e che per lui ha funzionato: l'associazione dell'allevamento dei bovini e dei cavalli alla policoltura. In questo si è ispirato a dei "paradisi" persiani che ha conosciuto in Asia Minore, che ha visto e a che volte ha saccheggiato, dei modelli di sfruttamento agricolo orientati completamente alla commercializzazione, e che oltre ad essere delle dimore residenziali per l'aristocrazia persiana, fungevano anche da riserva di caccia e da coltivazione intensiva.
Tuttavia, nell'attività agricola promossa da Senofonte, in qualche momento si può vedere un "lavoro", espressione di uno sforzo umano creatore di valore sociale, non ci troviamo ancora nei rapporti sociali capitalisti costituiti dal lavoro il cui carattere socialmente mediatizzante (il volto astratto del lavoro) si andrà a rappresentare in una merce sotto forma di un valore che sarà incorporato in essa. Sottolinea Jean-Pierre Vernant: «tutte le attività agricole, che ai nostri occhi [moderni] sono integrate alle condotte di lavoro, per i Greci rimangono esterne al campo professionale. Per un Senofonte, l'agricoltura è più affine all'attività guerriera che alle occupazioni degli artigiani; il lavoro della terra non costituisce né un mestiere, né un'abilità tecnica, né uno scambio sociale con altri» [*21]. Anche per Senofonte, bisogna sempre avere in testa il fatto che nella società greca classica c'è una totale «integrazione dell'agricoltura nella religione» (Jean-Pierre Vernant[*22]). Almeno dopo la Grecia arcaica di Esiodo del VII secolo a.C. [*23], il "lavoro" della terra, in effetti, «non costituisce un tipo di comportamento volto a produrre, attraverso dei mezzi tecnici, dei valori utili al gruppo; si tratta piuttosto di una nuova forma di esperienza e di condotta religiosa: nella coltura dei cereali, è attraverso il suo sforzo e la sua fatica, strettamente regolati, che l'uomo entra in contatto con le potenze divine» [*24]. «Questo culto non viene sovrimposto dall'esterno sul lavoro agricolo: la coltivazione della terra non è essa stessa nient'altro che un culto, che istituisce con gli dei il più equo dei commerci» [*25]. Qui, l'agricoltura non è una pratica economica come si potremmo credere noialtri che abbiamo incorporato naturalizzandole le forme sociali capitaliste moderne. Nell'antica Grecia, prosegue Vernant, «il lavoro della terra non prende la forma della messa in opera di procedimenti efficaci, di regole di successo. Non è un'azione sulla natura, per trasformarla ed adattarla a dei fini umani. Questa trasformazione, se anche fosse stata possibile, avrebbe costituito un'empietà. Si tratta di una partecipazione ad un ordine superiore all'uomo, allo stesso tempo naturale e divino» [*26]. In questo mondo di rapporti sociali assai lontani dalla forma di vita sociale capitalista, «ecludendo ogni specie di tecnicismo, il lavoro agricolo vale quanto va vale l'uomo. [...] L'agricoltura appare essere un mestiere non più di quanto lo appaia la guerra» [*27].
Bisogna qui sottolineare un aspetto importante: lontano dall'assegnazione etimologica che le viene data oggi, o attraverso la definizione che ne dà Aristotele ne La Politica, quando la parola "oikonomia" appare per la prima volta, con il trattato di Senofonte, il contesto sociale del suo significato, non ci sbagliamo, è «ben al di sopra del livello dei contadini» [*28]. L'economia dei dialoghi fra gli "aristoi" ha come soggetto la grande proprietà agricola riservata alle élite che il maestro deve acquisire ed amministrare, e non si riferisce in alcun modo al contesto della casa del normale greco libero (contadino) o "meteque". Nella prima occorrenza, la "oikonomia" non è l'amministrazione di una qualsiasi "oikos", come abbiamo imparato a comprendere, ma della "oikos" aristocratica. Inoltre, l'oggetto dell'Economia, non è l'elogio che fa Socrate a Critobulo della povertà, della frugalità e dell'autarchia. Quella prima parte serve solo da introduzione alla discussione fra Socrate e Iscomaco, che è il vero cuore dell'opera. Se ci pensate, è proprio Iscomaco a condurre il gioco, a porre le domande, ad esercitare paradossalmente la maieutica su Socrate. Per mezzo della sua opera, Senofonte fa quindi un vibrante omaggio al modo di vita di Iscomaco - e attraverso di lui, della sua propria esperienza a Scillus - e non a quello di Socrate [*29]. È come se Senofonte avesse vagamente ascoltato nel 399 a.C. un dialogo fra Socrate e Critobulo, dialogo che egli intende riferire nella prima parte della sua opera, ma soprattutto un dialogo che vuole proseguire trent'anni dopo col fantasma del suo maestro facendolo partecipe della propria esperienza agricola che avrebbe corretto i propositi di un Socrate che rimane stranamente muto ed ammirato. Qui, in questa seconda parte, in cui l'allievo vuole insegnare a colui che è stato il maestro, Senofonte quasi si diverte a lasciarci credere che Socrate, che lui tanto ammira, si lasci convincere. «Non è seminando e piantando ciò di cui si ha bisogno per sé che ci si può meglio procurare il necessario, sottolinea Iscomaco, ma ciò che la terra ama far crescere e nutrire» (XVI,3). Egli sostiene che bisogna coltivare ciò che fa meglio vendere e comprare senza preoccuparsi del resto che può essere ottenuto da sé solo. Non si può essere meno autosufficienti. In questa prima occorrenza di "oikonomia", Senofonte, consigliando di orientare la propria tenuta ai circuiti commerciali, in effetti si allontana chiaramente dalla vita quotidiana dei greci ordinari dal momento che l'agricoltura incorporata nei rapporti religiosi era strutturalmente dominante ed era rivolta immediatamente verso l'autosufficienza, così come va considerato il ruolo limitato dell'artigianato e del fatto monetario. Disincastrata dalla sua antica struttura sociale, l'agricoltura promossa da Senofonte è volta alla sussistenza di ciascuno appoggiandosi alle risorse offerte dallo scambio che viene inteso, pertanto, diverso rispetto alle forme antiche. Il commercio di mercato, attività spregevole, diviene il coronamento naturale della nobile agricoltura indissociabile dai rapporti religiosi. Quindi, precisiamo, "oikonomia" qui significa amministrazione di un "oikos" aristocratico orientato al "commercio di mercato" [*30], e infatti Senofonte è solo un caso particole di una «attitudine al comando comune a tutti i tipi di attività, agricoltura, politica, economia domestica, condotta della guerra» (XXI, 1).
Come si può vedere, le realtà che per Senofonte si trovano dietro al significante "oikonomia" sono chiaramente quelle che Aristotele designerà come "crematistica". Se si trova in Senofonte l'accezione di amministrazione naturale dell'oikos orientato all'autosufficienza e non alla «ricchezza e al possesso di valori» [*31], essa non viene assolutamente teorizzata e promossa. E se Socrate tace di fronte a Iscomaco-Senofonte, qualche decennio più tardi, ne La Politica e ne L'Economia, Aristotele ed i suoi allievi prendono la parola e rispondono a Senofonte distinguendo chiaramente "l'amministrazione familiare", "naturale" e orientata a "l'autarchia naturale" (e che può certamente comprendere un "piccolo commercio" o lo "scambio di cose utili le une con le altre e niente di più" [*32]), dalla crematistica che non è per niente naturale. È a Senofonte che Aristotele si rivolge direttamente quando scrive: «ecco che alcuni ritengono che "il puro e semplice accrescimento del patrimonio" sia l'oggetto dell'amministrazione familiare, e si accaniscono a pensare che bisogna preservare o accrescere illimitatamente il proprio patrimonio monetario [*33]. Quindi, le concezioni senofontiane e aristoteliche di economia si oppongono in maniera netta. Da un lato, Senofonte dice: la «amministrazione familiare» è la crematistica, dall'altro Aristotele gli risponde negando che il significato di «amministrazione familiare» possa essere la crematistica. Si può perfino pensare che la distinzione fatta da Aristotele fra economia domestica naturale e crematistica sia una vera e propria macchina da guerra contro il dispositivo di Senofonte. Aristotele cercherà di consolidare ciò che è stato detto nella prima parte dell'opera di Senofonte, vale a dire il senso di "oikonomia" come amministrazione familiare rivolta ai bisogni [*34]. La strategia di Aristotele è in qualche modo quella di aprire il fuoco contro la bomba sganciata da Senofonte, e la sua «conclusione era incontestabile ed escludeva tutte le altre» [*35].
Tuttavia, davanti a questa fuga in avanti di Aristotele, la sua teoria sulla "oikonomia" come «amministrazione familiare naturale relativa "al rifornimento" ed al nutrimento» [*36], ci deve apparire, a noi contemporanei de "la scoperta del sociale" [*37] attraverso la nascita, nel XIX secolo, dell'antropologia e della sociologia, assurda e falsa. Aristotele proietta sul funzionamento dei rapporti di parentela dei suoi contemporanei - la socialità primaria direbbe Alain Caillé - una raprresentazione che oggi ci sembra assai riduttiva, e che di contro verrà ripresa a go go, per mezzo dell'instancabile ripetizione del senso etimologico di "oikonomia", dall'economia politica amministrativa e borghese nel contesto capitalista della riscoperta del termine a partire dal XVI e dal XVII secolo. Sarebbe troppo lungo qui fare tutta la dimostrazione, ma in ultima istanza ogni dispositivo aristotelico fondante si basa sul concetto di "bisogno". Infatti troviamo in Aristotele ciò che François Flahaut ha trovato anche in Platone, una «concezione artificialista della società» che in seguito, in Hobbes, Descartes, Locke, Daniel Defoe, ecc., sarà a fondamento dell'economia politica moderna e della sua «antropologia pessimistica» (Michéa). Tale concezione suppone che l'individuo preceda la società, e che «gli uomini si organizzino [in società] per sopperire ai propri bisogni. Da qui in avanti, la società appare come un'organizzazione che risponde a certe funzioni pratiche» [*38]. Contro la definizione senofontiana di "oikonomia", è esattamente questo tipo di concezione strumentale della socialità che svilupperà Aristotele quando teorizza la sua propria definizione di coppia [*39], di città, di famiglia, del rapporto del padrone con il suo schiavo, ecc.. Secondo Aristotele, la socialità è un semplice mezzo. Solo per fare un esempio, si legge così che «la comunità naturale costituita per "la vita" di tutti i giorni è la famiglia[...]. D'altra parte, la comunità primordiale "formata" da più famiglie per delle "relazioni" che non sono più orientate a soddisfare un bisogno che sia "soltanto" quello della vita quotidiana, è il villaggio [...]. E la comunità formata da più villaggi è una città [...] essendosi pertanto costituita per permettere di vivere« [*40]. Siamo arrivati al cuore del grande equivoco moderno per quel che riguarda la realtà sociale e non naturale che comprende l'economia.
Non ci sono delle parole in greco o in latino per designare la famiglia in senso moderno. Il "pater familias" romano ad esempio non aveva alcun senso biologico, il termine di "oikos" è fortemente legato all'idea di proprietà, e in una famiglia contadina greca, il suo capo gestiva e controllava sia i membri che la proprietà del gruppo, «senza che si potessero distinguere dei comportamenti economici, sociali o personali, tali distinzioni di comportamento si potevano fare a titolo di esercizio intellettuale astratto, ma non esistevano nella pratica» [*41].
I rapporti di parentela fra i membri di una famiglia, non sono per niente dei rapporti di tipo economico come pretende la definizione etimologica [*42]. Nell'attività comunitaria o in seno alla parentela antica, le attività dei membri non assumono la forma economica, ma sono "incastrate" nell'insieme di una configurazione più vasta e storicamente specifica delle relazioni sociali di tipo politico-religioso che devono riprodursi in quanto tali, attraverso il culto degli antenati, degli dei familiari, delle relazioni clientelari, ecc.. All'interno dei gruppi e degli antichi rapporti di parentela, così come al livello della società nel suo insieme, la socializzazione strutturale dei membri quindi non avviene post festum come conseguenza del fatto di produrre o si scambiare unità di valore. Non si tratta di rapporti economici - rapporti di scambio all'interno di una società, rapporti di produzione e distribuzione di mezzi di sussistenza e di ricchezze materiali - che legano gli individui ed i gruppi che compongono una famiglia o una società antica. In questo mondo, non esiste né "lavoro", né "economia", nel senso moderno. Abbiamo qualcosa che sfugge alle categorie economiche. Le società greche antiche avevano alla loro base un'altra forma di sintesi sociale, diversa da quella operante nel capitalismo per mezzo del lavoro astratto. La "costituzione feticista" (R. Kurz) della società era un'altra. Osserva Jean-Pierre Vernant: « Se [i Greci] si sentono uniti in una città, ciò non è in funzione del loro lavoro professionale, ma lo è malgrado esso e al di fuori di esso. Il legame sociale si stabilisce al di là del mestiere, sul solo piano dove i cittadini possono amarsi reciprocamente dal momento che si comportano tutti in maniera identica e non si sentono diversi gli uni dagli altri: il piano delle attività non professionali, non specializzate, che compongono la vita politica e religiosa della città. Non essendo catturato nella sua unità astratta, il lavoro, nella sua forma di mestiere, non si manifesta ancora come scambio di attività sociale, come funzione sociale di base» [*43].
La crescente estensione della parola «economia»
Nel prosieguio di questo IV secolo a.C., la parola "oikonomia" comincia rapidamente a perdere il senso che le attribuivano i manuali per gli amministratori agricoli delle proprietà degli aristocratici greci, e a conoscere la «sua estensione a tutti i tipi di organizzazione e di gestione» [*44], in particolare nel settore pubblico, relativamente alla gestione finanziaria dei territori del regno e delle città. "Oikonomia" allora assume il senso della gestione delle risorse pubbliche. Del resto è lo stesso Senofonte che, una volta tornato ad Atene forse intorno al 369 a.C., vede il tesoro della sua amata città, nel 355 a.C., gravato dai costi della "guerra degli alleati" da cui sta uscendo (sconfitta della seconda Lega di Delo e fine dell'egemonia ateniese sul mondo del Mar Egeo), decide di scrivere un secondo trattato di economia, i Poroi (che può essere tradotto come "Modi di procurarsi dei redditi"), al fine di influenzare un uomo politico in vista, Eubulo, che è andato al potere. In questo nuovo trattato, le soluzioni proposte per porre rimedio alle finanze ateniesi si possono riassumere nel modo seguente: alla talassocrazia di Atene, oramai infranta a causa della guerra, va sostituito un sistema coerente di relazioni economiche. Abbiamo forse qui la prima "economia politica" della storia che appare in maniera assai chiara e direttamente legata alla sua trasposizione nel potere, Per equilibrare le importazioni necessarie al rifornimento della città (300mila persone), secondo Senofonte bisogna sviluppare le esportazioni (marmo e minerale d'argento) grazie ad uno dei principali vantaggi della città che egli individua nella posizione centrale del suo porto, il Pireo. Perciò raccomanda agli uomini politici in vista tre innovazioni volte a procurare alla città le entrate necessarie alle sue spese: bisogna attrarre verso il Pireo i creatori di ricchezza monetaria, in quanto più ce ne saranno più l'imposta sugli stranieri residenti procurerà entrate alla città; bisogna anche, sfruttare maggiormente le miniere di Laurion al fine di una crescita delle esportazioni e propone quindi che la città diventi proprietaria della necessaria manodopera servile, il cui affitto creerà un importante entrata regolare.
Questa estensione del significato della parola "oikonomia", dalla grande proprietà aristocratica alla produzione commercializzata, e poi alle finanze pubbliche della città o dei regni, la si può trovare anche in un altro trattato, il testo Le Economie dello pseudo-Aristotele, intorno al 320-300 a.C. [*45]. Abbiamo qui il primo manuale rivolto non più ad una città ma ad un regno, e più in particolare un trattato che stavolta è ad uso di un amministratore di una suddivisione [*46] del territorio amministrativo di un regno seleucide, in cui si apprende per mezzo di 77 stratagemmi, narrati sotto forma di aneddoti, come aumentare le imposte monetarie, come generare redditi maggiori dalle proprietà agricole e dagli stabilimenti minerari ed artigianali del re, e anche come assicurarsi delle ricchezze monetarie, ma non vi si trovano affatto le prime tracce di una "scienza amministrativa" in quanto le proposte dell'autore sono in generale di una banalità enorme.
***
Diciotto secoli dopo Aristotele, le definizioni senofontiane ed aristoteliche risorgono nuovamente. Da un lato, mentre emerge la forma della vita sociale capitalista ed il Moloch che divora gli individui-ingranaggi che la costituiscono, comprendiamo il movimento tautologico del valore che poteva essere raffrontato a ciò che Aristotele poneva sotto il termine di "crematistica", infatti è nel XVII e nel XVIII secolo come abbiamo visto che le definizioni aristoteliche dell'economia non smettono di fiorire in Furetière, Hutcheson o Rousseau. In questo modo si continua a separare, nelle definizioni, l'economia dalla crematistica. Ma im questa famiglia di definizioni ereditata da Aristotele, viene attuato un trasferimento importante; l'Illuminismo non può assolutamente collocare sotto il termine "economia" il senso aristotelico di amministrazione familiare (autarchia e piccolo commercio a margine dei beni d'uso). In un certo senso, in epoca moderna, si getta via il contenuto per conservare la carcassa del concetto aristotelico: l'economia, è l'amministrazione familiare in cui si va ad incorporare un nuovo contenuto. Dal XVII e dal XVIII secolo, gli individui ed i gruppi familiari si rapportano infatti sempre più gli uni agli altri, attraverso delle merci che producono, che fanno circolare e che consumano. La monetarizzazione della vita sociale è anche conseguenza della trasformazione dell'apparato fiscale degli Stati reali che hanno bisogno di denaro per disporre delle nuove armi da fuoco. I moderni proiettano quel che vivono sul concetto aristotelico di economia, cosa che tuttavia è un anacronismo. Nella nuova sintesi sociale capitalista emergente, la definizione aristotelica viene dirottata per definire, sempre a partire dal mito familista, l'economia come «l'insieme dei mezzi e delle condizioni di produzione, di consumo e di scambio», definizione che si ritrova ancora oggi nei dizionari contemporanei.
Da un altro lato, è sorprendente vedere anche, ad esempio nel 1616 nel Trattato dell'Economia politica di Antoine de Montchrestien, una definizione senofontiana. L'economia innalza i mezzi per accrescere la ricchezza del sovrano e la quantità di metalli preziosi che egli detiene. Nel XVIII secolo, il grande secolo in cui si mette per iscritto la "scienza economica", questa famiglia di definizioni andrà quindi a definire l'economia in quanto "scienza delle ricchezze". I primi economisti del XVII e del XVIII secolo sono soprattutto degli alti funzionari di Stato che cercano di accrescere le entrate del regno e di ottimizzarne le spese. L'uomo di Stato che era Adam Smith, influenzato dalle idee di un "ordine naturale" che impregnavano la sua epoca, propone la sua soluzione personale (nel suo libro intitolato senza alcuna ambiguità, La Ricchezza delle Nazioni): scoprire le "leggi economiche" di un ordine naturale, per integrarle nella soluzione che è quella di ottenere il più possibile di entrate per lo Stato. La sua soluzione è quella per cui se lo Stato promuove un "Mercato autoregolato" in cui ciascun individuo che segue l'inclinazione del suo interesse egoista creerà la maggior ricchezza monetaria possibile, allora il volume del prelievo fiscale si troverà ad essere accresciuto. Alla fine, il "liberalismo economico" nella sua forma smithiana è completamente consacrato alla crescita infinita dei mezzi strumentali dello Stato. Il liberalismo economico così come il nostro attuale antiliberismo difensore dello Stato, sono due forme possibili di uno stesso culto dello Stato e della vita organizzata per mezzo di un Mercato (autoregolato o regolato). In questa definizione, Aristotele direbbe sicuramente che ci troviamo in una concezione crematistica dell'economia. L'economia è una "techné", una tecnica per acquisire delle "ricchezze" ridotte a ricchezze monetarie, alla loro produzione e alla loro accumulazione in dei forzieri, insomma tutto ciò che riguarda denaro, commercio e impresa. Tuttavia, la crematistica di cui parla Aristotele, e che esiste in seno a dei rapporti sociali non-capitalisti, non può essere confusa con il capitalismo e con i suoi rapporti sociali [*47]. Mancando ancora alla modernità la teoria critica del capitale, i contemporanei dell'emergere dell'economia vengono allora sballottati fra le due definizioni antiche.
Davanti alle porte aperte della nascente società capitalista, nessuna delle due famiglie di definizioni dell'economia ereditate dall'antichità arriva perciò a comprendere ciò che sta per accadere. Ciascuna delle definizioni si attiene solamente ad un aspetto particolare della totalità sociale che si trova sul punto di emergere nei rapporti sociali. Quest'apparente contraddizione dei moderni non arriva a vedere come intrinsecamente legate le due facce del fenomeno sociale e storico che nasce sotto i loro occhi, come effetto delle loro stesse azioni. L'accrescimento del denaro per mezzo del movimento tautologico del valore, e l'economia nel senso ereditato e trasformato della famiglia aristotelica, sono in realtà il risultato reciproco, ed il presupposto, l'uno dell'altra.
A partire dal XVI e XVII secolo, e a differenza delle società pre-capitaliste, i rapporti economici (intesi nel senso della famiglia delle definizioni eredi di Aristotele) fra tutti i gruppi che compongono la società, costituiscono una base materiale e sociale che li lega gli uni agli altri. In questo senso emerge una realtà sociale in cui per la prima volta la vita sociale che conduciamo è strutturata attraverso un «insieme di fatti relativi alla produzione, alla distribuzione ed al consumo delle ricchezze in una collettività» (dizionario Le Petit Robert, 2000). Tuttavia, quest'organizzazione della vita sociale in cui gli individui entrano in rapporto gli uni con gli altri attraverso la produzione, lo scambio ed il consumo di merci, e in cui il denaro diviene perciò preponderante, esiste solo come manifestazione in quanto tale del suo supporto materializzato, come manifestazione del movimento tautologico del valore che cerca solo di accrescersi. L'economia nel senso ereditato e trasformato della famiglia di definizione aristotelica, non è altro che la forma della vita sociale che viene generata, come sua comunità materiale, dal capitale. Per poter trionfare, vale a dire per valorizzarsi attraverso degli individui che sono soltanto il suo supporto, il capitale deve sottomettere a sé la forma di vita sociale, e piegare dall'interno le forze degli individui alle sue esigenze, assicurando che i rapporti sociali si organizzino strutturalmente attorno alla produzione, allo scambio ed al consumo delle merci. Per esistere, il capitale deve mettere gli individui in una situazione di sopravvivenza-bisogno, nella quale c'è solo il movimento autonomizzato delle cose che costituisce il presupposto dell'agire sociale. La nuova forma di vita sociale che il movimento del capitale costituisce intorno a sé, la sua comunità materiale, è l'economia, vale a dire un mondo sociale-storico inedito e non naturale e trans-storico. L'economia è la comunità materiale del capitale. La formazione di questa comunità materiale si effettua nel medesimo tempo in cui il rapporto sociale capitalista costituito per mezzo del ruolo socialmente mediatizzante del lavoro (il lavoro astratto) si reifica. Il capitalismo è quindi molto più di un modo di produzione, è una forma di vita sociale totalizzante che sottomette alla vita economica l'insieme delle altre antiche forme di vita sociale.
Quindi, l'economia non è soltanto «l'insieme dei mezzi e delle condizioni di produzione, di consumo e di scambio» come si vuole far credere, bensì il movimento sociale feticista dei nostri stessi rapporti sociali che hanno una sola finalità: come creare sempre più denaro? Così, nella definizione attuale, come «insieme dei fatti relativi alla produzione, alla distribuzione ed al consumo di ricchezze in una collettività» (dizionario Le Petit Robert) si riscopre la vera logica dell'insieme formato. Logica di cui Senofonte, anche nei rapporti sociali non ancora capitalisti, aveva chiaramente compreso il senso, parlando dell'economia come della tecnica per produrre più denaro. In un certo senso, le definizioni ereditate da Aristotele non fanno che naturalizzare, sostantivare, la vera logica della totalità moderna della forma di vita capitalista. Come se per forza in qualsiasi momento, dappertutto e in tutte le situazioni, la "produzione", la "distribuzione" (ivi compreso lo scambio di mercato essenziale) ed il "consumo", non fossero che gli elementi separati di un solo insieme che forma il sistema naturale e trans-storico della "economia". L'operazione di naturalizzazione dell'economia può allora essere lanciata per mezzo della sua definizione attuale. L'attività vivente degli individui - ci dice tanto la propaganda ideologica quanto la propaganda legata a quello che oggi esprime ogni momento della nostra stessa vita quotidiana - si trova intrappolata nella "produzione", "distribuzione" e "consumo". E le categorie reali, così come quelle ideali, di tale modello di vita sono ormai trasposte su tutto l'insieme del pianeta e a tutta la storia passata. Ad nauseam.
- Clément Homs, 2013 -
NOTE:
[*1] - Alain Rey (dir.), Dictionnaire historique de la langue française, 2ème édition, Paris, Dictionnaires Le Robert, 1995, p. 654.
[*2] - Antoine Furetière, Dictionnaire universel, contenant généralement tous les mots françois, tant vieux que modernes et les termes des sciences des arts(1690)
[*3] - Francis Hutcheson in "Moral Philosophy", citato da Moses I. Finley, "L’economia degli antichi e dei moderni" (Laterza)
[*4] - Article « Economie », Encyclopédie ou dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers (articles choisis), tome 2, GF Flammarion, 1986, p. 16. Qui non discuteremo nei dettagli la definizione che ha dato Aristotele della parola economia nella "Politica" - né il suo utilizzo da parte di Polanyi - ed il fatto che si differenzia dalla definizione etimologica, in quanto per lui essa significa il metodo di acquisizione "naturale" tanto per le città quanto per i privati.
[*5] - Per una critica di quest'idea, rimando alla lettura del magistrale libro di Marshall Sahlins, Au cœur des sociétés. Raison utilitaire et raison culturelle, Gallimard, 1980.
[*6] - Moses I. Finley, op. cit.
[*7] - Serge Latouche, L'invenzione dell'economia, Bollati Boringhieri.
[*8] - Seguendo il consiglio di Finley, bisognerebbe attenersi all'unica traduzione francese seria ed utilizzabile di questo testo di Senofonte, quella di P.Chantraine pubblicata nel 1949 da Les belles lettres. Siamo a conoscenza inoltre di un secondo trattato un po' più tardivo, anch'esso dal titolo "L'economia", della scuola di Aristotele, che si situa sulla stessa linea di quello di Senofonte (ugualmente focalizzato sulla differenza fra la politica e l'economia), vale a dire un manuale destinato ad un grande proprietario che desidera gestire bene la sua proprietà.
[*9] - Luciano Canfora, Un mestiere pericoloso – La vita quotidiana dei filosofi greci, Sellerio, 2000.
[*10] - Faccio uso qui solamente dell'applicazione della tipologia di Polanyi alle forme antiche del commercio, senza riprendere la sua comprensione borghese delle società capitaliste moderne incentrate sul Mercato e sui suoi meccanismi di determinazione dei prezzi per mezzo dell'offerta e della domanda. Nelle società antiche, spiega Polanyi, non si deve credere che la polis, le comunità o i regni greci conoscessero un commercio interno in cui si vendevano dei beni. Quando ciò esisteva si trattava di un'eccezione, sempre assai minoritaria. In realtà, sottolinea Polanyi, «l'origine esterna del commercio appare dappertutto molto evidente. Il commercio interno è in larga parte un'estensione del commercio esterno che lo precede» (Polanyi, Essais, Seuil, 2008, p. 138). Polanyi ha anche nettamente distinto la comparsa del commercio da quella del mercato, ogni commercio non è affatto legato al mercato. Riprendo qui la tipologia istituzionale del commercio esterno costruita da questo autore, che distingue: 1.) il «commercio dei doni» che lega le parti nelle relazioni di reciprocità; 2.) il «commercio lontano» (chiamato anche «commercio amministrato o gestito per mezzo di trattati») per niente legato al mercato ma, al contrario, incastrato in dei rapporti politico-religiosi e diplomatici, dove il trasferimento di beni veniva regolato per mezzo di trattati fra i re, fra le città o le comunità, e in cui non troviamo alcuna contrattazione. Questo commercio legato allo statuto, non implica né dei commercianti individuali, né la motivazione individuale del guadagno. La persona (il «fattore») che lo praticava in nome di un gruppo sociale era motivato dal dovere e dallo status. Questo tipo maggiore di commercio struttura tutta l'attività dei porti commerciali (emporium); 3.) infine, il «commercio di mercato» dove i prezzi sono fissati da quest'ultimo ed il ventaglio di beni commerciabili è praticamente illimitato. Va anche sottolineato rispetto a quest'autore, «l'agorà della Grecia classica, a causa della sua stessa natura, non viene quasi mai trasformata in un luogo di commercio abituale di mercato, fino a quando la polis è rimasta attiva e fiorente» (ivi, p.137). Per Polanyi, constatando dappertutto «l'assenza di mercato creatore di prezzo» (ivi, p.100), nella storia antica il «commercio lontano» precede il «commercio di mercato» che rimane altresì minoritario. «Il commercio di una volta [commercio di doni e soprattutto commercio amministrato] non assomigliava in niente al commercio di mercato» (ivi, p.99). Quest'ultimo appariva per la prima volta, in qualche aspetto, nella Grecia della fine del VI secolo a.C. (si trovano dei "mercanti" fra Solone e le famiglie dei Pisistratidi o degli Alcmenoidi) ed è legato al processo logistico degli eserciti di mercenari a partire dal IV secolo a.C. e soprattutto la sua prima vera istituzione conosciuta è quella, nel III secolo a.C., del porto franco di Delos, inizialmente per i cereali, poi per gli schiavi, in cui possiamo riconoscere per la prima volta un meccanismo di offerta-domanda-prezzo (ivi, p.100). La persona che lo praticava (il «mercante») era motivato dal guadagno individuale. Si veda Polanyi, ivi, capitolo 6, "Commercianti e commercio". Per una critica di questa periodizzazione, si rimanda alla postfazione di Alain Caillé della stessa opera, in particolare alle pagine 569-572.
[*11] - Vedi Alain Bresson, L’économie de la Grèce des cités. I. Les structures de la production, A. Colin, 2007.
[*12] - Moses I. Finley, op. cit., p. 16.
[*13] - Ivi, p.18.
[*14] - Si noti che nell'Anabasi, Senofonte si difenderà dalle accuse che gli vengono rivolte - guadagno mercenario o corruzione -, che sono in contrasto con i valori aristocratici legati al suo rango, dando un'immagine disinteressata per quel che attiene alla sua avventura di capo mercenario, un «ritratto di sé stesso ripulito da ogni macchia salariale o monetaria», mentre tutti i suoi possedimenti ateniesi gli sono stati confiscati. Vedi: Vincent Azoulay, Xénophon et les grâces du pouvoir, Publications de la Sorbonne, 2001, p. 191-203.
[*15] - Karl Polanyi, op. cit., p.97. Rimandiamo il lettore anche all'importante tesi di Robert Kurz sulla preistoria dei rapporti sociali capitalistici in Occidente nel XV e nel XVI secolo che, appoggiandosi a Geoffrey Parks, egli situa nella "Rivoluzione militare" e nell'invenzione delle armi da fuoco. Kurz vede in questo fenomeno militare la preistoria del lavoro astratto come forma della socializzazione nella modernità, e come «sostanza sociale» del valore e del capitale. Vedi Robert Kurz, L'esplosione della modernità.
[*16] - Polanyi, ivi, p. 98.
[*17] - Vincent Azoulay, op. cit., p. 221.
[*18] - Ivi, p.221.
[*19] - Ivi, p.229. Vediamo così che Senofonte cerca sempre, malgrado la sua accettazione e la sua promozione dello scambio salariale e commerciale, di giustificare, coprire ed abbellire queste nuove realtà con i vecchi valori dell'aristocrazia.
[*20] - Vedi: « Les vertus ambigües de l’échange marchand [chez Xénophon] », ibid., pp. 203-230.
[*21] - Jean-Pierre Vernanti, "Aspetti psicologici del lavoro nell'antica Grecia" in "Mito e pensiero presso i Greci" (Einaudi).
[*22] - Ivi.
[*23] - Tuttavia si potrebbe risalire anche più lontano, vedi la tesi di Jacques Cauvin sull'origine religiosa della rivoluzione neolitica in "Naissance des divinités, naissance de l’agriculture", éditions CNRS, 1997.
[*24] - Vernant, op. cit.
[*25] - Ivi. In maniera simile, Maurice Godelier nota, a proposito dell'isola di Tipokia, che «tutte le attività produttrici essenziali alla vita degli individui e dei clan provenivano dal fatto di incastrarsi nel ciclo dei rituali celebrati per arrivare "insieme" agli dei al successo di queste attività. Per tale ragione, il successo o l'insuccesso delle loro attività produttrici appariva loro dipendere più dall'efficacia dei riti, e quindi dall'azione congiunta dei capi e degli dei, che dal loro lavoro» - in "Au fondement des sociétés humaines. Ce que nous apprend l’anthropologie", Albin Michel, 2007, pp. 210-211.
[*26] - Vernant, op.cit.
[*27] - Ivi
[*28] - Moses I. Finley, op.cit.
[*29] - Contrariamente a quel che pensa Léo Strauss in Le Discours socratique de Xénophon, Combas, 1992, dove sostiene che nonostante tutte le apparenze Senofonte fa in maniera criptica l'elogio del modo di vita socratico fatto di povertà, di frugalità e di autarchia. Per una critica dell'interpretazione di Strauss, vedi Louis-André Dorion, « L’exégèse straussienne de Xénophon », revue Philosophie antique, n°1, 2001, Presses universitaires du Septentrion.
[*30] - «Commercio di mercato» che non può più essere confusi, diversamente da ciò che dice Polanyi, con i rapporti sociali capitalisti che emergono a partire dal XVI secolo. Il nostro intento non è dire che Senofonte per mezzo delle proposte di Iscomaco descriva quel che sarà la forma della vita sociale capitalista.
[*31] - Aristotele - La Politica
[*32] - Ivi
[*33] - Ivi, sottolineato.
[*34] - Per Polanyi, Aristotele è stato il primo ad aver promosso la definizione sostantivista dell'economia che difenderà. Per una critica della definizione sostantivista dell'economia, mi permetto di rimandare al mio articolo « Critique du substantivisme économique de Polanyi », Sortir de l’économie n°4, 2012 (sur internet).
[*35] - Karl Polanyi, « Aristote découvre l’économie », Essais, op. cit., p. 95.
[*36] - Aristotele, op. cit., p. 120.
[*37] - Laurent Mucchielli, La découverte du social. Naissance de la sociologie en France, La découverte, 1998.
[*38] - François Flahaut, Le paradoxe de Robinson. Capitalisme et société, Mille et une nuits, 2005 (2003), p. 50. Per una critica di questa concezione utilitaristica della società, si veda anche « Critique du substantivisme économique de Karl Polanyi », op. cit.
[*39] - Esiste solo "in vista della procreazione", come la relazione sociale comandante/comandato esiste solo per il vantaggio che questa relazione procura ai due termini, vale a dire «la loro "mutua" salvaguardia» (Aristotele, op.cit.)
[*40] - Ivi.
[*41] - Moses Finley, op. cit., p. 17.
[*42] - Maurice Godeliere faceva ancora questo errore negli anni 1970, quando in "Horizon, trajets marxistes en économie" notava che il rapporto di parentela «funzionante come i rapporti di produzione». Questo è lontano dalle sue posizioni attuali. Vedi M. Godelier "Au fondement des sociétés humaines. Ce que nous apprend l’anthropologie", Albin Michel, 2007. Soprattutto il capitolo 2 intitolato «Nulle société n’a jamais été fondée sur la famille ou la parenté ».
[*43] - J.-P. Vernant, op. cit., p. 221. Per un punto di vista similare, per altre società, vedi anche gli ultimi scritti di Godelier.
[*44] - Moses Finley, op. cit., p 19. Nel primo capitolo di quest'opera, l'autore trova le diverse accezioni di "oikonomia" e delle sue traduzioni latine, Si vede anche che Quintiliano utilizza questo termine «per parlare dell'organizzazione o del piano di un poema, oppure di un'opera di retorica» (ivi).
[*45] - Più precisamente nel VI capitolo del Libro II.
[*46] - La satrapia diretta dal satrapo e la sua amministrazione, una sorta di governatore regionale ereditato dal potere persiano.
[*47] - Marx, nel I Libro del Capitale, non sembra riferire sufficientemente il concetto di crematistica ai soli rapporti sociali non capitalisti.
fonte: Critique de la valeur-dissociation. Repenser une théorie critique du capitalisme
Nessun commento:
Posta un commento