Gli assassini dei bambini di Gaza (13 di 15)
- Un'operazione "piombo fuso" per cuori sensibili -
di Robert Kurz
SINTESI
Nella sua analisi critica dell'ideologia, "Gli assassini dei bambini di Gaza", Robert Kurz affronta i modelli di percezione della sinistra riguardo al conflitto in Medio Oriente. Dopo che negli ultimi anni, le guerre capitaliste di ordinamento mondiale, e la loro affermazione da parte dell'ideologia "anti-tedesca", sono state fondamentalmente criticate dalla "Critica della dissociazione-valore", adesso è tempo di considerare anche il rovescio di tale interpretazione ideologica, i cui portatori sono inoltre schierati positivamente con la socializzazione globale del valore e dei suoi prodotti in decomposizione. Queste interpretazioni della situazione mondiale sono impregnate di un "anti-israelismo" affettivo, alimentato anche da un "odio inconscio per gli ebrei" (Micha Brumlik), in quanto lo Stato ebraico e la sua azione militare contro Hamas e Hezbollah vengono di per sé sussunti al capitale mondiale ed al suo imperialismo securitario. Di conseguenza, la barbarie islamica contro Israele non viene vista come l'altra faccia della medesima medaglia dell'imperialismo di crisi, ma come "resistenza", in maniera quasi romantica. In questo contesto, la base del raffronto col vecchio "anti-imperialismo" impallidisce, ed il conflitto in Medio Oriente diventa un conflitto per procura, al servizio di una "critica del capitalismo" della nuova piccola borghesia, che digerisce regressivamente la crisi mondiale del capitalismo.
(Presentazione del testo nell'Editoriale di EXIT! n° 6 dell'agosto del 2009)
SOMMARIO
* Asimmetria morale ed analisi storica * La violenta emozione dell'inconscio collettivo antiebraico * Il duplice carattere dello Stato d'Israele * L'identificazione positiva e negativa di Israele con il capitale mondiale * Le impossibili richieste di un paradosso reale * La ragion di Stato di Israele nelle guerre contro Hamas e Hezbollah * L'opinione pubblica mondiale anti-israelita e la decomposizione ideologica della sinistra * Una "terza posizione" che non è una posizione * Delitto e castigo o critica radicale mediata storicamente? * Un cuore dalla parte del regime della Sharia * Il determinismo della coscienza e il ruolo degli eroi * Il conflitto per procura e la demoralizzazione della critica del capitalismo * Anti-israelismo - la matrice di un nuovo antisemitismo * La sinistra come Dr. Jeckill e Mr. Hyde *
* Il conflitto per procura e la demoralizzazione della critica del capitalismo *
L'analisi del capitale mondiale, basata sulla teoria della crisi, che a partire dagli anni novanta si è legata ad una critica radicale delle nuove guerre di ordinamento mondiale dello "imperialismo ideale globale e di crisi" sotto la direzione degli Stati Uniti, a quanto pare è stata compresa e ricevuta in maniera altamente unilaterale, se ora, per alcuni commentatori di sinistra, la stessa presa di posizione filo-israeliana nella guerra di Gaza appare come un'incomprensibile rottura rispetto alla posizione assunta alcuni anni prima. Secondo i fatti, c'era allora alla base, come oggetto di discussione, il confronto con quella parte della sinistra diventata "filo-occidentale" che, nello spazio di lingua tedesca, va sotto il nome di "anti-tedeschi", e che dal 2001 ha fatto sventolare le sue bandiere dalla parte dei guerrieri dell'ordinamento mondiale e per la glorificazione spudorata della "civiltà" capitalista. Già in quei dibattiti non c'era alcun dubbio che la critica radicale del capitalismo di crisi dovesse includere, come sua parte integrante, la critica altrettanto radicale della barbarie islamista, ed insieme a questa anche la critica radicale di un'opposizione che pretende ancora di continuare a legittimarsi nel classico senso "antimperialista".
E' vero che quest'inversione del confronto venne percepita, e ricevuta, quanto meno superficialmente; tuttavia, nella controversia che ebbe luogo allora non ci fu un chiarimento, in caso contrario ora non sarebbe possibile che la guerra di Gaza venga vista, da alcuni di coloro coinvolti nella controversia, sullo stesso piano della guerra di ordinamento mondiale imperiale globale, e che le conclusioni filo-israeliane siano considerate come un passaggio verso le posizioni "anti-tedesche" filo-occidentali. Da qui, la recente presa di posizione filo-israeliana viene denunciata come "bellicismo", nonostante il fatto che questo concetto, nei dibattiti avvenuti a partire dal 2001, rimane chiaramente legato alla guerra di ordinamento mondiale, e non può essere causa di un pacifismo di principio, né di un rifiuto di principio di qualsiasi intervento militare di Israele contro l'Islam antisemita, il quale, per inciso, soltanto dopo la guerra dell'Iraq nel 2003, può essere interpretato come potere statale armato alle frontiere di Israele.
Come si è già visto per la confusione metodologica e di contenuto del concetto di "terza posizione", anche la critica della guerra di ordinamento mondiale viene associata ad una "critica di Israele", la quale minimizza la sindrome antisemita e di fatto nasconde, o invalida, il carattere duplice di Israele. Il dibattito polemico con gli "anti-tedeschi" era orientato contro l'identificazione positiva di Israele con il capitale mondiale, e contro la denuncia come "antisemita" di qualsiasi critica della guerra di ordinamento mondiale. Il che si applicava anche alla discriminazione razzista nei confronti della popolazione palestinese da parte del movimento dei coloni nazionalisti, o al fanatismo degli ultra-ortodossi in Israele, critica che da parte degli "anti-tedeschi" veniva registrata anch'essa come "antisemitismo", nel loro modo manicheista di pensare.
Ma diventa qualcosa di completamente diverso, se invece la ricezione di questa critica alla manifestazioni capitaliste ed alle costruzioni ideologiche abituali, che avvengono anche all'intero di Israele, si trasforma in una "critica ad Israele" generale, e se la pretesa "solidarietà critica" si trasforma in una commossa condanna della guerra di Gaza, la quale non può essere ridotta in alcun modo alle deficienze interne ad Israele. Si tratta qui, non solo di ignoranza riguardo alle relazioni di potere ed alla costellazione del conflitto in Medio Oriente, entrambe modificate, ma anche di quel dislocamento della percezione della sinistra, che equivale ad un dislocamento ideologico delle motivazioni. Questo vale sia per la percezione di Israele quanto per quella dei suoi nemici locali. Qui, gli "anti-tedeschi" finiscono per non aver ragione ma, al contrario, contribuiscono a questo sviluppo, con la loro interpretazione ideologicamente distorta.
A differenza della posizione qui rappresentata, la critica della guerra di ordinamento mondiale, a partire dal 2001, si connota in maniera anacronistica come "antimperialista", ed ha minimizzato l'antisemitismo islamico, o è perfino arrivata ad argomentare usando stereotipi antisemiti. Quella che è stata definita, a ragione, come "critica tronca del capitalismo", che penetra ben dentro il movimento di critica della globalizzazione, ha continuato da allora a trasformarsi rapidamente. Da tempo, in relazione al conflitto in Medio Oriente, si è permesso che si profilasse chiaramente una posizione "del vecchio antimperialismo" contro una posizione "anti-tedesca". Mentre gli anti-tedeschi, per quel che mi è dato vedere, si sono ampiamente decomposti e si sono differenziati, in tutte le direzioni possibili ed impossibili (fino al neoliberismo dichiarato), invece, il dislocamento della percezione relativamente alla funzione rappresentativa di questo conflitto ha attraversato trasversalmente tutto il rimanente spettro della sinistra; situazione in cui la commozione anti-israeliana, e la simpatia mezzo nascosta e mezzo dichiarata per Hamas, presenta un qualche punto di contatto con il vecchio "antimperialismo", ma senza esserne assorbita in alcun modo. L'impulso verso una "liberazione nazionale", comunque sempre discutibile, è chiaramente rimasto senza oggetto storico, così in Palestina come in tutto il vecchio "terzo mondo". Oggi, ormai non si tratta più tanto di questo paradigma di un'epoca passata divenuto anacronistico, ma si tratta semmai di una digestione ideologica della nuova situazione sociale mondiale. Proprio per questo non esiste quasi nessun gruppo o corrente di sinistra che non ne sia stato raggiunto.
Questa polarizzazione all'interno della sinistra nel suo senso più lato, in occasione della guerra di Gaza, non può essere spiegata a partire da una qualità speciale di questo conflitto, ma soltanto come reazione, irrazionalmente caricata, allo scoppio totalmente inaspettato della crisi globale di portata storica. Non è per caso che la violenta commozione anti-israeliana nella fase "calda" della guerra, si sia infiammata poche settimane dopo il "lunedì nero" delle borse mondiali, ed è stata accompagnata da un drammatico diffondersi della crisi finanziaria. Associata a questo, c'è stata la fine miserabile dell'era definita come neoliberista e dell'amministrazione Bush. Il riferimento alla guerra contro Hamas ed il panico di crisi, difficilmente tenuto nascosto, sembra aver gettato in uno stato di totale paranoia proprio le teste di una sinistra rimasta essa stessa smarrita.
Alla luce dell'inizio della nuova crisi economica mondiale, insieme al feticcio del capitale - con il suo movimento di valorizzazione e con la ragione borghese che sintetizza tale relazione mondiale - anche il pensiero della sinistra, esso stesso legato alla storia della modernizzazione capitalista, va a sbattere contro il suo limite storico; ora, però, solo nell'immediatezza dell'orizzonte degli avvenimenti attuali. La ragione illuminista del capitalismo, mai soppiantata nei teoremi e nelle ideologie marxiste o postmoderne di sinistra, si decompone nelle sue opposizioni polari interne, che non possono essere superate sul terreno di queste "forme oggettive di pensiero" (Marx). Così come la valorizzazione del capitale, da tempo sostanzialmente corrotta, ha potuto proseguire negli ultimi vent'anni solamente in quanto fenomeno virtuale dell'economia delle bolle finanziarie, anche una critica del capitalismo, da tempo ugualmente corrotta, in questo periodo si può mantenere in una vita apparente, soltanto nel coma spirituale di una virtualità presuntemente continuatrice dei vecchi paradigmi. Entrambe appartengono l'una all'altra e, pertanto, entrambe hanno toccato insieme il fondo, ossia, si rivelano come irreali e menzognere.
Gli spettri della sinistra avevano rigettato la teoria di un limite interno oggettivo della valorizzazione del valore perché, inconsciamente, avevano in mente il loro legame con il contesto della forma capitalista; a partire dall'ontologia del "lavoro", passando per la forma del soggetto e della politica, fino alla relazione oggettivata di genere del moderno patriarcato produttore di merce. Nella stessa misura in cui tale contesto della forma si disfa nella dinamica storicamente matura della sua auto-contraddizione oggettiva interna, si rivela violentemente anche la sua essenza in quanto "soggetto automatico" (Marx) di una socializzazione negativa e distruttiva. La sinistra aveva nascosto quelli che erano elementi centrali della critica di Marx, ed aveva ontologizzato da sempre la forma feticista basica della modernità, o, tutt'al più, l'aveva percepita come mera "dissimulazione" di una fattualità "vera", la quale dovrebbe consistere essenzialmente di relazioni di volontà soggettive di sfruttamento e di dominio, invece di riconoscere queste come delle mere funzioni della relazione sociale feticista sovrastante. Quando ora ci si scontra storicamente con un livello di sviluppo troppo maturo di tale relazione, questa sinistra, in imbarazzo, non sa più che cosa dev'essere "il capitale" in generale.
Anche le idee di trasformazione sociale sono corrispondentemente pietose. Il vecchio programma di una mera nazionalizzazione "socialista" delle categorie capitaliste, nato nel contesto della "modernizzazione in ritardo", è storicamente esaurito; le attuali misure di nazionalizzazione del pragmatismo di crisi disperato, non hanno niente a che vedere con tale programma ed inoltre non vengono nemmeno prese sul serio in tal senso. Quel che è rimasto come obiettivo della sinistra nell'epoca del capitale virtualizzato è un anemico keynesismo residuale uscito dal baule del mercato delle pulci dell'economia politica, ed un magra infusione dell'economia alternativa della nuova piccola borghesia (produzione cooperativa di nicchia, ecc.), possibilmente fiancheggiata da casini monetari alla Silvio Gesell, oppure l'illusione di un reddito minimo pubblico (in ultima analisi, anch'esso keynesiamente definito). Sono state proprio tali forme tristi degli obiettivi "socialisti", che non hanno potuto fare a meno di appassire nell'era dell'economia delle bolle, mentre per la coscienza della virtualità sembrava essere "tutto possibile", soprattutto quello che era meno adatto.
Già nel bel mezzo dell'ultimo grande scoppio di crisi, il filosofo del diritto Uwe Justus Wenzel divagava, sempre a proposito delle prospettive, in occasione del duecentesimo anno dalla nascita dell'utopico (antisemita) Proudhon: "La Federal Reserve americana... non ha forse abbassato il tasso di interesse quasi allo zero? Se questo ancora non è lo spirito del capitalismo, allora è quello di un capitalismo cooperativo, post-capitalista, come aveva immaginato Pierre-Joseph Proudhon” (Neue Zürcher Zeitung, 15.01.2009). Questo non è per far ridere, in quanto la stessa cosa sembrano pensare le due teste della coscienza keynesiana e dell'economia alternativa, in una critica del capitalismo demoralizzata, sia retoricamente che praticamente. E' ovvio che, ciò nonostante, si sa o si intuisce che la crisi mondiale, qualitativamente nuova, in breve metterà fine a tutta questa robaccia ideale.
L'unico sollievo che viene ancora promesso è rappresentato dai capri espiatori, dai colpevoli, avidi sfruttatori e soggetti del dominio, ecc.. Di fatto non c'è carenza di questi, ma, simultaneamente, si fa notare alla coscienza sociale globale una riflessione che in un certo modo mette in ridicolo tale riduzionismo e indica il carattere oggettivo del disastro. Alla luce della maturità dello sviluppo della crisi capitalista, questo davvero non è niente. Anche la sinistra più stupida deve tener conto di questo punto di vista. Però, quando il riconoscimento della dimensione sistemica della crisi non viene formulato come critica della costituzione del feticcio, si può solo andare a finire in una rassegnazione affermativa rispetto al destino. D'altra parte, questo è il destino anche della critica demoralizzata di sinistra, la quale non vuole attraversare il Rubicone, in quanto è identitariamente legata alle forme feticiste basilari, ed ha paura ad allontanarsi troppo dalla coscienza normale relativa a tali forme.
A questo punto, ecco che arriva la possibilità di scaricare emozionalmente la propria miseria nel conflitto di Gaza. La soggettivazione della crisi sistemica, suscettibile di cadere nel ridicolo, può, per così dire, essere indirettamente invocata ancora una volta, nella misura in cui, in un'azione di dislocamento mentale, la guerra di Gaza ha assunto immaginariamente una funzione di sostituto alla minaccia della crisi, e in questo contesto lo Stato degli ebrei è stato collocato come sostituto della relazione di capitale in generale; non solo agli occhi dei rappresentanti del "anticapitalismo" diventato apertamente antisemita, ancora con qualche sfumatura ma con la medesima commozione, ma anche agli occhi dell'insieme di gran parte della sinistra che (ancora) se ne distanzia. Sotto l'aspetto psicoanalitico, si potrebbe dire che la sinistra storicamente decadente proietta l'odio verso sé stessa ed il disprezzo per sé stessa sullo Stato d'Israele, a fronte del suo proprio fallimento nella nuova crisi sistemica, in tal modo attenuandolo. Se con lo sviluppo della crisi anche il conflitto armato di Israele con Hamas si sviluppa in questa digestione proiettiva, l'anti-israelismo affettivo crescente può aiutare a coprire i deficit di una critica soggettivista del capitalismo, che ha smesso di poter essere fondata teoricamente.
Inversamente, lo stesso meccanismo proiettivo può essere decifrato anche nel posizionamento notoriamente positivo nei confronti dei regimi antisemiti islamici post-statali alle frontiere di Israele. Per poter comprendere questo contesto, si rende necessario un veloce schizzo del soggetto sociale ideologizzato, portatore della critica del capitalismo tradizionale, e postmoderna. Alla soggettivazione di sinistra del capitale - nel senso di una mera volontà di sfruttamento da parte della "classe dominante", in accordo con il suo "potere di disporre" - corrispondeva sempre la costruzione di un contro-soggetto, ontologicamente fissato nel "lavoro" eterno, che sarebbe soggiogato dal capitale (inteso come gruppo di soggetti) soltanto esternamente. Quindi, il "lavoro" non veniva riconosciuto come astrazione reale specificamente capitalista, e la costituzione moderna del feticcio era completamente mal interpretata. Il paradossale "soggetto oggettivo" classe operaia non poteva essere "in sé e per sé" nient'altro che la maschera di carattere del "capitale variabile"; ed il movimento operaio storico, facendo irritare Marx, non si è mai comportato altro che come tale. L'opposizione sociale fra capitale e lavoro, pertanto, non ha mai segnato una qualche fondamentazione ontologica della critica del capitalismo, al contrario, ha rappresentato soltanto la forma del movimento immanente del feticcio del capitale, nella forma della lotta di classe. Sarebbe emancipatorio soltanto rompere il contesto della forma comune; ed a questo, fino ad oggi, non si è mai arrivato.
A partire dal 1968, la nuova sinistra, invece di riconoscere e respingere la questione falsa ed affermativa di un "soggetto-oggetto" ontologizzato, girò, e successivamente rigirò, la vecchia formula. Se, nel caso, vennero cercate sempre più tutti i possibili surrogati di un tale soggetto, a partire dai "poveri" della periferia del mondo, passando per i "gruppi marginali" (Herbert Marcuse) dei centri, fino alle donne, secondo un'ontologia della "femminilità", oppure ai titolari di un'economia immaginaria di sussistenza, tutto questo si riferiva al fatto che il vecchio soggetto del "lavoro" era diventato obsoleto, senza che ci fosse stata una riflessione sulla problematica che da ciò derivava. Il venir meno dell'ontologia del "lavoro", e la caduta empirica del soggetto oggettivo di classe ad essa riferita, rappresentavano soltanto il rovescio del limite interno assoluto della valorizzazione, raggiunto con la terza rivoluzione industriale. L'apparente capacità di supporto da parte del paradigma della lotta di classe aveva la sua base nella capacità del capitale di essere accumulato senza limiti, cioè, di trasformare "lavoro" in plusvalore. La caduta del "lavoro" e della lotta di classe, pertanto è stata equivalente alla caduta della produzione di plusvalore e, con essa, del sistema di riferimento feticista comune.
Il post-operaismo, influente quanto meno nei tempi più recenti del movimento, anziché percepire questo contesto, ha creato un'ontologia completamente vuota del contro-soggetto oggettivo immaginato, nella figura della cosiddetta moltitudine, che significa tutto e niente. Questo punto finale e concettualmente fondato sul vecchio paradigma non è più mediato con niente e può pertanto essere riempito quasi arbitrariamente per mezzo di contenuti ed espressioni della soggettività della decadenza capitalista, e con uguale arbitrarietà caricato di significato. Simultaneamente, si nasconde dietro la decadenza del pensiero della lotta di classe dell'ontologia del lavoro, con tutti i suoi surrogati ed aberrazioni immaginarie, l'interesse concorrenziale perfettamente evidente di una posizione sociale che solo assai recentemente è stata posta,in parte, allo scoperto. Il processo di socializzazione capitalista ha prodotto una nuova ed ampia classe media con qualifiche accademiche, la cui esistenza economica dipende dall'assorbimento del plusvalore reale prodotto. Con la rovina della sostanza del lavoro, quest'esistenza, così come tutta la riproduzione capitalista, rimane sospesa in aria e, a partire dagli ultimi trent'anni, può essere prolungata soltanto per mezzo del debito pubblico e dell'economia delle bolle finanziarie.
La sinistra e i cosiddetti movimenti sociali, corrispondendo alle mutazioni sociali dovute al processo di crisi graduale, dal 1968 ad oggi hanno rappresentato essenzialmente un movimento della classe media, che fin dall'inizio ha preteso di legarsi intellettualmente all'ideologia obsoleta del marxismo del movimento operaio, ma che, attraverso l'immaginazione di surrogati del vecchio "soggetto oggettivo", in realtà ha fatto del suo proprio interesse la misura delle cose. Nella nuova crisi economica mondiale già iniziata, che si aggrava velocemente e rende palesi tutte le contraddizioni, emerge, nel passaggio della precarizzazione, la caduta del capitale umano accademicamente qualificato, in quanto ideologia manifestatamente della classe media, che minaccia di scatenare tutta la furia della coscienza di crisi della nuova piccola-borghesia.
Quando gli interessi di sopravvivenza precarizzata della classe media e, insieme ad essi, i concetti dubbi del keynesismo residuale e dell'economia alternativa neo-proudhoniana, occupano il posto della critica radicale della forma del valore, del feticcio del capitale e della relazione capitalista di genere, allora lo stridente deficit di questo pensiero regressivo, che non è in grado di vedere sé stesso, dev'essere rivestito fantasmaticamente. Il sempre presente quadro di spiegazione della crisi classicamente piccolo-borghese, a partire dagli "eccessi" e dalla "avidità" degli squali della finanza, ecc., che presenta tracce di antisemitismo strutturale o perfino manifesto, ma che fallisce il carattere sistemico oggettivo della crisi diventato riconoscibile, abbisogna di una proiezione addizionale, che trova nel conflitto per procura in Medio Oriente.
L'interesse obsoleto del capitale umano qualificato, l'inselvaggimento postmoderno del patriarcato produttore di merci e la simpatia furtiva per gli antisemiti barbuti dell'islamismo palestinese armato, le cui immagini parlano della vita della classe media e del bazar, si mischiano a formare una lega ideologica peculiare. Così, l'uomo europeo di classe media trasformato in casalinga amerebbe scoprire, sotto l'impatto della crisi aggravatasi, una vera anima gemella fra i "combattenti" di Hamas, anche se il riferimento qui non sarà più Karl Marx, bensì Karl May. A questo livello, la militanza non pacifista può validarsi di nuovo. Un'ideologia di sinistra diventata rognosa allucina disperatamente negli apparati di potere di Hamas e di Hezbollah una qualità "sociale"; fino alle espressioni dei blogger che pretendono di riconoscere nel popolo elettore di Hamas, o perfino nel regime stesso, la "Comune di Parigi" del 1871. Difficilmente si può immaginare una cecità peggiore; ma le conclusioni condotte attraverso le analogie storiche diventano tanto più spudorate quanto più reagiscono soltanto emozionalmente al vicolo cieco del proprio modello di pensiero.
Dietro la bizzarra identificazione, ammessa o non ammessa, con la barbarie islamica, inclusi i suoi fervori romanticizzati, si nasconde tuttavia anche un'opzione ben ferma della coscienza di sinistra che si nasconde nell'ideologia della classe media. Se Hamas ed Hezbollah vengono sempre più percepiti come "forze d'ordine" nella decadenza della crisi della socialità, sia nei modelli di legittimazione della sinistra globale che in quelli del mainstream borghese, questo indica un particolare modo affermativo di reagire al limite storico del capitalismo, per il quale non esiste alcun concetto sufficiente. Le fantasie intorno al camino circa la ri-regolamentazione efficace dei mercati finanziari e sulle illusorie strategie di contratto sociale neo-keynesiane, così come circa i concetti di economia alternativa di realizzazione apparente, indicano l'esistenza di un contatto furtivo fra una parte crescente della sinistra politica ed il movimento di amministrazione della crisi capitalista, e la sua possibile assegnazione di denaro e di posti. Comincia chiaramente ad emergere una svolta nazionalista e neo-autoritaria in tal senso. L'identificazione con l'aspetto di "forza d'ordine" esistente nei regimi semi-statali islamici può legittimare ideologicamente questa tendenza e farla passare per una sorta di "movimento sociale"; forse nella speranza che l'amministrazione della crisi nei centri possa ancora disporre di più mezzi di quanto ne dispongano i Fratelli Musulmani o l'Iran.
Come aumenta la rabbia piccolo-borghese nei confronti del capitale finanziario, che ha messo fine alla bella continuazione della vita miserabile nelle categorie capitaliste, pretende di creare uno spazio, avendo come sostituto la commozione contro lo Stato ebraico criminale di guerra e assassino di bambini, così aumenta anche la rabbia, oltre a quella per la propria esistenza in quanto soddisfazione miserabile storicamente in caduta, che confluisce in un'identificazione emozionale con la "resistenza" al potere militare ebraico, le cui teste dopo tutto sono altrettanto intellettualmente vuote delle loro. La cosa funziona anche sollievo psichico, mettendo il fantasma al posto della teoria critica, in quanto solo così è possibile assumere la posa di una "alternativa sociale", i cui contenuti sono costituiti dall'odio nei confronti degli ebrei, liberato dall'inconscio, e dalla scelta di una "forza d'ordine" immanente, al cui tavolo ci si vorrebbe sedere, come immagine precaria con pretese appena accennate di sinistra.
- Robert Kurz – 13 di 15 (continua…)
fonte: EXIT!
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