Economia politica dell'antisemitismo
- Il piccolimborghesimento della postmodernità ed il ritorno dell'utopia del denaro di Silvio Gesell -
di Robert Kurz
Fin dall'inizio, la relazione fra lavoro e capitale è stata uno dei temi centrali della discussione sull'economia politica. Il concetto di lavoro astratto - così come quello della nuda merce, svincolata da qualsiasi relazione non di mercato - è un prodotto del processo capitalista di modernizzazione. Ma alla superficie di questa relazione feticista moderna, lavoro e merce appaiono come usurpatori del denaro (capitalista), sebbene siano solamente uno stadio transitorio dello stesso denaro in quanto capitale. Da questo offuscamento superficiale deriva l'impulso a volere, in qualche modo, "liberare" il lavoro e la merce (fenomeni capitalisti) dal denaro (il mezzo capitalista che è un fine in sé stesso).
Quando, nel 18° e nel 19° secolo, il denaro si è gradualmente trasformato in capitale "produttivo", ossia, nella moderna razionalità imprenditoriale, le utopie del lavoro e della merce sono subito insorte contro la situazione del denaro capitalizzato. E' stato questo il caso degli interpreti dell'economista classico David Ricardo, un utopista del lavoro: le merci, in quanto prodotti del lavoro, dovrebbero "relazionarsi direttamente fra di esse" (senza la mediazione del denaro) "come prodotti del lavoro sociale", nell'osservazione critica di Marx. Questo, tuttavia, sarebbe una contraddizione in termini: "I prodotti devono essere prodotti come merci, ma non scambiati come merci" (Marx).
Su questi stesse basi ideologiche Pierre-Joseph Proudhon (1809-1865) ha invertito questa falsa utopia del lavoro in un'ugualmente falsa utopia della merce: tutte le merci dovrebbero, immediatamente, diventare "denaro", cosa che è stata sbeffeggiata da Marx definendola come utopia dei filistei (Spiessbürger-Utopie), in cui "tutti i cattolici dovrebbero diventare papi". Astrarre il denaro come "merce universale" è, di fatto, il presupposto perché le merci con differenze qualitative si riducano ad un denominatore astratto e così si armonizzino fra di loro.
L'assurda proposta di Proudhon, di emancipare il "lavoro onesto e la merce onesta" dal dominio del denaro, per mezzo di uno scambio "diretto" della merce sulla base del "denaro-lavoro" ricade effettivamente nel paradosso di voler sopprimere le condizioni di produzione della merce in un quadro dove continua la produzione mercantile. Il tentativo di rimuovere dal denaro quel suo attributo di "merce universale" (regina delle merci) - attributo, questo, che lo rende, innanzitutto, denaro, è di per sé una contraddizione. Il soggetto-merce schizofrenico vuole rifugiarsi nel presunto lato "concreto" del lavoro e della merce, ed il suo alter ego, il soggetto-denaro astratto, vuole liberarsi del tutto, o quanto meno prendere le redini di tale scissione, senza attaccare i fondamenti sociali che sono la causa primaria. Il soggetto borghese vuole sopprimere la società borghese, ma senza sopprimere sé stesso come soggetto borghese. Il tentativo di Proudhon di dominare il potere astratto del denaro per mezzo delle "banche popolari", con l'aiuto delle quali le merci verrebbero scambiate a "titolo gratuito". finirebbe anche, inevitabilmente, in un disastro pratico.
La fragile utopia in cui il denaro non è più denaro deduce sempre i mali e le catastrofi del modo di produzione capitalista, non dal fine tautologico del lavoro astratto, ma soltanto dal fine tautologico del denaro, sebbene l'uno sia, rispetto all'altro, inevitabilmente, il rovescio della medaglia. Non è la razionalità che si basa sull'economia imprenditoriale, con il suo potenziale distruttivo, a diventare oggetto della critica, ma solamente la presunta deficienza di giustizia distributiva e di giustizia di scambio, sul piano della distribuzione e della circolazione. Con la continua produzione capitalista e con la razionalità economica-imprenditoriale, verrebbero aboliti i modi capitalisti di distribuzione e di circolazione. Quindi, non sarebbe il capitale reale o il capitale produttivo dell'industria, agro-alimentare e de servizi, a manifestarsi come "capitalismo", ma esclusivamente ed unicamente il capitale speculativo, concentrato nel sistema bancario.
Per Proudhon, il famoso "plusvalore" non proviene dalla razionalità economico-imprenditoriale della produzione, ma dalla posizione privilegiata del denaro ( e pertanto dei suoi possessori) nello scambio. All'inizio del 20° secolo, un simile pensiero è stato ripreso e sviluppato dal commerciante e teorico tedesco-argentino Silvio Gesell (1862-1930), nella sua cosiddetta Teoria della Libera Economia (Freiwirtschaftstheorie). Quasi gli stessi concetti si possono ritrovare nel mistagogo ed antroposofo Rudolf Steiner (1861-1925), nella sua propaganda di un preteso ordine economico "naturale". Meno noto, anche se non meno influente negli anni 20, l'economista tedesco Gottfried Feder, il quale, in maniera analoga, ha difeso tale concezione per quel che riguarda i suoi aspetti essenziali. Per Proudhon, così come successivamente per i suoi seguaci, nelle parole di un geselliano attuale, la pietra di paragone è lo svantaggio di chi offre lavoro e merci (e domanda denaro) rispetto a chi offre denaro (e domanda lavoro e merci) (Dieter Suhr, Geld ohne Mehrwert, Frankfurt/M..1983. p. 14).
In cosa consiste, allora, il "privilegio" del denaro, con cui se la prendono i nemici del capitale speculativo? Proudhon lo vedeva già nel semplice potere di detenere denaro, che poteva cercare il momento più favorevole allo scambio, in quanto gli offerenti della merce e del lavoro dipendevano dalla transizione immediata, per potere, a loro volta, possedere "l'equivalente universale" (denaro) e ottenere potere di acquisto. Per mezzo di questo vantaggio, il proprietario di denaro poteva "alzare una barriera" nel processo del mercato e, perché la rimuovesse, doveva essere risarcito con qualcosa di speciale - per l'esattezza, gli interessi che gli agenti economici "produttivi", i reali mediatori del mercato, dovevano pagare. Per Proudhon, è inconcepibile che tale potere peculiare del denaro, la sua posizione chiave sul mercato, non venga considerato come un "guasto" o una "usurpazione" (e ancor meno che non provenga dalla soggettività del proprietario del denaro), ma che invece decorra dalla necessità che un sistema produttore di merci debba essere rappresentato e mediato da un'equivalente generale.
I discendenti programmatici di Proudhon non hanno mai osato pattinare sul ghiaccio sottile dei concetti dell'economia politica, nel senso stretto del termine. Preferiscono, fieri della propria mentalità di costruttori della patria e di ingegneri sociali, fondare soltanto "tecnicamente", in maniera pseudo-fisica, il potere peculiare del denaro in opposizione al lavoro ed alla merce. Nell'argomentazione di Silvio Gesell, il denaro, al contrario delle merci, non si deteriora né si consuma come avviene con la sussistenza della forza lavoro; esso non comporta, pertanto, alcun "costo di mantenimento" o di stoccaggio (Silvio Gesell, Die natürliche Wirtschaftsordnung,, 6ª. ed., Berlim. 1924. p. 317 ss.). Anche il neo-geselliano Helmut Creutz, indicato come candidato ad un "Premio Nobel alternativo", vede in ciò il problema fondamentale: "Immaginiamo che la porta di una cassaforte contenente diecimila marchi rimanga chiusa per 14 giorni, e poi immaginiamo che le porte di un mercato, con merci del valore di diecimila marchi, e le porte di una stanza dove si trovano cinque persone il cui reddito è normalmente di diecimila marchi in 14 giorni, rimangano anch'esse chiuse per 14 giorni. Passati i 14 giorni, apriamo le porte: è del tutto probabile che le 5 persone nella stanza siano morte, che le merci del mercato siano in gran parte rovinate, ma le banconote della cassaforte saranno altrettanto nuove quanto lo erano prima (Helmut Creutz, Das Geld-Syndrom, Frankfurt/M. e Berlim, 1994, p. 32).
Tale qualità del denaro, di non comportare costi di manutenzione, viene sfruttata dai proprietari del denaro, i quali esigono, dagli agenti produttivi del mercato, un "tributo", sotto forma di interessi, di modo da ricevere così un'ingiustificata "rendita senza lavoro", erigendo ostacoli sulla strada della produzione e dello scambio. Mentre il "capitalismo del proprietario di denaro" regna sotto la forma di capitale speculativo, il flusso di lavoro e di denaro, a fronte della crescente paralisi del transito delle merci, può essere mobilitato solo attraverso la risorsa "artificiale" e nociva dell'inflazione, a spese di coloro che hanno un reddito produttivo e dei loro risparmi, mentre il deficit del capitale finanziario viene compensato, senza danni, per mezzo di una aumento dei suoi interessi.
Rudolf Steiner e, soprattutto, Silvio Gesell - visto che è quest'ultimo che ha sviluppato in maniera più ampia tutto questo principio - propongono, come rimedio, una tipica panacea - che Marx, parlando di Proudhon e dei ricardiani di sinistra, utopisti del lavoro, aveva già definito, in maniera del tutto diretta, come "lavoro sporco del denaro". Steiner e Gesell, tuttavia, non vogliono bruciarsi le dita con le "banche di scambio" di Proudhon, ma vogliono sfuggire la logica del denaro mediante un trucco amministrativo, alla maniera di Daniel Düsentrieb. Il denaro utilizzato finora dovrebbe essere sostituito da un "denaro alternativo" (Steiner) o da "banconote ossidabili" (Gesell). Cosa sarebbe e come si potrebbe distinguere questo denaro rispetto alla solita inflazione?
Gesell propone che tutte le banconote in circolazione (e i saldi bancari liquidi) soffrano una svalorizzazione automatica di circa il 5% l'anno ("riduzione monetaria"). Essa riguarderebbe solamente il loro valore nominale, apponendo sulle banconote, periodicamente, un timbro con il relativo valore oppure timbrando il rinnovo del valore della banconota dietro pagamento di una tassa. Attraverso tali misure, in futuro il denaro diverrebbe soggetto a determinati "costi di manutenzione", facendo sì che in tal modo il proprietario di denaro perda i suoi vantaggi sui proprietari di merci e di forza lavoro. Al contrario, tutto il denaro depositato a lungo termine, come risparmio, nel sistema bancario, e che serve di base per i crediti lucrativi, dovrebbe essere automaticamente risparmiato da questa "ruggine" o da questa "riduzione" della moneta. In questo modo, Gesell ritiene di poter prendere tre piccioni con una sola fava. Primo, l'economia verrebbe favorita, in quanto non ci sarebbe più stimolo a detenere denaro, o che questo produca interessi: ognuno cercherebbe di spendere nell'economia reale, per evitare le tasse dei "costi di manutenzione" amministrativi. Secondo, sebbene spariscano gli interessi, senza alcun sostituto, ci sarebbe uno stimolo reale al risparmio, dal momento che il denaro depositato verrebbe escluso dalla "riduzione" amministrativa sofferta dalle banconote in circolazione e dai saldi liquidi. E terzo, infine, l'economia potrebbe conservare la propria completa stabilità, in quanto la misura del prezzo per la forza lavoro e per il credito diverrebbe invariabile. Il male del capitale speculativo sparirebbe, il denaro perderebbe il suo vantaggio sulle altre merci e potrebbe, ciò nonostante, svolgere tutte le sue funzioni necessarie. Verrebbero così gettate le fondamenta per la prosperità e la stabilità.
"Economia politica dell'antisemitismo", si riferisce all'esistenza di una relazione strutturale e storica fra questa critica riduttiva del capitale speculativo e l'antisemitismo. Non si tratta assolutamente di tacciare Silvio Gesell di parteggiare per Hitler ed i nazionalsocialisti, od ogni geselliano e neo-geselliano di essere apertamente antisemita. Il problema si pone su un altro piano. Ideologicamente, si tratta di due facce di una stessa medaglia, delle quali l'antisemitismo esplicito costituisce, per così dire, "il lato della testa". Ma questo non significa che ciascun economista, la cui critica si limiti allo scambio ed alla distribuzione, oppure che ogni critico degli interessi, debba essere un antisemita aperto, ma significa precisamente il contrario, ovvero che ogni antisemita utilizza sempre la riduttiva critica ideologica del capitale speculativo come modello "economico" di legittimazione. L'odio per il capitale speculativo, che fiorisce in maniera astratta ed irriflessa nella crisi monetaria, insieme alla massa di perdenti, costituisce non solo il terreno fertile ma anche, in maniera immediata, la "base economica" dell'antisemitismo e dei progrom antisemiti.
Tale contesto, che provoca di riflesso delle reazioni involontarie nei soggetti-merce con le spalle al muro per la paura, ha radici profonde e risale all'Alto Medioevo. La rottura irriflessa fra l'aspetto apparentemente concreto e cupamente astratto della produzione di merci, l'affermazione" del "lavoro" e della merce, da un lato, e la critica del denaro o la condanna degli interessi, dall'altro, ha prodotto ben presto una scissione della coscienza del soggetto-merce (cioè, nella misura in cui le persone in generale erano embrionalmente soggetti-merce). L'economia politica dell'antisemitismo è un prodotto logico e storico di un tale offuscamento. In quest'ambito è sorto il legame fra "ebreo e "denaro", per l'intermediazione di una perfidia specifica del Medioevo cristiano, che ha risolto la contraddizione fra la condanna degli ebrei e la necessità del credito nelle relazioni monetarie, attribuendo agli ebrei la funzione di usurai.
Il fatto per cui siano stati proprio gli ebrei ad essere stati caricati di questa funzione, è dovuto soprattutto a dei motivi esterni, storici e religiosi. Ma, strutturalmente, si tratta della logica interna alla funzione del capro espiatorio, che deriva dalla scissione del soggetto-merce. Da questa schizofrenia strutturale consegue la pressione a proiettare verso fuori, in un "essere estraneo", gli aspetti "cattivi", sinistri, astratti, della relazione merce-denaro. L'auto-alienazione interna del soggetto merce appare, essa stessa, come immagine del nemico esterno, potendo così, anche nella sua forma embrionale, manifestarsi in seno all'anima-merce scissa. Tale meccanismo classico di proiezione ha impregnato profondamente, nel corso di più di mille anni, la società occidentale e la sua coscienza.
Mentre in Occidente predominavano le forme feticiste premoderne, l'aspetto religioso occupava il primo piano nel definire gli ebrei come gli "estranei" o gli "altri". In una delle prime persecuzioni degli ebrei in Occidente, i "Marrani", nella Spagna e nel Portogallo del 15° secolo si parlava ancora, sotto il segno dell'Inquisizione, degli "assassini di Gesù" e degli "eretici" che, nonostante il battesimo obbligatorio, insistevano nella loro religione. Quanto più si espandevano le relazioni denaro-merce ed il modo di produzione si solidificava nella nuova forma-feticcio della modernità, originaria dell'Occidente, tanto più "l'ebreo" veniva definito, puramente e semplicemente, come "l'altro", non tanto nel senso religioso, ma come lo strano "essere del denaro e degli interessi". E, di fatto, dal momento in cui la cristianità europea aggirerà la proibizione degli interessi, spostando il problema sugli usurai ebrei, s'è sempre stata una minoranza di ebrei che ha svolto funzioni finanziarie. In una proiezione sociale collettiva, tuttavia, non contano le relazioni sociali effettive, né le qualità reali dell'oggetto di tale proiezione. Il carattere fantasmagorico di tutto il processo permette che il meccanismo di proiezione si rafforzi anche quando i fatti esterni, presi come motivo o pretesto, non trovano sostegno nella realtà.
A questo punto, com'è stato frequentemente osservato, è perfino possibile avere un "antisemitismo senza ebrei" (Cf. Jürgen Elsässer, Antisemitismus-- das alte Gesicht des neuen Deutschland, Berlim, 1992, p. 55 ss.). In quanto si tratta di un antagonismo nato allo stesso interno del soggetto-merce - antagonismo, questo, che si proietta verso il fuori - la sua vera essenza rimane intatta. "Ebreo" diventa una cifra fantastica ed omicida per l'odio che le persone "che guadagnano denaro" provano per sé stesse, le quali vogliono "liberarsi" dalla loro propria schizofrenia strutturale, senza però toccare o sopprimere il modo di produzione capitalista, o sé stessi in quanto soggetto-merce. Nella misura in cui il termine "ebreo" viene usato come sinonimo del lato astratto, negativo, del sistema produttore di merci, e tale proiezione della volgarità economica viene identificata con il capitale speculativo, non è necessario, in linea di principio, per scatenare il riflesso antisemita, che esistano ebrei veri e propri. Il fantasma di questa psicosi collettiva è onnipresente, e nel pogrom si "materializza" sulle comunità ebraiche come vittime e capri espiatori; tuttavia, gruppi di sinistra, politici liberali, scrittori critici della società, artisti moderni, stranieri, altre minoranze religiose, ecc., se necessario, possono anche essere definiti come "ebrei" dalla coscienza psicotica di coloro che attizzano pogrom.
L'economia politica dell'antisemitismo, vale a dire l'affinità fra la critica riduttiva del capitale speculativo e la tendenza antisemita, non è in alcun modo un legame meramente accidentale. Questa correlazione, tanto funzionale quanto fantasmagorica, è profondamente radicata nella coscienza storica e si installa nelle contraddizioni polari e reali delle categorie della logica mercantile. Gli economisti volgari (come ad esempio i geselliani) suddividono la logica interna del modo di produzione capitalista nel lato "buono" del "lavoro" o della merce e nel lato "cattivo" del denaro e del capitale speculativo. La produzione totale di merci non dev'essere soppressa, bensì liberata dal suo lato negativo. L'antisemita dichiarato traduce tale concezione "economicamente pura" in un'immagine fantasmagorica del nemico: il lato buono, "concreto", "proprio" della modernità dev'essere liberato dal suo lato cattivo, astratto, "estraneo" (o "straniero"); e l'estraneo, o l'altro, è "l'ebreo".
Esiste pertanto un necessario nesso strutturale e storico fra l'antisemitismo e la critica riduttiva del capitale speculativo. Perciò, in tutti i concetti economici corrispondenti, ci troviamo ad avere a che fare con un'economia politica dell'antisemitismo, indipendentemente da come tale nesso venga espresso a livello soggettivo. E' chiaro, però, che il nesso soggettivo-ideologico su tale base non può mancare. Gli economisti volgari che fanno la critica degli interessi non sono, in questo caso, vittime innocenti, meramente strumentalizzati dall'antisemitismo. Il citato Gottfried Feder non è stato soltanto acclamato come compagno di lotta di Hitler nel "Mein Kampf", e festeggiato come suo mentore economico; egli ha avuto anche "l'onore" di poter redigere il programma economico del partito nazionalsocialista. Ma nello stesso Rudolf Steiner, che era ben lontano dall'essere un esponente ideologico del nazionalsocialismo, si trovano diverse lettere che contengono brutali invettive antisemite.
Silvio Gesell, da parte sua, apparentemente non ha proclamato un antisemitismo aperto, sebbene affermasse che "gli ebrei si occupavano con soddisfazione di transazioni finanziarie (Silvio Gesell, apud Klaus Schmitt, "Geldanarchie und Anarchofeminismus", in: Silvio Gesell. "Marx" der Anarchist?, Berlim, 1989, p. 197). Tuttavia, quando si schiera contro la "diffamazione degli ebrei" in quanto "ingiustizia colossale", lo fa a partire da un argomento puramente economico secondo cui l'identità fra "raccoglitore di interessi" ed "ebreo" è semplicemente accidentale. Questo ricorrere al piano della logica economica (riduttrice) ignora sia la correlazione storica che il problema strutturale di una proiezione dell'antagonismo interno del soggetto-merce, che si realizza nei confronti di uno "straniero" esterno, proprio perché lo stesso Gesell afferma nei suoi principi il soggetto-merce. Così, egli è e rimane, per forza di cose, un "economista politico dell'antisemitismo", anche quando confessa, in maniera soggettiva, che gli ebrei hanno il diritto di sfruttare i "privilegi dei proprietari di denaro", fino a quando questi non verranno neutralizzati dalla panacea geselliana.
Conformemente a questo, è sorta fra i seguaci di Gesell tutta una serie di tendenze popolari ed antisemite che derivano necessariamente dalla logica economica e dalla falsa utopia del denaro. Si aggiunga a questo, sia in Gesell che in Steiner ed altri, un'ideologia apertamente socio-darwinista, biologista e favorevole alla "igiene razziale". Gesell attinge alla propaganda social-darwinista dell'economia competitiva attraverso un programma biologico della "razza umana" come lotta competitiva. Nel modo tipico delle sette al volgere del secolo, Gesell critica severamente il "matrimonio con gli alcolizzati" che porterebbe alla "degenerazione razziale", e raccomanda alle donne di relazionarsi solamente con "partner sani e forti": parla perfino di una "degenerazione razziale millenaria" (apud Günther Bartsch, "Silvio Gesell, die Physiokraten und die Anarchisten". in: Klaus Schmitt, op. cit., p. 15). Non c'è da stupirsi che le donne appaiano, in quest'assurda concezione biologista, soprattutto come una sorta di "animale materno", il quale deve decidersi "liberamente" a scegliere il miglior "riproduttore maschio".
I neo-geselliani attuali passano sopra quest'ideologia assurda della "igiene razziale" del loro maestro in maniera imbarazzata, come se si trattasse soltanto di questione esterna alla concezione economica, oppure arrivano fino al punto di voler recuperare, per quel che attiene all'ideologia della razza, quelli che sarebbero i suoi aspetti positivi al giorno d'oggi. Per esempio, Günther Bartsch e Klaus Schmitt osano vendere le considerazioni del loro maestro rispetto alla razza umana come uno specialissimo "femminismo fisiocratico", E' vero che alcuni aspetti biologisti si trovano anche, occasionalmente, nell'attuale femminismo, ma non si riferisco all'idea di "selezione" biologica come avviene nel neo-geselliano Bartsch, che vorrebbe anche riesumare il seguente tema horror: "Un'eugenetica fisiocratica, fondata sulla libera scelta amorosa e sulla libera competizione, lascerebbe [...] da parte le cause della degenerazione(!) [...] Gesell voleva aprire la strada alla selezione naturale (!). Non sul piano fisico, ma come stimolo a conquiste (!) sempre migliori e maggiori, che elevano i capaci (!) e favoriscono la loro più vigorosa riproduzione (!)[...]" (Bartsch, op. cit., p. 16).
Il fatto che un ricorso così indiscutibile ad un biologismo socio-darwinista possa essere pubblicato, agli inizi degli anni '90, dalla rinomata editrice anarchica Karin Kramer, di Berlino, indica, quanto meno, che anche le correnti anarchiche sono propense a questa sorta di assurdità omicida e che, perciò, dopo il collasso del socialismo di Stato e dopo l'obsolescenza del movimento operaio marxista, l'anarchismo è diventato una presunta alternativa altrettanto poco plausibile di quanto lo erano gli altri principi di critica sociale del passato. Diventa sempre più chiaro che tutte le correnti intellettuali e politiche della storia dell'ascesa capitalista, ivi incluse anche quelle degli oppositori radicali, sono contaminate dalle ideologie biologiste, di "igiene razziale", di "selezione" razziale umana, le stesse che trovano nel nazionalsocialismo, senza dubbio, la loro espressione più brutale e cruda, ma non l'unica.
Purtroppo, questo vale anche per il marxismo e per i partiti operai. Il fatto per cui, in questi, i riferimenti siano meno numerosi di quanto lo siano in Silvio Gesell, o negli antroposofi (così come negli scritti di Kautsky, nella coscienza delle masse del vecchio movimento operaio, o nel contesto ideologico dello stalinismo), non viene considerata, da neo-geselliani del calibro di Schmitt e Bartsch, come un'opportunità per fare una critica dell'epoca. tanto radicale quanto globale, che non risparmi neppure i suoi "propri" precursori teorici, ma viene invece assunta come giustificativa, non solo per discolpare tali barbare idee della "teoria sociale" geselliana, ma anche per riprenderle spudoratamente e per propagarle alla fine del 20° secolo.
Più importante della correlazione delle idee storiche, è la domanda circa quale valore possano ancora avere nell'economia politica dell'antisemitismo le idee biologiste sulla razza umana e sulla "selezione". L'immaginazione sfrenata delle persone "che guadagnano denaro" sul mercato, riproduce nella nuova situazione di crisi queste ideologie mezzo dimenticate della prima metà del 20° secolo e tenta di riformularle al più alto livello di astrazione possibile. In un mondo più "individualizzato" di quanto lo sia mai stato prima, nella storia della modernizzazione, nel quale vivono milioni di single e dove ciascuna di queste monadi monetarie si trova esposta alla concorrenza totale e globalizzata, non nasce soltanto una mistura esplosiva tra il vecchio egoismo esacerbato ed anarchico dell'individualista (1806-1856), cui i geselliani fanno riferimento, e tutte le ideologie moderne di concorrenza e di esclusione: ma anche, niente di più logico che questo pensiero cerchi di armarsi nuovamente per mezzo di argomenti pseudo-biologisti.
L'individuo astratto, ora pienamente maturo, svincolato da ogni relazione non di mercato, si sente come l'ombelico del mondo e come un essere nucleare autoreferenziale ed autosufficiente, nella misura in cui "gli altri" appaiono come veri e propri "circostanti", inquietanti e nemici. Non c'è da stupirsi che la pretesa esagerata di questo "io" astratto influisca oltremodo nella crisi della propri struttura. Come i gatti che, al sentirsi minacciati, rizzano il pelo e gonfiano la coda, per apparire più grossi ed intimidatori, e come le persone con pretese autoritarie che "battono i pugni sul petto" ed assumono un'aria di importanza, così anche il soggetto universalmente minacciato cerca una legittimazione la più inattaccabile possibile per affermare con furia la propria volontà. E, alla fine, cosa c'è di più inattaccabile della prova della "superiorità naturale", biologica o genetica? L'allucinazione di un "superuomo" ha le sue radici in questo sentimento di base della modernità produttrice di merci, tanto quanto ce l'ha il propagandare che questi concetti, idee, programmi, ecc., corrisponderebbero ad un preteso ordine "naturale". Se simili fantasie, in passato, erano limitate ancora solo alla sfera artistica o filosofica che le prevedeva ipoteticamente, oggi si sedimentano nella coscienza delle masse. E se prima, la pretesa esagerata di concorrenza del soggetto-merce si riferiva direttamente a concetti collettivi quali la classe, la nazione o la "razza", oggi il medesimo naturalismo sociale viene filtrato dalla struttura dell'individuo isolato, già del tutto sviluppata, che si aggrappa ad un'assurda legittimazione di sé stesso in quanto ultimo barlume di speranza. Qualsiasi povero diavolo del sistema produttore di merci si gonfia, immaginando di essere un fascio di muscoli tipo Rambo, o un "superuomo", un professionista o un mammifero geneticamente superdotato rispetto ad un "subumano degenerato". La deplorevole situazione della disputa per lo scarso cibo rimasto nella mangiatoia della "occupazione" e del reddito monetario, viene stilizzata come una battaglia divina dei nobili contro i non-nobili.
Tuttavia, sulla base di questo, la sindrome ideologica si scinde ancora una volta in maniera polarizzata. In effetti, l'immagine fantasiosa degli "improduttivi" e dei "biologicamente impuri" viene anche duplicata, in quanto riflesso della propisa scissione, essendo sperimentata come opposizione polare: ora come "sub-umano", ora come "superuomo negativo" (cf. su questo, basato sulla teoria di Moishe Postone, Joachim Bruhn, "Unmensch und Übermensch, über Rassismus und Antisemitismus", in: Kritik und Krise no. 4/5. Freiburg, 1991). Tanto i pensionati dello stato sociale - concorrenti deboli - quanto i poteri del capitale speculativo - concorrenti forti - sono economicamente improduttivi sul mercato. Nel tradurre la concorrenza economica e sociale nella lingua della concorrenza pseudo-biologica, tale differenza appare di nuovo come quella fra il geneticamente "inferiore", da una parte, ed il geneticamente "superiore", dall'altra. A questa concezione corrisponde anche la differenza fra razzismo ed antisemitismo: il razzismo qualifica come "inferiori" i negri, gli europei dell'est o gli asiatici, ma anche gli arabi, gli europei mediterranei e perfino gruppi di popolazione dentro il proprio paese. L'antisemitismo, al contrario, immagina "gli ebrei" come il fantasma del potente capitale finanziario, come una "cospirazione mondiale" di occulte super-intelligenze straniere, ecc.. Il soggetto-merce, che intende sé stesso come "produttivo", nato nel paese, identico a sé stesso, "razzialmente puro" ed "ereditariamente sano", si colloca in maniera immaginaria fra queste due forme fantasmagoriche dello "altro", quella inferiore e quella superiore", entrambe ugualmente semplici proiezioni esterne delle sue proprie contraddizioni interne.
La scissione schizofrenica e la polarità fra falsa identità e proiezione, su vari piani sovrapposti, formano la base della struttura ideologica che può essere descritta come economia politica dell'antisemitismo. Il nazionalsocialismo mise in pratica, paradigmaticamente, tale concezione. Quanto a questo, non ha svolto alcun ruolo pratico il fatto che l'antisemita Gottfried Feder si ispirasse a Silvio Gesell al fine di creare una "moneta Feder", simile al principio della "riduzione monetaria" - come lamentano i neo-geselliani (cf. Gerhard Senft, Weder Kapita!ismus noch Kommunismus, Berlim, 1990, p. 196). La "moneta Feder", per così dire, non ha visto la luce del giorno in proporzioni sociali rilevanti, cosa che è avvenuta anche per l'utopia monetaria di Gesell. Effettivamente, la politica monetaria del nazionalsocialismo è incorsa nell'estremo opposto, nel creare, con l'aiuto della cosiddetta "banconota Mefo", un gigantesco programma di credito proto-keynesiano, che con ogni probabilità avrebbe potuto portare al collasso monetario ed all'iper-inflazione, anche con una vittoria militare del regime nazista. Essenzialmente, l'economia del nazionalsocialismo (a somiglianza della contemporanea pianificazione statale dell'Unione Sovietica, e del New Deal nordamericano, di Roosvelt) era gestita dallo Stato, mentre la pseudo-geselliana utopia monetaria di Feder serviva, tutt'al più, come ornamento dell'ideologia antisemita. Il marchio generale dell'epoca era l'illusione del "primato della politica", di cui si era appropriato anche il regine nazionalsocialista (cf. Christina Kruse, Die Vokswirtschaftslehre im Nationalsozialismus, Freihurg, 1988).
Ma l'utopia monetaria dell'economia volgare, anche così, poteva essere solo un pretesto ed una copertura per la follia della proiezione, la quale integra la logica della merce. Il nazionalsocialismo fece tutto il possibile per preservare una simile proiezione, agendo su entrambi i lati del suo meccanismo. Sia i gruppi definiti, in maniera razziale e socio-darwinista, come "inferiori" (slavi, omosessuali, zingari, disabili, ecc.), sia gli ebrei, definiti in maniera antisemita come negativamente "superiori", vennero inviati nei campi di sterminio: "Il soggetto pieno del valore deve affrontare gli inferiori ed i superiori" (Joahim Bruhn, op. cit., p. 19). Il filisteo in divisa nera, che si immaginava come soggetto-lavoro o come soggetto-merce geneticamente "sano", voleva eliminare le due facce dello "straniero" dentro il suo proprio essere, inviando "l'altro" alle camere a gas.
Il carattere singolare del nazionalsocialismo consiste proprio nel fatto per cui, in una situazione storica specifica, ha realizzato, per così dire, tutte le conseguenze di quest'economia politica dell'antisemitismo. Allo stesso modo in cui si aggrappano positivamente alla leggenda di Wörgl (N.d.T.: a Wörgl, nel 1932-33, nel bel mezzo della grande depressione, il sindaco di quella città mise in circolazione una moneta locale), i neo-geselliani vogliono anche aggrapparsi negativamente alla leggenda per cui il regime nazista avrebbe semplicemente "rubato" la panacea della loro utopia monetaria, senza mai cercare di realizzarla. Quest'utopia del denaro "onesto", tuttavia, è impossibile da realizzare in qualsiasi versione e, a fronte delle necessità attuali della scientificizzazione, lo è ancora di più. Quello che può essere realizzato, però - è questo venne dimostrato dai nazisti - è la logica della proiezione occulta sull'utopia monetaria borghese, che finisce con lo sterminio. Il soggetto-lavoro o il soggetto-merce non ne escono illesi, ma sono, in linea di principio e nella loro follia strutturale, capaci di Olocausto.
Nè il nazionalsocialismo né l'Olocausto si ripeteranno allo stesso modo. Ma la struttura di base del soggetto-merce esiste come prima, ed oggi si mostra con ancor maggiore chiarezza nella sua forma sviluppata. Nella grande crisi dell'attuale sistema produttore di merci - che, in comparazione alla crisi mondiale del 1929-53, si manifesta ad un grado, per così dire, più elevato, in quanto crisi finanziaria e di credito - viene inevitabilmente evocato il vecchio meccanismo della proiezione, sebbene in una forma sicuramente trasformata.
Ma è proprio a questo che si presterebbe, in una maniera del tutto speciale, il neo-gesellianesimo, servendo ai fini di una nuova corrispondente formazione ideologica. Sotto molti aspetti, la concezione geselliana sembra tagliata su misura per focalizzare nuovamente, alla fine del 20° secolo, la vecchia ideologia omicida ed esclusivista. Di fatto, tale concezione contiene tutti gli elementi essenziali dell'economia politica dell'antisemitismo, ma in altri dosaggi ed in altre costellazioni rispetto a quelle dell'ideologia nazionalsocialista. E' esattamente questo, però, che fa sì che il neo-gesellianesimo possa essere, potenzialmente, uno dei promotori di un nuovo focolaio schizofrenico nel soggetto-merce, non più in grado di sostenere la propria stupida normalità.
Proprio perché Silvio Gesell e la sua tendenza liberale in economia non sono stati, in passato, assorbiti nell'organizzazione del nazionalsocialismo, oggi i suoi seguaci ideologici possono tornare a parlare, senza preoccuparsene, di idee analoghe. E' proprio per il fatto di limitare tale ideologia alla sua manifestazione economica, cioè, alla critica economica volgare del capitale speculativo, essi sono capaci di agire come apri-strada per l'economia politica dell'antisemitismo, sotto una rinnovata forma storica. L'antisemitismo aperto non si farà aspettare, e, dopo tutto, è indifferente se il pogrom antisemita, durante la crisi monetaria, viene perpetrato dai neo-geselliani stessi oppure da bande che si legano a quella ideologia economica, senza più negare, con pudore, le conseguenze antisemite.
Al gesellianesimo toccherà anche una sorta di funzione modernizzatrice, nel revival del darwinismo sociale e delle tendenze sociobiologiche. Su questo punto, la peculiarità di Silvio Gesell consiste nel fatto che egli non adora la definizione di presunti inferiori, nel senso razzista usuale, ma gli va bene alla maniera occidentale ed universalista, cioè, in modo del tutto adeguato alla forma-merce del tutto globalizzata e sviluppata. Il delirio biologista si può nascondere anche sotto le spoglie di una propaganda dell'uguaglianza. In questo caso, non si tratta più di un razzismo particolare contro determinate concezioni di "popolo" e di gruppi umani, ma di un'idea ugualmente paranoica di una "razza superiore" dei "capaci"; inversamente, gli "inferiori" devono essere squalificati e, quando possibile, eliminati, indipendentemente dal colore della pelle o dal fatto di appartenere ad un certo "popolo", ecc.. Questa perversa "igiene razziale" geselliana è più coerente e più universalista di quella dei nazisti, nel suo adeguarsi ad un darwinismo sociale modernizzato sul piano delle relazioni universali del mercato mondiale; darwinismo questo, che rende omaggio al delirio produttivo e funzionalista più di quanto lo facciano i preconcetti specifici ad una razza o ad un popolo. L'ideologia della "sopravvivenza dei più adatti" si mostra qui nella sua forma universalista, depurata da ogni scoria del vecchio particolarismo razziale.
Se quindi il neo-gesellianesimo è in grado di modernizzare i due lati della meccanica di proiezione nel contesto di un'economia politica dell'antisemitismo, la stessa cosa vale anche per la determinazione del soggetto eventualmente incaricato di mettere in pratica una simile assurda concezione. Se l'ideologia nazista era compromessa con i meta-soggetti collettivi dello Stato e della nazione, e poteva, di conseguenza, formulare la condanna del capitale speculativo soltanto sotto il segno sello statalismo e attraverso l'affermazione di un "primato della politica", secondo i gusti dell'epoca, l'anti-statalismo individualista di Silvio Gesell, in un'epoca di neoliberismo radicale, è assai più adatto a rappresentare il soggetto-merce postmoderno nel suo delirio competitivo.
Dopo il periodo delle grandi catastrofi della prima metà del secolo - i cui presagi intellettuali erano state le idee paranoiche di salvezza, i modi di vita stravaganti e le sette di crisi - la breve estate siberiana del "miracolo economico" fordista estinguerà apparentemente, nei pochi decenni successivi alla guerra, il fantasma dell'antisemitismo e anche il ricordo della sua genesi ideologica. Tuttavia, la struttura ideologica dell'economia politica di questo antisemitismo si nasconde nella stessa forma-merce sociale e, conseguentemente, nello "inconscio collettivo", dove può risorgere con configurazioni modificate.
La breve ecopa storica della prosperità ha prodotto, in una forma per così dire vergognosamente meccanica, perfino nella critica sociale marxista, la mostruosa illusione per cui per il sistema produttore di merci il peggio era passato, e restava ora solamente da eliminare gradualmente, per mezzo del lavoro di organizzazione e sviluppo, i resti del tempo della catastrofe. Assurdamente, questa comoda concezione democratica persiste ancora oggi (in più, rafforzata dal collasso del socialismo di Stato), nonostante il fatto che la prosperità economica del mercato sia svanita da tempo. Cieca ai focolai reali della crisi, l'assurda parola d'ordine delle persone, nel quadro della pattuglia riformista habermasiana, è, ancora di più, "civilizzare il capitalismo fino a trasfigurarlo" (Helmut Dubiel). Quel che in realtà è avvenuto, è il contrario: la stessa critica radicale della società è stata da tempo trasfigurata democraticamente, anziché rinnovarsi per "superare" sé stessa.
Si deve tener conto del fatto che, a partire dal 1968, l'opposizione radicale della Nuova Sinistra, così come il successivo movimento alternativo dei verdi, hanno sperimentato la loro socializzazione politica durante l'epoca della prosperità ed hanno sempre sfruttato, tacitamente, la posizione privilegiata del mercato occidentale, soprattutto in Germania Occidentale. I loro concetti, le loro idee, soluzioni ed esigenze hanno sempre avuto, in qualche modo, come sfondo, una "economia di mercato prospera", anche quando si occupavano della teorie della crisi. Fin dall'inizio, tuttavia, non era di buon gusto, in tutte le fazioni, parlare di "teoria del crollo", che veniva considerata un tabù, seppure quest'oggetto dell'orrore esistesse in forma quasi chimerica, e non fosse mai stato sistematicamente elaborato. In questa rimozione della possibilità che il sistema produttore di merci potesse essere sottomesso ad una catastrofica ed assoluta finitezza storica, stava forse già scritto in anticipo che la Nuova Sinistra non avrebbe attraversato il Rubicone della critica radicale, allo stesso modo in cui era avvenuto con la vecchia sinistra.
La crisi, convertita in processo socio-economico ed ecologico, continuava, nonostante le reazioni. Rispetto alla svolta del secolo precedente, si trattava, alla fine del 20° secolo, di una rottura strutturale di ordine superiore: ci sono indizi che non ci troviamo più di fronte alla transizione verso una nuova ondata di sviluppo del sistema produttore di merci (come ancora spesso ci si augura con speranza), ma davanti ad un processo effettivo di collasso della coerenza mercantile fra "lavoro" e denaro, nel quale il sistema maturo distrugge irreversibilmente le sue stesse fondamenta. I "realisti" del Partito Verde, così come i resti del vecchio radicalismo di sinistra, cercano rifugio nei medesimi criteri equivocati della ragione e della rivoluzione borghese (gli uni, sulle basi dell'attuale democrazia di mercato; gli altri, per mezzo di un'infusione diluita della variante della lotta di classe del vecchio marxismo, dentro le stesse forme mercantili del pensiero illuminista); dall'altra parte, l'opposizione a questo tipo di soluzione della crisi ricade in un crescente irrazionalismo, che non è un superamento della razionalità borghese, ma soltanto il suo rovescio, come si è visto fin dall'inizio, rivelando sempre (a cominciare da Johann Georg Hamann, nel 18° secolo) gli errori della ragione mercantile e portando però, allo stesso tempo, verso modelli barbari di pensiero e di azione. Quest'alternativa erronea e funesta oggi risorge nella nuova grande crisi del sistema produttore di merci.
Gli anni '80 sono stati solamente l'era del capitalismo da casinò e del cosiddetto delirio consumista degli edonisti volgari alimentati dal commercio, ma anche un nuovo apogeo del settarismo politico, socio-economico, culturale e religioso. I suoi promotori sono stati la Nuova Sinistra e lo stesso susseguente movimento alternativo dei Verdi, e ciò sia in termini di idee che di persone. Gli stessi principi emancipatori del movimento psicoanalitico, di "politicizzazione della sfera privata", o anche della critica delle relazioni fra i sessi, negli anni '70 sono scivolati nell'irrazionalismo, dal momento che non si sono mai lasciati mediare attraverso una critica della forma-feticcio moderna. Così, alcuni intrepidi rivoluzionari mondiali degli anni '70, all'inizio degli anni '80 hanno cominciato ad andare in giro negli abiti arancioni dei discepoli di Krishna. E, sempre all'inizio degli anni '80, cominciava a fiorire negli alternativi verdi la mistica della natura ed il romanticismo dell'infuso di camomilla. Le stravaganze delle forme di vita riformista della fine del secolo hanno soltanto sperimentato un revival debolmente modernizzato.
In questo modo si è sviluppato, con una crescente nitidezza delle restrizioni sociali, una "atmosfera" che andava incontro alle ideologie irrazionali di crisi, nelle quali la crisi reale della socializzazione sotto la forma-merce veniva rielaborata in una forma fantasmagoricamente distorta. Invece di un'analisi, di una critica o di un superamento del sistema produttore di merci, emergeva il tentativo di affermarsi con mezzi irrazionali e fantastici all'interno della concorrenza stessa. Le tecniche di mediazione, le forme di comportamento, le "regole di vita", ecc., si manifestano, allora, come attributi individuali; come processo ideologico collettivo, al contrario, emerge la discriminazione che scaturisce da organismi settari, o perfino lo sterminio degli "altri". Il punto di partenza perché avvenga questo è, ancora una volta, la crescente "naturalizzazione" del sociale, nel modo in cui esso si è evidenziato, nel frattempo, come ampia corrente ideologica. La propaganda di un "ordine naturale", si nascondeva già nelle prime definizioni di un concetto astratto di natura, che negli anni '80 avevano cominciato ad ereditare il concetto sociologico delle relazioni sociali. Era sintomatico, per esempio, che l'editrice Fischer avesse dato inizio alla collana "Teoria e storia del movimento operaio" e, parallelamente, sempre dalla "alternativa Fischer", venisse lanciata una grande collana "Antroposofia", mescolata a titoli significativi quali "Guida al denaro" e "Guida alla speculazione" - una chiara reazione al cambiamento delle necessità del pubblico. La fine del marxismo del vecchio movimento operaio ed i suoi revival nella Nuova Sinistra erano di certo all'ordine del giorno, ma non producevano un superamento critico; invece, veniva riesumato un altro cadavere ideologico della storia dell'ascesa del sistema produttore di merci, quello dell'irrazionalismo e del concetto astratto di natura, mentre si rincorreva, allo stesso tempo, il "benessere del mercato". Il sociologismo riduttivo e soggettivista del paradigma battuto della "lotta di classe", coerente con la forma-merce, non veniva sostituito da un livello più elevato di riflessione, ma per mezzo di un arretramento verso il sociologismo.
La sostituzione del concetto critico di società con il concetto di natura non era molto lontano dalla naturalizzazione del sociale, dallo "ordine economico naturale". Il revival dell'antroposofia seguiva il revival di Silvio Gesell e la ramificazione di questo patrimonio ideologico nelle correnti autonome e di sinistra. In questo strano "ritorno alla sfera economica", ogni principio radicale e di emancipazione veniva estirpato; diventava chiara la smorfia socio-darwinista ed antisemita di una critica sociale perduta, distorta. La stessa Nuova Sinistra, che si era mostrata incapace di trasformare il marxismo, si convertiva nell'arco di vent'anni in un catalizzatore per la nuova economia politica dell'antisemitismo, che comincia a diventare socialmente autonoma come le vecchie "innovazioni" della sinistra e dei suoi diversi "mezzi".
Di fatto, la situazione è imbarazzante: perfino la "base economica" diretta, nel senso più comune, di questa mutazione ideologica viene costruita a partire da un processo di "piccolimborghesimento" biografico degli ex di sinistra. Non si tratta, assolutamente, di denunciare i destini di vita e le esistenze in quanto tali; la questo consiste nel sapere se e come, alla maniera di un grottesco manuale, "l'essere" economico si trasformi in una "coscienza" ideologica. Il nocciolo della questione è formato, innanzi tutto, dai quello che rimane dei progetti della vecchia logistica del movimento: librerie, case editrici, piccole tipografie, giornali locali (oltre agli altri mezzi di comunicazione), locali per le riunioni, ecc., che, per mancanza di clientela e di prospettiva di una critica sociale, sono stati costretti a diventare piccole imprese, secondo la più ristretta normalità, al fine di poter sopravvivere. Si aggiungano a tutto questo i progetti di "vita alternativa" successivi: oltre ai bar, anche panetterie, falegnamerie, officine meccanice, imprese agricole, auditorium, imprese per la terapia, ecc..
La maggior parte ha attraversato il Giordano, ma i sopravvissuti finanziari dovevano essere "professionalizzati". Molti si affidarono ai crediti bancari; in Germania ed in Svizzera, vennero perfino fondate banche alternative. Sull'onda della "professionalizzazione" di queste attività, venne adottata (cosa del tutto comprensibile) l'ideologia dello "auto-sfruttamento". Nelle condizioni date, tuttavia, si poteva facilmente sviluppare la tipica ideologia del filisteo circa il "lavoro onesto" ed il "giusto salario per una giusta giornata di lavoro", mescolata paradossalmente con ""attitudini", teorie e media postmoderni. Ma in che misura questa sindrome è compatibile con il gesellianesimo e con l'economia politica dell'antisemitismo? E a cosa ricorrono le persone, nella più grave crisi personale, quando crolla la sovrastruttura finanziaria, ugualmente personale, delle attività alternative?
Oggi, in questi circoli, si vota ancora per il Partito Socialista Tedesco (PDS), cosa che non smette di essere ambigua, in questi mix di ambienti di birreria, ideologia del lavoro, geografia patria ed odio del "cattivo" capitale, il cui aspetto non fa a meno del naso adunco. Quanto manca ancora prima di soccombere alla paranoia? E il rizoma dell'economia politica dell'antisemitismo è un terreno fertile per una sua ulteriore crescita. Una considerevole parte dello scenario culturale alternativo dipende dalle iniezioni di credito statale, ad esempio quelli per gli "spazi alternativi" comunali, e questi fondi vengono tagliati perfino da parte dei parlamentari della fazione "realista" del Partito Verde. La reazione a tutto questo non è necessariamente emancipatrice, e può degenerare nel gesellianesimo e nelle sue conseguenze socio-darwiniste.
Tale possibilità non viene esclusa neanche dagli ex di sinistra e "Jobbers" e "freeriders" autonomi dell'ambiente postmoderno (scena musicale, giornalismo, propaganda, ecc.). In questi circoli non si è mai pervenuti ad una critica dialettica né a dei principi pratici di un'emancipazione dalla forma-merce sociale; invece, l'ordinanza pseudocritica è stata quella di "nuotare seguendo la corrente" del capitalismo da casinò. I resti di un pensiero marxista, diluito e riduttivo, arricchito dei teoremi postmoderni (Foucault, ecc.) ed equipaggiato con le teorie della cultura e dei media, piuttosto che con la critica dell'economia, possono contrarre alleanze profane, sotto forma più o meno segreta, con la coscienza commerciale degli anni '80. Ma nell'ora in cui l'alternanza fra lavoro e turismo durante le ferie, o l'allegra vita postmoderna, viene improvvisamente strangolata dal conto bancario in rosso - verso dove, allora, proseguirà il viaggio?
Senza dubbio, questi ridotti mezzi sociali hanno poca importanza, sebbene le loro mutazioni ideologiche sortiscono effetti sociali. La riproduzione nell'ambito dei movimenti di sinistra, la cui dinamica è classicamente piccolo-borghese ed è ristretta a professioni liberali (ma che non esclude, anche, "lavori occasionali"), si inscrive però, nell'area sociale e nello spettro infinitamente maggiore della nuova classe media dei settori dei servizi di Stato (professori, assistenti sociali, ecc.), che, con la crisi del credito statale, soffrono di una brutale riduzione, ad esempio dei progetti alternativi; il risultato è che aumenta anche la possibilità di un ingresso nell'ambito dell'economia politica dell'antisemitismo.
Naturalmente, ad una tale mentalità piccolo-borghese, fatta di aspetti sociali, psichici ed ideologici che si annunciano terrificanti, non si oppone più il vecchio "punto di vista della classe proletaria". Salta agli occhi, con tutta la sua immanenza, che gli stessi classici settori della "ideologia operaia e contadina" (agricoltura, industria mineraria, siderurgia, industria navale), ben lungi dall'essere la base della riproduzione del sistema produttore di merci desustanzializzato, dipendono parecchio dalle iniezioni di credito statale (ossia, dal "capitale fittizio") e, di conseguenza, nel quadro di una grande crisi monetaria, potrebbero anche diventare sensibili ad un'economia politica dell'antisemitismo, forse in una sua versione che unisca keynesismo e nazionalismo statale.
Al di sopra di tutte le strutture sociali che meritano un'analisi, tuttavia, aleggia l'individualizzazione astratta come una sovrastruttura del processo di piccolimborghesimento di tutta la società - processo, questo, postmoderno, non più legato alla piccola proprietà, ma alla struttura nucleare del soggetto-merce - che procede verso il suo punto storico culminante e verso la crisi della forma-merce totalizzata. Sia l'interesse particolare nella catastrofe dei segmenti sociali isolati che l'intero processo di atomizzazione sociale, possono offrire un gancio alla variante modernizzata dell'economia politica dell'antisemitismo. Ed è bene tener conto di tutto questo. E' diventato ormai evidente che non esiste forma di occupazione sufficientemente assurda cui i soggetti-merce, messi con le spalle al muro, non si possano sfrenatamente sottomettere.
Tuttavia, non è affatto giocoforza che l'ideologia irrazionale di crisi si imponga socialmente. Così come non vi è una determinazione meccanica della coscienza, a partire dall'essere sociale, dall'istinto primitivo dell'interesse ostinato, immanente alla forma-merce, si può, a maggior ragione (ed anche in massa) rompere le frontiere storiche del sistema produttore di merce. Ma il presupposto per questo è, in primo luogo, che gli opinion leader di quello che rimane del movimento di sinistra ed alternativo - nelle imprese e nei media alternativi, negli scenari edonisti postmoderni, nei progetti culturali e nelle istituzioni sociali, ecc. - affrontino risolutamente qualsiasi manifestazione di economia politica dell'antisemitismo, che prendano coscienza del problema e rifiutino ogni tentativo di fraternizzare. In secondo luogo, e di fronte a questa minaccia, non si può più rimuovere il fatto che un nuovo discorso di critica radicale del sistema produttore di merci deve tornare all'ordine del giorno, e trasformare il marxismo obsoleto del movimento operaio e superarlo criticamente, invece di continuare a lasciarlo marcire.
- Robert Kurz - Pubblicato nel 1995, sulla Rivista Krisis n° 16/17 -
fonte: EXIT!
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