venerdì 9 ottobre 2015

Aristocrazie

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Quella che segue, è la recensione critica di Paul Mattick, scritta nel 1975, al libro di Karl Heinz Roth, "L'altro movimento operaio: storia della repressione capitalistica in Germania dal 1880 a oggi" (pubblicato in Italia, da Feltinelli, nel 1976). Si tratta di un importante punto di vista su alcune questioni ricorrenti in quegli anni nell'ambito dell'operaismo italiano, quali l'aristocrazia operaia e la designazione stessa di classe operaia, il riformismo ed il burocratismo sindacale.
L'analisi svolta da Roth nel suo libro, così come più generalmente quella della corrente detta "operaista", intende porsi dal punto di vista dei lavoratori più sfruttati ed oppressi; quel punto di vista, la cui resistenza costringerebbe il capitale a rispondere, a sua volta con la violenza, la repressione ed il progresso tecnologico. Si propongono quindi (gli "operaisti") di mettere in rilievo la condotta, presente e passata, di un soggetto rivoluzionario misconosciuto e denigrato ("l'operaio-massa") e di restituire significato radicale sia alle sue lotte selvagge, spontanee, autonome, che alla sua ostilità nei confronti di quell'ideologia del lavoro, produttivista e pro-capitalista, che anima le correnti dominanti del marxismo ufficiale. Una prospettiva, questa, che sfocia conseguentemente in una critica, altrettanto radicale, delle organizzazioni operaie tradizionali, sia riformiste che rivoluzionarie, e della separazione di cui esse si nutrono: l'economia e la politica, la coscienza e l'azione, la teoria e la pratica.

Ora, la critica svolta da Mattick alle tesi di Roth non si colloca in alcun modo nel quadro della difesa delle organizzazioni operaie tradizionali, né esprime paura o preoccupazione a fronte della spontaneità delle masse, dei movimenti autonomi, degli scioperi selvaggi. Non si schiera a favore dell'ideologia del lavoro, né per un capitalismo riformato. Ma è sul terreno stesso della critica del "vecchio movimento operaio" - alla quale ha contribuito per più di cinquant'anni - che Mattick critica la relazione, stabilita da Roth e dagli operaisti, fra coscienza riformista o gestionaria e qualificazione professionale, da una parte, e quella fra coscienza rivoluzionaria ed operaio-massa, dall'altra.

Esiste un "altro" movimento operaio?
- di Paul Mattick - (1975) -

In quanto espressione dei rapporti capitalisti di produzione, il movimento operaio è allo stesso tempo un movimento di lavoratori i quali devono sviluppare la loro coscienza di classe all'interno dei rapporti capitalisti di mercato. Nella concorrenza generale, c'è anche la concorrenza che i lavoratori si fanno fra di loro. Benché i diversi capitali costituiscano il capitale globale, il capitale non si presenta affatto sotto la forma di capitale globale, e sebbene i lavoratori forniscano a tutti i capitali la totalità del lavoro, il lavoratore totale non esiste. Ma per quanto ci sia concorrenza fra i capitali o competizione fra i lavoratori, la riproduzione della società capitalista continua ad essere quella dei rapporti capitalistici di produzione, ovvero i rapporti capitalistici di classe su cui si fondano le relazioni di mercato.
La divisione capitalista del lavoro, determinata dall'accumulazione di capitale, offre - non solo ai diversi capitali, ma anche ai diversi gruppi di lavoratori - la possibilità di far valere i loro interessi particolari all'interno dei rapporti di classe dati. Il movimento operaio è quindi un movimento basato sugli antagonismi di classe, ma allo stesso tempo rappresenta, oltre all'interesse di classe, degli interessi professionali particolari. L'interesse comune di tutti i proletari, nel quadro della società capitalista, è quello che Marx chiamava "l'economia politica - ma dal punto di vista dell'operaio", cioè a dire come lotta costante contro l'estrazione capitalista di plusvalore. L'economia politica dell'operaio, così come quella della borghesia, è inseparabile dall'esistenza del capitale. Per l'una e per l'altra, si tratta del grado di sfruttamento, non dell'esistenza di questo. E' per questo che lo sviluppo della coscienza di classe, e del movimento operaio, non può essere altro che un processo rivoluzionario che, mettendo fine al lavoro salariato, alla fine sopprime la divisione della società in classi.
Finora, questa speranza è stata delusa. I lavoratori hanno assegnato molta più importanza alla cura degli interessi diretti e particolari all'interno dei rapporti capitalistici di produzione che all'eliminazione rivoluzionaria di questi rapporti, eliminazione che viene considerata possibile solamente in un avvenire molto indefinito. Queste speranze disattese reclamano una spiegazione. Friedrich Engels, l'autore de "La situazione della classe operaia in Inghilterra", lo ha manifestato con una particolare intensità. In alcuni decenni, la classe operaia che egli ha descritto e nella quale i rivoluzionari avevano posto tutte le loro speranze, era divenuta una classe ostile a qualsiasi tipo di movimento rivoluzionario, e che si sentiva a proprio agio in seno al mondo esistente. La spiegazione data da Engels, contrariamente a quello che ci si poteva aspettare, non era l'aumento della produttività, e di conseguenza lo sfruttamento degli operai inglesi, che aveva permesso, simultaneamente, una crescita dei salari e dei profitti, ma era stata piuttosto la corruzione degli operai in seguito alla loro partecipazione entusiasta allo sfruttamento imperialista del pianeta, cui si dedicava il capitale inglese. Più tardi, Lenin riprese quest'idea per esprimere la sua propria delusione davanti all'atteggiamento degli operai. Il capitalismo imperialista aveva fatto nascere un'aristocrazia operaia divenuta inaccessibile alle idee rivoluzionarie e che era responsabile del "tradimento" della II Internazionale.
Queste spiegazioni riguardavano ancora soltanto gli operai in generale o gli strati privilegiati della classe operaia, e non le differenze che la divisione del lavoro introduceva fra i manovali, gli operai specializzati, e gli operai professionali. Benché le condizioni di vita e di lavoro dei diversi operai qualificati fossero differenti, queste differenze erano troppo limitate per far pensare che dei semplici interessi professionali potessero pregiudicare la coscienza di classe. Al contrario, si sosteneva che le lotte sindacali degli operai avrebbero contribuito a svegliare e a sviluppare quella coscienza. Il riformismo del movimento operaio non veniva riferito ad uno strato o ad un gruppo particolare di lavoratori, ma piuttosto all'illusione assai diffusa per cui l situazione della classe operaia poteva progressivamente migliorare nel quadro stesso del capitalismo, illusione incoraggiata da uno sviluppo effettivo. Solo recentemente si è cercato di comprendere le trasformazioni del movimento operaio, non più  partire dallo sviluppo globale del capital, ma a partire dalle trasformazioni tecniche nel processo di produzione, che avrebbero fatto nascere un "altro" movimento operaio, diverso da quello che si era conosciuto finora.

E' a questo "altro" movimento operaio che è consacrato il libro di K.H. Roth, e la tesi che sostiene (ed altri sostengono insieme a lui) è molto semplice: la moderna tecnica capitalista elimina gli operai qualificati per sostituirlo con forza lavoro poco formata e meno costosa, come nel lavoro alla catena di montaggio per esempio. Questi lavoratori non formati o formati rapidamente sono, grazie all'automazione del processo di produzione, generalmente intercambiabili e possono essere definiti per mezzo del concetto di "lavoratore generico" (Gesamtarbeiter) o di "operaio-massa" (Massenarbeiter). A differenza degli operai qualificati in via di estinzione, gli "operai-massa" non hanno alcuno spazio di relazione con la produzione; essi costituiscono il lavoro totalmente "alienato" e possono essere considerati come delle pure appendici della macchina, la quale determina in maniera dispotica il loro modo di vivere. Mentre l'operaio qualificato era riempito di coscienza professionale, gli "operai-massa", che nel processo di produzione occupano una posizione disumanizzata, si trovano in opposizione totale con la società capitalista. Sono questi "operai-massa" che porteranno alla rottura con il vecchio movimento operaio legato agli operai qualificati, e che creeranno, a partire dalla loro propria situazione, le forme di azione e di organizzazione adeguate.
Questa tesi si basa sulla disposizione che manifestano gli operai alla catena di montaggio, in questi ultimi anni e soprattutto in Italia, a fare sciopero, e sforzandosi, attraverso comitati autonomi di azione, di portare le lotte economiche oltre i limiti legali in cui i sindacati vorrebbero rinchiuderle. Questi comportamenti notevoli, benché localizzati, per Roth non sono solamente annunci di avvenimenti futuri; ma servono anche a prendere in esame tutti i difetti del movimento operaio fino ad oggi, attraverso il controllo esercitato dagli operai qualificati. In passato, soltanto i lavoratori poco formati o non formati, come quelli delle miniere o dei cantieri navali, avrebbero sempre condotto una lotta di classe cosciente e reale contro il capitale, mentre i lavoratori qualificati costituirebbero la base della socialdemocrazia riformista e dei sindacati disponibili al compromesso di classe.
Ovviamente, gli autori non possono contestare il fatto che i lavoratori qualificati abbiano edificato le loro associazioni lottando contro il capitale. Ma sottolineano che, grazie alla loro particolare posizione nella produzione, questa minoranza di lavoratori è arrivata a dominare il movimento operaio tutt'intero. Ecco dove risiederebbe la causa essenziale della sconfitta rivoluzionaria della classe operaia. Tutti gli avvenimenti rivoluzionari che la storia ci mostra sarebbero sempre il prodotto di questo "strato emarginato e privato di ogni diritto, che è il lavoratore generico": quando non si tratta dell'operaio alla catena di montaggio multinazionale attuale, si tratta quanto meno di quel lavoratore non qualificato, privo di qualsiasi mentalità corporativa, le cui lotte puntano sempre al di là dell'obiettivo puramente sindacale dell'aumento dei salari o del miglioramento delle condizioni di lavoro. Per i nostri autori, "i soldati rivoluzionari dell'armata rossa della Ruhr non avevano niente in comune con gli operai qualificati, fieri del loro mestiere e legati allo Stato del lavoro", allo stesso modo in cui "le truppe d'assalto dei lavoratori non qualificati" non avrebbero niente a che vedere con i tentativi limitati de "l'avanguardia dei lavoratori qualificati" per costituire dei consigli orientati esclusivamente all'autonomia della fabbrica.
Perciò, quindi, si dovrebbe parlare di "due tendenze contrapposte di lotte operaie": quelle del movimento operaio tradizionale, e quelle di una lotta che è avvenuta ed avviene ancora al di fuori dei meschini interessi del movimento operaio ufficiale e contro di esso. Di modo che la lotta condotta contro il capitale sarebbe anche contro il vecchio movimento operaio. Tanto più che la "controffensiva sindacal-padronale" contro l'operaio-massa sarebbe già cominciata con "l'attuazione deliberata di una divisione della classe". E così, "A partire dal 1970, è finito un periodo pressoché secolare della lotta operaia, con il risultato che le organizzazioni operaie tradizionali sono ora passate apertamente ed irrevocabilmente dall'altro lato della barricata".

In tutto questo non c'è niente di nuovo, sebbene potrebbe essere molto difficile capire come si può essere dall'altra parte della barricata quando non ci sono barricate. Le lotte di classe di questi ultimi anni, gli innumerevoli scioperi legali od illegali non sono stati effettuati dagli "operai-massa", ma dai lavoratori di tutte le professioni, ivi compresi i lavoratori qualificati, dagli impiegati dei settori privati o dello Stato, fino agli impiegati delle Poste ed ai poliziotti. Se questi scioperi sono rimasti nella maggior parte dei casi sotto il controllo sindacale, oppure vi sono ricaduti dopo che c'era stato un periodo in cui gli erano sfuggiti, questo non ha niente a che vedere con il lavoratore qualificato o con l'operaio alla catena, ma riguarda il semplice fatto che si tratta di lotte sindacali e non di lotte contro il sistema capitalista stesso.
"L'operaio-massa", fino ad oggi, non ha neanche lui superato il carattere sindacale delle sue azioni, e laddove esiste da molto tempo ha costituito dei sindacati industriali che non sono meno integrati nel sistema capitalista di quanto lo siano le organizzazioni operaie tradizionali. Basta pensare ai grandi sindacati industriali della produzione di massa americana, per comprendere subito che puntare sugli "operai-massa" è altrettanto illusorio che scommettere sugli operai qualificati, come è avvenuto. Ma Roth e Behrens si aspettano ancora di più: la dissoluzione e la distruzione di tutto il movimento operaio così come è stato inteso fino ad oggi, e la costituzione di "di forme di lotta del tutto nuove", grazie alle quali si imporranno gli "operai-massa" disorganizzati o quelli che si oppongono alle organizzazioni operaie.
Di queste "nuove forme di lotta", tuttavia, ci viene detto molto poco, ed il poco che ci viene detto, come ad esempio quel che concerne gli scioperi con occupazione, non si riferisce esclusivamente agli "operai-massa", ma a delle azioni portate avanti dalle più diverse categorie di lavoratori. A parte questo, si fa solo riferimento a delle forme di lotte operaie che costituiscono, nel contesto del fascismo, un rifiuto delle prestazioni richieste ed un sabotaggio discreto (assenze per malattia, assenteismo del lunedì). Questo per rafforzare l'impressione che gli operai, in ogni circostanza e senza l'intermediazione delle organizzazioni operaie ufficiali, offrono una resistenza e perfino portano avanti delle lotte più efficaci rispetto a quelle fatte sotto il controllo tradizionale dei sindacati. E' così che Roth e Behrens spingono l'assurdo fino a pretende che le lotte operaie avrebbero portato il regime nazista ad una tale crisi che ha potuto superare solamente dichiarando guerra. Essi considerano il Blitzkrieg, la guerra lampo, come uno "strumento per la strutturazione della classe operaia", nella misura in cui il reclutamento dei lavoratori stranieri ai fini del lavoro obbligatorio è stato svolto solo al fine di spezzare la volontà rivoluzionaria degli operai tedeschi. Facendo in tal modo violenza ai fatti, travestendoli contro ogni logica fino a renderli irriconoscibili, per costringerli a sostenere una tesi preconcetta. Non c'è praticamente alcuna prova fra quelle portate che non si riveli un'interpretazione falsificata dei fatti citati. E quando le loro prove sono prese da altre fonti, si riferiscono alle false informazioni che venivano diffuse a Parigi, a Praga o a Basilea, dalla burocrazia ufficiale del movimento operaio liquidato, per i fini della loro propaganda.

Se il libro in sé non è altro che un guazzabuglio insopportabile, esso indica un problema che per la classe operaia riveste una considerevole importanza. Che il movimento operaio tradizionale non sia divenuto un movimento rivoluzionario, ciascuno se n'è potuto rendere conto a partire dal 1914. Ma se continua in una forma sempre più reazionaria, questo non si spiega attraverso il dominio che i lavoratori qualificati avrebbero esercitato su di esso, ma attraverso lo sviluppo ed il potere inatteso del capitale. Nell'incapacità a fare la rivoluzione, in cui si sono ritrovati, i lavoratori si installarono come potevano nel quadro del capitalismo. In rapporto a quest'obiettivo, il movimento operaio tradizionale è stato uno strumento appropriato, e tale è rimasto anche quando le organizzazioni sono sfuggite al controllo dei lavoratori e sono cadute nelle mani dei burocrati autoritari. Quindi, non sono stati i lavoratori stessi ma i loro "rappresentanti" nei sindacati e nei parlamenti e perfino nei partiti "rivoluzionari", che hanno determinato la teoria e la pratica del movimento operaio, e di conseguenza il comportamento della classe operaia. Dal momento che questo tipo di movimento operaio non può esistere altro che sul terreno dei rapporti di produzione capitalista, esso si trasforma inevitabilmente in un sostegno della società capitalista. La sua stessa esistenza si trova legata al capitale, nonostante il fatto che debba difendere gli interessi dei suoi membri nel quadro del mercato capitalista per poter sussistere in quanto movimento operaio.
Allorché l'esistenza del capitale viene messa in discussione, vale a dire nei periodi di crisi o nelle situazioni rivoluzionarie, le organizzazioni operaie integrate al capitalismo si mettono dalla parte del capitale, non fosse altro che per delle ragioni di autoconservazione. In una società socialista, non c'è posto né per dei partiti né per dei sindacati. In altri termini, ogni lotta rivoluzionaria che si dà per fine il socialismo, si dirige inevitabilmente anche contro le vecchie organizzazioni operaie. La posta in gioco di questa lotta è l'abolizione simumltanea dei rapporti di produzione e dei rapporti di mercato, cosa che include anche la soppressione delle differenze che la divisione capitalista del lavoro introduce nella classe operaia.
Tuttavia, una tale lotta non è all'ordine del giorno. Nell'attuale situazione di crisi, come in tutte quelle precedenti, il compito delle organizzazioni operaie ufficiali rimane quello di aiutare il capitale ad uscire dalla crisi, cosa che non può che essere fatta a spese dei lavoratori: oggi, è pertanto dannoso per gli interessi immediati dei lavoratori, il fatto che queste organizzazioni li rappresentino. In queste condizioni, è più che probabile che i lavoratori facciano ricorso a delle forme d'azione incompatibili con gli abituali metodi sindacali, e che scavalchino le proprie organizzazioni per far valere i loro interessi tramite organizzazioni più adeguate. E dal momento che gli "operai-massa", cui si riferiscono Roth e Behrens, sono il gruppo di lavoratori più sfruttati, si può anche prevedere che si troveranno in prima linea nei prossimi scontri di classe.
E' quindi un errore supporre che la lotta di classe verrà svolta nell'immediato avvenire sotto le insegne del "operaio-massa". La tendenza è quella opposta. La produttività del lavoro ha raggiunto un punto tale che i lavoratori effettivamente attivi nella produzione costituiscono una minoranza rispetto all'insieme della classe operaia, mentre i lavoratori impiegati nella circolazione o altrove diventano la maggioranza. Ma i lavoratori che si trovano all'esterno della produzione diretta non fanno meno parte della classe operaia. La pauperizzazione legata alla crisi colpisce tutti i lavoratori e li costringe a difendersi. La divisione in classi è determinata dai rapporti di produzione, non dalle trasformazioni tecniche, né dalla divisione del lavoro che queste comportano.
Non è al "operaio-massa", ma alla classe operaia, che appartiene il futuro, se ce ne deve essere uno.

- Paul Mattick -

fonte: La Bataille Socialiste

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