lunedì 27 aprile 2015

La realtà irreale

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L'economia politica della simulazione
- La realtà dell'apparenza e l'apparenza della realtà alla fine della modernità -
di Robert Kurz

In che misura la realtà è reale? Questa la domanda posta dal costruttivismo (Paul Watzlawick) alla coscienza sociale. Da tempo, nell'ambito della finzione scientifica, è diventato popolare il dubbio circa la realtà dell'esistenza soggettiva, ad esempio nei romanzi del nordamericano Philip K. Dick e del polacco Stanislaw Lem. Forse giacciamo in una stanza, clinicamente morti, e il nostro cervello viene manipolato per mezzo di stimoli elettronici che simulano la vita e l'esperienza? Oppure siamo sotto l'effetto di droghe che ci fanno vedere un mondo riempito di vita, quando in realtà ci troviamo rannicchiati in un fetido angolo? L'inquietante sensazione per cui la realtà potrebbe venire interrotta in qualsiasi momento, come se qualcuno staccasse la spina, è penetrata apertamente perfino nella coscienza di tutti i giorni.
La rivoluzione microelettronica ed i nuovi media hanno rafforzato una tendenza sociale che rimuove il confine fra esistenza e apparenza, fra realtà e simulazione. Qualè il significato e qual è il significante? E' ancora possibile tracciare questa differenza? Forse la guerra del Golfo, come suppongono alcuni teorici dei media, è avvenuta solamente sugli schermi televisivi. C'è chi considera la possibilità di far giocare le partite di calcio in degli stadi vuoti, trasformandole così in puri eventi televisivi. La stessa politica si è da tempo trasformata in un teatro della simulazione. Pornostar, idoli sportivi e attori del cinema condividono i seggi parlamentari con famosi criminali. Nelle democrazie, non  è più la propaganda della competenza a determinare i risultati delle elezioni, ma il personality show di maschere sorridenti.
La perfetta evasione dalla realtà concreta alla ricerca di un rifugio nella "realtà virtuale", sembra emergere all'orizzonte del tecnicamente possibile. Di fatto, esistono persone che quasi scompaiono dietro i loro computer. I media crescono non solo quantitativamente, ma assumono anche qualitativamente il potere sulla coscienza umana. Quanto meno gli uomini comunicano fra di loro, tanto più è lo spazio che viene occupato dagli schermi televisivi. Dal cinema tridimensionale alle fantasie cybersex che promettono la macchina definitiva per l'auto-soddisfazione. La finitezza del mondo concreto, che impone dei limiti alla crescita senza ostacoli dell'economia e del consumo, dev'essere superata per mezzo degli spazi virtuali. Parallelamente a questo, l'anima viene poco a poco trasmessa alla macchina. Ascensori assassini ed insurrezioni di robot, sono le fantasmagorie che popolano la letteratura fantastica. L'uomo fa di sé stesso qualcosa di superfluo e così diventa nient'altro che un prodotto simulato dai media.
Negli anni 1980, la coscienza simulatrice si è diffusa in ambito professionale ed ha raggiunto la struttura della società. Gli yuppies, essi stessi un prodotto dei media, cominciarono a simulare i criteri capitalistici di efficienza e successo, anziché compierli effettivamente. Quanto maggiori gli investimenti in tecnologia avanzata e quanto maggiore la razionalizzazione della produzione e dei servizi, tanto minore il rendimento del sistema. Come se il pasticcio del socialismo avesse contaminato il capitalismo. Tutti fingono professionalità, producono porcherie e di solito dicono: "Chiediamo la vostra comprensione". Non essere più capaci di concentrarsi su niente è quasi una cosa chic: "Sono tutti artisti" (Joseph Beuys); pittori incapaci di dipingere, cantanti incapaci di cantare e scrittori incapaci di scrivere. "Ciascuno ha i suoi cinque minuti di fama" (Andy Warhol). Il rispetto per la propria individualità si riduce all'abbigliamento. Giovani di ambo i sessi, immersi nella simulazione, considerano sé stessi come dei manichini ambulanti: sei quello che indossi.
Non è stata solo la rivoluzione tecnologica dei nuovi media ad aver portato, alla fine del XX secolo, ad una deplorevole cultura di "falsa autenticità" o di "autentica falsità". In una società in cui l'economia è alla base di tutto, la coscienza simulatrice deve avere anche un fondamento economico. Ma in cosa consiste la "economia politica della simulazione"? Per rispondere a questa domanda, dobbiamo conoscere esattamente che cosa nell'economia capitalista non più in grado di figurare come "reale", e per tale motivo dev'essere simulato. Il problema appare risiedere nella relazione fra il lavoro, cioè, lavoro pagato per la produzione di merci, e il denaro. "Lavoro", in questo senso, significa il consumo di energia umana astratta. Il processo economico moderno può essere definito come l'inesauribile trasformazione di questo lavoro in denaro: l'energia umana che si manifesta nella società costituisce la sostanza del denaro. Tutto il denaro che rispecchia un lavoro precedente è denaro senza sostanza, e per questo simulato.
Karl Marx viene considerato oggigiorno come il grande sconfitto della teoria della storia. Ma, al di là dei vecchi conflitti ed interpretazioni, la sua teoria sul capitalismo ha ancora molto da dire. Il terzo volume de "Il Capitale" è sorprendentemente moderno, in quanto in esso incontriamo i fondamenti teorici dell'attuale "economia politica della simulazione". In tale contesto, il concetto di base è quello del capitale fittizio. Marx distingue due forme, o due pilastri, di questo capitale fittizio: il debito governativo e la speculazione. In entrambi i casi, non vi è alcuna trasformazione reale del lavoro produttivo in denaro, bensì viene simulato l'accrescimento del denaro.
Il debito de governo è un paradosso economico. Di fatto, nel sistema dell'economia di mercato, il debito serve solamente a finanziare la produzione ai fini del mercato. Le spese di Stato non rappresentano, però, alcuna produzione, ma soltanto il consumo sociale. Perciò, l'unica fonte delle finanze governative, davvero sensata e coerente con il sistema, è la tassazione dei guadagni e dei salari: lo Stato ritira l'eccedente monetario delle entrate del mercato al fine di poter finanziare il consumo sociale. Quando, a sua volta, lo Stato finanza sé stesso, per mezzo dei crediti, si vede costretto al pagamento di interessi. Normalmente, però, lo Stato non svolge alcuna attività produttiva per il mercato e, perciò, è del tutto incapace di ottenere fondi per il pagamento degli interessi. Il paradosso risiede nel fatto per cui, sotto la forma di debito governativo, un'attività economica viene trattata, in maniera simulata, come produzione, sebbene in realtà si tratti di consumo sociale. Lo Stato riesce a risolvere soltanto in modo insoddisfacente una simile contraddizione logica, impegnando i suoi ricavi futuri provenienti dalle imposte. Detto in altre parole, la società capitalizza il lavoro futuro. Il consumo sociale del presente, imprescindibile per il sistema, avviene a spese del futuro; lo Stato moderno diventa un vampiro che succhia il suo proprio futuro. Perché, allora, gli Stati approverebbero questo finanziamento sempre più insensato?
La ragione perché questo avviene, non risiede né nelle "rivendicazioni sociali esagerate", né nelle "false idee socialiste", come affermano gli ideologhi del neoliberismo, ma si trova nello sviluppo stesso del capitalismo che ha portato alla crescita improduttiva, in termini capitalistici, del consumo statale. Quanto più il sistema di mercato si è imposto storicamente e quanto più la concorrenza ha forzato l'impiego della scienza e della tecnologia, tanto maggiori sono stati i "costi operazionali" improduttivi dell'economia di mercato, evidenziati nella forma del consumo statale. Fra questi, i costi militari occupano un posto di rilievo. Già, nella prima guerra mondiale, la macchina industrializzata di morte ha potuto essere finanziata solamente per mezzo di ingenti investimenti statali. Una tale crescita dei costi per il consumo sociale improduttivo, continua fino ad oggi, e include i compiti civili dello Stato. Se questi oggi volesse finanziarie per mezzo delle imposte tutti i costi che si sono resi necessari per la sua attività, rovinerebbe fatalmente l'economia di mercato e distruggerebbe in tal modo la sua propria base. Ironicamente, si può dire che i "costi operazionali" della società, in un'economia di mercato, diventano talmente alti che essa, secondo i suoi propri criteri, non è più redditizia storicamente.
Per coprire una tale situazione, il sistema capitalista deve ricorrere alla simulazione monetaria e, per mezzo del crescente capitale fittizio del credito governativo, dissanguare il suo immaginario futuro capitalistico. Un simile procedimento di simulazione appare praticabile in quanto l'economia di mercato ha dato prova di essere affidabile ed ha assicurato la sua crescita per mezzo di un vero e proprio consumo di energia umana sotto forma di lavoro. Fino al secondo terzo del XX secolo, il debito statale è cresciuto di pari passo con il lavoro produttivo nelle industrie, cosa che ha consentito allo Stato di raccogliere più imposte reali e pagare così i suoi debiti sempre maggiori. Le nuove industrie "fordiste", così denominate in omaggio all'imprenditore nordamericano Henry Ford, con la loro produzione in massa di automobili, di elettrodomestici, di oggetti elettronici, ecc, resero possibile, soltanto nella Germania del dopoguerra, la creazione di 10 milioni di nuovi posti di lavoro.
Ma l'incanto di questo "miracolo economico" venne rotto dalla rivoluzione microelettronica della fine degli anni 1970. La stessa tecnologia che ha prodotto su grande scala i nuovi media, ha sostituito il lavoro umano con i robot e con la razionalizzazione (produzione snella). E' chiaro che con questo, il lavoro produttivo, nel senso capitalista del termine, non è sparito del tutto, ma la crescita successiva di denaro ha smesso di corrispondere in maniera sufficiente alla crescita del lavoro. Dopo lo Stato, pertanto, anche la stessa economia di mercato è entrata in una fase di simulazione. Accanto al capitale fittizio del credito governativo, è sorto il capitale fittizio della speculazione commerciale. Una volta che l'espansione del lavoro produttivo ha smesso di essere redditizia, o è diventata troppo onerosa, i profitti hanno iniziato a fluire sempre più per mezzo della speculazione con azioni, immobili, cambio di valute, contratti a termine, ecc..
L'essenza dell'economia speculativa è di ottenere un aumento fittizio del valore senza che vi sia un supporto in alcun lavoro produttivo, affidandosi soltanto alla negoziazione di titoli di proprietà. Nel caso delle azioni, questo significa che lo stesso rendimento, per mezzo dei dividendi, ha acquisito un valore accessorio; l'aumento degli indici di Borsa è diventata la cosa più importante, a scapito di qualsiasi crescita dei profitti ottenuti sul mercato reale. Il decennio del 1980 ha visto nascere in tal modo un capitalismo da casinò di dimensioni globali, che dura fino ad oggi. E' ovvio che anche negli anni passati ci sono state fasi dominate dalla speculazione, ma queste non solo terminavano regolarmente con un crollo finanziario, dopo un breve periodo di tempo, ma sono anche sempre state seguite da un nuovo impulso nell'espansione del lavoro produttivo. AL giorno d'oggi, invece, avviene esattamente l'opposto. L'era del capitalismo da casinò si estende in maniera così poco naturale perché, grazie alla razionalizzazione, il lavoro economicamente produttivo continua a sciogliersi come neve al sole.
Il nuovo luogo comune economico definito come "jobless growth (crescita senza occupazione)", significa che la crescita del denaro è diventata senza sostanza ed è soltanto ed unicamente simulata per mezzo del debito, ed in maniera speculativa. Non solo lo Stato, ma anche il mercato, si trova ora costretto a dissanguare il suo futuro immaginario, e ad impegnare i suoi immaginari profitti futuri. L'economia e l'imprenditoria privata hanno la stessa quota di colpa che ha l'amministrazione statale. Soltanto negli Stati Uniti, il debito dello Stato arriva a 6.500 trilioni di dollari, sotto forma di prestiti statali e di titoli di Stato; i debiti privati, a loro volta, raggiungono i 10 trilioni di dollari, sotto forme di ipoteche, mutui, interessi sui prestiti, credito al consumo, ecc.. I costi di questi debiti assurdi non sono supportati dal lavoro produttivo, ma in gran parte dall'incremento speculativo delle attività finanziarie. Le grandi imprese ricevono profitti monumentali non più per il loro successo sul mercato reale, ma per le ingegnose manovre dei loro settori finanziari sul mercato speculativo del capitale fittizio.
I cosiddetti derivati finanziari, originariamente uno strumento di protezione contro il rischio nei negoziati con gli altri paesi, hanno subito paradossalmente una drastica trasformazione su un mercato speculativo che oggi ha raggiunto, in ambito globale, l'approssimativo volume di 50 trilioni di dollari. Il capitalismo simula sé stesso. Il capitale fittizio del debito governativo ed il capitale fittizio della speculazione commerciale sono inestricabilmente legati, i debiti di un settore vengono "pagati" facendo debiti in un altro settore, e la crescita simulata alimenta la simulazione stessa. L'indice Dow Jones, il termometro della Borsa di New York, che attualmente arriva a 4.700 punti, in una valutazione realistica non arriverebbe neanche a 1.000 punti.
In un bilancio reale, senza valori fittizi, tutti i paese del mondo sarebbero testimoni di un collasso delle loro imprese più importanti. Partiti politici, provincie, amministrazioni comunali ed istituzioni culturali usano il loro denaro sul mercato finanziario, cosa che li rende dipendenti dalla creazione simulata di moneta. Il crollo di quest'edificio globale appare inevitabile. La svalorizzazione della moneta senza sostanza può avvenire sia attraverso l'inflazione che la deflazione; in futuro, è possibile che l'inflazione e la deflazione corrano perfino parallelamente in diversi settori: Numerosi indizi ci rivelano l'immanenza dello shock di una svalorizzazione mondiale. Diversi paesi del Terzo Mondo e dell'Est europeo attraversano già cicli di iperinflazione, le cui percentuali variano fra 100 (Turchia) ed 1 milione (ex-Jugoslavia). Questo non era mai successo in tempo di pace. In Occidente, si moltiplicano i fallimenti di imprese industriali ed immobiliari. Un numero sempre più alto di banche, casse di risparmio e compagnie di assicurazione falliscono, come il Banco Baring di Londra, portato alla rovina da un broker ventinovenne. La crisi del sistema monetario mondiale indica anche che la creazione di denaro senza sostanza ha raggiunto il suo limite.
Una cosa è certa: i moderni uomini del denaro, di tutte le classi sociali, non vogliono ammettere che, alla lunga, un'economia totalmente del denaro è un'impossibilità logica e pratica. Nonostante questo, la strana "cultura della simulazione" ci permette di supporre che la realtà capitalista è divenuta irreale. Forse l'indizio più evidente della fine di questa realtà dell'apparenza sta nel fatto che certi uomini non la prendono più sul serio e non sanno nemmeno se esista ancora realmente.

- Robert Kurz - ( Pubblicato su "Folha de São Paulo" del 03.09.1995 col titolo "A realidade irreal " ) -

fonte: EXIT!

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