La lotta per la verità 4/7 (Note sul comandamento postmoderno al relativismo nella teoria critica della società) - Un frammento di Robert Kurz -
Premessa: Il presente testo costituisce un frammento scritto da Robert Kurz. Viene pubblicato senza nessuna sistemazione editoriale. Ci sono quindi delle annotazioni fra parentesi e degli spazi in bianco fra i paragrafi lasciati dall'autore e che erano destinati ad accogliere delle spiegazioni che Robert Kurz non ha potuto elaborare. E' un frammento postumo, rivolto contro il comandamento postmoderno al relativismo nella teoria critica della società. Questo comandamento viene identificato come risultato di un'incertezza transitoria, alla fine dell'epoca borghese, in cui anche il campo della critica del capitalismo, legittimato dalle idee di Marx, si presenta spesso come una sorta di labirinto, per quelli che ne sono fuori. La risposta postmoderna a questa situazione, consiste ora nel vivere la "perdita di tutte le certezze", non come probabile problematica, ma elevandola a dogma, a nuova garanzia di salvezza, la cui promessa di felicità consiste nel non dover compromettersi con niente e nel lasciare tutto aperto. Qualsiasi posizione determinata, che non riconosce da subito anche il suo contrario, viene aspramente criticata da questo dogma. Ma una simile imprecisione ed ambiguità non possono essere mantenute per un tempo illimitato poiché la gravità stessa della situazione di crisi obbliga ad una definizione. Il pensiero postmoderno, nel rifiutare una nuova chiarezza, o una definizione di contenuto, e pretendendo di vedere proprio in questo rifiuto il nuovo in generale, può fare appello soltanto al potenziale di barbarie in esso addormentato, preso in contropiede dalla sua stessa decisione priva di fondamenti. (Riassunto apparso sul n° 12 di Exit!)
Conflitti intorno alla verità * Dalla teorizzazione della politica alla politicizzazione della teoria * ( Dalla politicizzazione del privato alla privatizzazione del politico ) * All'ordine del giorno c'è la tattica, la strategia, il mimetismo, il camuffamento * Il dogma "anti-dogmatico" della postmodernità * Stringere la vite * Il posto nella storia come campo di battaglia delle idee * Svolta linguistica * Totalitarismo del linguaggio e cosa in sé * (Anti-essenzialismo ) * ( L'atteggiamento esistenziale ) * ( Soggettivismo strutturale ) * ( La mancanza di basi della narrativa, costruzione/decostruzione e discorso ) * ( Critica dell'oggettività negativa o positivismo del discorso? ) * ( Relativismo storico e post-storia ) * ( Fare chiarezza sull'avversario e chiarire sé stessi ) * (Negare l'oggettività della verità ) * ( Dal positivismo dei fatti al positivismo della narrativa, della costruzione e del discorso ) * ( Storia della formazione e storia interna ) * ( Relativismo strutturale, senza concetto della totalità ) * La storia come campo di battaglia delle idee, le idee come armi della storia * - I titoli fra parentesi sono quelli dei capitoli che Kurz non è arrivato a poter elaborare -
Stringere la vite Lo scrittore moscovita di romanzi polizieschi, Boris Akunin, forse si avvicina alla descrizione della situazione postmoderna, quando spiega il significato della parola neo-russa nedowintschennost: "Uno stato simile a quello di un bullone non stretto fino in fondo; da utilizzare nel senso di: incompleto, immaturo, indeciso, instabile, non equilibrato; in un certo qual modo, nedowintschennost è quello che si dice di una persona che non ha personalità..." (B. Akunin - Inconorazione, 2001). Nella sua incrollabile chiaroveggenza, l'indulgente postmoderno è chiaramente nedowintschennost.
Se mettiamo questo stato mentale in relazione con la condizionalità del problema della verità e con la situazione storica data, di un tempo di transizione, diventa chiaro in cosa consista il senso e la finalità del dogma dell'incertezza. Il gioco, come si è accennato nella forma banalizzante della dizione postmoderna, se possibile non dev'essere mai deciso. Tutto deve rimanere così com'è, ossia, in uno stato di incertezza, non dev'essere fissato. Si vorrebbe far scomparire, oltre ciò che è vecchio, la modernità del patriarcato produttore di merci e simultaneamente impedire che qualcosa di nuovo possa avere una chance. Non dev'essere certo nemmeno che esista il capitalismo. Anche per quel che riguarda l'oggetto della critica radicale, il comportamento è di fare in modo di evitare il conflitto. Il postmodernismo è un imballaggio ingannevole e simultaneamente è un pacchetto di salvataggio per quello che sostiene di essersi lasciato alle spalle. La sua ideologia di indeterminazione difende le determinazioni vigenti nella loro ultima linea di difesa, e l'effetto è quello per cui vengono mandati a combattere i soldati infantili di una polizia queer.
Da qui, il vuoto di contenuto del concetto stesso di "postmodernità". Così come la divisione abituale della storia in Antichità, Medioevo ed Età Moderna (cui, per amor di comprensione, nessuno può sottrarsi) è puramente formale e del tutto arbitraria, poiché anche l'Antichità e il Medioevo avevano la loro propria Antichità ed il loro proprio Medioevo, e sono stati essi stessi la loro propria Modernità, anche la nuova indeterminazione ora possiede un auto-intendimento puramente formale, rispetto ad un prima concettualmente addizionale ed ancora superfluo. E' come se designassimo la Preistoria come "post-animale", l'Antichità come "post-preistorica", il Medioevo come "post-antico" e la Modernità come "post-medievale". Diventa perciò chiaro che la postmodernità non costituisce niente di proprio e non è altro che un fantasma storico della modernità, del suo status di morto-vivo, o del suo spirito tornato dall'altro mondo; in ogni caso non costituisce alcuna formazione storica autonoma né una qualche continuazione di uno sviluppo, ma solo una sorta di processo di decomposizione nel corpo vivo della vecchia modernità, in quanto il capitalismo non riesce nemmeno a morire con dignità. Esso morirà soltanto quando verrà piantato il paletto nel cuore della postmodernità. In questo modo si spiega forse anche la moderata simpatia per la graziosa giovane vampira, con la cui situazione l'incosciente postmoderno si identifica, poiché amerebbe non abbandonare la propria esistenza intermedia, in quanto cadavere immortale. Ovviamente neppure lo status di eterno non-morto dev'essere certo, come vuole la pubblicità della Cassa di Risparmio, perché sennò a cosa servirebbe la riforma delle pensioni che ha appena incassato?
Ma la vite non può continuare a rimanere eternamente allentata, l'indeterminazione e la mancanza di chiarezza non possono essere mantenute per un tempo illimitato. E' la gravità stessa delle relazioni di crisi che obbliga ad una determinazione. In un modo o nell'altro la transizione deve arrivare al suo termine. Il bullone verrà inesorabilmente stretto oppure, per usare un'altra immagine, la pallina della roulette cadrà nel buco di una determinazione di contenuto. E sarà il peggio che si possa immaginare, proprio perché il pensiero postmoderno rifiuta una nuova chiarezza o un'evidenza di contenuto e pretende di vedere il nuovo in generale proprio in questo guasto. Così si appella solamente al potenziale di barbarie che si trova in esso addormentato, e viene colto di sorpresa dalla sua stessa decisione priva di fondamento. Con una tale conoscenza delle conseguenze dell'incertezza dogmatica, tuttavia non abbiamo guadagnato molto. Rimane ancora più che mai la questione dei criteri per una verità effettivamente nuova e differentemente storica, per poterla far finita con il capitalismo insieme al suo flessibile zombie postmoderno.
Se mettiamo questo stato mentale in relazione con la condizionalità del problema della verità e con la situazione storica data, di un tempo di transizione, diventa chiaro in cosa consista il senso e la finalità del dogma dell'incertezza. Il gioco, come si è accennato nella forma banalizzante della dizione postmoderna, se possibile non dev'essere mai deciso. Tutto deve rimanere così com'è, ossia, in uno stato di incertezza, non dev'essere fissato. Si vorrebbe far scomparire, oltre ciò che è vecchio, la modernità del patriarcato produttore di merci e simultaneamente impedire che qualcosa di nuovo possa avere una chance. Non dev'essere certo nemmeno che esista il capitalismo. Anche per quel che riguarda l'oggetto della critica radicale, il comportamento è di fare in modo di evitare il conflitto. Il postmodernismo è un imballaggio ingannevole e simultaneamente è un pacchetto di salvataggio per quello che sostiene di essersi lasciato alle spalle. La sua ideologia di indeterminazione difende le determinazioni vigenti nella loro ultima linea di difesa, e l'effetto è quello per cui vengono mandati a combattere i soldati infantili di una polizia queer.
Da qui, il vuoto di contenuto del concetto stesso di "postmodernità". Così come la divisione abituale della storia in Antichità, Medioevo ed Età Moderna (cui, per amor di comprensione, nessuno può sottrarsi) è puramente formale e del tutto arbitraria, poiché anche l'Antichità e il Medioevo avevano la loro propria Antichità ed il loro proprio Medioevo, e sono stati essi stessi la loro propria Modernità, anche la nuova indeterminazione ora possiede un auto-intendimento puramente formale, rispetto ad un prima concettualmente addizionale ed ancora superfluo. E' come se designassimo la Preistoria come "post-animale", l'Antichità come "post-preistorica", il Medioevo come "post-antico" e la Modernità come "post-medievale". Diventa perciò chiaro che la postmodernità non costituisce niente di proprio e non è altro che un fantasma storico della modernità, del suo status di morto-vivo, o del suo spirito tornato dall'altro mondo; in ogni caso non costituisce alcuna formazione storica autonoma né una qualche continuazione di uno sviluppo, ma solo una sorta di processo di decomposizione nel corpo vivo della vecchia modernità, in quanto il capitalismo non riesce nemmeno a morire con dignità. Esso morirà soltanto quando verrà piantato il paletto nel cuore della postmodernità. In questo modo si spiega forse anche la moderata simpatia per la graziosa giovane vampira, con la cui situazione l'incosciente postmoderno si identifica, poiché amerebbe non abbandonare la propria esistenza intermedia, in quanto cadavere immortale. Ovviamente neppure lo status di eterno non-morto dev'essere certo, come vuole la pubblicità della Cassa di Risparmio, perché sennò a cosa servirebbe la riforma delle pensioni che ha appena incassato?
Ma la vite non può continuare a rimanere eternamente allentata, l'indeterminazione e la mancanza di chiarezza non possono essere mantenute per un tempo illimitato. E' la gravità stessa delle relazioni di crisi che obbliga ad una determinazione. In un modo o nell'altro la transizione deve arrivare al suo termine. Il bullone verrà inesorabilmente stretto oppure, per usare un'altra immagine, la pallina della roulette cadrà nel buco di una determinazione di contenuto. E sarà il peggio che si possa immaginare, proprio perché il pensiero postmoderno rifiuta una nuova chiarezza o un'evidenza di contenuto e pretende di vedere il nuovo in generale proprio in questo guasto. Così si appella solamente al potenziale di barbarie che si trova in esso addormentato, e viene colto di sorpresa dalla sua stessa decisione priva di fondamento. Con una tale conoscenza delle conseguenze dell'incertezza dogmatica, tuttavia non abbiamo guadagnato molto. Rimane ancora più che mai la questione dei criteri per una verità effettivamente nuova e differentemente storica, per poterla far finita con il capitalismo insieme al suo flessibile zombie postmoderno.
Il posto nella storia come campo di battaglia delle idee La relazione fra critica ed affermazione, fra il nuovo ed il vecchio, è sempre esistita, ed ha pertanto una sua storia. A partire da essa si può apprendere che la verità (o quello che viene considerato come tale) si modifica in successione. Per l'appunto, dice lo zombie indulgente postmoderno, e perciò essa è anche assolutamente relativa e tutti hanno sempre solamente la rispettiva parte di verità; quindi, qualsiasi acutizzazione è perfettamente inutile. Ad una diversa conclusione arriva il medievalista Kurt Flasch, nel suo libro "Kampfplätze der Philosophy. Große Controversen von Augustin bis Voltaire (Campi di battaglia della filosofia. Le grandi controversie di Agostino e Voltaire)" (2008). Per lui, la questione è, in primo luogo, la necessità di rendere chiaro il carattere fondamentalmente conflittuale di tutta la precedente storia delle idee, e mantenerlo tale contro ogni tentativo di eliminazione: "Molte persone, compresi anche alcuni filosofi, considerano la filosofia come sapienza calma, al di sopra delle fazioni. La filosofia, dicono, sarebbero i grandi temi immutabili: la verità e la buona vita, Dio e l'Uomo, il particolare ed il generale. Questo libro invita ad un approccio differente: mostra la filosofia come una serie di conflitti. Parte da dispute ben documentate, non da concetti o da sistemi. La filosofia come polemica - questo suona sgradevole, ma è più vicino alla realtà storica di quanto lo sia l'aspettativa di un profondo senso di armonizzazione."
Il discorso sulla "buona vita" (riferito ovviamente ad una vera vita da estorcere in qualche modo a quella falsa), a proposito di un modo diverso di affrontare le eterne questioni fondamentali, che può essere svolto in spiaggia o sulla veranda del bar, partendo da lì per assemblare un'appropriata versione diversificata o un menu ad uso personale: questo banalizzare e rimescolare le idee controverse della storia e del presente, per esercizi di organizzazione del tempo libero o per il successo individuale nella vita, è di fatto specifico della mentalità postmoderna. E seppure le teorie postmoderne non vorrebbero accordarsi ad una simile mentalità, l'alimentano. Qui non si vuole negare il contenuto contraddittorio, solo che questo, nel suo relativismo assoluto, ormai non deve più svolgere alcun ruolo o, per meglio dire, esso deve solo "recitare una parte" come avviene nel teatro o al ballo di Carnevale, ossia, essere per l'appunto parte di un "gioco" che si accetta per poi andare al bar. Così, tutta la storia delle idee emerge come una sorta di locale riservato ad una festa post-storica di travestimento, dove si possono prendere a nolo tutti gli abiti e costumi immaginabili e combinarli con umorismo fra di loro. Qui le regole esigono che ciascuno debba "riconoscere" o disfarsi dell'altro e si deve solo immaginare quello che pretende di rappresentare.
Flasch, al contrario, cerca di dimostrare che il conflitto teorico non è niente affatto un gioco, ma è sempre e soltanto una dura lotta per la verità, nella quale non si tratta di qualche sforzo di poco conto, ma dell'esistenza storica: "Vi mostro situazioni di lotta. Mi oppongo alla precedente prassi di ricerca e di esposizione focalizzata sulla 'sintesi'. Il suo modo di trattare le immagini aveva un metodo, ma era astorico". Il "carattere processuale e conflittuale della storia" produce "lotta per la verità", "dispute di alto livello. Ed esse hanno sintetizzato le tensioni sotterranee che esistevano nel corso dei decenni".
Qui c'è un'indicazione decisiva, e in un senso duplice: "Tensioni sotterranee" di "decenni", ossia, di un'epoca, vengono sintetizzate in una controversia. E queste tensioni non si svolgono mai solo nel "gioco" delle idee opposte, che potrebbero anche "in qualche modo" essere armonizzate dalla buona volontà, ma riguardano il corrispondente oggetto sociale del problema della verità. E' lo sviluppo sociale che crea conflitti reali, sociali ed istituzionali, crisi e processi di trasformazione cui le teorie devono dare delle risposte. E queste risposte sono necessariamente controverse in quanto esprimono conflitti sociali reali già obsoleti e maturi, corrispondentemente contraddittori rispetto alla situazione storica concreta.
Proprio per questo non si tratta di problemi senza tempo dell'umanità, né di mere congiunture della storia intellettuale, ma semmai della firma intellettuale di un determinato luogo storico che pone anche problemi teorici determinati ed inconfondibili. Le idee formulate in questo contesto possono poi, forse anche molto dopo, riemergere in un contesto completamente differente e tornare ad essere configurate od alimentate, reinterpretate ecc. in maniera completamente diversa; ma la chiave per la loro comprensione continua ad essere, anche allora, la loro connessione nella situazione storica specifica: "Cerchiamo... in una filosofia precedente non un semplice precursore di un'altra filosofia successiva, ma la funzione che soddisfaceva al suo tempo" (Flasch, ivi). Sia per le idee che per i suoi portatori/portatrici e creatori/creatrici vale, ugualmente, che: "Appartengono nel loro insieme... al loro tempo. La loro grandezza non si misura dal numero delle risposte ‘corrette’ ad un catalogo di temi definitivamente fissato. La loro grandezza risiede nella forza con cui hanno penetrato le condizioni reali della vita umana, analizzandole" (Flasch, ivi). Una posizione teorica non è parte di una storia intellettuale filologicamente costituita - nemmeno "marxista" - che può essere considerata di per sé, ma "corrisponde alle condizioni intellettuali e interviene in tali condizioni modificandole" (Flasch, ivi).
Perfino la teoria della conoscenza apparentemente più astratta non può venire percepita semplicemente come questione di capacità di conoscenza umana in generale, ma sempre come espressione di un momento, di una determinata situazione storica, che penetra tutti i contenuti e fa sì che un determinato problema possa essere risolto nel quadro di determinate controversie. Non si tratta nemmeno di sollevare, per esempio, questioni di teorie della storia o filosofiche; ma anche, e proprio queste, devono co-riflettersi nel dibattito sulla condizionalità temporale in generale, e sul suo proprio luogo storico in particolare, per poter avere validità nelle loro rispettive relazioni, o nella loro critica. Se tutte le teorie hanno il famoso "nucleo temporale" (Adorno), non si può allora partire da questioni "esistenziali" sovra-storiche. Per questo Flasch si volge contro la "autonomizzazione" dei cosiddetti "problemi" (filosofici). Un tal modo di procedere "non tiene conto che sono gli esseri umani che in una data situazione storica cercano di orientarsi, pensando" (Flasch, ivi). Questo ci porterebbe ad uno "squillo di vittoria esternista" nel senso di una "posizione astorica o perfino anti-storica" il cui fondamento sarebbe "la paura del relativismo" (Flasch, ivi).
Ora, lo zombie indulgente postmoderno ha paura di quasi tutto, non ha paura solo del relativismo, che costituisce la sua anima, la sua patria ed il suo regno celestiale. Ma il trucco qui è che perfino il luogo storico specifico viene lasciato indeterminato - e con questo la stessa posizione di ostinata indecisione non ha bisogno di essere subordinata ad una situazione storica. A questa versione "forte" se ne unisce una "debole" che di fatto concede una vaga indicazione di mutamento storico, ma che si sforza di ammorbidire ed equiparare le determinazioni contraddittorie che da questo sorgono non a caso, diluendole, per lasciare le cose in uno stato di mezze misure e di incertezza. In ogni caso, il luogo storico all'inizio del XXI secolo, per amor di Dio, non può né deve essere il campo di battaglia di una decisiva contesa teorica. La stessa determinazione del luogo, ed il suo carattere controverso, viene relativizzata, di modo che lo "squillo di vittoria esternista" torni a rientrare dalla porta di servizio e propriamente con tratti relativistici. La maniera postmoderna di far valere una in sé corretta condizionalità storica della posizioni teoriche, smentisce sé stessa quando relativizza simultaneamente un'altra volta il carattere specifico di tale condizionalità, trasformando così la stessa pseudo-storicizzazione in una "posizione astorica o perfino anti-storica".
La vera differenza fra i diversi luoghi storici mostra, però, una relatività che non vale per ciascuno dei luoghi storici in sé. Una tale visione porta ad una conseguenza completamente diversa da quella dei postmoderni: la verità non è assolutamente relativa, ma semmai è relativamente assoluta. Ad essere relativa è solo la relazione, fra di loro, delle situazioni storiche specifiche, ma la scoperta della verità, all'interno di una tale situazione, è in un certo qual modo assoluta. La situazione concreta, in ogni caso, non serve a decidere, ma deve portare ad una determinazione, ad una chiarificazione e a nuovi obiettivi storici attraverso la decisione del conflitto. Con questo si arriva ovviamente alla mentalità postmoderna in relazione alle discussioni attuali, ma non sufficientemente alla sua legittimazione epistemica, che non intende registrare una verità propria dell'epoca, ma innanzitutto pretende di dissolverla nel simultaneo momento relativistico.
Il discorso sulla "buona vita" (riferito ovviamente ad una vera vita da estorcere in qualche modo a quella falsa), a proposito di un modo diverso di affrontare le eterne questioni fondamentali, che può essere svolto in spiaggia o sulla veranda del bar, partendo da lì per assemblare un'appropriata versione diversificata o un menu ad uso personale: questo banalizzare e rimescolare le idee controverse della storia e del presente, per esercizi di organizzazione del tempo libero o per il successo individuale nella vita, è di fatto specifico della mentalità postmoderna. E seppure le teorie postmoderne non vorrebbero accordarsi ad una simile mentalità, l'alimentano. Qui non si vuole negare il contenuto contraddittorio, solo che questo, nel suo relativismo assoluto, ormai non deve più svolgere alcun ruolo o, per meglio dire, esso deve solo "recitare una parte" come avviene nel teatro o al ballo di Carnevale, ossia, essere per l'appunto parte di un "gioco" che si accetta per poi andare al bar. Così, tutta la storia delle idee emerge come una sorta di locale riservato ad una festa post-storica di travestimento, dove si possono prendere a nolo tutti gli abiti e costumi immaginabili e combinarli con umorismo fra di loro. Qui le regole esigono che ciascuno debba "riconoscere" o disfarsi dell'altro e si deve solo immaginare quello che pretende di rappresentare.
Flasch, al contrario, cerca di dimostrare che il conflitto teorico non è niente affatto un gioco, ma è sempre e soltanto una dura lotta per la verità, nella quale non si tratta di qualche sforzo di poco conto, ma dell'esistenza storica: "Vi mostro situazioni di lotta. Mi oppongo alla precedente prassi di ricerca e di esposizione focalizzata sulla 'sintesi'. Il suo modo di trattare le immagini aveva un metodo, ma era astorico". Il "carattere processuale e conflittuale della storia" produce "lotta per la verità", "dispute di alto livello. Ed esse hanno sintetizzato le tensioni sotterranee che esistevano nel corso dei decenni".
Qui c'è un'indicazione decisiva, e in un senso duplice: "Tensioni sotterranee" di "decenni", ossia, di un'epoca, vengono sintetizzate in una controversia. E queste tensioni non si svolgono mai solo nel "gioco" delle idee opposte, che potrebbero anche "in qualche modo" essere armonizzate dalla buona volontà, ma riguardano il corrispondente oggetto sociale del problema della verità. E' lo sviluppo sociale che crea conflitti reali, sociali ed istituzionali, crisi e processi di trasformazione cui le teorie devono dare delle risposte. E queste risposte sono necessariamente controverse in quanto esprimono conflitti sociali reali già obsoleti e maturi, corrispondentemente contraddittori rispetto alla situazione storica concreta.
Proprio per questo non si tratta di problemi senza tempo dell'umanità, né di mere congiunture della storia intellettuale, ma semmai della firma intellettuale di un determinato luogo storico che pone anche problemi teorici determinati ed inconfondibili. Le idee formulate in questo contesto possono poi, forse anche molto dopo, riemergere in un contesto completamente differente e tornare ad essere configurate od alimentate, reinterpretate ecc. in maniera completamente diversa; ma la chiave per la loro comprensione continua ad essere, anche allora, la loro connessione nella situazione storica specifica: "Cerchiamo... in una filosofia precedente non un semplice precursore di un'altra filosofia successiva, ma la funzione che soddisfaceva al suo tempo" (Flasch, ivi). Sia per le idee che per i suoi portatori/portatrici e creatori/creatrici vale, ugualmente, che: "Appartengono nel loro insieme... al loro tempo. La loro grandezza non si misura dal numero delle risposte ‘corrette’ ad un catalogo di temi definitivamente fissato. La loro grandezza risiede nella forza con cui hanno penetrato le condizioni reali della vita umana, analizzandole" (Flasch, ivi). Una posizione teorica non è parte di una storia intellettuale filologicamente costituita - nemmeno "marxista" - che può essere considerata di per sé, ma "corrisponde alle condizioni intellettuali e interviene in tali condizioni modificandole" (Flasch, ivi).
Perfino la teoria della conoscenza apparentemente più astratta non può venire percepita semplicemente come questione di capacità di conoscenza umana in generale, ma sempre come espressione di un momento, di una determinata situazione storica, che penetra tutti i contenuti e fa sì che un determinato problema possa essere risolto nel quadro di determinate controversie. Non si tratta nemmeno di sollevare, per esempio, questioni di teorie della storia o filosofiche; ma anche, e proprio queste, devono co-riflettersi nel dibattito sulla condizionalità temporale in generale, e sul suo proprio luogo storico in particolare, per poter avere validità nelle loro rispettive relazioni, o nella loro critica. Se tutte le teorie hanno il famoso "nucleo temporale" (Adorno), non si può allora partire da questioni "esistenziali" sovra-storiche. Per questo Flasch si volge contro la "autonomizzazione" dei cosiddetti "problemi" (filosofici). Un tal modo di procedere "non tiene conto che sono gli esseri umani che in una data situazione storica cercano di orientarsi, pensando" (Flasch, ivi). Questo ci porterebbe ad uno "squillo di vittoria esternista" nel senso di una "posizione astorica o perfino anti-storica" il cui fondamento sarebbe "la paura del relativismo" (Flasch, ivi).
Ora, lo zombie indulgente postmoderno ha paura di quasi tutto, non ha paura solo del relativismo, che costituisce la sua anima, la sua patria ed il suo regno celestiale. Ma il trucco qui è che perfino il luogo storico specifico viene lasciato indeterminato - e con questo la stessa posizione di ostinata indecisione non ha bisogno di essere subordinata ad una situazione storica. A questa versione "forte" se ne unisce una "debole" che di fatto concede una vaga indicazione di mutamento storico, ma che si sforza di ammorbidire ed equiparare le determinazioni contraddittorie che da questo sorgono non a caso, diluendole, per lasciare le cose in uno stato di mezze misure e di incertezza. In ogni caso, il luogo storico all'inizio del XXI secolo, per amor di Dio, non può né deve essere il campo di battaglia di una decisiva contesa teorica. La stessa determinazione del luogo, ed il suo carattere controverso, viene relativizzata, di modo che lo "squillo di vittoria esternista" torni a rientrare dalla porta di servizio e propriamente con tratti relativistici. La maniera postmoderna di far valere una in sé corretta condizionalità storica della posizioni teoriche, smentisce sé stessa quando relativizza simultaneamente un'altra volta il carattere specifico di tale condizionalità, trasformando così la stessa pseudo-storicizzazione in una "posizione astorica o perfino anti-storica".
La vera differenza fra i diversi luoghi storici mostra, però, una relatività che non vale per ciascuno dei luoghi storici in sé. Una tale visione porta ad una conseguenza completamente diversa da quella dei postmoderni: la verità non è assolutamente relativa, ma semmai è relativamente assoluta. Ad essere relativa è solo la relazione, fra di loro, delle situazioni storiche specifiche, ma la scoperta della verità, all'interno di una tale situazione, è in un certo qual modo assoluta. La situazione concreta, in ogni caso, non serve a decidere, ma deve portare ad una determinazione, ad una chiarificazione e a nuovi obiettivi storici attraverso la decisione del conflitto. Con questo si arriva ovviamente alla mentalità postmoderna in relazione alle discussioni attuali, ma non sufficientemente alla sua legittimazione epistemica, che non intende registrare una verità propria dell'epoca, ma innanzitutto pretende di dissolverla nel simultaneo momento relativistico.
- Robert Kurz – ( 4 di 7 – continua …) -
- Pubblicato sulla rivista EXIT! Krise und Kritik der Warengesellschaft, nº 12 (11/2014) -
fonte: EXIT!
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