Sciorinarono dal campanile un fazzoletto a tre colori, suonarono le campane a stormo, e cominciarono a gridare in piazza: “Viva la libertà!”.
Come il mare in tempesta. La folla spumeggiava e ondeggiava davanti al casino dei galantuomini, davanti al Municipio, sugli scalini della chiesa: un mare di berrette bianche; le scuri e le falci che luccicavano. Poi irruppe in una stradicciuola.
“A te prima, barone! che hai fatto nerbare la gente dai tuoi campieri!” Innanzi a tutti gli altri una strega, coi vecchi capelli irti sul capo, armata soltanto delle unghie. “A te, prete del diavolo! che ci hai succhiato l'anima! - A te, ricco epulone, che non puoi scappare nemmeno, tanto sei grasso del sangue del povero! - A te, sbirro! che hai fatto la giustizia solo per chi non aveva niente! - A te, guardaboschi! che hai venduto la tua carne e la carne del prossimo per due tarì al giorno!”
da "Libertà", di Giovanni Verga
In un racconto intitolato Libertà, Giovanni Verga descrive un episodio di ribellione spontanea esplosa in un paesino sulle pendici dell'Etna nel momento in cui l'esercito di Garibaldi dilagava per la Sicilia e l'aspettativa di una rivoluzione sociale infiammava le più remote contrade precedendo, con misteriosa velocità, l'arrivo delle avanguardie garibaldine. Era stato un massacro incontrollato, capricciosamente crudele, una vampata che si era spenta nella crescente delusione e nell'angoscia di quelli stessi che lo avevano compiuto: «Libertà voleva dire che doveva essercene per tutti», dicevano ora. E invece era subentrata la punizione esemplare e cieca da parte del «generale» («subito ordinò che gliene fucilassero cinque o sei»), quindi la «giustizia», par di capire, dello Stato unitario («dopo arrivarono i giudici per davvero»). Il processo non finiva mai, anzi nemmeno incominciava. Gli arrestati furono portati nella prigione in città e lì giacquero. Alla fine, dopo anni, il processo fu celebrato, e fioccarono le condanne, pronunciate da giudici - «dodici galantuomini» — svogliati e distratti da un solo pensiero: «che l'avevano scampata bella a non essere stati dei galantuomini in quel paesetto lassù, quando avevano fatto la libertà».
«Fare la libertà» per dire ribellarsi, nel senso in cui Erasmo adopera «democrazia». E ancora: «libertà» per dire uguaglianza. Nel racconto verghiano il taglialegna minaccia, la sera del massacro: «ora che c'era la libertà, chi voleva mangiare per due avrebbe avuto la sua festa, come quella dei galantuomini!».
Libertà come sinonimo di uguaglianza o anche di democrazia sarebbe stato un non senso per un aristocratico greco o per un senatore romano. È invece una endiadi consolidata per Rousseau, il quale nel Contrat social conclude il capitolo sulla «democrazia» (libro III, capitolo IV) esaltandola in quanto libertà, con le parole, poi divenute famose grazie al pensatore ginevrino, del « vertueux Palatin», malo periculosam libertatem quam quietum servitium. Si profila, già sulla base di questi pochi esempi scelti casualmente, l'alto grado di imprecisione concettuale che avvolge questa parola capitale.
- Luciano Canfora - da "Manifesto della Libertà" - Sellerio -
1 commento:
Niente viene gratis ed è inutile gridare "Pagherete caro, Pagherete tutto" ! Bisogna che qualcuno cominci a far pagare come si faceva un tempo....e funzionava benino, anche se ci davano di terroristi ed anche i "compagni" ci vendevano o ci isolavano! Tempo al tempo! Basta dare inizio a lotte dure.
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