ONTOLOGIA NEGATIVA
- Gli oscurantisti dell'Illuminismo e la metafisica storica della Modernità -
di Robert Kurz
L'uguaglianza nella morte: l'universalità negativa della forma giuridica come meccanismo di selezione
Quello che si applica al concetto di individualità, può essere constatato anche per quel che riguarda il concetto di universalità. Anche rispetto a questo, l'ideologia illuminista, insieme alle sue oggettivazioni, dev'essere distrutta in quanto, fondamentalmente, non corrisponde alla verità né contiene alcun tipo di essenza emancipatrice. Così come l'individualità moderna è associata, fin dalle parole d'ordine della Rivoluzione francese, alla "libertà" (autonomia), il moderno universalismo occidentale è associato alla "uguaglianza". L'ideologia dell'uguaglianza suggerisce l'uguale riconoscimento, senza restrizioni, di tutti gli individui come "esseri umani in quanto tali", portatori di diritti inalienabili (riassunti originariamente nel termine "diritto naturale") i quali si devono riflettere tanto nei "diritti umani" universali quanto nella forma dei sistemi giuridici nazionali. Com'è noto, è proprio questo ciò che reclama, più che mai, l'attuale imperialismo occidentale dei diritti umani per giustificare le sue atrocità globali.
Ma, come la tanto invocata individualità non è altro che lo "Io" astratto - l'individuo meramente astratto e rinchiuso nella moderna forma del soggetto che corrisponde a quella del valore - così l'universalismo occidentale moderno è solo un concetto astratto e, quindi, negativo. Così come gli individui sono "liberi" ed "autonomi" solo nella misura in cui adottano le loro decisioni nell'ambito della forma capitalistica, rimanendo compatibili con la "necessità" della valorizzazione cieca del valore e con le rispettive leggi pseudo-naturali, essi sono "uguali" nella misura in cui sono ugualmente sottomessi alla forma del valore, essendo soggetti della sua realizzazione. "L'essere umano in quanto tale" è l'Uomo meramente astratto; l'Uomo, nella misura in cui può essere soggetto del valore. E' solo a questo che rimanda il suo "riconoscimento" in quanto Uomo, ed è solo in questo senso che egli può possedere "diritti di Uomo" universali ed essere un soggetto giuridico nell'ambito delle strutture statali. Ne consegue che al di fuori di questo, ossia, fuori dall'universo implacabilmente limitativo della forma del valore, egli smette di avere qualsiasi somiglianza con un essere umano, vedendosi ridotto al livello degli animali o della vile materia. La capacità giuridica generale e, per estensione, anche il riferimento ai diritti umani, si vede così vincolata alla capacità di valorizzazione, di lavoro, di vendita, di finanziamento o, in una parola, alla "redditività" dell'esistenza che, per ogni altro effetto, viene dichiarata "oggettivamente" nulla.
In quanto la socializzazione del valore di per sé, con la sua negatività e con la concorrenza universale che essa istituisce, non potrebbe riprodursi nemmeno per un giorno, essa deve negare la sua propria universalità per mezzo della relazione di dissociazione dai contorni sessisti che le è propria. E' per questo che il soggetto giuridico - anche dei diritti umani - è all'inizio essenzialmente maschile. Anche se, nella maggior parte degli Stati, vediamo imposta l'equiparazione giuridica nei termini della cittadinanza delle donne in relazione agli uomini, questa assume senso reale solo nella misura in cui le donne costituiscono soggetto del valore, mentre i momenti dissociati esterni al di fuori dall'universalità, che continuano ad essere definiti come "femminili", rimangono in gran parte esterni a qualsiasi ordine giuridico, oppure si sottraggono alla forma del diritto dell'universalismo astratto e vengono ridotti ad assurdità. In molti casi particolari, nei regolamenti specifici, nei dettagli, così come per quello che "non è scritto" tra le righe (ossia, nell'ambito della capacità di interpretazione) torna sempre ad emergere la diminuita capacità giuridica delle donne, in cui l'universo astratto del valore si scontra con i momenti truculenti della realtà sensibile che non possono essere del tutto adeguati ad esso.
La socializzazione del valore necessita di momenti dissociati per poter esistere nel mondo sensibile e sociale in generale, ma allo stesso tempo il suo astratto universalismo non può ammettere questo fatto. La promessa dell'universalismo giuridico occidentale difficilmente potrebbe essere più sinistra: si tratta della promessa di rendere "uguali" tutti gli esseri umani e di "riconoscerli" come assimilati alla forma del valore, così come si tratta di tagliare, alla maniera di Procuste, tutto quello che non rientra in tale forma. Ma poiché il mondo sensibile, dopo tutto, non si lascia mai "equalizzare" completamente in questa forma di universalità negativa, la pulsione di morte e di distruzione del soggetto desensibilizzato porta non solo alla distruzione dei momenti dissociati necessari alla sua riproduzione, ma alla distruzione del mondo in generale. Solo allora, il mondo, omogeneamente distrutto, diventa interamente libero ed uguale ed universale.
Il riconoscimento dell'Uomo ridotto allo stato di soggettività del valore è, perciò, identico al suo fondamentale non riconoscimento in quanto essere che non si riassume in quella soggettività e che, inoltre, mostra necessità sensuali e sociali. L'inclusione universale corrisponde, allo stesso tempo, ad un'esclusione universale. Nella misura in cui i momenti, le cose e gli esseri esclusi non smettono di essere necessari alla vitalità sociale, e la pulsione di morte del soggetto del valore non si è ancora pienamente sviluppata, essi vengono dissociati, oppure vengono semplicemente ignorati, o addirittura annientati. Il processo di riconoscimento dell'universalismo astratto occidentale corrisponde, quindi, necessariamente ad un processo di selezione e di eliminazione, e non è a caso che esso ricordi il tanto burocratico quanto barbaro "processo di riconoscimento" dei richiedenti asilo che, come tutti sanno, vengono in maggioranza respinti. Anche associarlo alla selezione che veniva fatta ad Auschwitz, si limita all'essenza della questione: Auschwitz è stata solo la variante più estrema e brutale del "processo di riconoscimento" dei diritti umani occidentali.
Chiunque ha il diritto di essere un soggetto del valore, di vendere sé stesso o una qualsiasi cosa - ma solo nella misura in cui è "adatto" a entrambe le cose, o viene dichiarato tale; diversamente, è meno che niente. Riconosciamo in questo modo a chi togliere la saliva e il fiato. Come essere sensibile e sociale precedente alla forma del valore e del denaro, l'Uomo non è affatto riconosciuto parte dell'universalismo del valore e del diritto, essendo solo un pezzo di natura, un sacco di carne. Gli ideologhi illuministi occidentali hanno sempre preteso che gli individui escano dal corpo della madre direttamente sotto la forma "naturale" del soggetto giuridico. Questa forma è altrettanto naturale che un contratto d'affitto o quanto la copia del progetto di un missile intercontinentale. Essa non è naturale, né socialmente primaria, in quanto costituisce una forma secondaria, derivata, della relazione di valore in quanto relazione di produzione e circolazione.
Gli ideologhi illuministi hanno rovesciato la relazione fra soggetto del valore (nel senso stretto del rapporto di produzione) e soggetto giuridico. Nella realtà, la capacità di valorizzazione va ad integrare, come condizione tacita, la promessa "giuridica" del riconoscimento. E' proprio per questo che gli individui possono trasformarsi in esseri umani ed in soggetti giuridici solo dopo essere passati attraverso il setaccio selettivo di un processo di riconoscimento, poiché ancora non lo sono "in sé", a causa della loro esistenza fisica. Il processo di selezione può essere "oggettivo" (in funzione delle leggi di valorizzazione e della situazione del mercato) e può, anche, essere attuato in forma "soggettiva" (ideologica, basata su criteri statali). Le impressionanti contraddizioni della socializzazione del valore, con tutta la sua irrazionalità ed assimilazione per mezzo di un'ideologia assassina, concorrono sia a questo processo di selezione che alla razionalità intrinseca all'economia industriale.
Per questo, l'universalismo giuridico astratto occidentale è, in linea di principio, compatibile sia con lo schiavismo sia con la marginalizzazione o con lo sterminio razzista, antisemita o nazionalista. Una volta che si apre una breccia sistematica fra l'esistenza fisica e la capacità giuridica in quanto soggetto del valore riconosciuto - dove ha luogo il processo di riconoscimento in quanto processo di selezione - quest'esistenza fisica può essere negata o può essere iscritta in un utilizzo differente, come una merce che non viene "riconosciuta" dal mercato e che dimostra di essere "superflua" per il capitalismo.
Se i padri fondatori degli USA consideravano la schiavitù dei negri giusta ed anche conforme alle leggi naturali, e se il baluardo della "libertà e democrazia" deve il suo avvio economico al lavoro schiavizzato, questo non costituisce un violazione dell'universalismo astratto occidentale, dal momento che i rappresentanti della Rivoluzione francese diedero mandato di schiacciare col fuoco della mitraglia l'insurrezione dei negri di Haiti, sebbene questi invocassero i principi di uguaglianza della Rivoluzione francese stessa. Gli ideologhi - o ingenui, o perfidi - dell'universalismo occidentale, fino ad Habermas & Company, interpretano regolarmente questi fatti come mera incoerenza ("frutto dell'epoca") e come mero segno dell'imperfezione del progetto universalista, così come ignorano sistematicamente il carattere di selezione preventiva oggettiva-soggettiva del "riconoscimento".
Dal momento che i negri potevano avere un impiego proficuo solamente in quanto oggetti della valorizzazione sotto forma di schiavitù, per i negri degli USA il processo di riconoscimento, semplicemente, si concludeva con un parere negativo. La "liberazione degli schiavi", d'altra parte, non avvenne come conseguenza finale di un principio universalista che riconoscesse l'esistenza fisica in sé, ma perché la schiavitù stava diventando disfunzionale per il processo di valorizzazione negli USA. Questa, tuttavia, non era una mera storia evolutiva che doveva farla finita, sempre e per tutti, con lo statuto di schiavo. Ai nostri giorni, il processo globale di valorizzazione sputa sempre più "superflui" che, perciò, vengono costantemente selezionati e decimati nel successivo processo (permanente) di riconoscimento dell'universalismo astratto. Dalla massa di questi esseri umani oggettivati come non-soggetti, solo fisici e non più "riconoscibili", nascono nuove situazioni di schiavitù, o simili alla schiavitù, se e quando non vengono abbandonati alla miseria pura e semplice e alla morte per inedia.
Se leggiamo le clausole scritte a lettere minute, la lurida simpatia dei lottatori occidentali per la libertà di oggi non offre agli emarginati di questo mondo la minima garanzia di essere riconosciuti di per sé nella loro esistenza fisica. Prima, la promessa, in tutta la sua profonda perfidia, si è limitata a dire: siamo colmi di pietà per voi (possibilmente per colpa vostra, o perché non vi siete sforzati abbastanza e non avete adottato sufficientemente i valori occidentali ecc.) che siete esclusi dalla capacità di valorizzazione e, insieme ad essa, dall'universalismo del valore, e vogliamo fare tutto quello che è in nostro potere perché possiate rientrarci, o entrarci per la prima volta (se in futuro vi saprete padroneggiare bene ed accetterete tutte le imposizioni come se si trattasse di regali). Poi sarebbe il massimo se tutti gli esseri umani nello stato di meravigliosa soggettività del valore (capacità di lavoro e di presentarsi sul mercato) potessero essere riconosciuti come portatori di diritti umani inalienabili.
Tutto questo, in parole povere, dice anche: se la ricostituzione del vostro status di riconosciuti avrà successo, rimane una questione aperta (forse anche perché non vi sforzate abbastanza per partecipare di un simile onore). Le condizioni vanno soddisfatte. La promessa, perciò, costituisce sempre anche una minaccia: se la condizione non potrà essere soddisfatta (e, per la maggior parte delle persone, essa oggi è già "oggettivamente" impossibile da adempiere, per quanto si sforzino fino al limite del supplizio), purtroppo, e ce ne dispiace immensamente, non si potrà procedere al riconoscimento. La fine dell'esistenza fisica dei "superflui", vista come danno collaterale del mercato mondiale, è all'orizzonte.
Inoltre, questo non riguarda solo le masse "superflue" del terzo mondo. Un giro delle strutture di sicurezza sociale tedesca o dell'autorità di assistenza sociale degli USA sarà sufficiente a svelarci i limiti della capacità occidentale ed universalista nel riconoscerci come esseri umani. La capacità di essere un soggetto giuridico, qui, ancora non è stata del tutto eliminata, perché ci si riferisce ancora alle persone in quanto "cittadini", "elettori", ecc., continuando così a costituire una micro-particella del "sovrano", del soggetto-oggetto totale ideale; ma questa capacità giuridica anche così già si vede ridotta, come possiamo facilmente capire quando abbiamo a che fare con questi soggetti minori del valore: si trovano sempre più ridotti ad uno status di minoranza, già non più pienamente responsabile, una sorta di animali parlanti o di utensili diventati inutili, di "selvaggi" e di bambini cui viene dato del "tu".
Proprio gli USA, in quanto unica superpotenza globale consacrata alla "libertà ed uguaglianza", tornano a creare - alla fine del XX secolo, sotto la copertura di "jobs" (attività miserabili e relazioni personali di servizio) e di "esecuzione penale" - in milioni di casi, situazioni vicine alla schiavitù, dove il diritto astratto si converte bruscamente in un arbitrarietà terroristica. I rifugiati o i richiedenti lo status di asilo, che frequentemente non arrivano ad essere cittadini di alcuno Stato, ma diventano "espatriati" senza passaporto, perdono completamente lo status di esseri umani a causa della loro relativa capacità giuridica (cosa sulla quale, del resto, già Hannah Arendt aveva richiamato l'attenzione) e vengono trattati letteralmente come animali, sia in rapporto al lavoro "illegale", ossia, spogliati di qualunque garanzia giuridica, sia in campi di internamento simili a campi di concentramento.
Come avviene sul terreno della socializzazione del valore non c'è modo di sfuggire a questa logica, anche nel processo di riconoscimento e, insieme ad esso, di selezione si è sempre soggetti anche ad una concorrenza "soggettiva". La concorrenza universale, come componente indissociabile dell'universalismo giuridico, è pertanto, in quanto lotta per la capacità di sopravvivere sul mercato, necessariamente anche una lotta per la capacità di farsi riconoscere, una volta che tutti sanno che non ce n'è per tutti. Questo non ha niente a che vedere con la capacità delle risorse sensibili e materiali, ed ha tutto a che fare con la mancanza di capacità di assorbire la forma di riproduzione sociale che, alla fine, non è altro che la base ed il presupposto dell'universalismo giuridico astratto e, con esso, la condizione presupposta di tutta la sua logica.
Sotto tale condizione si viene a formare una tendenza immanente a non lasciare all'universalità giuridica solo la sua funzione di meccanismo di selezione secondo le vicissitudini delle leggi della valorizzazione, cieche e preesistenti, ma di aggiungere al doloroso processo di riconoscimento - per così dire, a titolo di dispositivo di sicurezza - anche criteri nazionali, razzisti, ecc.. In tal senso, l'esistenza della (vecchia e nuova) schiavitù negli USA non costituisce più un'incoerenza del pensiero in quanto si trovano, negli enunciati di quasi tutti gli eroi intellettuali dell'ideologia illuminista, invettive razziste ed antisemite in gran quantità. Anche questo non costituisce una violazione del principio moderno di universalità ma ne è, innanzitutto, la sua conseguenza intrinseca, in quanto meccanismo di selezione.
L'universalismo astratto della socializzazione del valore e del rispettivo pensiero illuminista, in quanto "uguaglianza" negativa ed assassina, non costituisce in nessun modo una base su cui si possa edificare un progetto di emancipazione. Anche rispetto a questo, non c'è niente che si possa "completare" o sviluppare, rimanendo solo l'opzione di rovesciare una simile relazione. La capacità di esistenza degli individui reali, sensibili e sociali, proprio in tutta la sua differenza qualitativa in quanto evidenza sociale che, quindi, non abbisogna di alcun stato giuridico di "riconoscimento", può essere ottenuta solamente a partire da un'opposizione fondamentale all'universalismo occidentale dell'esclusione. Già la forma giuridica in sé e in quanto tale, già la mera "necessità" di uno status specifico di riconoscimento, ci dice che non si tratta di un presupposto né di un'evidenza ma si tratta , piuttosto, di un risultato che è sempre soggetto ad una decisione previa.
L'altra faccia del riconoscimento è, fin dall'inizio, l'esclusione. Il pensiero inconseguente dell'emancipazione stretto nel busto della forma giuridica borghese, così come il principio dell'universalità astratta di questa forma, assomiglia, quindi - così come avviene in relazione all'individualità solo astratta ed irreale - più ad un tentativo di arrivare con mezzi empirici al punto, nell'infinito, dove le linee parallele finiscono per incontrarsi. Da tutto questo risulta che per niente, in niente di niente dell'illuminismo c'è salvezza possibile. L'ideologia illuminista, insieme alla costituzione sociale soggiacente, può solo essere respinta definitivamente.
- Robert Kurz -
- 3 di 8 – continua … -
fonte: EXIT!
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