giovedì 13 novembre 2014

Miti e gentleman

Briche
L'Europa è un'idea di Gérard Briche
Gli avvenimenti accaduti in Ucraina all'inizio del 2014 hanno avuto come conseguenza il fatto che non è più possibile parlare di "Europa" come di una cosa ovvia. L'Ucraina fa parte dell'Europa? Questa domanda in realtà ha molto poco senso. Somiglia alla domanda: la Turchia, fa parte dell'Europa? Domanda che suggerisce in maniera erronea che "l'Europa" sarebbe un'entità che esiste e di cui si fa parte ... oppure no.
Ricordiamo che la Magna Grecia, ai tempi di Platone, si estendeva su un territorio assai più vasto di quello della Grecia attuale. Esso includeva, tra l'altro, le coste di quella che oggi viene chiamata Turchia, cosa che fa sì che molti greci famosi oggi sarebbero assai poco greci: non stiamo menzionando la città di Troia, ma potremmo rievocare il nome del famoso Talete. Talete: un turco? Vi rendete conto!
Ci sono molti uomini politici che rivendicano questa "sensibilità europea" (?) che essi avrebbero e che gli altri non avrebbero ciò che ai loro occhi costituirebbe un importante criterio di demarcazione. Opporre questa "Europa" alle "nazioni", come se queste avessero una visione più ristretta, costituisce un sofisma acquisito; questo sofisma, come vedremo, si fonda su un'illusione, quella per cui esisterebbe ancora uno "Stato-nazione" ed un capitale nazionale.
piuttosto che considerare la "griglia" europea come un  dato di fatto, e piazzare questa o quell'altra nazione, bisognerebbe invece considerare la validità stessa di una tale griglia. Bisognerebbe, prima di utilizzare tale categoria, operare una critica della categoria stessa: operare una "critica categoriale", per usare un'espressione di Robert Kurz.
Cosa è chiamata Europa? Europa: entità costituita da diverse nazioni e il cui nome viene in primo luogo usato per denominare quest'entità come "europea" sovranazionale. Un'entità sovranazionale che per la prima volta è stata immaginata a margine del nazismo, come l'epifania di una "grande Germania" il cui territorio, dall'Atlantico agli Urali, sarebbe stato popolato dai popoli "ariani". Inutile soffermarsi su questi sogni, di cui non possiamo tuttavia dimenticare che, dopo la caduta di quel Reich che aveva preteso di durare mille anni, oggi costituiscono la base ideologica di alcuni gruppi neonazisti (nota: citiamo qui, il "gruppo Europe-Action" di Dominique Venner, da cui proviene la "Nouvelle Droite" francese ed un tale Alain de Benoist, il quale, grazie alla sua abilità giornalistica, ha acquisito una notorietà non indifferente).
Europa: entità che ha costituito il territorio del "piano Marshall" che, dopo la seconda guerra mondiale, ha permesso all'economia statunitense di aiutare la ricostruzione dei paesi "alleati". I soldati statunitensi avevano portato, oltre al loro aiuto, la gomma da masticare e la Coca-Cola; il "piano Marshall" aveva come scopo quello di affermare il capitalismo keynesiano nei paesi che si trovavano ad ovest dei paesi sotto l'influenza sovietica. Si trattava perciò di unificare "le nazioni libere" in un sistema economico che facesse da barriera al "socialismo realmente esistente", e di costituire un mercato unico, il cui successo indiscutibile ha permesso che si parlasse di "Trent'anni gloriosi": trent'anni di pace fordista (nota: "Trente glorieuses", questo termine che si deve al sociologo francese Jean Fourastié, descrive il lungo periodo di crescita continua che dura una trentina d'anni, dopo la fine della seconda guerra mondiale).
L'eccezionale periodo di crescita continua nel dopo guerra, nei paesi occidentali, sembra confermare le intuizioni di Keynes, e la dottrina economica tedesca, chiamata "economia sociale di mercato" [soziale Marktwirtschaft] ne è stata un'applicazione esemplare (nota: Keynes (1883-1946) non ha potuto vedere come le sue idee sono state applicate dopo la seconda guerra mondiale, e come uno stimolo dei consumi, e quindi una politica salariale dinamica, sembravano garantire un'economia stabile vantaggiosa per tutti). Certo, l'economia tedesca, ed il principio di una gestione dell'economia cui viene associata la forza sindacale, è stato un esempio calzante. Ed anche se questi trent'anni di crescita sono stati, in Francia, trent'anni durante i quali i sindacati hanno beneficiato di un riconoscimento sempre più grande (nota: Non ci sbagliamo! questo riconoscimento dei sindacati da parte del padronato è stato il riconoscimento di un avversario legittimo ma difficile. Il patronato aveva sicuramente sperato che il confronto con la forza operaia non si fondasse su una "lotta" ma su una "collaborazione"; la dottrina dei sindacati francesi è rimasta largamente quella di una "lotta", anche se sempre più la loro pratica è stata quella della discussione e delle proposizioni "costruttive"), la "dispersione" fra più sindacati è stata spesso presentata come un handicap, quando veniva paragonata alla situazione tedesca.
L'idea europea è stata in primo luogo l'idea di ricostruire un'economia "all'occidentale" nell'ovest di una "Europa" pensata come la parte europea del "mondo libero". Diciamo le cose chiaramente: si trattava di ricostruire un'economia capitalista suscettibile di fare da barriera (e, secondariamente, di costituire un esempio) a fronte del "socialismo reale" sotto obbedienza sovietica. Lungi dall'essere un aiuto filantropico alla ricostruzione europea, il "piano Marshall" aveva come obiettivo quello di rilanciare la valorizzazione capitalistica dopo la "purga" che era stata la seconda guerra mondiale. E questo richiede qualche spiegazione.
L'economia "all'occidentale" è un'economia capitalista. Un'economia il cui fine reale non è quello di produrre dei beni e dei servizi utili per gli uomini, ma di produrre del valore capitalizzabile. In altre parole, produrre delle merci il cui fine non è quello per cui tale merci possano soddisfare dei bisogni umani, bensì quello che siano vendute, comprate, che realizzino del denaro, e che questo denaro venga reinvestito in un'economia che produce delle merci.
In questa logica di mercato, il valore delle merci non risiede nella loro utilità reale, ma nel fatto che vengano comprate (realizzate in denaro). Si tratta dunque di produrre in funzione di acquirenti solvibili; gli acquirenti ricchi, suscettibili di comprare dei prodotti "di lusso" con un alto valore aggiunto, sono assai più preferibili rispetto a dei consumatori senza potere di acquisto e ridotti, nel migliore dei casi, a comprare dei prodotti di scarsa qualità (qualità così tanto inferiore che, per riuscire a estrarne un valore capitalizzabile, viene prodotta in maniera che la sua utilità reale sia la più bassa possibile). Detto ciò, la logica di mercato non trascura necessariamente delle merci utili; il mercato fa la legge, e se c'è una domanda per dei prodotti realmente utili, e se questa domanda è solvibile, si producono tali merci.
Poiché un'economia capitalista ha come obiettivo reale quello di valorizzare il valore, essa privilegia i settori che permettono di creare valore, piuttosto che i settori che non lo permettono.
Certo, un'autorità governativa può, in maniera volontaristica, "dopare" un consumo insufficiente e suscettibile di bloccare il processo di realizzazione del valore, creando in modo fittizio del denaro attraverso l'emissione di moneta che rappresenta un valore fittizio, che non è altro che un anticipo su un valore prodotto nel futuro. Questa variante del principio di "cavalleria", è un classico del capitalismo, e le banche ne sono lo strumento. Esse permettono che si disponga del denaro che anticipano su un valore prodotto successivamente. Un dispositivo di cui ciascuno di noi fa uso in modo corrente (è il meccanismo del credito), ma che è essenziale al capitalismo per permettere al capitale di spostarsi verso quei settori più interessanti, cioè a dire quelli meglio suscettibili di valorizzare tale capitale, senza che il denaro sia da subito la rappresentazione di un valore prodotto.
In tale logica, si capisce perché una guerra sia una cosa eccellente. Essa lascia un territorio devastato che bisogna ricostruire, con una popolazione che ha bisogno di merci (cioè una popolazione di cui le merci hanno bisogno). Fare dell'Europa un territorio da (ri)costruire è stata un'opportunità che gli Stati Uniti non si sono lasciati sfuggire. Ma in realtà, questa "Europa" è stata quella dei paesi fortemente industrializzati e soprattutto quella della Francia e della Germania, dei produttori di carbone e di acciaio. E la sua estensione agli altri paesi, ma sempre sulla base dell'economia capitalista, non poteva che portare ad una situazione ingestibile, quando si è dato inizio all'integrazione di paesi capitalisticamente dipendenti. Cioè a dire, quando è stata intrapresa la costituzione dell'Unione europea (2009: Trattato di Lisbona; l'Unione europea conta oggi 28 paesi).
Il mito dell'Unione europea I bei discorsi su un'Europa unificata suscettibile di relegare le guerre ad un passato ormai andato non cambieranno questa realtà: l'Europa è un'entità economica capitalistica, che è stata costituita per essere un partner nel quadro di un "mondo libero" retto dalla regola della circolazione di mercato dei beni e dei servizi (come pure delle persone). E' perciò illusorio opporre a quest'Europa capitalista, e che non ha altra funzione che quella di essere capitalista, l'idea di un'Europa fondata su altri principi (nota: per esempio l'idea degli "Stati Uniti d'Europa" sviluppata da un teorico trotskista che ha quanto pare non ha realizzato che l'entità europea non esiste altro che per il capitalismo). E' l'idea stessa di Europa che bisogna mettere in discussione.
L'idea d'Europa è il luogo di una contraddizione. Da una parte, rappresenta il concetto politico di un insieme di paesi che parlano con una sola voce nel concerto delle nazioni, e, dall'altra parte, un'entità capitalista nella quale ciascun capitalista individuale nn vede altro, con ogni evidenza, che il proprio interesse. In un  tale ordine d'idee, l'Unione europea è un "letto di Procuste" sul quale gli uni sono sempre troppo grandi mentre gli altri sono sempre troppo piccoli.
DI fronte a questa situazione, alcuni politici deplorano regolarmente il fatto che questa "Europa" non è stata costituita altro che per dei motivi economici (come se non fosse stata costituita proprio per questo!). Altri raccomandano, di fronte alle aporie di una situazione manifestamente ingestibile (una moneta unica per 28 paesi la cui situazione economica è estremamente differente), di tornare a degli Stati-nazione, "alla vecchia maniera".
I discorsi sulla "uscita dall'Euro" si fondano su un'illusione: quella dell'esistenza di Stati-nazione e di capitale nazionale. Ora, nella realtà economica di oggi, il concetto di capitale nazionale non ha più senso. Con la "globalizzazione", i capitali sono diventati tutti "internazionali", e basta esaminare il capitale sociale di molte imprese francesi, ad esempio, per constatare che se la loro sigla è francese, il loro capitale lo è molto meno. Il famoso slogan "comprate francese" è semplicemente obsoleto, poiché anche se un'impresa può produrre in Francia, il suo capitale non conosce alcuna frontiera. I rappresentanti politici di un nazionalismo che pretende di restaurare la sovranità degli Stati, che sia di destra o sia di sinistra, si sono semplicemente sbagliati d'epoca.
Se l'esistenza degli "Stati-nazione" come entità politiche, viene ancora mantenuta, è chiaro che il loro potere è debole nei confronti delle multinazionali. Il capitale non ha patria e conosce solo una logica: quella della sua valorizzazione. Perciò, esso "va" sempre laddove i salari sono più bassi e dove le materie prime ecc. sono meno care, per ottenere un "tasso di profitto" elevato (nota: quello che Marx chiama il "tasso di profitto" può essere rappresentato dalla formula s+c/v, cioè dal rapporto del salario e delle somme investite (materie prime, affitto, ecc.) con il valore capitalizzabile ottenuto. E' questo che spiega come gli azionisti di un'impresa, per esempio di fondi d'investimento, reclamano che venga ottenuto un profitto il più elevato possibile. Tutto ciò senza la minima preoccupazione per la "redditività" di quest'impresa. Perciò, anche delle imprese che sarebbero "redditizie", da un punto di vista capitalistico, possono essere sacrificate a causa della redditività finanziaria insufficiente, i capitali di questi fondi vengono allora dislocati verso altre imprese con superiore redditività finanziaria. Un meccanismo particolarmente evidente oggi, è quello che fa credere alla comparsa di un "capitalismo finanziario" che sarebbe parassitario nei confronti di un "capitalismo sano". Una tale visione è del tutto illusoria: la "finanziarizzazione" è stato un elemento del capitalismo fin da quando esiste, ed è la manifestazione del suo cinismo). L'organizzazione politica degli Stati europei ha poco peso riguardo il potere economico e finanziario, ed è questa l'origine diretta della crisi attuale dell'Europa, crisi legata alla situazione dei paesi del Sud dell'Europa: Grecia, Italia, Spagna, Portogallo. La causa, da una parte, è il cinismo economico delle banche e dei loro dirigenti, e, dall'altra parte, l'incuria di una "Europa" che non costituisce una reale entità unificata come, per esempio, gli Stati Uniti d'America, ma un terreno dove la violenza capitalista ha, se non libero corso, almeno larga libertà di manovra. Come è dimostrato dal modo in cui "l'Europa" pretende di aiutare i paesi in difficoltà come la Grecia.
La crisi, e la crisi dei "paesi del Sud" Contrariamente al discorso del capitalismo, e in particolare del capitalismo statunitense, i paesi che vincono al gioco dell'economia non sono affatto delle "locomotive" ma dei "profittatori": l'economia capitalista è un "gioco a somma zero" nel quale si vince solo perché c'è chi perde. Si tratta di un'economia cinica che non conosce altra regola che quella dell'accumulazione infinita dei guadagni, l'accumulazione infinita del capitale, senza alcuna considerazione dell'utilità reale di quello che viene accumulato (nota: l'ironia sta nel fatto che il "vincitore" non è in grado di "consumare" la totalità dei guadagni che egli accumula. In tutto questo, anche lui è l'oggetto, e non il soggetto, di ciò che è il vero motore del processo capitalista, quello che Marx chiama il "soggetto automatico": il capitale, il valore). Un'economia violenta nella quale non c'è altra solidarietà che la complicità dei briganti: i capitalisti conducono una guerra di tutti contro tutti. In tale guerra, i "deboli" vengono sacrificati, e ovviamente, ci sono dei deboli solo perché i "forti" hanno così deciso. E' questo che spiega il motivo per cui le banche, sempre pronte a salvare altre banche, sono incapaci di salvare le persone.
Incapaci? E' chiaro che questa incapacità, talvolta sancita da delle regole e delle leggi, non è altro che l'apparenza di un sistema che non è fatto per essere "utile alle persone", per "soddisfare dei bisogni umani", ma è fatto per permettere la valorizzazione e l'accumulazione di un valore astratto, che vediamo sotto forma di denaro, e che i nababbi che lo accumulano non sono nemmeno capaci di spenderlo - tanto che gli "sfortunati" del sistema sono ridotti ad una miseria sempre più scandalosa.
A questo proposito, ciò che viene presentato come "Unione europea" non è altro che il terreno di sperimentazione dei meccanismi che, grazie alla globalizzazione, vengono messi in opera su scala planetaria.
Si può capire come, di fronte a tale situazione, sia grande la tentazione di "fare marcia indietro" e di ripristinare le "sovranità nazionali". C'è purtroppo da temere che la tentazione "sovranista", di destra o di sinistra, non sia altro che un'illusione in più, dal momento che alle crisi europee che si estendono non c'è soluzione, se viene limitata allo spazio europeo.
L'Europa non sarà stata altro che un'idea?
Gérard Briche - apparso sulla rivista Outis, 2014.
briche2
- POSTILLA sull'annessione della Crimea da parte di Vladimir Putin -
Al momento in cui è stato scritto quest'articolo (febbraio 2014), l'annessione della penisola di Crimea da parte di Vladimir Putin non era ancora avvenuta. L'esempio dell'Ucraina era stato usato solamente per illustrare il fatto che è assurdo parlare di una "Europa" come di qualcosa che "esiste", se non come effetto del discorso. Ma i recenti avvenimenti in Ucraina richiedono qualche riflessione. L'annessione della Crimea dà tutt'altro rilievo a quello che è stato solo un esempio della difficoltà di poter parlare di "frontiere dell'Europa", comunque la pensino gli uomini politici dell'Unione europea.
Per configurare lo scenario dell'annessione della penisola di Crimea, Vladimir Putin non doveva far altro che riprendere quello dell'annessione del 1938 della regione dei Sudeti, territorio sicuramente germanofono, ma appartenente alla Cecoslovacchia. "La richiesta d'aiuto" alla Germania, il discorso dei dignitari nazisti a proposito della necessità di permettere ai cechi germanofoni di ritrovare la madrepatria, "la riunificazione" accolta con giubilo da una popolazione entusiasta: era tutto lì, i documenti d'archivio ne fanno fede.
Eravamo nel 1938, e qualche mese più tardi, la vergognosa conferenza di Monaco permetteva di approvare quest'annessione, nel quadro di un realismo politico che speravamo sarebbe rimasto lì. Un anno più tardi, scoppiava la seconda guerra mondiale.
Ma torniamo agli avvenimenti che ha vissuto l'Ucraina in questo mese di marzo del 2014. L'annessione della penisola di Crimea dev'essere collocata nell'idea di una "Unione eurasiatica" che sappiamo essere il sogno di Vladimir Putin. Ora, quali sono i paesi che potrebbero costituire quest'ipotetica unione? Sicuramente la Russia, e qualche altro Stato senza alcun potere reale. In realtà, la "Unione eurasiatica" ha senso solo se l'Ucraina ne fa parte, dal momento che è il solo paese che, al di fuori della Russia, può apportare realmente qualcosa.
Perché volere una "Unione eurasiatica"? Inutile attardarsi sulla megalomania di un capo di Stato avido di ricostituire quello che è stata l'Unione Sovietica. L'imperialismo russo, perché questo è quello di cui si tratta, è, come ogni imperialismo, non solo una manifestazione di forza, ma anche una manifestazione di debolezza. Nonostante le sue spacconate e nonostante le inquietudini occidentali, la Russia è debole. Ed è proprio perché è debole che essa cerca un'espansione. L'imperialismo russo, come ogni imperialismo, è la fuga in avanti di un capitalismo che cerca di reagire alle difficoltà di valorizzazione di ciò che possiede in quanto capitale.
Ricordiamoci che in un sistema capitalista, quel che la fa da padrone è la dinamica della valorizzazione del capitale: un capitale che non può valorizzarsi è un peso morto. Si può tentare di valorizzarlo estendendo i suoi mercati; si può anche "spurgare la macchina" distruggendo quello che è un peso morto, e permettere così un rilancio della valorizzazione. Questo si chiama guerra ed è esattamente ciò che è avvenuto con la seconda guerra mondiale: il rilancio economico della Germania nazista doveva necessariamente essere pagato con l'annessione e con la guerra. E non dimentichiamo nemmeno che la guerra non è necessariamente lo scontro regolare di truppe in uniforme, ma può essere la barbarie che talvolta si chiama "guerra civile".
Oggi, la vigliaccheria dei capi di Stato della "Unione europea" è l'eredità della vigliaccheria dei capi di Stato che precedentemente, per realismo politico, hanno accettato l'annessione della regione dei Sudeti da parte di Hitler, e che sono perfino arrivati a dire che quest'ultimo era stato un "gentleman"! Il cinismo e l'arroganza di Vladimir Putin non è da meno. E perché interferire, quando il realismo politico porta i suoi interlocutori ad accettare qualsiasi deviazione dal diritto internazionale? E non parliamo nemmeno di uomini politici che giustificano, o legittimano, il colpo di mano russa, con degli argomenti in cui l'ingenuità fa a gara con la malafede.
Il precedente storico del 1938 è molto inquietante. Perché la logica espansionista di Vladimir Putin ha imposto l'annessione dei territori dell'est dell'Ucraina - in attesa di meglio. Ancora una volta: l'idea "eurasiatica" ha senso solo se l'Ucraina ne fa parte. E non c'è motivo di credere che il "gentleman" installato a Mosca si accontenterà di un'annessione della penisola di Crimea, che costituisce più una manovra volta a valutare la reazione delle altre potenze, che un'operazione essenziale per il progetto di "Unione eurasiatica" da sbattere in faccia alla "Unione europea".
Vladimir Putin ha ragione di considerare la "Unione eurasiatica" come il reciproco della "Unione europea"; mostra come gli Stati-nazione "alla vecchia maniera" non siano più praticabili. I sistema di produzione di merci non è più praticabile su scala "nazionale", e la soluzione imperialista non è altro che la fuga disperata per sfuggire alla crisi, da cui non se ne esce indenni.
In realtà, è questo sistema che non ne può più, e cercare di salvarlo può essere fatto solo a spese delle persone. E sta a quest'ultimi, a tutti noi, girargli le spalle: se c'è una soluzione, sta necessariamente altrove.
Gérard Briche - apparso sulla rivista Outis, 2014 -

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