La prima cronaca della guerra civile spagnola venne scritta da una donna, Carlota O'Neill. Cinque pagine in cui la giornalista descrive la sanguinosa battaglia che fu combattuta presso la base di Hidros de Atalayón, a Melilla, il 17 Luglio 1936. Un testo che non venne mai pubblicato, ma che costò il carcere alla sua autrice. La cronaca rimase agli atti giudiziari fino a quando la figlia, Carlota Leret O'Neill, non l'ha recentemente recuperata.
"Mia madre era una bohemienne, una romantica".
L'inizio della guerra la a Melilla, dove si era recata per trascorrere l'estate insieme al marito, il capitano dell'Aviazione Virgilio Leret, e alle due giovani figlie, Mariela e Carlota. Il capitano Leret doveva tenere un corso estivo presso la base aerea, e aveva ottenuto che la sua famiglia trascorresse con lui quei mesi, su una chiatta ormeggiata al largo della base. Carlota vi si trasferì con le figlie il 1° luglio.
Nella sua cronaca, Carlota O'Neill descrive il luogo dove stanno passando l'estate: "La mia casa eventuale è una barca, ancorata a circa duecento metri dalla base, l'acqua ci circonda da tutte le parti e per andare a terra dobbiamo utilizzare una scialuppa. Alle nostre spalle il Monte chiamato Atalayon. Stiamo di fronte ad un quartiere operaio formato da dodici case, abitate da altrettante famiglie di operai che lavorano nelle officine della base, e di marinai. L'emozione e la gioia è costante, in queste case semplici, per i 34 bambini che ci vivono. E' stata anche installata una scuola, dove un soldato competente fa lezione ai ragazzi. Un po' a sinistra sorge, bianca ed elegante, silhouette della base con la sua torre metereologica, vedetta costante degli uomini dell'aria".
Venerdì 17 luglio la famiglia si godeva una giornata tranquilla. Ma alle cinque del pomeriggio, i soldati corsero ad avvertire il capitano. Leret afferrò la sua pistola e andò alla base. L'unità militare conosciuta come "i regolari", formata dalle famose truppe more e sotto il comando di Francisco Franco, si era ribellata. Quella notte, morirono 200 persone nella terra del protettorato spagnolo in Marocco.
Dalla chiatta, Carlota e le sue figlie assistono alla prima battaglia della Guerra Civile. "Le venne d'istinto", spiega la figlia, ricordando quei momenti che non ha dimenticato. "Era una scrittrice, aveva la formazione di una giornalista, si accorse che quello era un momento molto interessante, storico e pensò che ne era testimone. Questo giustifica la sua fretta di scrivere. Sarebbe stato un fallimento completo, farlo maldestramente". Così la mattina di Sabato 18 luglio, mette giù le pagine dal titolo "Come le forze dei regolari presero la base di Hydro Atalayon", e cambiarono la sua vita. Carlota O'Neill scrive: "L'urlo acuto della sirena mette in subbuglio tutta la base. Sono le 6 del pomeriggio. Un altro grido di aiuto arriva dai soldati, dalle classi, dai marinai e dagli operai..."
Carlota è una testimone eccezionale di quel che le accade intorno e annota nella Cronaca: "I mariti, come un sol uomo, lividi in volto, sono andati alla base. Le donne appena si ritrovano da sole urlano e gridano, disperate, chiamando i figli." Nella sua autobiografia, Carlota O'Neill spiega: "Ho concepito l'idea di conservare, in una nota, quello che avevo visto dal 17 luglio, alle cinque del pomeriggio. Ho pensato che, un giorno, avrebbe potuto interessare a qualcuno." E aggiunge: "Il manoscritto originale è conservato, in questo momento, presso il tribunale di Ceuta, per uno dei processi che mi hanno intentato."
L'autrice non si limitò a descrivere l'attacco, ma riesce a porre il lettore nello stesso luogo dove lei si trova, lo rende partecipe dei suoi sentimenti e delle sue sensazioni: "Ci rifugiamo nella cabina. Dai portelli, cogli occhi pieni di terrore, fissiamo la base. Nel frattempo, a pochi metri, vediamo avanzare l'esercito delle bestie feroci, le facce tragiche e le uniformi dei regolari che hanno insanguinato le Asturie."
La tensione è enorme e la situazione della piccola Carlota,vicino a lei, è privilegiata: "C'è un silenzio terribile, una calma tragica, mentre questi uomini dalla barba ispida e dagli occhi di fuoco procedono, non sembra che camminino, avvicinandosi, quasi braccando le mura della base." E continua: "Gli eventi si svolgono a velocità vertiginosa. Hanno cominciato a sparare. Gli uomini trincerati nella base, scarsi di numero, dal momento che la metà dei soldati è in congedo estivo. Le truppe indigene comandate da ufficiali ribelli intensificano il diluvio di piombo".
La giornalista descrive "il suono dei proiettili" mescolato con "voci di donne" e "grida dei bambini e le grida gutturali delle truppe selvagge". Combattente repubblicana, non può fare a meno di ricordare "le immagini tenebrose degli episodi delle Asturie". Il feroce scontro a fuoco continua, insistente. "Quanto tempo? Lo ignoriamo completamente. Se non fosse che temiamo di fare letteratura, diremmo che sembrano secoli le ore trascorse nella stiva." Infine, lei, la sua cameriera e le bambine decidono di lasciare la stiva della nave. La sua cronaca si conclude con alcune parole profetiche: "Il pericolo è ancora in piedi."
Queste pagine non vennero mai pubblicate, però servirono a condannarla. I regolari presero la base di Melilla, il 17 luglio. Secondo gli storici, quello fu il giorno che cominciò la guerra. Il capitano Leret cercò in tutti i modi di salvare la base e i suoi uomini, ma tutto era contro di lui. Anche gli aerei della Repubblica avevano i motori fuori uso. Nel testo, Carlota lamenta questa situazione: "Se ci fosse anche un paio di idrovolanti in volo! Ma niente, in mare fluttuano sconsolate, le grandi boe dove fino a pochi mesi fa ammaravano gli aerei oggi chiusi negli hangar, le ali insterilite e senza motore." Senza possibilità di difesa, il capitano Leret si arrese, e venne fucilato il giorno successivo. Carlota non lo seppe che sette mesi dopo, mentre era in carcere.
Ciò che aveva scritto, la spedì direttamente in prigione. Dopo la battaglia, Carlota e le sue figlie cercano di trasferirsi a Melilla, in casa di un sottufficiale amico di Virgilio. "Ci disse: figlie mie, rimanete qui, io vado a cercare aiuto e torno subito. E non tornò.", racconta Carlota Leret. La rivedemmo solo quattro anni dopo.
E' rinchiusa nel carcere di Victoria grande. Mesi dopo, arriva il giudice con le pagine manoscritte. Vuole che Carlota le legga. Lei legge, ma il suo istinto di sopravvivenza le fa saltare alcuni degli epiteti più duri, quelli dedicati alle truppe golpiste, adducendo che non riesce a decifrare la sua calligrafia scritta in fretta. Durante il processo la cronaca viene completamente trascritta. La sentenza la condanna "come l'autore del delitto di aver insultato l'esercito" ad una pena di "sei anni di carcere correzionale".
Carlota trascorse quattro terribili anni in carcere, insieme a un centinaio di donne che venivano chiamate "le rosse". Molte vennero fucilate, altre morirono per malattie e fame. Carlota sopravvisse. Tornata a Madrid riuscì a recuperare le sue figlie. Una volta fuori, si mantenne grazie alla scrittura finché riuscì ad arrivare, prima in Venezuela e poi in Messico, dove riprese la sua carriera nel giornalismo. Un giorno decise di tornare in Spagna, durante la democrazia. Secondo sua figlia, "non le piacque". "La Spagna è stata ingrata con lei. La dimenticarono", si lamenta.
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