1939. L'ultimo atto di un copione che era già stato scritto, da qualche tempo. La Catalogna è oramai occupata dai franchisti, Barcellona è stata espugnata. Nessuna resistenza, niente. Il governo repubblicano e i "notabili" delle organizzazioni politiche e sindacali hanno già riparato all'estero, al sicuro. Tutto sembra oramai irrimediabilmente perduto, le giornate del luglio 1936 sono lontane, mille anni.
Però, c'è un però!
Centinaia di migliaia di combattenti resistono ancora. Asserragliati fra Madrid e Valencia. Fra loro, Cipriano Mera, generale di fatto, comandante del sesto corpo di armata. Aveva già proposto a Negrin di rompere tutti i fronti e di passare alla guerriglia. In risposta, c'era stato il silenzio. Forse era una cosa che avrebbero dovuto fare prima. Come le altre riportate dal programma enunciato da Besnard, segretario generale dell'A.I.T.:
1) Una rivolta in Marocco, accompagnata dal riconoscimento pubblico di Largo Caballero.
2) Un tentativo di rivolta in Portogallo
3) Un tentativo di espropriazione dell'oro della Banca di Spagna.
Non si fa la storia con gli " e se ...", ma siamo nel 1939 e l'oro spagnolo è stato da tempo trasferito a Odessa, per finire nelle casseforti sovietiche, ed è dal giugno 1938 che dalla Russia non arriva più niente, nemmeno quegli schioppi senza otturatore che, con brioso senso dell'umorismo, Stalin era solito inviare. Siamo nel 1939, e la politica di non-aggressione fra Unione Sovietica e Germania è un fatto compiuto. La Spagna non vale tanto, non ha mai valso tanto.
Mera sceglierà di sostenere la giunta di Casado, quando questi si illuderà di riuscire a negoziare una pace dignitosa, per salvare il salvabile. Sosterrà la giunta, fino all'ultimo, e per farlo spazzerà via il tentativo stalinista di riprendere il controllo dell'esercito che Negrin aveva loro consegnato col prezzo, anche, delle giornate del maggio 1937, a Barcellona.
In un certo senso, Cipriano Mera chiuderà, a Madrid, il conto apertosi a Barcellona. E qualcuno, alla fine, pagherà.
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