sabato 7 novembre 2015

Lo scandalo dell'esistenza e le inimicizie a sinistra

gaza jesural

Gli assassini dei bambini di Gaza (3 di 15)
- Un'operazione "piombo fuso" per cuori sensibili -
di Robert Kurz

SINTESI
Nella sua analisi critica dell'ideologia, "Gli assassini dei bambini di Gaza", Robert Kurz affronta i modelli di percezione della sinistra riguardo al conflitto in Medio Oriente. Dopo che negli ultimi anni, le guerre capitaliste di ordinamento mondiale, e la loro affermazione da parte dell'ideologia "anti-tedesca", sono state fondamentalmente criticate dalla "Critica della dissociazione-valore", adesso è tempo di considerare anche il rovescio di tale interpretazione ideologica, i cui portatori sono inoltre schierati positivamente con la socializzazione globale del valore e dei suoi prodotti in decomposizione. Queste interpretazioni della situazione mondiale sono impregnate di un "anti-israelismo" affettivo, alimentato anche da un "odio inconscio per gli ebrei" (Micha Brumlik), in quanto lo Stato ebraico e la sua azione militare contro Hamas e Hezbollah  vengono di per sé sussunti al capitale mondiale ed al suo imperialismo securitario. Di conseguenza, la barbarie islamica contro Israele non viene vista come l'altra faccia della medesima medaglia dell'imperialismo di crisi, ma come "resistenza", in maniera quasi romantica. In questo contesto, la base del raffronto col vecchio "anti-imperialismo" impallidisce, ed il conflitto in Medio Oriente diventa un conflitto per procura, al servizio di una "critica del capitalismo" della nuova piccola borghesia, che digerisce regressivamente la crisi mondiale del capitalismo.
(Presentazione del testo nell'Editoriale di EXIT! n° 6 dell'agosto del 2009)

SOMMARIO
* Asimmetria morale ed analisi storica * La violenta emozione dell’inconscio collettivo antiebraico * Il duplice carattere dello Stato d'Israele * L'identificazione positiva e negativa di Israele con il capitale mondiale * Le impossibili richieste di un paradosso reale * La ragion di Stato di Israele nelle guerre contro Hamas e Hezbollah * L'opinione pubblica mondiale anti-israelita e la decomposizione ideologica della sinistra * Una "terza posizione" che non è una posizione * Delitto e castigo o critica radicale mediata storicamente? * Un cuore dalla parte del regime della Sharia * Il determinismo della coscienza e il ruolo degli eroi * Il conflitto per procura e la demoralizzazione della critica del capitalismo * Anti-israelismo - la matrice di un nuovo antisemitismo * La sinistra come Dr. Jeckill e Mr. Hyde *

* La violenta emozione dell’inconscio collettivo antiebraico *
Per un certo inconscio collettivo, c'è uno scandalo ovviamente maggiore dell'oppressione, della guerra e della violenza in generale, ossia, lo scandalo dell'esistenza di Israele in quanto potenza fortemente armata. Il fatto che siano gli ebrei a bombardare i loro nemici ed a sparare con i cannoni dei carriarmati genera, a quanto pare, una qualità differente di disgusto morale, che si manifesta ampiamente prima ancora di qualsiasi inquadramento storico del conflitto. Non è possibile chiarire in altro modo la differenza di emozione. E questa emozione si situa ancora più al di sotto di qualsiasi ideologia antisemita ordinaria, che appaia direttamente o indirettamente in superficie, ragion per cui l'accusa di antisemitismo viene respinta con indignazione, sebbene si tratti di una sindrome globale, a diversi livelli.
La dimensione profonda di questa sindrome si mostra nell'assenza di mediazione con la quale si consumano, lungo questa linea, rotture o divisioni e si costituiscono amare inimicizie proprio a sinistra, divisioni che, in occasione della guerra di Gaza - ancora più tempestosamente di quanto avvenne in occasione dei precedenti conflitti in Medio Oriente - hanno superato, nello spazio di giorni o perfino di ore, tutti i precedenti fronteggiamenti; e non si fermano davanti a nessun tipo di relazione. Così, un articolo, da me scritto per un giornale brasiliano, con una conclusione filo-israeliana, che non era affatto privo di mediazione nei contenuti, ha trovato prontamente eco presso alcune persone di sinistra che si erano mostrate interessate all'elaborazione teorica della critica del valore, anche da me rappresentata. Un sottoscrittore dell'associazione di appoggio mi comunicò che aveva dirottato a "Medico International" il suo ultimo contributo, dopo aver letto "inorridito" questo articolo. Un lettore cancellò per precauzione la sua firma dalla rivista teorica EXIT!, anche se "non parte dal principio" che quest'articolo rappresenti l'opinione di tutti gli autori di EXIT!, e spera in una "presa di distanza" da parte della redazione. Infine, un autore brasiliano dell'editore che pubblica EXIT! suggerì indirettamente, in una lettera che stillava veleno e bile. che sarebbe stato meglio escludere la rivista dal programma editoriale.
Numericamente, queste reazioni non hanno peso, e non vale la pena spenderci emozioni; dobbiamo accettare l'ostilità che ci viene proposta. E' notevole, in ogni caso, che 4.000 caratteri di un articolo di giornale su un avvenimento attuale siano sufficienti a mandare all'aria tutto un contenuto teorico voluminosamente formulato. Si subordina così, ad un'unica conclusione filo-israeliana, tutta una posizione teorica elaborata nel corso di 20 anni, tutta una rivista teorica e anche perfino il carattere personale dell'autore, con riferimenti ai precedenti conflitti. Se poi si va a vedere che il diffuso malessere relativo all'interpretazione delle categorie politico-economiche non ha mai causato alcuna fuoriuscita, e che invece per una fuoriuscita sono state sufficienti alcune frasi del citato articolo, ecco allora che si rivela tutta la forza emotiva che si scatena intorno a questo argomento.
Tutto il dibattito teorico sullo sviluppo sociale del capitalismo diventa nullo e di nessun peso quando il sangue entra in ebollizione contro lo Stato ebraico assassino di bambini. Questi casi isolati sono sintomatici di tutto il dibattito sulla guerra di Gaza, che indica soprattutto un dislocamento emozionale, a partire dal 2001, relativamente alla precedente costellazione di lotta. La base di contenuti storici e di analisi, sempre più sottoilluminata, si sfalda quasi del tutto, per cedere ad una sorta di giustizia ai sensi dello stato di eccezione morale, che reagisce a partire dalla pancia e fa pensare alla decisione infondata ed infondabile di un Carl Schmitt. Più precisamente: la disposizione emozionale, in sé non mediata, è sufficiente, nella coscienza, a legittimare il proprio prender partito, in una situazione di crisi ideologica mondiale difficile da dominare; un prender partito che il più delle volte non dovrebbe nemmeno avvenire, in quanto, a causa dell'apparente indipendenza dell'oggetto condizionato del conflitto, cerca di creare spazio per sé e pretende di trascendere quell'oggetto.
La ragione di questa disposizione dev'essere repressa: per questo essa appare come emozione cieca, che diventa tanto più rigorosa ed insuscettibile di tollerare qualsiasi contestazione, quanto più penosamente si riveste di un'argomentazione ridotta a morale, ma in nessun modo generale ed unanime. Può qui esprimersi un inconscio collettivo simile a quel "odio inconscio per gli ebrei" di cui parla Micha Brumlik, odio che attraversa la società fin dentro la sinistra. La digestione proiettiva antiebraica delle sofferenze e delle offese della storia della modernizzazione, cui in Europa corrisponde una preistoria cristiana, ha lasciato i suoi sedimenti nell'inconscio; ad esempio, attraverso delle trasformazioni perfino nell'orizzonte della percezione infantile. Quest'emozione inconscia non coincide in alcun modo con la razionalizzazione ideologica ugualmente proiettiva, e può anche essere contraria a questa. Il topos ideologico, ma anche inconscio, dell'ebreo come superuomo negativo, è complementare a quello dei negri come subumani, nel contesto coloniale, e a quello degli zingari come contro-immagine di "espulso-rinchiuso", nelle stesse società occidentali; e che sono tutti ugualmente ancorati nell'inconscio, anche prima di emergere alla superficie della coscienza, in determinate situazioni.
C'è da aspettarsi che elementi di questi topos - nel processo di costituzione di una società capitalista mondiale dal colonialismo storico e attraverso lo sviluppo del mercato mondiale - si siano riversati anche in altre regioni del mondo come deformazioni proiettive nell'inconscio collettivo. Così, nei principi della cosiddetta Tricontinental e altrove, la contro-commozione relativa al "essere bianco" mediata colonialmente o post-colonialmente, razzisticamente, può assumere anche la forma di un "odio inconscio per gli ebrei", se questo "essere bianco", in un trasferimento per così dire osmotico di proiezioni originariamente endo-europee, viene identificato in maniera inconscia con la figura, caricata psico-storicamente, dell'ebreo. Il rapporto, spesso teso, negli Stati Uniti, fra neri discriminati ed ebrei discriminati, indica questa direzione. In Medio Oriente e nel cosiddetto spazio islamico, un "odio inconscio per gli ebrei", così mediato, si amalgama assai facilmente con l'abituale opposizione di interessi capitalisti, con il fardello storico ed i modelli ideologici dell'antisemitismo, da molto tempo diffusi per tutto il mondo, ed assunti fin dall'inizio dell'età moderna, e che sono diversamente colorati dal punto di vista culturale e storico.
Così come i tedeschi non possono perdonare Auschwitz agli ebrei, anche gli arabi ed altri non possono perdonare agli ebrei il colonialismo europeo. Non è la stessa cosa, ma in entrambi i casi ci troviamo davanti ad una fluttuazione sociale mondiale dell'inconscio collettivo antiebraico che, secondo la situazione, emerge ripetutamente alla superficie degli atteggiamenti e delle opinioni. Mediato dall'esistenza di Israele, il "giudeo" può diventare il simbolo per eccellenza dell'oppressione colonialista occidentale "bianca". Ci si aspetta, inconsciamente, che gli stessi ebrei non possano perdonare a sé stessi la propria esistenza, in quanto questa esistenza, nella profondità di un sentimento difficilmente accessibile, è diventata la rappresentante di una storia di offese interiorizzata da oltre 200 anni. Se gli ebrei, invece, affermano tale esistenza in quanto Stato - in quanto potenza capitalista armata, inclusi i peggiori deficit sociali, le azioni sporche ed i dilemmi morali, il tutto nelle condizioni della concorrenza universale considerate di per sé insopportabili - allora eco che si scarica "l'odio inconscio per gli ebrei", ancor prima del suo passaggio ad ideologia cosciente, come violenza emozionale della proiezione morale, come sostituto della critica alle relazioni mondiali soggiacenti, che sono anche le proprie.
Pertanto, in questo caso, si usa un'unità di misura morale diversa rispetto ad altre situazioni, o anche rispetto all'unità di misura astratta, ma con maggior enfasi e maggior forza emotiva. Per l'inconscio, è indifferente che le cause delle condizioni storiche siano differenti, o perfino opposte, perché esso è soltanto quel che è, ossia, non è mai preoccupato delle contraddizioni; meno ancora di quanto lo sia la costruzione ideologica aperta. Così si arriva, nell'immediatezza del confronto armato, alla grande colazione morale contro gli assassini dei bambini di Gaza, su trincee storiche, sociali, politiche, teoriche ed ideologiche.
La difficoltà sta nel capire la dimensione profonda del "odio inconscio per gli ebrei", nella sua differenza rispetto all'ideologia antisemita e nel suo simultaneo incrociarsi con questa e, allo stesso tempo, nel portare entrambe allo scoperto nei loro ripudi, implicazioni e relazioni contraddittorie. Una valutazione storica, e del contenuto del conflitto così come si è determinato, esige, tuttavia, un distanziamento dall'immediatezza moralistica, la quale non va al di là dell'empatia con le vittime umane. La differenza fra "odio inconscio per gli ebrei" e ideologia antisemita non può costituire, ovviamente, alcuna base di minimizzazione o di giustificazione. Essa chiarisce, però, per quale ragione l'emozione morale contro gli assassini dei bambini di Gaza, il più delle volte vada di pari passo con un'emozione altrettanto furiosa contro l'accusa di antisemitismo. L'agitazione anti-israeliana occupa un momento che non sempre esclude una critica, quanto meno astratta, dell'antisemitismo ideologico e della sua fondamentazione razionalizzatrice, per esempio nell'aspetto economico. L'incrocio con "l'odio inconscio per gli ebrei" indica però una gradazione flessibile del passaggio allo stereotipo antisemita ed al modello ideologico, i quali, in quanto diga morale contro gli atti di guerra di Israele, vengono tacitamente accettati, oppure irrompono repentinamente nell'agitazione.
Sia ben chiaro: Se, e nella misura in cui, l'asimmetria morale, nei modi di reagire a questo specifico conflitto, si alimenta di un inconscio collettivo, essa non è aperta ad alcun tipo di argomentazione, assai meno ancora di quanto lo siano le ideologie antisemite, razziste, antiziganiste o sessiste, le quali antepongono sempre l'inconscio. Tale asimmetria può essere soltanto individuata e combattuta nel suo contenuto proiettivo. E' proprio questo a far arrabbiare coloro i quali se ne lasciano stritolare e trasportare. Fa parte del lavoro più maturo di una condotta mediatrice di appello alla calma, avvertire i più furiosi che non si dovrebbero irritare, mentre si analizza il loro status, affinché non vadano completamente di fuori. Il controllo del comportamento è già andato a farsi benedire; è anche inutile guardare al momento inconscio dell'eccesso emotivo, nel preciso momento in cui questo, come contro-reazione, rivela al riconoscimento il contenuto ideologico posizionato in maniera immanente. In questo caso, quanto meno prevalgono relazioni coscienti chiare. O forse i pacificatori pretendono di affermare che la forza comunicativa di un'analisi dell'inconscio antiebraico potrebbe gettare degli innocenti moralisti nelle braccia dell'antisemitismo?

- Robert Kurz – 3 di 15 – Continua…

fonte: EXIT!

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