giovedì 12 novembre 2015

"Non comprare niente dagli ebrei!"

gaza

Gli assassini dei bambini di Gaza (8 di 15)
- Un'operazione "piombo fuso" per cuori sensibili -
di Robert Kurz

SINTESI
Nella sua analisi critica dell'ideologia, "Gli assassini dei bambini di Gaza", Robert Kurz affronta i modelli di percezione della sinistra riguardo al conflitto in Medio Oriente. Dopo che negli ultimi anni, le guerre capitaliste di ordinamento mondiale, e la loro affermazione da parte dell'ideologia "anti-tedesca", sono state fondamentalmente criticate dalla "Critica della dissociazione-valore", adesso è tempo di considerare anche il rovescio di tale interpretazione ideologica, i cui portatori sono inoltre schierati positivamente con la socializzazione globale del valore e dei suoi prodotti in decomposizione. Queste interpretazioni della situazione mondiale sono impregnate di un "anti-israelismo" affettivo, alimentato anche da un "odio inconscio per gli ebrei" (Micha Brumlik), in quanto lo Stato ebraico e la sua azione militare contro Hamas e Hezbollah  vengono di per sé sussunti al capitale mondiale ed al suo imperialismo securitario. Di conseguenza, la barbarie islamica contro Israele non viene vista come l'altra faccia della medesima medaglia dell'imperialismo di crisi, ma come "resistenza", in maniera quasi romantica. In questo contesto, la base del raffronto col vecchio "anti-imperialismo" impallidisce, ed il conflitto in Medio Oriente diventa un conflitto per procura, al servizio di una "critica del capitalismo" della nuova piccola borghesia, che digerisce regressivamente la crisi mondiale del capitalismo.
(Presentazione del testo nell'Editoriale di EXIT! n° 6 dell'agosto del 2009)

SOMMARIO
* Asimmetria morale ed analisi storica * La violenta emozione dell'inconscio collettivo antiebraico * Il duplice carattere dello Stato d'Israele * L'identificazione positiva e negativa di Israele con il capitale mondiale * Le impossibili richieste di un paradosso reale * La ragion di Stato di Israele nelle guerre contro Hamas e Hezbollah * L'opinione pubblica mondiale anti-israelita e la decomposizione ideologica della sinistra * Una "terza posizione" che non è una posizione * Delitto e castigo o critica radicale mediata storicamente? * Un cuore dalla parte del regime della Sharia * Il determinismo della coscienza e il ruolo degli eroi * Il conflitto per procura e la demoralizzazione della critica del capitalismo * Anti-israelismo - la matrice di un nuovo antisemitismo * La sinistra come Dr. Jeckill e Mr. Hyde *

* L'opinione pubblica mondiale anti-israelita e la decomposizione ideologica della sinistra *
Il motivo per cui Israele ha rinunciato ad entrambe le opzioni di eliminazione definitiva, di Hamas e di Hezbollah, è dovuto assai poco a delle considerazioni umanitarie di principio; dal momento che nessuna ragion di Stato al mondo è in sé umanitaria, anche questo punto di vista viene invocato costantemente in maniera legittimatrice. Per questa ragione è spropositato pretendere di difendere Israle in questo senso, per mezzo di una contabilità umanistica, come se proprio questo Stato dovesse soddisfare ad una pretesa morale più elevata rispetto a quella dei suoi nemici. La ragione della condotta della guerra, per Israele, in una forma limitata, in ultima analisi - al di là del timore delle conseguenze politiche interne di perdite proprie relativamente elevate - è dovuta in primo luogo all'incertezza riguardo alla posizione di quelli che sono stati finora i suoi protettori occidentali, poiché né gli Stati Uniti né l'Unione Europea, in questa guerra, si sono collocati chiaramente con Israele. D'altra parte, l'attenzione nei confronti della cosiddetta "opinione pubblica mondiale" politica  e mediatica ha svolto sicuramente un suo ruolo. Qui, ancora una volta è intervenuto indirettamente il problema dello statuto sociale mondiale di Israele, anche fra gli attori della sua stessa ragion di Stato, e proprio come condizione per frenare tale ragion di Stato, superando tentativi di delegittimazione simili in altre costellazioni di conflitto.
Qui ha pesato anche la presa di posizione da parte di una maggioranza globale di sinistra. Si potrebbe dire che la già ampia identificazione di Israele con il capitale mondiale e con la sua amministrazione globale di crisi poteva essere messa nella giusta prospettiva, almeno nel senso che emergeva la differenza fra questa qualifica e a guerra condotta da Israele, per proprio conto e contro nemici locali, i quali avevano la ferma volontà di annichilirla in quanto Stato. Invece è avvenuto esattamente il contrario. L'emozione contro gli assassini dei bambini di Gaza, superiore alla valutazione di qualsiasi altro conflitto, lasciava già intuire che, in fondo, le azioni militari condotte da Israele nel suo proprio interesse contro organizzazioni come Hamas ed Hezbollah suscitavano una rabbia maggiore rispetto alle guerre di ordinamento mondiale dell'imperialismo di crisi. Dietro l'asimmetria morale, che permette di celare la valutazione fittizia del contenuto a partire da un punto di vista puramente umanitario ed emotivamente carico, è venuta ben presto alla luce, tuttavia, l'asimmetria politica e - se così si può dire - storico-analitica, dove la presa di posizione guadagna chiari contorni ideologici.
Per il pacifismo etico-morale, che di fatto esiste in Israele ed in altri luoghi, la presa di posizione contro la ragion di Stato israeliana può sottolineare soltanto una "sproporzionalità" quantitativa nell'armamento militare, ed invocare un equilibrio pacifico. Quest'esigenza comprensibile vuole nascondere il carattere modificato dello scontro. La disperazione emotiva a ciò associata, tuttavia, in parti della sinistra guidate da motivazioni per niente pacifiste, si è trasformata in un rabbia del tutto diversa, dovuta al conflitto per procura del capitale mondiale o alla sua riduzione ad uno scontro locale. Ne consegue una differenziazione fra gli oppositori alla guerra, accomunati da un'identità emozionale solo apparente; ossia, da un lato, un programma di pace e di compromesso applicato alla situazione locale, che si radica in un contesto condizionale passato, e attualmente diventato falso, e, dall'altro lato, un programma militante dei nemici di Israele dalla linea dura, che usa la situazione locale come piano di appoggio ad un "anticapitalismo" in cui si riflette ideologicamente la decomposizione della sinistra.
E' impressionante la rapidità con cui questa frazione dalla linea dura, fra gli altri oppositori di sinistra all'intervento militare israeliano, si sia costituita trasversalmente a tutti i precedenti movimenti e posizioni e come, in poche settimane, si siano lasciate cadere tutte le inibizioni relative alla comparazione, o alla equiparazione, fino ad allora considerate inaccettabili, di Israele con gli autori di genocidi, con tutti i signori della guerra dei grandi imperi e perfino con lo Stato nazionalsocialista. Prima, questo era avvenuto, con una simile intensità, solamente da parte dei radicali di destra e dei negatori dell'olocausto. L'eccesso con cui Israele è stata dichiarata nemico dell'umanità, in occasione della guerra delle frontiere contro Hamas, ha avuto un eco nella richiesta di un tribunale che giudicasse i crimini di guerra del governo e degli ufficiali dell'esercito israeliano, e in un appello di Naomi Klein - un'icona del movimento di critica della globalizzazione - al boicottaggio universale dei produttori israeliani; appello che riformula senza mezzi termini la parola d'ordine nazista "non comprare niente dagli ebrei", e che è stato sostenuto sul britannico Guardian da tutto un gruppo di illustri professori di sinistra.
"L'odio inconscio per gli ebrei" come base, si lega con il momento dello stereotipo antisemita nella critica sociale tronca e diffusa di un "anticapitalismo" che non identifica più lo Stato degli ebrei semplicemente con una parte del capitalismo mondiale, ma regredisce definitivamente sulla posizione che lo considera come rappresentante della relazione di capitale in generale, ed elabora questa proiezione nello scontro locale diretto. Per questa posizione, che non è più confusa, l'ostilità contro Israele si è solidificata come centro attuale di ogni impulso alla sofferenza sociale. Dopo la guerra di Gaza, non solo non si vede più il carattere duplice di Israele, ma anche l'antisemitismo storico è stato elevato all'altezza del 21° secolo, in maniera inequivocabile, da parte di persone che si considerano di sinistra. E la pretesa "solidarietà critica" con Israele, che non vuole percepire questo brusco cambiamento, diventa una risorsa di tale formazione antisemita, dal momento che fa dell'aggettivo "critica" la sostanza della sua valutazione, in coro con una condanna emotivamente moralista, che da tempo fiancheggia una causa del tutto diversa.

- Robert Kurz – 8 di 15 – (continua…)

fonte: EXIT!

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