Marx, nella sua vita, ha steso una vasta gamma di taccuini. Spesso li ha usati per aiutarsi nello studio di altri autori. Una sua prassi abituale, era quella di trascrivere lunghi passaggi di un libro in particolare, e poi commentare in maniera approfondita i periodi trascritti.
Nel corso del suo soggiorno a Parigi, Marx ha tenuto nove taccuini - in gran parte dedicati al suo interesse crescente per l'economia - che datano dalla fine del 1843 al gennaio del 1845. I "taccuini di Parigi" hanno a che fare con J. B. Say, Adam Smith, David Ricardo, McCulloch, James Mill, Destott de Tracy, Sismondi, Jeremy Bentham, Boisguillebert, Lauderdale, Schütz, List, Skarbek e Buret. Gran parte dei commenti svolti da Marx su questi autori sono molto frammentari, e le idee hanno dovuto assai spesso essere riformulate, successivamente, nei Manoscritti economico-filosofici del 1844. Fa eccezione il materiale dedicato al libro di James Mill, "Elementi di Economia Politica" (Londra, 1821). Marx utilizza una traduzione francese del 1823, del libro di Mill, e la parte che gli viene dedicata nei taccuini è abbastanza estesa: da pagina 25 del quarto taccuino, continua anche nel quinto. Facendo seguito ad un'ampia selezione di citazioni dal libro di Mill, improvvisamente Marx cambia direzione e comincia a sviluppare una sorta di pensiero tangenziale; dopo aver messo nero su bianco, velocemente, i suoi pensieri, Marx ritorna alla trascrizione. Ma ben presto, ecco che seguono altre digressioni. Questo documento - che riporta solo le tre parti centrali della sezione su Mill, dei taccuini parigini, e che omette gran parte delle trascrizioni di Mill - è assai vicino, nella sua natura, ai Manoscritti del 1844, e potrebbe contenere in sé la parte che manca al secondo Manoscritto economico-filosofico.
Commenti sugli Elementi di Economia Politica, di James Mill
- di Karl Marx -
"... Un mezzo di scambio... è in qualche modo una merce, la quale, per effettuare uno scambio fra due altre merci, viene prima ricevuta in cambio di una, e poi viene data in cambio dell'altra." (p.93) Oro, argento, moneta.
"Per valore della moneta, qui dev'essere intesa la proporzione in cui essa si scambia con altre merci, o la quantità di essa che viene scambiata per una data quantità di altre cose."
"Questa proporzione è determinata dall'ammontare totale di moneta esistente in un dato paese." (p.95)
"Che cosa regola la quantità di moneta?"
"La moneta viene creata sotto due serie di circostanze: O il governo lascia libero l'incremento o la diminuzione di essa; oppure esso controlla la quantità, accrescendola o diminuendola a suo piacere."
"Quando l'aumento o la diminuzione della moneta viene lasciato libero, il governo apre la mente al pubblico, coniando denaro dai lingotti per quanti lo richiedono. Gli individui possessori di lingotti desidereranno convertirli in moneta solo quando è loro interesse farlo; cioè, quando i loro lingotti, convertiti in moneta, avranno più valore di quanto ne avevano nella forma originale. Questo può avvenire soltanto quando la moneta è particolarmente preziosa, e quando la stessa quantità di metallo, allo stato di conio, verrà scambiata per una quantità più grande di altri articoli, rispetto a quando era nello stato di lingotto... Dal momento che il valore della moneta dipende dalla sua quantità, essa ha un valore più grande quando scarseggia. E' allora che il lingotto viene trasformato in moneta. Ma proprio a causa di questa sua conversione, viene ripristinato il precedente rapporto. Pertanto, se il valore della moneta cresce al di sopra di quello del metallo di cui è fatta, l'interesse degli individui agiscono immediatamente, in una condizione di libertà, a ripristinare l'equilibrio aumentando la quantità di moneta." (Pp.99-101)
"Pertanto, ogni qual volta il conio della moneta è libero, la sua quantità è regolata dal valore del metallo, essendo l'interesse degli individui quello di incrementare o diminuire la quantità, in proporzione al fatto che il valore del metallo in moneta sia maggiore o minore del valore in lingotti."
"Ma se la quantità di moneta è determinata dal valore del metallo, è ancora necessario chiedersi che cosa è che determina il valore del metallo... Oro e argento sono in realtà merci. Esse sono merci, per ottenere le quali dev'essere impiegato lavoro e capitale. E' il costo di produzione, pertanto, che ne determina il valore, come quello delle altre produzioni ordinarie." (P.101)
Nel compromesso fra denaro e valore del metallo, come nella sua descrizione del costo di produzione in quanto unico fattore che ne determina il valore, Mill commette l'errore - come avviene con la Scuola di Ricardo in generale - di enunciare la legge astratta senza quel cambiamento o quel continuo superamento attraverso cui solo così tale legge si pone in essere. Se, ad esempio, è una legge costante il fatto che il costo di produzione, in ultima istanza - o piuttosto quando domanda ed offerta sono in equilibrio, e pertanto valore e costo di produzione non si trovano necessariamente in relazione. Infatti, c'è sempre soltanto un momentaneo equilibrio di domanda ed offerta a causa della precedente fluttuazione di domanda ed offerta, dovuta alla sproporzione fra costo di produzione e valore di scambio, proprio perché questa fluttuazione e questa sproporzione analogamente seguono il momentaneo stato di equilibrio. Questo movimento reale, di cui quella legge è solo un fattore astratto, fortuito ed unilaterale, viene considerato dalla recente economia politica come qualcosa di accidentale e di inessenziale. Perché? Perché nelle acute e precise formule cui riducono l'economia politica, la formula di base, se vogliono esprimere astrattamente quel movimento, dovrebbe essere: Nell'economia politica, la legge è determinata dal suo contrario, dall'assenza di legge. La vera legge dell'economia politica è il caso, dai cui movimenti noi, gli scienziati, isoliamo arbitrariamente alcuni fattori sotto forma di leggi.
Mill esprime molto bene l'essenza della questione nella forma di un concetto che caratterizza il denaro come mezzo di scambio. L'essenza del denaro non consiste, in primo luogo, nel fatto che in esso viene alienata la proprietà, ma nel fatto che viene estraniata l'attività o il movimento che media, viene alienato l'atto umano, sociale, attraverso il quale i prodotti dell'uomo si integrano scambievolmente, e la qualità di una cosa materiale esterna all'uomo diviene una qualità del denaro. In quanto è l'uomo stesso che aliena quest'attività mediatrice, in essa egli è attivo solamente come uomo che ha perduto sé stesso, come uomo disumanizzato; la stessa relazione delle cose, l'operazione dell'uomo su di esse diviene l'operazione di un ente che sta al di fuori ed al di sopra dell'uomo. Attraverso questo intermediario estraneo - mentre è l'uomo stesso che dovrebbe essere l'intermediario per l'uomo - l'uomo vede la sua volontà, la sua attività ed il suo rapporto con altri come una potenza indipendente da lui e dagli altri. Dunque, la sua schiavitù giunge al culmine. E' chiaro che questo mediatore diventa ora un vero e proprio Dio, perché il mediatore è il potere reale su quello che esso media per me. Il suo culto diventa un fine in sé. Gli oggetti separati da questo mediatore hanno perso il loro valore. Pertanto gli oggetti hanno valore solo in quanto rappresentano il mediatore, laddove originariamente sembrava che il mediatore aveva valore solo in quanto esso rappresentava tali oggetti. Questo capovolgimento della relazione originale è inevitabile. Questo mediatore è quindi la perduta, estraniata essenza della proprietà privata, proprietà privata la quale è diventata alienata, esterna a sé stessa, proprio come è alienata l'attività dell'uomo, la mediazione esternalizzata fra produzione dell'uomo e produzione dell'uomo. Tutte le qualità che emergono nel corso di quest'attività vengono, pertanto, trasferite a questo mediatore. Perciò l'uomo diventa più povero come uomo, cioè, separato da questo mediatore, questo mediatore diventa più ricco.
In origine, Cristo rappresenta: 1) gli uomini davanti a Dio; 2) Dio per gli uomini; 3) gli uomini per l'uomo.
Similmente, il denaro in origine rappresenta, secondo l'idea di denaro: 1) la proprietà privata per la proprietà privata; 2) la società per la proprietà privata; 3) la proprietà privata per la società.
Ma Cristo è Dio alienato ed uomo alienato. Dio ha valore solo nella misura in cui egli rappresenta Cristo, e l'uomo ha valore solamente nella misura in cui egli rappresenta Cristo. Lo stesso avviene con il denaro.
Perché la proprietà priva si deve sviluppare in sistema monetario? Perché l'uomo come essere sociale deve scambiare e perché lo scambio - presupponendo la proprietà privata - deve evolvere in valore. Il processo di mediazione fra gli uomini impegnati nello scambio, non è un processo sociale o umano, non è una relazione umana; è la relazione astratta fra la proprietà privata e la proprietà privata, e l'espressione di questa astratta relazione è il valore, la cui attuale esistenza come vale costituisce il denaro. Dacché gli uomini si sono impegnati nello scambio, non rapportandosi gli uni con gli altri in quanto uomini, le cose hanno perduto il loro significato di proprietà umana, personale. La relazione sociale fra proprietà privata e proprietà privata è già una relazione in cui la proprietà privata è estraniata rispetto a sé stessa. La forma di esistenza in sé di tale relazione, il denaro, è perciò l'alienazione della proprietà privata, l'astrazione dalla sua specifica, personale natura.
Perciò, l'opposizione della moderna economia politica al sistema monetario, il "système monétaire" [*1], nonostante tutta la sua bravura, non può ottenere alcuna vittoria decisiva. Poiché, se la cruda superstizione economica delle persone e dei governi si aggrappa alla palpabile, tangibile, cospicua borsa di denaro, e quindi crede che il valore assoluto del prezioso metallo ed il suo possesso siano l'unica realtà della ricchezza - e se poi l'illuminato, saggio economista se ne viene fuori e prova loro che il denaro è una merce come tutte le altre, il cui valore, come quello di qualsiasi altra merce, dipende dal rapporto del costo di produzione con la domanda, con la concorrenza, e l'offerta, dalla quantità o dalla concorrenza delle altre merci - allora quest'economista ha dato la risposta corretta per cui il valore reale delle cose è il loro valore di scambio e che questo in ultima analisi esiste nel denaro, nella misura in cui questo si scambia con i metalli preziosi, e che di conseguenza il denaro rappresenta il vero valore delle cose, e per questa ragione il denaro è la cosa più desiderabile. In effetti, in ultima analisi la stessa teoria dell'economista equivale alla sua saggezza, dal momento che l'unica differenza consiste nel fatto che egli possiede la capacità di astrazione, la capacità di riconoscere l'esistenza del denaro in tutte le forme di merce e quindi nel non credere nel valore esclusivo del suo ufficiale, metallico, modo di esistenza. L'esistenza metallica del denaro è soltanto l'espressione ufficiale palpabile dell'anima del denaro, la quale è presente in tutti i rami della produzione ed in tutte le attività della società borghese.
L'opposizione degli economisti moderni al sistema monetario è dovuto meramente al fatto che essi concepiscono l'essenza del denaro nella sua astratta universalità, e sono quindi consapevoli della superstizione sensuale che crede che quest'essenza esista esclusivamente nel metallo prezioso. Essi sostituiscono alla cruda superstizione una superstizione raffinata. Dacché, comunque, nella loro essenza hanno entrambe la stessa radice, la forma illuminata di superstizione non può avere successo nel soppiantare completamente la forma cruda e sensuale, dal momento che la prima non attacca l'essenza dell'ultima, ma soltanto la forma particolare di tale essenza.
Il modo personale dell'esistenza del denaro come denaro - e non solo come l'interno, implicito, nascosto rapporto sociale di classe fra merci - questo modo di esistenza corrisponde più all'essenza del denaro, a quella più astratta, di quanto corrisponda alla relazione naturale con le altre merci, in quanto più appare come il prodotto - e non ancora come il non-prodotto dell'uomo - meno primitiva è la sfera della sua esistenza, più è creato dall'uomo o, in termini economici, e più grande è la relazione inversa del suo valore in quanto denaro rispetto al valore di scambio, o al valore monetario del materiale dentro il quale esiste. Perciò, le banconote e il numero totale delle rappresentazioni cartacee del denaro (quali cambiali, pagherò, titoli, ecc.) sono la maniera più perfetta dell'esistenza del denaro in quanto denaro e come fattore necessario allo sviluppo progressivo del sistema monetario. Nel sistema creditizio, di cui l'attività bancaria è l'espressione perfetta, sembra che il potere della forza aliena, materiale sia stato spezzato, il rapporto di auto-estraniamento abolito, e che l'uomo abbia ancora una volta delle relazioni umane con l'uomo. I sansimonisti, ingannati da questa apparenza, hanno guardato allo sviluppo del denaro, titoli cambiari, banconote, rappresentazioni cartacee della moneta, credito, operazioni bancarie, come ad una graduale abolizione della separazione dell'uomo dalle cose, del capitale dal lavoro, della proprietà privata dal denaro e del denaro dall'uomo, e come all'abolizione della separazione dell'uomo dall'uomo. Un sistema bancario organizzato, è dunque il loro ideale. Ma quest'abolizione dello straniamento, questo ritorno dell'uomo a sé stesso, e perciò agli altri uomini, è soltanto un'apparenza; l'auto-straniamento, la disumanizzazione, è tanto più infame ed estrema dal momento che i suoi elementi non sono più la merce, il metallo, la carta, ma l'esistenza morale dell'uomo, l'esistenza sociale dell'uomo, il profondo intimo del suo cuore, e poiché sotto l'apparenza della fiducia dell'uomo nell'uomo c'è la sfiducia ed il completo straniamento. Cosa costituisce l'essenza del credito? Lasciamo qui del tutto fuori il contenuto del credito, che è ancora di nuovo il denaro. Lasciamo fuori, quindi, il contenuto di questa fiducia in base alla quale un uomo riconosce un altro uomo portandolo ad una certa quantità di valore e - nella migliore delle ipotesi, vale a dire, quando non domanda interessi esosi per il credito, cioè, non è un usuraio e non dimostra di ritenere il suo prossimo un truffatore, ma bensì è un uomo "buono". Come uomo "buono", per lui quello che merita la sua fiducia è, come per Shylock, un uomo che è "in grado di pagare".
Il credito è concepibile secondo due relazioni e sotto due diverse condizioni. Le due relazioni sono: primo, un ricco concede credito ad un povero che egli considera laborioso e dignitoso. Questo genere di credito appartiene al lato romantico, sentimentale dell'economia politica, alle sue aberrazioni, eccessi, eccezioni, e non alla regola. Ma anche assumendo una tale eccezione ed ammettendo questa romantica possibilità, la vita del povero ed il suo talento e la sua attività servono al ricco come garanzie della restituzione del denaro prestato. Ciò significa, dunque, che tutte le virtù sociali del povero, il contenuto della sua attività vitale, la sua esistenza stessa, rappresentano per il ricco il rimborso del suo capitale insieme al consueto interesse. Perciò, la morte del povero è l'eventualità peggiore per il suo creditore. E' la morte del suo capitale insieme a quella del suo interesse. Andrebbe considerato quanto sia vile stimare il valore di un uomo in denaro, come avviene nelle relazioni di credito. Normalmente, il creditore possiede, oltre alle garanzie morali, anche le garanzie per una costrizione legale e anche altre garanzie più o meno reali, rispetto al suo uomo. Se l'uomo cui si concede credito è egli stesso un uomo dotato di mezzi, il credito diventa semplicemente un mezzo per facilitare lo scambio, che è come dire che il denaro stesso viene innalzato alla sua forma completamente ideale. Il credito è il giudizio economico sulla moralità di un uomo. Nel credito, al posto del metallo o della carte, l'uomo stesso è diventato l'intermediario dello scambio, non però in quanto uomo, ma in quanto modo di esistenza del capitale e del suo interesse. Il medium dello scambio è dunque veramente ritornato e si è trasferito dalla sua figura materiale nell'uomo, ma solo perché l'uomo stesso si è trasferito fuori di sé ed è diventato egli stesso una figura materiale. Entro il rapporto di credito, non è il denaro che viene superato dall'uomo, ma è l'uomo stesso che viene trasformato in denaro, ossia il denaro si è incorporato nell'uomo. L'individualità umana, la moralità umana è diventata essa stessa articolo di commercio, un materiale per l'esistenza del denaro. Non è più moneta e carta, ma la mia propria personale esistenza, la mia carne e sangue, le mie virtù sociali e il mio valore, sono la materia, il corpo dello spirito del denaro. Il credito distingue il valore del denaro, non più in denaro, ma in carne umana ed in cuore umano. Dentro un falso sistema, ogni progresso è il più alto regresso, ogni inconseguenza è l'estrema conseguenza dell'infamia.
All'interno del sistema creditizio, la sua natura, estraniata dall'uomo, sotto l'apparenza di un apprezzamento economico estremo dell'uomo, opera in duplice modo:
1) L'antitesi fra capitalista e lavoratore, fra grandi e piccoli capitalisti, diviene ancora più grande in quanto il credito viene concesso solo a chi ha già, ed è una nuova opportunità di accumulazione per il ricco, o in quanto il povero ritiene che la discrezione arbitraria del ricco, ed il giudizio di quest'ultimo su di lui, conferma o nega la sua intera esistenza e che questa sua esistenza è totalmente dipendente da tale contingenza.
2) La mutua dissimulazione, l'ipocrisia ed il bigottismo vengono spinte fino all'estrema grandezza, cosicché l'uomo senza credito sottostà non solo al semplice giudizio che lui è povero, ma in aggiunta subisce un giudizio morale peggiorativo per cui non è degno di fiducia, di riconoscimento, e quindi è un paria sociale, un uomo cattivo, ed oltre alle sue privazioni, il povero subisce quest'umiliazione e l'umiliante necessità di dover chiedere credito al ricco.
3) Dal momento che, essendoci questa esistenza del tutto nominale del denaro, la contraffazione non può essere intrapresa dall'uomo se non a partire dal materiale della sua stessa persona, egli deve diventare moneta falsa, ottenere credito di nascosto, mentendo, ecc., e questa relazione di credito - sia da parte dell'uomo che si fida e si da parte dell'uomo che necessita di fiducia - diventa oggetto di commercio, oggetto di inganno reciproco e di abuso. Qui diventa anche palesamente evidente che ad essere distrutte sono le basi della fiducia economia; si calcola con diffidenza se il credito possa essere dato o no; si spia nei segreti della vita privata, ecc., di chi richiede credito; si rendono note le ristrettezze temporanee al fine di recare danno ad un rivale per mezzo di un improvviso crollo dei suoi crediti, ecc. Tutto un sistema di fallimenti, di bancarotta, ecc.... Per quanto riguarda i prestiti pubblici, lo Stato occupa esattamente lo stesso posto che occupa l'uomo negli altri esempi... Nel gioco dei titoli di Stato, si vede come lo Stato sia diventato il balocco degli uomini d'affari.
4) Il sistema di credito ha infine il suo compimento nella banca. La creazione dei banchieri, il dominio dello Stato da parte della banca, la concentrazione del potere in queste mani, questo Aeropago economico della nazione, è il degno perfezionamento del denaro.
Nel sistema di credito, il riconoscimento morale di un uomo, come fiducia nello Stato ecc., assume la forma del credito; si svela così il segreto e si mostra per quello che realmente è, la menzogna del riconoscimento morale, l'infamia immorale di questa moralità, l'ipocrisia e l'egoismo che c'è nella fiducia dello Stato.
Lo scambio, sia di attività umana nella produzione stessa che del prodotto umano uno contro l'altro, equivale all'attività di specie e allo spirito della specie, al reale, cosciente e vero modo di esistenza cui attiene l'attività sociale ed il godimento sociale. Dal momento che la natura umana è la vera comunità degli uomini, manifestando la loro natura gli uomini creano, producono la comunità umana, l'entità sociale, che non è potere universale astratto opposto al potere singolo individuale, ma è la natura essenziale di ciascun individuo, la sua propria attività, la sua propria vita, il suo proprio spirito, il suo proprio benessere. Perciò questa vera comunità non viene in essere attraverso la riflessione. essa appare avere necessità egoistiche ed individuali, vale a dire, essa è direttamente prodotta dalla sua stessa attività vitale.
La comunità degli uomini, ovvero la manifestazione della natura degli uomini, il loro mutuo completamento del risultato di cui sono specie-vita, la vita veramente umana - questa comunità è concepita dall'economia politica sotto forma di scambio e di commercio. La società, dice Destutt de Tracy, è una serie di scambi reciproci. E' precisamente questo processo di reciproca integrazione. La società, dice Adam Smith, è una società commerciale. Ciascuno dei suoi membri è un mercante.
Abbiamo visto che l'economia politica stabilisce la forma straniata del rapporto sociale come la forma essenziale ed originale corrispondente alla natura dell'uomo.
L'economia politica - come processo reale - parte dalla relazione fra uomo ed uomo come relazione fra proprietario e proprietario. Se viene presupposto l'uomo in quanto proprietario, ossia, quindi come proprietario esclusivo, che dimostra la sua personalità e distingue sé stesso e, allo stesso tempo, entra in relazione con gli altri uomini per mezzo del suo essere proprietario esclusivo - la proprietà privata è la sua personale, distintiva, e quindi essenziale forma di esistenza - allora la perdita o la cessione della proprietà privata è un'alienazione dell'uomo, in quanto è proprietà privata esso stesso. Qui dovremmo preoccuparci soltanto dell'ultima definizione. Se do la mia proprietà privata a qualcun altro, essa cessa di essere mia; diventa qualcosa di indipendente da me, si trova fuori dalla mia sfera, una cosa a me esterna. Perciò io ho alienato la mia proprietà privata. Riguardo a me, quindi, io l'ho trasformata in proprietà privata alienata. Ma l'ho soltanto fatta diventare una cosa alienata in generale, ho solo abolito la mia relazione personale con essa, l'ho restituita alle potenze elementari della natura se ho alienato soltanto rispetto a me stesso. E' diventata proprietà privata alienata solo se, pur cessando di essere mia proprietà privata, per questo non ha smesso di essere proprietà privata in quanto tale, vale a dire, se essa entra nella stessa relazione con un altro uomo, a parte me, come ciò che essa aveva avuto con me; detto in breve, se essa diventa la proprietà privata di un altro uomo. Escluso il caso di violenza - che cosa mi porta ad alienare ad un altro uomo la mia proprietà? L'economia politica risponde correttamente: la necessità, il bisogno. Anche l'altro uomo è un proprietario, ma è il proprietario di un'altra cosa, che a me manca e di cui non posso e non voglio fare senza, che mi appare come una necessità per il completamento della mia esistenza e la realizzazione della mia natura.
Il legame che unisce due proprietari l'uno con l'altro è il tipo specifico di oggetto che costituisce la sostanza della loro proprietà privata. Il desiderio per questi due oggetti, cioè, il bisogno di essi, indica ciascuno dei proprietari, e lo rende conscio di non essere l'essere particolare che egli ritiene di essere, ma un essere totale i cui bisogni sono in relazione alla proprietà interna a tutti i prodotti, inclusi quelli del lavoro di un altro. Poiché il bisogno di una cosa è la più evidente, irrefutabile prova che la cosa appartiene alla mia essenza, che la sua esistenza è per me, che la sua proprietà è la proprietà, la peculiarità, della mia essenza. Di conseguenza, entrambi i proprietari sono costretti a cedere la loro proprietà privata, ma a farlo in maniera tale che allo stesso tempo confermano la proprietà privata, ovvero a cedere la proprietà privata dentro quella relazione di proprietari privati. Di conseguenza, ciascuno aliena una parte della sua proprietà privata all'altro.
La connessione sociale o la relazione sociale fra i due proprietari è quindi quella della reciprocità nell'alienazione, postulando la relazione di alienazione su entrambe le parti, o l'alienazione come la relazione dei entrambi i proprietari, mentre nella semplice proprietà privata, l'alienazione avviene solo in relazione a sé stessi, unilateralmente.
Lo scambio o il baratto è perciò l'atto sociale, l'atto della specie, la comunità, il rapporto sociale e l'integrazione degli uomini all'interno della proprietà privata, e quindi l'atto alienato della specie. E' proprio per questa ragione che esso appare come baratto. Per questa ragione, ugualmente, è l'opposto della relazione sociale.
Attraverso l'alienazione reciproca o lo straniamento della proprietà privata, la proprietà privata stessa ricade nella categoria della proprietà privata alienata. Poiché, in primo luogo, essa ha cessato di essere il prodotto del lavoro del suo proprietario, la sua esclusiva, distintiva personalità. In quanto è stata alienata, essa è venuta via dal proprietario di cui era il prodotto ed ha acquisito un significato personale per qualcuno di cui non è il prodotto. Essa ha perduto il suo personale significato per il proprietario. In secondo luogo, essa è stata portata in relazione con un'altra proprietà privata, e si è messa alla pari con quest'ultima. Il suo posto è stato preso da una proprietà privata di tipo diversa, così come essa prende il posto di una proprietà di tipo diverso. Da entrambe le parti, di conseguenza, la proprietà privata appare come il rappresentante di un tipo diverso di proprietà privata, come l'equivalente di un diverso prodotto naturale, ed entrambe le parti sono relazionate all'altra in maniera tale che ciascuna rappresenta il modo di esistenza dell'altra, ed entrambi si riferiscono all'altro come al sostituto, di un equivalente. Invece della sua immediata unità con sé stessa, essa esiste ora solamente come relazione a qualcos'altro. Il suo modo di esistenza come equivalente non è più il suo specifico modo di esistenza. Essa è così diventata un valore, ed immediatamente un valore di scambio. Il suo modo di esistenza come valore è una designazione alienata di sé stessa, diversa dalla sua immediata esistenza, esterna alla sua specifica natura, un modo meramente relativo di esistenza.
Come questo valore viene più precisamente determinato dovrà essere descritto altrove, e anche come esso diventa prezzo.
Essendo presupposta la relazione di scambio, il lavoro diventa direttamente lavoro per guadagnarsi da vivere. Questa relazione di lavoro alienato raggiunge il suo punto più alto quando 1) da un lato il lavoro per guadagnarsi da vivere ed il prodotto del lavoratore non hanno alcuna relazione diretta con il suo bisogno e con la sua funzione di lavoratore, ma entrambi gli aspetti sono determinati da combinazioni sociali aliene al lavoratore; 2) chi compra il prodotto non è egli stesso un produttore, ma dà in cambio quello che qualcun altro ha prodotto. Nella cruda forma di proprietà privata alienata, nel baratto, ciascuno dei proprietari ha prodotto ciò di cui ha immediatamente bisogno, ciò che il suo talento e la materia prima disponibile lo hanno spinto a fare. Ciascuno, quindi, scambia con l'altro solo il surplus della sua produzione. E' vero che il lavoro era la sua fonte immediata di sussistenza, ma allo stesso tempo era anche la manifestazione della sua esistenza individuale. Attraverso lo scambio, il suo lavoro è diventato parzialmente fonte di reddito. Il suo scopo ora differisce dal suo modo di esistenza. Il prodotto viene prodotto come valore, come valore di scambio, come un equivalente, e non più a causa della sua diretta, personale relazione con il produttore. Più si differenzia la produzione, e qui più si differenziano i bisogni, da una parte, e più diventano unilaterali le attività del produttore, dall'altra parte, più il suo lavoro ricade nella categoria di lavoro per guadagnarsi da vivere, finché alla fine esso ha solo questo significato e diventa abbastanza accidentale ed inessenziale che la relazione del produttore con il suo prodotto sia di immediato godimento e di bisogno personale, ed anche che la sua attività, l'atto stesso del lavoro, sia per lui godimento della sua personalità e realizzazione delle sue abilità naturali e delle sue finalità spirituali.
Nel lavoro retribuito sono contenute: 1) l'estraneazione e l'accidentalità del lavoro rispetto al soggetto che lavora; 2) l'estraneazione e l'accidentalità del lavoro rispetto al suo oggetto: 3) la determinazione del lavoratore da parte dei bisogni sociali, che per lui sono tuttavia estranei e rappresentano una coercizione alla quale egli si assoggetta spinto dal suo bisogno egoistico e dalla necessità, e che per lui hanno solo il significato di una fonte di soddisfacimento del suo bisogno, così come, rispetto ad essi, egli esiste solamente come uno schiavo dei bisogni; 4) il fatto che il mantenimento della sua esistenza individuale appaia al lavoratore come lo scopo della sua attività, mentre il suo agire reale viene da lui considerato soltanto un mezzo; che egli viva per procacciarsi alimenti.
Quanto più grande ed evoluta appare dunque la potenza della società, all'interno del rapporto della proprietà privata, tanto più egoista, asociale e reso estraneo alla sua propria essenza diviene l'uomo.
Così come lo scambio reciproco dei prodotti dell'attività umana si presenta come baratto, come traffico, anche l'integrazione e lo scambio reciproco dell'attività appare come: divisione del lavoro, che fa dell'uomo un'essenza la più astratta possibile, un tornio ecc., e lo trasforma in un aborto spirituale e fisico.
E' proprio l'unità del lavoro umano che viene considerata meramente come divisione del lavoro, poiché la natura sociale nasce come il suo opposto, sotto forma di straniamento. La divisione del lavoro cresce con la civilizzazione.
Nel presupposto della divisione del lavoro, il prodotto, il materiale della proprietà privata, acquisisce per l'individuo sempre più il significato di un equivalente, ed in quanto egli non scambia più solo il suo surplus, e l'oggetto della sua produzione gli può essere semplicemente indifferente, di modo che egli non scambia più il suo prodotto per qualcosa di cui ha direttamente bisogno. L'equivalente nasce come equivalente in denaro, che è ora il risultato immediato del lavoro per guadagnare da vivere ed il mezzo di scambio (vedi sopra).
Il dominio completo della cosa straniata sull'uomo è diventato evidente nel denaro, il quale è del tutto indifferente sia alla natura del materiale, vale a dire alla natura specifica della proprietà privata, che alla personalità del proprietario. Quello che prima era il dominio della persona sulla persona, è ora il dominio generale della cosa sulla persona, del prodotto sul produttore. Proprio come il concetto di equivalente, il valore, implica già l'alienazione della proprietà privata, ragion per cui il denaro è sensuale, in quanto esistenza oggettiva di tale alienazione.
Non serve dire che l'economia politica è in grado di cogliere questo sviluppo solo in quanto fatto, in quanto risultato di una necessità fortuita.
La separazione del lavoro da sé stesso - separazione del lavoratore dal capitalista - separazione di lavoro e capitale, la forma originale di cui è fatta la proprietà fondiaria e di cui sono fatti i beni mobili... La caratteristica determinante originale della proprietà privata è il monopolio; dal momento in cui si crea una costituzione politica, essa è quella del monopolio. Il monopolio perfetto è la concorrenza.
Per l'economista, produzione, consumo e, come mediatore di entrambi, scambio o distribuzione, sono [attività] separate. La separazione di produzione e consumo, di spirito ed azione, nei diversi individui e nello stesso individuo, è la separazione del lavoro dal suo oggetto e da sé stesso come qualcosa di spirituale. La distribuzione è il potere della proprietà privata che si manifesta.
La separazione di lavoro, capitale e proprietà fondiaria, gli uni dagli altri, come quella del lavoro dal lavoro, del capitale dal capitale, e della proprietà fondiaria dalla proprietà fondiaria, e infine la separazione del lavoro dai salari, del capitale dal profitto, e del profitto dall'interesse, e ultimo di tutti, della proprietà fondiaria dalla rendita fondiaria, dimostra auto-estraniazione sia sotto forma di auto-estraniazione che di estraniazione reciproca.
"Dobbiamo esaminare gli effetti causati dai tentativi del governo di controllare l'aumento o la diminuzione del denaro [...] Quando esso si sforza di mantenere la quantità di denaro inferiore a quelle che ci dovrebbe essere, se le cose venissero lasciate libere, aumenta il valore del metallo nella moneta, e fa diventare interesse di ognuno, [chi può], convertire i suoi lingotti in denaro."
Le persone "fanno ricorso al conio privato. E questo il governo deve impedirlo punendolo. Da un altro lato, quando lo scopo del governo è quello di far aumentare la quantità di denaro, più di quanto ce ne sarebbe se fosse lasciato in libertà, dovrebbe ridurre il valore del metallo nel denaro, al di sotto del suo valore in lingotti, e far sì che sia interesse di ognuno fondere le monete. Anche questo, il governo dovrebbe impedirlo con la punizione. Ma la prospettiva del castigo avrà prevalenza sulla prospettiva di profitto [, solo se il profitto è piccolo]." (Pp. 101, 102 ).
Sezione IX. "Se ci sono due individui, uno dei quali deve all'altro £100, e l'altro deve a lui £100," invece di pagare ciascuno questa somma "tutto quello che devono fare è scambiare i loro obblighi reciproci. Il caso "è lo stesso che fra due nazioni... Da qui i titoli di cambio." Il loro uso era raccomandato da una necessità ancora più forte [...], perché il grossolano sistema politico di questi tempi proibiva l'esportazione di metalli preziosi, e puniva con la massima severità ogni violazione... ." PP.104-05, 106.
Sezione X. Limitazione del consumo improduttivo per mezzo della carta monete. P. 108.
Sezione XI. "Gli inconvenienti" della carta moneta sono... "In primo luogo, - Il fallimento delle parti, dalle quali vengono emesse le note, ad adempiere ai loro impegni. In secondo luogo - Contraffazione. In terzo luogo, - L'alterazione del valore della valuta." P. 110.
Sezione XII. "... i metalli preziosi, sono [...] quella merce [la quale viene in generale comprata e venduta...]. Tali merci possono soltanto essere esportate, quando sono meno costose nel paese da cui provengono, rispetto al paese cui vengono inviate; e che tali merci possono essere importate soltanto, laddove sono più care nel paese cui vanno, rispetto al paese da cui vengono spedite." Di conseguenza dipende dal valore dei metalli preziosi in un paese che esse vengano importate od esportate. Pp. 128, 129.
Sezione XIII. "Quando parliamo di valore del metallo prezioso, intendiamo la quantità di altre cose con cui verrà scambiato." Questa relazione è differente in paesi differenti e perfino in parti differenti del paese. "Diciamo che vivere è più a buon mercato; in altre parole, le merci possono essere acquistate per mezzo di una più piccola quantità di denaro." P. 133.
Sezione XVI. La relazione fra nazioni è come quella fra commerciati... "I commercianti [...] compreranno sempre sul mercato meno caro, e venderanno in quello più caro." P. 159.
IV. Consumo
"Produzione, Distribuzione, Scambio [...] sono mezzi. Nessun uomo produce per la vendita del produrre [...] distribuzione e scambio sono solamente le operazioni intermedie [per portare le cose che sono state prodotte nelle mani di coloro che sono] per consumarle." P. 177.
Sezione I. "Di consumo, esistono due specie." 1) Produttivo. Esso include ogni cosa "spesa al fine della produzione di qualcosa" e comprende "i mezzi di sussistenza del lavoratore..." La seconda classe poi [...] "macchinari; ivi inclusi gli utensili [...], gli edifici necessari alle operazioni produttive, e perfino il bestiame. La terza è, il materiale di cui devono essere costituite le merci che devono essere prodotte, o dal quale esse devono derivare". Pp. 178, 179. "[Di queste tre classi di cose,] è solo la seconda, il cui consumo non viene completato nel corso delle operazioni produttive." P.179.
2) Consumo improduttivo. "Il salario" dato al "valletto" e "tutti i consumi, che non avvengono per il fine che qualcosa, che può essere un equivalente, possa essere prodotto per mezzo di essi, è consumo improduttivo" Pp. 179, 180. "Il consumo produttivo è di per sé un mezzo; è un mezzo di produzione. Il consumo improduttivo [...] non è un mezzo. Esso "è il fine. Questi o il godimento insito in esso, è il bene che costituisce il motivo per tutte le operazioni che lo precesono." P. 180, "Con il consumo produttivo, niente viene perduto [...] Qualsiasi cosa venga consumata improduttivamente, è perduta." P. 180. "Quello che viene consumato produttivamente è sempre capitale. Questa è una proprietà del consumo produttivo che merita di essere sottolineata [...] Qualsiasi cosa venga consumata produttivamente" è capitale e "diventa capitale." P. 181. "L'insieme di siò che le forze produttive del paese hanno creato nel corso di un anno, viene chiamato il prodotto annuo lordo. Di questo la più parte serve a rimpiazzare il capitale che è stato consumato [...] Quello che rimane del prodotto lordo, dopo che ha rimpiazzato il capitale che è stato consumato, viene chiamato prodotto netto; e viene sempre distribuito o come profitto di borsa, o come rendita." Pp. 181, 182. "Questo prodotto netto è il fondo a partire dal quale vengono comunemente fatti tutti i calcoli sul capitale nazionale". "... le due specie di consumo" sono accompagnate da "le due specie di lavoro, produttivo ed improduttivo..." p. 182.
Sezione II. "... l'insieme di ciò che viene annualmente prodotto, viene annualmente consumato; o [...] ciò che viene prodotto in un anno, viene consumato nell'anno successivo." Sia produttivamente che improduttivamente. P. 184.
Sezione III. "Il consumo è coestensivo con la produzione." " Un uomo produce, solamente perché egli desidera avere. Se la merce che egli produce è la merce che desiderava avere, smette quando ha prodotto quanto desiderava avere [...] Quando un uomo produce una quantità maggiore [...] di quello che desidera per sé stesso, questo può avvenire solo per un motivo; vale a dire, che egli desidera qualche altra merce, la quale si può ottenere in cambio del surplus di quello che egli stesso ha prodotto... Se un uomo desidera una cosa, e ne produce un'altra, ciò può avvenire solo perché la cosa che egli desidera può essere ottenuta per mezzo della cosa che egli produce, e viene ottenuta meglio di quanto sarebbe avvenuto se egli stesso avesse cercato di produrla. Dopo che il lavoro è stato diviso [...] ciascun produttore confina sé stesso a una qualche merce o a parte di una merce, solo una piccola porzione di quello che egli produce viene usato per il suo proprio consumo. Il rimanente egli lo destina allo scopo di potersi rifornire con tutte le altre merci che egli desidera; e quando ciascun uomo confina sé stesso ad una merce, e scambia quello che egli produce per quello che viene prodotto da altre persone, si constata che ciascuno ottiene più delle diverse cose che desidera, più di quello che avrebbe ottenuto se avesse cercato di produrre tutte queste cose da sé stesso."
"Nel caso dell'uomo che produce per sé stesso, non c'è alcun scambio. Egli non si offre di comprare niente, né di vendere qualcosa. Egli ha la proprietà; egli l'ha prodotta; e non significa che ne fa parte. Se noi applichiamo, come una sorta di metafora, i termini domanda ed offerta a questo caso, è implicito [...] che la domanda e l'offerta sono proporzionate esattamente l'una all'altra. Se guardiamo alla domanda ed all'offerta del mercato, possiamo lasciare la porzione di prodotto annuo, che ciascuno dei proprietari consuma sotto la forma di quello che produce o riceve, del tutto fuori dalla questione." Pp. 186, 187.
"Parlando qui di domanda e di offerta, è evidente che parliamo di aggregati. Quando diciamo di una nazione particolare, in un dato tempo, che la sua offerta è uguale alla domanda, non intendiamo in ogni merce, o riferito a due merci. Noi intendiamo, che l'ammontare della sua domanda di tutte le merci prese insieme, è uguale all'ammontare della sua offerta di tutte le merci prese insieme. Può benissimo accadere, nonostante questa uguaglianza nella somma delle domande e delle offerte, che una o più merci possano essere state prodotte in una quantità maggiore o minore rispetto alla domanda per quelle particolari merci". P.118. "Per costituire una domanda sono necessarie due cose. Queste sono - Un desiderio per la merce, ed Un Equivalente da dare per essa. Una domanda significa, la volontà di acquisire, ed il mezzo per acquisire. Se manca una delle due cose, l'acquisizione non ha luogo. Un equivalente è il fondamento necessario di ogni domanda. E' inutile che un uomo desidera delle merci, se non ha da dare niente per esse. L'equivalente che un uomo porta è lo strumento della domanda. Il limite della sua domanda viene misurato per mezzo del limite del suo equivalente. Domanda ed equivalente sono termini convertibili, ed uno può essere sostituito dall'altro [...]. Abbiamo già visto, che ogni uomo, che produce, ha un desiderio di altre merci, rispetto a quelle che egli ha prodotto, misurate da tutto quello che ha prodotto in più rispetto a ciò che desidera tenere per il proprio consumo. Ed è evidente, che qualunque cosa un uomo abbia prodotto e non desideri tenere per il proprio consumo, costituisce uno stock che egli può dare in cambio di altre merci. Di conseguenza, la sua volontà di acquisire, ed i suoi mezzi per acquisire - in altre parole, la sua domanda, è esattamente uguale all'ammontare di quello che egli ha prodotto e non intende consumare." Pp. 188-89.
Con il suo consueto cinico acume e con la sua abituale chiarezza, Mill analizza qui lo scambio sulla base della proprietà privata.
L'uomo produce solo al fine di avere - è questo il presupposto di base della proprietà privata. Lo scopo della produzione è quello di avere. E la produzione non si limita solamente a questo tipo di scopo utile; ha anche uno scopo egoistico; l'uomo produce soltanto al fine di possedere per sé; l'oggetto che egli produce è l'oggettivazione del suo immediato, egoistico bisogno. Per l'uomo stesso - in una condizione selvaggia, barbarica - pertanto, è la misura della sua immediata necessità a determinare la quantità della sua produzione, il cui contenuto è direttamente l'oggetto prodotto.
In queste condizioni, quindi, niente di più di quello che egli immediatamente richiede. Il limite del suo bisogno costituisce il limite della sua produzione. Perciò domanda ed offerta coincidono in maniera esatta. L'entità della sua produzione è misurata dal suo bisogno. In questo caso non avviene alcuno scambio, ovvero lo scambio si limita allo scambiare il suo lavoro con il prodotto del lavoro, e questo scambio è la forma latente, il germe, dello scambio reale.
Nel momento in cui avviene lo scambio, viene prodotto un surplus che va oltre il limite immediato del possesso. Ma questo non vuol dire che tale surplus di produzione si innalzi al di sopra del bisogno egoistico. Al contrario, è solamente una maniera indiretta di soddisfare un bisogno che trova la sua oggettivazione non nella produzione, ma nella produzione di qualcos'altro. La produzione è diventato un mezzo per guadagnarsi da vivere, si lavora per guadagnarsi da vivere. Quindi, mentre, sotto il primo stato delle cose, il bisogno è la misura della produzione, sotto il secondo stato di cose, la produzione, o piuttosto la proprietà del prodotto, è la misura di quanti bisogni possono essere soddisfatti.
Io ho prodotto per me stesso e non per te, proprio come tu hai prodotto per te stesso e non per me. Di per sé, il risultato della mia produzione ha altrettanto pochi collegamenti con te di quanti ne abbia con me il risultato della tua produzione. Vale a dire, la nostra produzione non è la produzione dell'uomo per l'uomo in quanto uomo, ossia, non è produzione sociale. Nessuno di noi, quindi, nel godimento del prodotto di un altro si pone come uomo. Come uomini, nella misura in cui sono coinvolti i nostri rispetti prodotti, non esistiamo. Perciò, il nostro scambio, inoltre, non può essere il processo di mediazione attraverso il quale viene confermato che il mio prodotto è [per] te, perché si tratta di un'oggettivazione della tua propria natura, del tuo bisogno. Ragion per cui non è la natura dell'uomo a costituire il collegamento fra i prodotti che realizziamo gli uni per gli altri. Lo scambio può essere soltanto in processo, può solo confermare il carattere della relazione che ciascuno di noi ha con il suo proprio prodotto, e quindi con il prodotto dell'altro. Ciascuno di noi vede nel suo prodotto solo l'oggettivazione del suo proprio bisogno egoistico, e quindi vede nel prodotto dell'altro l'oggettivazione di un diverso bisogno egoistico, indipendente da lui ed a lui alieno.
Naturalmente, come uomo, tu hai una relazione umana con il mio prodotto: hai bisogno del mio prodotto. Perciò esso esiste per te come oggetto del tuo desiderio e della tua volontà. Ma il tuo bisogno, il tuo desiderio, sono impotenti riguardo al mio prodotto. Ciò significa, quindi, che la tua natura umana, la quale è conseguentemente obbligata a stare in intima relazione con il mio prodotto umano, non è il tuo potere su questa produzione, il tuo possesso di essa, perché non è il carattere specifico, non è il potere, della natura dell'uomo ad essere riconosciuto nella mia produzione. Essi [il tuo bisogno, il tuo desiderio, ecc.] costituiscono piuttosto il legame che ti rendono dipendente da me, in quanto ti mettono in una posizione di dipendenza dal mio prodotto. Lungi dall'essere il mezzo che potrebbe darti il potere sulla mia produzione, sono invece i mezzi che mi danno potere su di te.
Quando produco più oggetti di quanti io ne possa direttamente usare, il mio surplus produttivo viene astutamente calcolato per il tuo bisogno. Produco solo apparentemente un surplus di questo oggetto. In realtà io produco un oggetto differente, l'oggetto della tua produzione, che io intendo scambiare con questo surplus, uno scambio che è già stato portato a termine nella mia mente. La relazione sociale che intrattengo con te, il mio lavoro per il tuo bisogno, è quindi una mera parvenza, ed il nostro essere complementari l'uno all'altro è una mera apparenza, la base del nostro reciproco saccheggio. L'intenzione di depredare, ingannare, è necessariamente presente sullo sfondo, dal momento che il nostro scambio è egoistico, sia dalla tua parte che dalla mia, e dal momento che l'egoismo di ciascuno cerca di avere la meglio su quello dell'altro, noi cerchiamo necessariamente di ingannarci a vicenda. E' vero però che il potere che io attribuisco al mio oggetto sul tuo, richiede il tuo riconoscimento per poter diventare un potere reale. Il nostro reciproco riconoscimento dei rispettivi poteri dei nostri oggetti, ad ogni modo, è una lotta, ed in una lotta la vittoria è di chi ha più energia, forza, intuizione, o destrezza. Se io ho forza fisica sufficiente, ti depredo direttamente. Se la forza fisica non può essere usata, proviamo ad imporci l'uno sull'altro, bluffando, ed il più abile riuscirà a sopraffare l'altro. Per la totalità delle relazioni, chi sopraffà chi è un affare di scambio. L'ideale prevede che la sopraffazione abbia luogo da entrambe le parti, cioè, ciascuno ritiene di aver sopraffatto l'altro.
Da entrambe le parti, di conseguenza, lo scambio viene mediato attraverso l'oggetto che ciascuna parte produce e possiede. La relazione ideale per i rispettivi oggetti di nostra produzione è, naturalmente, il nostro reciproco bisogno. Ma la vera relazione reale, che attualmente si verifica ed ha effetto, è solo quella del possesso, reciprocamente esclusivo, dei nostri rispettivi prodotti. Quello che conferisce al tuo bisogno del mio oggetto il suo valore, che vale ed ha importanza per me, è soltanto il tuo oggetto, l'equivalente del mio oggetto. I nostri rispetti prodotti, quindi, sono i mezzi, il mediatore, lo strumento, il potere riconosciuto, dei nostri reciproci bisogni. La tua domanda e l'equivalenza del tuo possesso, perciò, sono per me termini che sono uguali per significato e per validità, e la tua domanda acquisisce un significato, ha un effetto, solo quando ha significato ed effetto in relazione a me. Come mero essere umano, senza questo strumento, la tua domanda è un'aspirazione insoddisfatta da parte tua, ed un'idea che per me non esiste. Come essere umano, quindi, tu non stai in alcuna relazione con il mio oggetto, in quanto io stesso non ho alcuna relazione umana con esso. Ma il vero potere sta nell'oggetto e quindi noi consideriamo vicendevolmente i nostri prodotti come il potere di ciascuno di noi sull'altro e su sé stesso. Vale a dire, il nostro proprio prodotto si è sollevato contro di noi; sembrava che fosse di nostra proprietà, ma in realtà siamo noi la sua proprietà. Noi stessi siamo esclusi dalla vera proprietà perché la nostra proprietà esclude altri uomini.
Il solo linguaggio intellegibile in cui conversiamo, gli uni con gli altri, consiste dei nostri oggetti nella loro relazione gli uni con gli altri. Noi non capiremmo un linguaggio umano ed esso non avrebbe alcun effetto. Da un lato verrebbe riconosciuto e sentito come una richiesta, una supplica, e quindi un'umiliazione, e di conseguenza espresso con un senso di vergogna, di degrado. Dall'altro lato, verrebbe considerato come impudenza o follia e rifiutato come tale. Siamo estraniati a tal punto dalla natura essenziale dell'uomo che il linguaggio diretto di quest'essenziale natura ci appare come una violazione della dignità umana, mentre il linguaggio straniato del valore materiale ci appare come un'asserzione pienamente giustificata della dignità umana, sicura e consapevole di sé.
Sebbene ai tuoi occhi il tuo prodotto sia uno strumento, un mezzo, per prendere possesso del mio prodotto e quindi per soddisfare il tuo bisogno; ai miei occhi esso è ancora lo scopo del nostro scambio. Per me, sei tu piuttosto il mezzo e lo strumento per produrre quest'oggetto che è il mio obiettivo, proprio come, inversamente, tu ti trovi nella stessa relazione rispetto al mio oggetto. Ma 1) attualmente, ciascuno di noi si comporta nel modo in cui viene considerato dall'altro. Tu hai fatto di te stesso il mezzo, lo strumento, il produttore del tuo proprio oggetto al fine di poter prendere possesso del mio; 2) il tuo oggetto è per te soltanto l'involucro sensualmente percettibile, la forma nascosta, del mio oggetto; perché la sua produzione significa, e cerca di esprimere, l'acquisizione del mio oggetto. DI fatto, quindi, tu sei diventato per te stesso un mezzo, uno strumento del tuo oggetto, del quale il tuo desiderio è il servo, ed hai eseguito i servizi più umili per far sì che l'oggetto non debba mai più assecondare il tuo desiderio. Se allora il nostro mutuo asservimento all'oggetto, all'inizio del processo, viene ora visto in realtà come la relazione fra padrone e schiavo, questa è semplicemente l'espressione nuda e cruda della nostra essenziale relazione.
Il nostro reciproco valore è per noi il valore dei nostri reciproci oggetti. In quanto per noi l'uomo stesso è reciprocamente senza valore.
Supponiamo di avere eseguito la produzione come esseri umani. Ciascuno di noi avrebbe affermato in due modi sé stesso e l'altra persona. 1) Nella mia produzione avrei oggettivato la mia individualità, il suo carattere specifico, e quindi avrei goduto non solo della manifestazione individuale della mia vita nel corso dell'attività, ma, anche quando avrei guardato all'oggetto, avrei provato il piacere individuale di conoscere la mia personalità come oggettiva e visibile ai sensi e quindi come un potere al di là di ogni dubbio. 2) Nel tuo godimento dell'utilizzo del mio prodotto avrei avuto il godimento diretto sia di essere conscio di aver soddisfatto un essere umano attraverso il mio lavoro, cioè di avere oggettivato la natura essenziale dell'uomo, sia di aver così creato un oggetto che corrisponde al bisogno della natura essenziale di un altro uomo. 3) Sarei stato per te il mediatore fra te e la specie, e quindi sarei stato riconosciuto e sentito da te come un completamento della tua essenziale natura e come una parte necessaria di te, e di conseguenza mi sarei sentito confermato nel tuo pensiero e nel tuo amore. 4) Nell'espressione individuale della mia vita avrei direttamente creato la tua espressione della tua vita, e quindi nella mia attività individuale avrei direttamente confermato e realizzato la mia vera natura, la mia natura umana, la mia natura comunitaria.
Così, i nostri prodotti sarebbero tanti specchi in cu vedere riflessa la nostra natura essenziale.
Questa relazione dovrebbe inoltre essere reciproca; quello che avviene da parte mia, si verifica anche dalla tua.
Rivediamo i diversi fattori come espressi nella mia supposizione:
Il mio lavoro dovrebbe essere una libera manifestazione della vita. Presupponendo la proprietà privata, il mio lavoro è un'alienazione della ita, perché io lavoro per vivere, per ottenere per me i mezzi della vita. Il mio lavoro non è la mia vita.
In secondo luogo, la natura specifica della mia individualità, perciò, dovrebbe essere affermata nel mio lavoro, dacché quest'ultimo dovrebbe essere un'affermazione della mia vita individuale. Quindi, il lavoro dovrebbe essere vera, attiva proprietà. Presupponendo la proprietà privata, la mia individualità viene alienata ad un tale grado che questa attività mi è invece odiosa, un tormento, ed è piuttosto l'apparenza di un'attività. Perciò, inoltre, è anche un'attività forzata e mi viene imposta solo per mezzo di un bisogno fortuito esterno, non attraverso un bisogno interno, essenziale.
Il mio lavoro può apparire dentro il mio oggetto solo per quello che è. Non può apparire come qualcosa che non è per sua natura. Perciò appare soltanto come espressione della perdita di me stesso e della mia impotenza che è oggettiva, sensualmente percettibile, ovvia e quindi al di là di ogni dubbio.
(Il resto del manoscritto contiene ulteriori brani tratti dal libro di Mill. Dopo gli estratti che affrontano la questione della rendita fondiaria, del profitto del capitale e dei salari come fonte di tassazione di Stato, Marx scrive:
"Inutile dire che Mill, come Ricardo, nega di voler imprimere ai governi l'idea che si dovrebbe fare della rendita fondiaria l'unica fonte di tassazione, dal momento che questa sarebbe una misura di parte che assegnerebbe un onere eccessivo ad una particolare classe di individui. Ma - e questo è di grande importanza, sebbene insidioso - l'imposta sulla rendita fondiaria è la sola tassa che non è dannosa dal punto di vista dell'economia politica, ed è quindi l'unica tassa giusta dal punto di vista dell'economia politica. Infatti, l'unico dubbio che viene sollevato dall'economia politica è più un punto di interesse che un motivo di apprensione, vale a dire, che anche in un paese con un quantità normale di popolazione, e una grandezza normale, l'ammontare risultante dalla rendita fondiaria eccederebbe i bisogni del governo".)
NOTA:
[*1] - Tradotto come "Sistema Monetario": si tratta di un "credo" specifico dei primi mercantilisti. Essi sostenevano che la ricchezza consisteva nel denaro stesso, nella costruzione di depositi di lingotti. Era per questo motivo che non era permessa l'esportazione di oro o di argento, costringendo le nazioni ad avere saldi commerciali attivi.
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