martedì 16 agosto 2011

Lo Spettacolo è … un furto!

gunter

In una breve “Nota di servizio per la storia dell'Internazionale Situazionista”, Guy Debord nel novembre 1989 ricorda che il contenuto delle cosiddette “Tesi di Amburgo” non fu né trascritto né in seguito pubblicato sulla rivista, ma fu volutamente segretato.
Debord nella “Nota” conserva ancora il velo di mistero sulle conclusioni a cui erano giunti i situazionisti nel 1961 discorrendo in alcuni bar di Amburgo al ritorno dalla V conferenza dell'I.S. tenutasi a Goteborg dal 28 al 30 agosto. Tuttavia, poiché vuole lasciare qualche indizio, ricorda che il “riassunto” di quelle conclusioni poteva essere ricondotto ad una formula: “L'I.S. deve ora realizzare la filosofia”. Quindi in quei bar scelti casualmente della città tedesca si era deciso di chiudere con le ricerche artistiche e di iniziare quell'operazione che condusse, secondo Debord, al movimento del maggio 1968.
Alcune coincidenze autorizzano a pensare che il “segreto” nascosto nelle tesi di Amburgo coincida con la formulazione del concetto di “spettacolo”. Questo termine, con il significato conferitogli dai situazionisti (per comprenderne compiutamente la complessità si dovrà attendere la pubblicazione della “Società dello spettacolo”), appare infatti in un fascicolo dell' “Internazionale Situazionista” nel 1962 all'interno di una recensione dedicata alla rivista “Dissent”. Quest'ultima, a sua volta, aveva pubblicato in traduzione inglese Günther Anders, nella cui opera “Die antiquiertheit des Menschen” del 1956 si trovava un'analisi della società e dei mezzi di comunicazione di massa che anticipavano il più famoso libro di Debord.
“Le plagiat est nécessaire, le progres l'implique” scriveva Debord, sulla scia di Lautreamont e dei surrealisti. Jean-Pierre Voyer ritiene ora che Debord abbia plagiato il concetto di spettacolo e ne abbia celato agli occhi del mondo il vero autore.
Io ritengo che Debord nel 1989, con quella “nota” sopra citata, abbia voluto lasciare un indizio che permettesse di svelare il segreto delle tesi di Amburgo mantenendo il nascondimento di Anders.
Perché questa decisione soltanto nel 1989? Perché ormai i tempi erano maturi per un parziale disvelamento. L'anno prima Jean-Pierre Baudet si era finalmente imbattuto nel volume di Anders ed aveva involontariamente scoperto il détournement occulto. Ecco da dove risaliva alla luce, da quale oscuro locus solus proveniva il concetto di spettacolo! Baudet non ebbe, in quel momento, il coraggio di tirarne tutte le conseguenze. Debord si accorse dell'impaccio in cui si trovava il suo seguace e freddamente lo minacciò intimandogli di non proseguire oltre su quella pericolosa china.
Si deve aggiungere che l'espressione “spectacle arrangé” (“arrangiertes schauspiel” in tedesco) compare una sola volta in tutto il volume di Anders, ma ciò non impedisce a Voyer (più determinato di Baudet a demolire una peraltro mai vantata pretesa di assoluta originalità di Debord) di formulare la sua condanna definitiva.
Senza voler giustificare l'atteggiamento risentito di Debord verso l'ingenuo Baudet (obbligatorio in un certo senso, quando l'allievo giunge a scoprire i trucchi del mestiere del maestro), se si vogliono cercare le premesse del concetto di spettacolo si dovrà risalire presumibilmente non solo al volume di Anders (verso il quale è debitore non confesso anche Jean Baudrillard, per esempio) ma a una galassia di eventuali e altrettanto probabili letture (Brecht, Benjamin, Adorno, Horkheimer, Fromm, Marcuse, E. Bloch, W. Reich, Lukacs, Korsch, Luxemburg, Orwell, Rosemberg, McLuhan, Huizinga, Rizzi, Bataille, Riesman, Murnford, Gabel, Kojève, Nietzsche, Stirner e, perché no, anche la science fiction americana), di cui solo alcune furono pubblicizzate da Debord, che, non va dimenticato, teorizzava il plagio e il détournement.
In realtà, come si scopre leggendo il “Relevé des citations et détournements de la Societé du spectacle” edito da Farandola nel 2002, in tutta l'estensione del testo di Debord si trovano disposte, come truppe ben disciplinate in un campo di battaglia, soprattutto, decine e decine di citazioni di Hegel e di Marx, esplicite ed implicite, celate e dichiarate.
Forse vorrà dire qualcosa. Si potrebbe ripetere che il plagio era necessario, il progresso della critica lo implicava?
Infine una doppia domanda: perché nessuno in Germania (dove è noto che si parla il tedesco ma dove vi erano anche numerosi lettori di debord) si è accorto del plagio? Ed in Francia, nel frattempo (dal 1967, anno de “La societé du spectacle”, al 1988 passano più di vent'anni), nessuno, a parte Baudet, aveva imparato a leggere il tedesco?
Il “segreto” del plagio di Debord è sempre stato sotto gli occhi di tutti.

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