
Israele nella Crisi Globale del Capitalismo
- di Herbert Böttcher -
L'espansione della guerra contro Hamas
Il governo Netanyahu ha deciso di espandere la guerra contro Hamas. Oltre alla presa di Gaza City, i piani riguardano anche la distruzione di Hamas nei campi profughi della Striscia di Gaza. C'è da aspettarsi che i combattimenti per la città di Gaza si concentrino nella zona dei grattacieli a ovest della città. Tanto nella città, quanto nei campi profughi, la popolazione civile, strumentalizzata da Hamas e usata come "scudo umano", viene sempre più coinvolta nei combattimenti. A rischio, sono anche le vite dei ostaggi rapiti da Hamas, che si presume si trovino a Gaza City. Con l'espansione della guerra, aumenterà l'orrore per la popolazione, così come il numero dei morti. I piani per espandere la guerra sono accompagnati da delle forti critiche dentro Israele. Tra i critici si vedono anche alcuni governi europei, ivi compreso il governo federale tedesco, che intende limitare la propria fornitura di armi a Israele. Mentre anche negli altri stati dell'Unione Europa si va sgretolando il sostegno a Israele, vediamo che allo stesso tempo esso è anche oggetto di critiche da parte dell'opinione pubblica internazionale, alimentata dall'antisemitismo che oggi si manifesta a livello globale, e che colpisce direttamente gli ebrei in quelle che sono le loro stesse vite. Inoltre: «Dal 7 ottobre 2023, vediamo che gli ebrei in Europa assistono a come l'antisemitismo sia in aumento, e come essi siano sempre più perseguitati. Il bilancio delle ultime settimane: in Austria, una coppia è stata cacciata via da un campeggio perché parlava ebraico; in Grecia, una nave da crociera con dei turisti israeliani, a causa delle violente proteste, non ha potuto attraccare; in Italia, dei turisti israeliani sono stati espulsi da un ristorante; in Spagna, un intero gruppo di ebrei francesi è stato prelevato da un aereo», scrive Benjamin Graumann, presidente della Comunità ebraica di Francoforte [*1]. Le critiche a Israele vengono legittimate a partire dalla reale sofferenza e dalla situazione disperata della popolazione Palestinese. Nel dibattito su Israele e sui palestinesi, quelle che si scontrano sono delle posizioni identitarie [*2]. Ciò è probabilmente dovuto alla necessità di un chiaro posizionamento in termini di contenuti, e anche a partire dal desiderio di un’univoca identificazione in quella che è l'appartenenza a un gruppo. Si tratta di stare moralmente da una parte, e di appartenere ai corrispondenti ambiti sociali mentre, al tempo stesso, si deve anche essere capaci di agire. In una corrispondente logica di campo, appare pertanto impossibile dare simultaneamente "solidarietà a Israele" e sensibilità verso le sofferenze dei palestinesi. E come ultima cosa, ma non meno importante: sotto la pressione della necessità di essere chiari, vengono perse di vista le contraddizioni sociali e morali. Bisogna riflettere su di esse, anziché ignorarle in modo moralizzante e identitario, dal momento che questo potrebbe costituire un prerequisito essenziale ai fini di una riflessione critica circa l'orrore associato all'attacco portato avanti da Hamas, con l'obiettivo di distruggere Israele, e riflettere anche su quelle che sono state le conseguenze belliche per la popolazione palestinese.
Le duplice natura dello Stato di Israele
Una riflessione critica deve, da un lato, tener conto della duplice natura di Israele, visto in quanto progetto di salvezza per gli Ebrei perseguitati e minacciati di sterminio - e in questo senso esso va visto come progetto contro l'antisemitismo - mentre, dall'altro lato, si tratta di uno Stato capitalistico che va visto in un contesto di crescente crisi globale, insieme a tutte le contraddizioni e le aporie distruttive che questo comporta. Contro le strategie di Hamas, volte alla distruzione di Israele, e contro il sostegno che esse ricevono dagli Stati del cosiddetto Medio Oriente - e dall'antisemitismo relativo a Israele che l'accompagna - nei conflitti attuali, diventa indispensabile difendere Israele. Ciò implica una critica del ruolo svolto da Hamas. Hamas non è un movimento di liberazione, ma abbiamo a che fare con un'organizzazione terroristica che mira alla distruzione di Israele. Della sua strategia fa parte la cinica e minacciosa messa in scena della barbarie contro Israele, la strumentalizzazione della sua stessa popolazione, usata come ostaggio nella lotta contro Israele, e l'oppressione e la fame della propria popolazione. Ancora una volta e nuovamente, la fame e la miseria a Gaza viene attribuita quasi esclusivamente a Israele e al suo attuale governo. Tutto ciò accade in una situazione segnata dal declino del capitalismo, laddove diventa sempre più evidente che anche le ex grandi potenze si trovano coinvolte nei processi di questo declino. Da un lato, tutto questo mette in discussione le cosiddette strategie antimperialiste, che funzionano ancora secondo lo schema personalistico della liberazione degli oppressi dai loro oppressori; e che a partire da questa prospettiva vede la lotta dei palestinesi oppressi contro Israele, vista come una potenza imperiale, o come un rappresentante del Potere nel cosiddetto Medio Oriente. Allo stesso tempo, il crollo del Il dominio capitalistico si trova associato a dei processi di crisi sempre più acuti e accompagnati da dei crescenti processi di imbarbarimento, di pensiero identitario, e soprattutto da un crescente antisemitismo, in quanto modo per affrontare la crisi. Tali processi di trasformazione, che sono stati osservati negli ultimi anni in numerosi Stati in decadenza, a livello globale trovano sempre più espressione nelle azioni delle vecchie grandi potenze. In un misto di autoritarismo e di militarizzazione, le politiche identitarie e la repressione determinano le azioni degli attori politici – guidate e accompagnate da una "bruta borghesia" e da una feticizzazione della normalità, la quale viene intesa come protezione dal degrado per mezzo di strategie socio-darwiniane. In Germania, il sostegno alla militarizzazione e alla disponibilità alla guerra diventa così il test decisivo per la lealtà politica. Le repressioni sono dirette in primo luogo contro i migranti, e in ultima analisi contro tutti coloro la cui forza lavoro è ora "superflua", se vista nel processo di valorizzazione capitalista, così come anche contro coloro che presumibilmente si sottraggono all'obbligo del Lavoro. Essi, vengono tutti identificati come se fossero una minaccia, nel mentre che le minacce ecologiche, sempre più mortali per le persone, vengono ignorate; così come vengono ignorati i processi di divisione sociale. L'escalation della violenza distruttiva diventa politicamente "accettabile", e viene socialmente accettata e attuata anche nei diversi contesti sociali. Tutto questo è connesso alla crisi della valorizzazione del lavoro, e alla crisi di riproduzione che l'accompagna, alla disintegrazione del lavoro e della famiglia, o a quella dei rapporti sociali, che, nella concorrenza, si trasformano in una lotta barbara e anomica di tutti contro tutti, dove regna il "diritto del più forte". In quanto Stato capitalistico, anche Israele si trova soggetto a questi processi di crisi, e alle aporie e alle contraddizioni che li accompagnano, solo che questo avviene in una situazione nella quale Israele - in quanto "ebreo" tra gli Stati - si trova a essere sempre più attaccato dall'antisemitismo, senza che possa però ricorrere all'antisemitismo, come modo per affrontare la crisi. Dopo la disintegrazione del Partito Laburista, causata anch’essa dalla crisi, in Israele si è instaurato un governo autoritario e fondamentalista di destra, il quale ora scommette sull'espansione della colonizzazione dei territori palestinesi – in Cisgiordania – e protegge i coloni in maniera autoritaria e repressiva. Il governo Netanyahu ha minato lo Stato di Diritto, ha smantellato le strutture democratiche, così come la separazione dei poteri, e questo malgrado la proteste di gran parte della popolazione; concedendo così più potere al fondamentalisti dell'estrema destra, dividendo e frammentando il paese, in modo tale che oggi le persone emigrano da un paese che avrebbe dovuto invece offrire rifugio ai perseguitati. Processi finalizzati alla repressione e alla legittimazione autoritaria, hanno oggi il loro proseguimento in una guerra che solleva dubbi sul fatto che essa sia giustificata come autodifesa contro la distruzione,e che possa essere addirittura associata a dei processi politici interni che minacciano di portare all'autodistruzione di Israele.
I piani attuali del governo Netanyahu
Le decisioni del governo Netanyahu di espandere la guerra si confrontano anche con le proteste in Israele. L'ex primo ministro Olmert, parla di una «guerra [...] senza obiettivi, ovvero di una chiara pianificazione senza prospettive di successo» [*3]. In tal modo, il governo Netanyahu si allinea all'azione irrazionale degli altri attori politici in quella che è la decadenza del capitalismo. Ovviamente, lui è disposto a mettere a rischio gli ostaggi che si trovano nei quartieri alti di Gaza City e nei campi rifugiati, pur di ottenere un obiettivo indefinito e generico come quello della distruzione di Hamas, oltre ad accettare più morti e il peggioramento della situazione della popolazione civile palestinese. In una dichiarazione dell'ufficio di Netanyahu, il gabinetto di sicurezza «ha approvato cinque principi per porre fine alla guerra [...]: la smilitarizzazione della Striscia di Gaza, il controllo militare della zona costiera da parte di Israele e la creazione di un un'amministrazione civile che non sia subordinata né ad Hamas né all'Autorità Palestiniana (AP)» [*4]. Ancora non è chiaro come questi obiettivi verranno strategicamente raggiunti, e quale sia il significato dei citati termini di rischio per la popolazione civile, per gli ostaggi e per l'invio di Soldati israeliani. C'è da temere che altre persone fuggiranno. I campi profughi sono già sovraffollati e le condizioni igienico-sanitarie sono disumane. Con l'invasione militare delle aree prese di mira, ad aumentare è anche il rischio per gli ostaggi. Il Capo di Stato Maggiore dell'esercito israeliano ha anche messo in guardia contro una conquista totale della Striscia di Gaza [*5]. L'obiettivo legittimo di Israele, vale a dire, di difendersi dalla minaccia di distruzione, senza alcuna mediazione con la questione che ci siano obiettivi e strategie concrete e determinabili, così come le sue prospettive di successo, così facendo rischia di diventare una legittimità nell'ambito della quale ogni mezzo appare come se fosse a priori giustificato. E questo perché in tal modo tutto ciò deriva direttamente dal bisogno di autodifesa. I partner della coalizione fondamentalista di estrema destra, chiedono la conquista dell'intero territorio e l'espulsione di tutti i palestinesi, mentre i partiti all'opposizione rifiutano tutto questo. Queste costellazioni, e il rifiuto di una discussione ponderata, a causa delle posizioni identitarie del governo, probabilmente, continueranno a promuovere la divisione della società israelita. Un progetto militare irrazionale e autoritario come l'occupazione di Gaza, rischierebbe anche di consumare quelle che sono delle risorse necessarie alla coesione sociale, e finirebbe perciò per logorare la società stessa. Anziché considerare tutto questo, sembra che, sotto la pressione di membri estremisti di destra del governo, oltre a una possibile occupazione di Gaza, ci sono anche dei piani per la costruzione di migliaia di unità abitative, e per l'espansione degli insediamenti in Cisgiordania. Un lato di questa irrazionale attuazione, sembra essere la megalomania nazionale. In un simile contesto, diventa così sempre più difficile riconoscere i limiti dell'azione militare. E tuttavia questi limiti vano sottolineati, come dimostrano tutte le esperienze di guerre di ordinamento mondiale, a causa del fatto che, nel combattere le strategie di guerriglia dei gruppi terroristici, le forze armate possono ottenere solamente un successo parziale.
Crisi globale del capitalismo e dell'antisemitismo
Il terrorismo contro Israele, che mira alla sua distruzione, così come il fuoco delle critiche dentro Israele, non possono essere separati, né dalla crisi globale del capitalismo né dall'antisemitismo, che nel bel mezzo di questa crisi si sta intensificando a livello globale. La teoria critica, nella tradizione di Horkheimer e di Adorno, insisteva sul fatto che il capitalismo e l'antisemitismo sono interconnessi, e questo nella misura in cui l'antisemitismo dev'essere inteso come una reazione proiettiva rispetto alle crisi e alle distorsioni associate al capitalismo. [*6] Nella crisi globale, diventa chiaro come il capitalismo abbia raggiunto i suoi propri limiti logici e storici immanenti. Il lavoro, "eliminato" sotto la pressione della concorrenza, ormai non può più essere compensato, né dall'espansione dei mercati, né dall'accumulazione sui mercati finanziari. Insieme alla produzione di plusvalore, ciò che entra in collasso simultaneamente è la riproduzione, la quale al plusvalore è intrinsecamente legata. Ecco che così, anche la possibilità di una regolamentazione statale va a sbattere contro i propri limiti. Nei cosiddetti Stati al collasso, lo statalismo si dissolve in una lotta tra bande, e persino le ex grandi potenze stanno lottando, in piena crisi, per l'autoaffermazione globale. Tutti quanti, pretendono di compensare la loro debolezza economica per mezzo della militarizzazione. L'imperialismo diventa così un imperialismo dell'esclusione e della delimitazione, che, nella decadenza, ciò che mette in evidenza non è la sua forza, bensì la sua debolezza . Per mezzo dell'antisemitismo, ogni crisi - a causa delle quali oggi le persone soffrono per colpa del decadimento del capitalismo - può essere proiettata sui presunti colpevoli. In questo modo, "gli" ebrei, che dominano il mondo “come padroni del denaro e dello spirito” nell'ambito di una cospirazione ebraica immaginaria, vengono resi responsabili delle crisi; sia per mezzo di un antisemitismo manifesto e strutturale che si esprime attraverso una critica del capitalismo che si è ridotta alla critica del capitale finanziario, sia attraverso fantasie complottistiche e personalizzazioni. Nel contesto della situazione in atto nel cosiddetto Medio Oriente, lo Stato di Israele, in quanto "ebreo" tra gli Stati, viene ora messo sul banco degli imputati, e reso responsabile della desolante situazione, soprattutto a causa di quello che oggi i palestinesi devono soffrire. Gli attacchi contro Israele offrono agli attivisti - così come all'opinione pubblica mediatica nel capitalismo in decadenza - l'opportunità di compensare la propria impotenza, e di processare la crisi, proiettandola. Se il potere di Israele si è rotto, andando in pezzi - secondo quel desiderio di cui si nutre l'antisemitismo redentore dei nazisti –, ecco che ora i palestinesi potrebbero essere liberati, e il mondo corrotto e socialmente lacerato potrà tornare a essere un mondo pacifico. In tale situazione - in cui l'obiettivo del capitalismo, irrazionale e compulsivo, di moltiplicare denaro/capitale per amore della cosa in sé, e dove questa cosa acquista sempre più importanza, e in modo sempre meno regolamentato e sempre più spensierato e allucinato, e dove il tutto avviene nel bel mezzo della disintegrazione - c’è sempre più bisogno di una discussione ponderata su Israele, ivi comprese le critiche alle forze nazionalisti di destra e fondamentaliste religiose che determinano la politica del governo. La presunta complessità della situazione «sembra suscitare il desiderio di chiarezza e di appartenenza». Nelle posizioni assunte, l'attenzione è meno sull'oggetto e più «sui rituali di inclusione ed esclusione che creano identità e definiscono l'appartenenza un gruppo» [*7]. La riflessione critica è necessaria anche in relazione alla situazione, in modo che Israele, come progetto di salvataggio, non sia oggetto di azioni irrazionali volte alla sua distruzione. In questa riflessione questo dovrebbe essere chiarito, invece di collocare Israele come se fosse un “cattivo speciale”. Anche in Israele si stanno manifestando problemi analoghi a quelli di altri Stati capitalistici in crisi. Esclusione e militarizzazione, tra le altre cose, attuate secondo lo schema amico-nemico, così come la stigmatizzazione irrazionale del "colpevole", la personalizzazione delle relazioni, l'irrazionalismo nelle azioni e nella governance, la corruzione, l'autoritarismo e l'orientamento a destra, insieme alle prospettive do identità nazionali, uniscono tutti gli stati capitalisti nella crisi, nonostante tutte le differenze graduali e socioculturali.
Campi controversi e contraddizioni nella discussione su Israele e la guerra di Gaza
- "Catastrofe umanitaria" come genocidio...?
Si discute sulla situazione umanitaria nella Striscia di Gaza. E' indiscutibile che la popolazione civile soffra a causa dei conflitti militari, così come per la disastrosa situazione dell'approvvigionamento. Ciò che è controverso riguarda la "questione della colpa". Il governo israeliano si affida, con ragione, alla difesa contro il terrorismo barbaro e cinico di Hamas e di altri gruppi islamici che mirano alla distruzione di Israele. A Gaza, vediamo anche questo terrorismo che si manifesta come terrorismo contro la popolazione palestinese, la quale viene utilizzata come scudo umano per proteggere i luoghi in cui Hamas si è barricata. I fondi internazionali destinati alla popolazione civile, sono stati utilizzati per la costruzione di bunker [*8]. La popolazione palestinese è stata militarmente trasformata in una massa manovrabile, sfruttata in maniera propagandistica contro Israele, e a quanto pare con successo. Il terrore di Hamas viene ampiamente ignorato, a eccezione di qualche obbligatoria prese di distanza. Secondo i sondaggi, la maggioranza dei tedeschi è a favore di una maggiore pressione su Israele, e questo senza nemmeno mettere in discussione il ruolo svolto da Hamas. Sebbene Hamas esponga al pericolo una parte della popolazione civile, anziché garantirne la protezione, Israele si trova al centro delle critiche dei media e dei movimenti sociali. Si esige la liberazione della Palestina, senza criticare tutte le misure repressive di Hamas, ivi compresa l'oppressione – a volte omicida – sulle donne e sulle diversità di genere. Quelli che sono gli attori più diversi, propagandano una soluzione a due Stati, vista come soluzione universale, in quella che è invece una situazione in cui sempre più Stati sono in "caduta libera" a causa del calo dell'accumulazione di capitale. Di fronte al terrore sterminatore di Hamas, Israele si difende con una guerra che viene combattuta in un'area densamente popolata, dove sono stati scavati tunnel per proteggere i combattenti di Hamas, e dove le strutture civili sono strumentalizzate per essere poste al servizio della guerra terroristica. Il governo di Israele non sembra disposto a riflettere su fino a che punto dovrebbe spingersi l'autodifesa e l'eliminazione di Hamas. L'allucinazione della destra spinge a un irrazionale e distruttivo "più o meno!", che deriva dal diritto all'autodifesa in maniera astratta e secondo una falsa immediatezza. Come già detto, non si intravede un obiettivo strategico che possa essere raggiunto nella lotta a Gaza. Ciò è stato confermato anche dai critici israeliani, ivi compreso all'interno dello Stato e dell'esercito. In ultima analisi, questo potrebbe aprire le porte alla realizzazione di alcuni piani fondamentalisti di estrema destra, volti allo spopolamento della regione, e che a loro volta creerebbe spazio per gli insediamenti. L'intenzione espressa da Netanyahu, di costringere l'emigrazione volontaria del maggior numero possibile di residenti di Gaza, punta in tale direzione [*9]. Il ministro delle Finanze, di estrema destra, Smotrich, ha dichiarato che Gaza deve essere completamente distrutta, la popolazione concentrata in piccole "aree umanitarie", nel sud, e "motivate" a emigrare. Il Ministro della Difesa, Katz, sogna di costruire una "città umanitaria" sulle rovine del città di Rafah, nel sud di Gaza [*10]. La fame e le malattie, soprattutto le malattie infettive causate da scarsa igiene, si stanno diffondendo. Gli accampamenti sovraffollati sulla spiaggia e nel centro, fanno parte delle zone di evacuazione in continua espansione, le cosiddette zone sicure, che non sono nemmeno al sicuro dalle bombe che vengono sganciate. La responsabilità del disastro viene attribuita principalmente a Israele, e non al terrorismo di Hamas. Si discute se Israele, o il Il governo israeliano, possa essere accusato di genocidio. In tale contesto, vengono utilizzati dei concetti che sono al di là della loro definizione in quanto termini di combattimento, oppure avviene che definizioni comuni vengano ridefinite e adattate a un uso specifico. Questo può soddisfare il bisogno di sfogare la rabbia, esprimere indignazione, e forse anche trasmettere la sensazione di poter agire, malgrado tutta l'impotenza. Nel bel mezzo di un dibattito emotivo, nel quale si lotta confusamente contro dei concetti poco chiari, è ancora necessario sforzarsi di chiarire concettualmente. Così vale la pena ricordare che il termine genocidio – secondo la definizione data dallo specialista in Diritto internazionale Raphael Lemkin – implica «l'intenzione sistematica e duratura di voler distruggere una comunità etnica» [*11]. Pertanto il termine genocidio si riferisce a una distruzione deliberata di un gruppo etnico in quanto tale. È esattamente questo è ciò che significa genocidio, nel suo senso letterale. Però, insistere su delle precisazioni concettuali non è di per sé neanche "innocente" o "oggettivo", perché potrebbe servire al fine di relativizzare una situazione catastrofica, o di dichiarare che poi non è "così grave". Per poter criticare Israele, senza restrizioni, e mantenendo un "cuore puro" in relazione all'antisemitismo, il partito «Die Linke» ha deciso di non basarsi più sulla definizione di antisemitismo dato dall'International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA), riferendosi piuttosto alla definizione data dal "Jerusalem Declaration on Antisemitism" (JDA) [*12]. Per decisione del Congresso del Partito, Die Linke strumentalizza una definizione che appartiene al contesto di un discorso scientifico e che ha una funzione euristica. Visto nel contesto politico, questo diventa un marcatore di identità. Inoltre, Wolter menziona il problema della reificazione di simili definizioni, e dei loro limiti: essi non possono rendere giustizia ai processi e ai cambiamenti sociali visti nel contesto in cui si articola l'antisemitismo [*13].
- La "fame" come Strategia militare?
Uno dei principali punti di discordia è rappresentato dagli aiuti alimentari. Appare indiscutibile che, dopo il collasso del "cessate il fuoco", a marzo, a Gaza arrivano meno aiuti umanitari urgenti. Al di là di quella che è una disputa sulle statistiche e sulle definizioni su cui esse si basano, si tratta di una situazione disumana e scandalosa. Sebbene Hamas sia il principale responsabile della situazione disperata della popolazione, poiché, da un lato, una simile situazione è conseguenza del suo attacco terroristico e, dall'altro, Hamas strumentalizza la sua stessa popolazione nella lotta per la distruzione di Israele; Israele si trova però di fronte all'accusa di voler affamare la popolazione di Gaza, e di ordinare di spara sulle persone in cerca di aiuto. Philipp Peyman Engel, enumera su "Jüdische Allgemeine", quanto Israele abbia reso possibile e realizzato in termini di aiuti, e critica il fatto che questo non viene preso in considerazione in quella che è la «guerra dell'informazione e delle immagini» [*14]. Centinaia di tonnellate di aiuti umanitari marciscono al sole sul confine con Gaza, perché l'ONU e altre organizzazioni non le hanno raccolte. Inoltre, l'Egitto ha completamente chiuso il confine con Gaza, e da quel lato non consente la consegna di aiuti umanitari a Gaza. Un altro problema, legato al fame, è quello relativo alla distribuzione di cibo e medicine precedentemente organizzata sotto la responsabilità dell'ONU, nel momento in cui gli aiuti umanitari sono stati dirottati da Hamas, per nutrire i propri combattenti, o venduti a prezzi esorbitanti per rifinanziare la propria organizzazione. Per contrastare Hamas e i suoi collaboratori, è stata creata la "Gaza Humanitarian Foundation!" (GHF). Il suo obiettivo è quello di distribuire cibo senza passare attraverso Hamas. Durante la distribuzione si sono verificate ripetutamente scene caotiche che hanno provocato morti. A contribuire al caos, è il sabotaggio da parte di Hamas riguardo la distribuzione attraverso GHF; al fine di rafforzare la vecchia pratica della distribuzione. Per fare questo, mette sotto pressione le persone che ricorrono all'aiuto di GHF. Nelle lotte intorno ai centri di distribuzione, l'esercito israeliano ha ferito a morte delle persone, con colpi di arma da fuoco, in un centro di distribuzione. Nei media tutto questo circola sotto il titolo «Israeliti sparano alle persone che chiedono aiuto». Più vicina alla verità potrebbe essere però la versione secondo la quale i soldati, in una situazione caotica e che sembrava minacciosa – paragonabile ad altre situazioni militari – sono stati sparati dei colpi di avvertimento in direzione di una folla [*15]. Anche questo è più che problematico, e dovrebbe essere criticato, ma è in qualche modo diverso dalle spiegazioni che suggeriscono che l'esercito israeliano spara indiscriminatamente a delle persone che cercano aiuto. Le situazioni sono caotiche e difficili da sbrogliare. Riflettono l'anomia che si può osservare anche in altre regioni in declino del sistema mondiale globale, ma che però difficilmente ricevono l'attenzione dei media. Le "atrocità" sono ovviamente peggiori e più scandalose quando possono essere associate agli ebrei, o allo Stato ebraico. È importante chiarire che, in queste percezioni e rappresentazioni, a essere virulento è lo stereotipo antisemita del "doppio standard". Il problema sorge quando questo è strumentalizzato per giustificare in modo semplicistico le azioni dell'esercito Israeliano. Allo stesso modo, le azioni discutibili di Hamas non possono essere utilizzate come giustificazione immediata per le azioni dell'esercito israeliano, né possono esonerare il governo israeliano dalla sua responsabilità umanitaria. Quest'ultimo ha il la responsabilità di migliorare la distribuzione dei prodotti alimentari e gli aiuti umanitari, ed evitare vittime civili.
Confusione politica
Intanto, su iniziativa del Regno Unito, abbiamo visto i governi di 26 paesi che hanno chiesto la fine immediata della guerra a Gaza. Solo i cinici, possono ignorare l'impulso umanitario che risuona in una simile richiesta. Allo stesso tempo, è degno di nota che altre richieste come quella di «cessate il fuoco», o «il ritorno al vecchio sistema di distribuzione degli aiuti umanitari», «il rispetto del diritto internazionale», «la fine dei piani di reinsediamento», ecc., siano tutte dirette principalmente a Israele. Hamas, con i suoi piani per distruggere Israele, con la sua strategia terroristica a tutti i livelli del conflitto e la sua repressione contro la popolazione palestinese, ne rimane fuori. Anche il governo federale tedesco – che, tra l'altro, notoriamente non è particolarmente scrupoloso per quel che riguarda la fornitura di armi ai regimi terroristici o alla militarizzazione – limita la sua fornitura di armi a Israele, indipendentemente dalla ragion di Stato tedesca. Il diritto internazionale viene invocato all'unisono. Già anche negli anni precedenti, il diritto internazionale veniva trattato in modo molto arbitrario. Ricordiamoci, ad esempio, per esempio, la guerra della NATO nell'ex Jugoslavia, o la guerra degli Stati Uniti in Iraq. Con la progressiva disintegrazione delle strutture egemoniche e con gli associati conflitti tra le grandi potenze, che si contendono sempre più aspramente le rispettive basi economiche e lottano militarmente per la propria influenza politica – sia con la guerra, sia attraverso la militarizzazione, spinte dall'obiettivo di tornare a essere «pronte per la guerra» –, il diritto internazionale diventa sempre più completamente obsoleto [*16]. La stessa cosa vale anche per quel che riguarda la soluzione dei due Stati, ripetutamente richiesta da diversi attori. Il suo potere apparentemente magico può essere sviluppato solo purché non venga demistificato dalla questione della provenienza delle risorse finanziarie per la costruzione di uno Stato nel mezzo di quello che appare come un collasso degli Stati, in un capitalismo in fallimento entro i suoi limiti logici e storici. A rimanere totalmente senza risposta, è la questione di come Israele possa sopravvivere in una situazione globale sempre più anomica, a fronte di quelle che sono tutte le minacce e le strategie di sterminio che continuano ad esistere; e questo nel contesto di una situazione di crisi globale che dà origine ad allucinazioni antisemite, fino ad arrivare all'allucinazione di un antisemitismo redentore. Che cosa induce gli attori politici a prendere posizione contro Israele, per quanto sia nel contesto della società civile, (quasi) senza dire una parola? Gli obiettivi e le strategie di Hamas? Perché non si fa alcuna pressione sui sostenitori del Hamas, per esempio, in Iran e in Qatar? Perché il governo federale tedesco non chiede il rilascio degli ostaggi di Hamas, sebbene tra loro vi sono anche dei cittadini tedeschi? Di fronte all'aumento dei conflitti globali, gli attori politici intendono rimuovere almeno questo conflitto dall'agenda? È possibile che si possano permettere di agire in modo da ignorare Hamas e le sue vittime, poiché non riescono, o non vogliono, a resistere alla pressione pubblica mondiale dell'antisemitismo visto come forma di proiezione del superamento della crisi? sembra essere stato soprattutto il presidente francese Macron ad aver ceduto alle pressioni post-coloniali dell'opinione pubblica francese, quando ha riconosciuto la Palestina. Forse l'ignoranza su Hamas ha a che fare con il fatto che Israele viene ancora ritenuto responsabile, mentre che Hamas sembra invece essere al di là del bene e del male. In ultima analisi, il focus delle critiche e le delle richieste che vengono fatte a Israele, contribuiscono a legittimare Hamas e a delegittimare Israele. In fin dei conti, la strategia di Hamas funziona. Nel bel mezzo di un tempesta di indignazione antisemita, ottiene indirettamente ragione. Il suo terrorismo ha pagato, quantomeno sui media, ed è stato premiato. Nell'opinione pubblica, la sua propaganda è stata ben accolta, così come sono state ignorate le sue strategie barbariche.
E alla fine: annientamento del mondo e autodistruzione di Israele?
Robert Kurz, nel suo libro "Weltordnungskrieg" (La guerra d’ordinamento mondiale) - pubblicato per la prima volta nel 2003 - ha chiarito che «In un clima mondiale di concorrenza finalizzata al reciproco annichilimento, e di minaccia permanente all'esistenza sociale e, simultaneamente, di quella che è una precaria ricchezza monetaria speculativa - che può svanire in qualsiasi momento - quella che fiorisce è una diffusa volontà di annientamento, la quale agisce al di là di tutte le “situazioni di rischio” esterne, ed è altrettanto astratta e vuota di contenuto quanto lo è la forma sociale che costituisce la base del processo di valorizzazione del capitale.» [*17]. Tuttavia, un tale processo di crisi si trascina ormai da quasi 25 anni. La crisi del processo di valorizzazione del capitale, si aggrava nel contesto di tutti le cosiddette crisi multiple. Il motore dell'accumulazione gira a vuoto, dal momento che il Lavoro, visto come Il suo "carburante", si sta esaurendo sempre più. In tal modo, il vuoto metafisico del processo di valorizzazione diventa storicamente tangibile. Ma pur nel suo vuoto, il processo di valorizzazione del capitale continua a essere soggetto alla compulsione di continuare a proporsi nel mondo reale sensibile. Questa contraddizione non può essere risolta; a meno che non si arrivi a un sorpasso emancipatorio del capitalismo, dove questa contraddizione diverrebbe obsoleta. Ma se continua così, il mondo sensibile rischia di essere trascinato nel vortice dell'annientamento. Non è certo un caso che, nei processi di crisi attualmente aggravati e moltiplicati, sono presenti anche diversi temi legati alla morte: a partire dalla morte eroica, sostenuta dal disponibilità a dare la vita per la libertà e per la democrazia, passando per gli attentati suicidi glorificati come martirio, e fino alla delegittimazione dell'esistenza umana, così come avviene nelle discussioni malthusiane sulla politica demografica e sulla delegittimazione fondamentale della vita umana nell'anti-natalismo. La morte non viene limitata solo alle discussioni, ma la vediamo svolgersi realmente in mezzo alle crisi, e viene indirizzata principalmente contro i "Superflui", nel disperato tentativo di gestire la crisi del capitalismo e mantenere simultaneamente in vita il suo vorace cadavere, anche dopo morto. L'allucinazione antisemita, in quanto modo proiettivo di superare le crisi, ha accompagnato il capitalismo in tutte le sue crisi, fino allo sterminio degli ebrei nel nazismo. La crisi attuale, la quale ora si sta aggravando drammaticamente, si accompagna anche a un'allucinazione antisemita diretta contro tutti gli ebrei e, non meno importante, contro Israele in quanto Stato. Questo Stato venne creato per proteggere, a lungo termine, gli ebrei dall'antisemitismo e dallo sterminio. Si tratta di un vero e proprio progetto per salvare gli ebrei, ma non sta al di sopra delle relazioni capitalistiche, essendo parte di esse ed essendo coinvolto nelle dinamiche della crisi capitalistica e nel suo potenziale di sterminio. In un simile contesto, la difesa di Israele, vista come progetto di salvezza degli ebrei, somiglia in qualche modo al tentativo di salvare il mondo e la vita delle persone dall'essere consegnati al vuoto del nulla. Allo stesso tempo la politica fondamentalista e di estrema destra di Israele rivela le potenzialità che spingono Israele verso l'autodistruzione. Se ciò dovesse accadere, l'autodistruzione di Israele verrebbe così a essere un'espressione dell'autodistruzione del mondo nel capitalismo; promossa a partire da un'allucinazione antisemita, che sogna la distruzione di Israele vedendola come la salvezza del mondo.
- Herbert Böttcher - Pubblicato il 2/9/2025 - fonte: EXIT!
NOTE:
[1] Benjamin Graumann, Die Juden sind allein in Europa [Gli ebrei sono soli in Europa], in: FAZ del 18.8.25, https://www.faz.net/aktuell/politik/inland/antisemitismus-in-europa-juden-fuehlen-sich-bedroht-110642849.html.
[2] Cfr. Udo Wolter, Moralischer Maximalismus [Massimo morale], in: Jungle World 26/2025, https://jungle.world/artikel/2025/29/kritik-des-antisemitismus-israel-solidaritaet-moralischer-maximalismus.
[3] Kölner Stadt-Anzeiger de 6.8.25.
[4] Cfr. Kölner Stadt-Anzeiger de 9.8.25.
[5] Kölner Stadt-Anzeiger de 15.8.25.
[6] Cfr. Herbert per maggiori dettagli Böttcher, Projektiver Antisemitismus, «rohe Bürgerlichkeit» und gesellschaftlicher Wahn [Antisemitismo proiettivo, "borghesia bruta" e allucinazione sociale], in: exit! Krise und Kritik der Warengesellschaft, n. 22, Primavera 2025, 50-85.
[7] Udo Wolter, vedi nota 2.
[8] Cfr. Contantin Wißmann, Tragödie und Farce, in: Publik-Forum n. 15/2025.