Gli Stati Uniti e il "capitalismo fascista"
- di Maurizio Lazzarato - 7 ottobre 2025 -
«L'accumulazione primitiva, lo stato di natura del capitale, è il prototipo della crisi capitalista.» (Hans Jürgen Krahl)
Il capitalismo non è riducibile a un ciclo di accumulazione, dal momento che ciascun ciclo viene sempre preceduto, accompagnato e seguito da un ciclo strategico definito a partire da conflitti, guerre, guerre civili e, quando necessario, rivoluzione. Questo ciclo strategico comprende la cosiddetta "accumulazione primitiva", descritta da Marx, ma solo come prima fase, seguita prima dall'esercizio della violenza che si incarna nella "produzione", e poi dallo scoppio di questa in guerra e in guerra civile, dopo l'esaurimento del ciclo economico. Per riuscire a ottenere una descrizione completa del ciclo strategico, abbiamo dovuto aspettare il XX secolo, e la sua trasformazione in quello che è stato il ciclo delle rivoluzioni, sovietica e cinese; una trasformazione che, da diversi punti di vista, corregge e completa Marx. I due cicli lavorano insieme. Le loro dinamiche sono intrecciate, ma possono anche essere separate l'una dall'altra: dal 2008, il ciclo di conflitti, guerre e guerre civili (e l'improbabile possibilità di una rivoluzione) si sta gradualmente separando dal ciclo dell'accumulazione in senso proprio. Gli stalli e le impasse nell'accumulazione del capitale, richiedono l'intervento del ciclo strategico, il quale funziona sulla base dei rapporti di forza, e del rapporto non economico amico-nemico. Sin dall'avvento dell'imperialismo, l'importanza del ciclo strategico non ha fatto che aumentare. Cicli di guerra, di tremenda violenza e di uso arbitrario della forza, si susseguono in rapida successione. Gli Stati Uniti, hanno imposto tre volte delle regole economiche e giuridiche al mercato mondiale e all'ordine mondiale (1945, 1971 e 1991), e per tre volte hanno cancellato o modificato quelle norme che avevano imposto, a causa del fatto che quelle norme non erano più convenienti per loro, e ne hanno pertanto istituite di nuove. Il fordismo del 1945 è stato smantellato negli anni '70, mentre il cosiddetto "neoliberismo" - scelto per sostituirlo e che si è diffuso in tutto il mondo nel 1991 dopo la caduta dell'Unione Sovietica - ha collassato nel 2008. L'odierna accumulazione primitiva, ancora una volta, sta cambiando le regole del gioco, facendolo stavolta nel nome di un tentativo, assai più che improbabile, di «rendere nuovamente grande l'America». Nel capitalismo contemporaneo, l'analisi del ciclo strategico deve riguardare in primo luogo gli Stati Uniti, e questo poiché è lì che si concentrano gli apparati di potere, le istituzioni militari, finanziarie e monetarie sulle quali detiene quei monopoli vietati alla “alleata” Europa o all’Asia orientale, vale a dire a quei paesi soggiogati dalla guerra (Germania, Giappone, Italia), o dal potere economico e finanziario (Francia, Regno Unito) e, soprattutto, il "Sud" globale. A partire dalla crisi del 2008, il ciclo strategico è venuto in primo piano, al punto da soppiantare il "mercato", le normative economiche, il diritto internazionale, le relazioni diplomatiche tra gli Stati, ecc.; il tutto con l'obiettivo di scongiurare l'implosione del ciclo di accumulazione, e rivitalizzare l'economia statunitense, la quale si trova in seria difficoltà. Così, abbiamo la "fortuna" di poter osservare dal vivo questa accumulazione primitiva e questo ciclo strategico. Trump ha messo in atto lo "stato di eccezione". Ma stavolta questo stato è assai ben diverso da quello canonicamente definito tale da Carl Schmitt, o ripreso poi da Giorgio Agamben. Anziché occuparsi del "diritto pubblico", e della costituzione formale dello Stato nazionale, in primo luogo esso mira piuttosto alle regole che riguardano la costituzione materiale del mercato globale, e alle norme giuridiche internazionali relative all'ordine mondiale. Con lo stato globale di eccezione, lo spazio dove prende forma il nomos della terra - con le sue linee di amicizia e di ostilità - è la guerra civile globale. Invece di focalizzarsi sul diritto, lo stato di eccezione globale integra profondamente l'economia, la politica, l'esercito e il sistema giuridico. In tal modo, la guerra civile globale si ripercuote sulla guerra civile interna, intensificando il razzismo e il sessismo, la militarizzazione del territorio, la deportazione degli immigrati, gli attacchi alle università, ai musei, ecc. La popolazione degli Stati Uniti appare profondamente divisa, e non tra il 99% e l'1%, bensì tra quel 20% che assicura la maggior parte dei consumi all'interno dell'enorme mercato interno (3/4 del PIL), e l'80% per i quali i consumi sono stagnanti, o in declino. Vengono implementate delle politiche fiscali in modo da poter pertanto garantire la proprietà e l'iper-consumo della parte più ricca della popolazione. Trump ha così il merito di politicizzare tutto ciò che il cosiddetto neoliberismo era invece intento a depoliticizzare, senza però essere in grado di farlo. Una volta sospese tutte le regole, l'uso della forza extra-economica diventa la precondizione per la produzione economica, per stabilire leggi e costituire qualsiasi tipo di istituzione. È necessario prima, però, imporre con la forza i rapporti di potere. Ed ecco che allora, una volta stabilita la divisione tra chi comanda e chi obbedisce (e la situazione si stabilizza in quanto viene accettata da chi è stato soggiogato), ecco che si possono così ricostruire le norme economiche e giuridiche, gli automatismi dell'economia, le istituzioni nazionali e internazionali, insieme all'espressione di un nuovo "ordine". Il ciclo strategico, che funziona attraverso lo "stato globale di eccezione", è stato assicurato a partire da delle decisioni politiche arbitrarie e unilaterali, prese dall'amministrazione americana, il cui scopo è stato quello di imporre tutta una serie di "acquisizioni" (appropriazioni, espropri, saccheggi (*1) della ricchezza altrui; direttamente estorta, senza mediazione né sfruttamento industriale, né predazione attuata attraverso il debito e la finanziarizzazione.
Qual è il significato di questo lungo (e qui parziale) elenco di decisioni politiche prese sulla base del potere coercitivo dello Stato imperiale? Il cambiamento nelle relazioni "economiche" non è immanente alla produzione. Né lo sono gli effetti delle "leggi" della finanza, dell'industria o del commercio stabilite dalla teoria economica. Gli "automatismi" economici imposti politicamente dagli Stati Uniti negli anni '70 e '80, non possono che riprodurre i fini per i quali erano stati istituiti politicamente (finanziarizzazione, economia del debito, delocalizzazione industriale, ecc.), e riprodurre, pertanto, la crisi. Questi apparati non hanno la capacità di innovare; sia distribuendo il potere in modo diverso, sia producendo nuove relazioni tra Stati e classi, che poi servirebbero in quanto condizioni per una "nuova" forma di produzione. La configurazione dei poteri che stiamo esaminando, richiede una rottura. Essa non è deducibile dalla situazione che ha portato a questa crisi. Ma richiede un salto fuori dalla situazione. Il salto va pensato e organizzato da una "nuova" classe dominante, una classe che soggettivizzi la rottura, occupando lo Stato e usandolo strategicamente. L'amministrazione assume qui il ruolo e la funzione dello stratega, del signore della guerra che decide, e che lo fa sulla base del rapporto amico-nemico, e non più sulla "parità" di scambio tra contraenti, stabilendo chi deve pagare, e quanto va pagato. per la crisi degli Stati Uniti. Per poter capire la "politica" degli Stati Uniti, la quale ha gestito, da un po' di tempo, queste fasi di accumulazione primitiva, non dobbiamo, né contrapporla alla"economia" e né ridurla alla classe politica nel suo insieme. Essa costituisce il coordinamento tra i vari centri di potere (amministrativo, finanziario, militare, monetario, industriale, basato sui media) in modo da dotarli di una strategia. Gli interessi eterogenei che li caratterizzano, trovano così una certa mediazione nella necessità di combattere contro un "nemico comune"; il resto del mondo, ma in primis i BRICS, e in particolare la Russia e la Cina. L'amministrazione Trump assume la funzione di capitalista collettivo, di leader capace di negoziare una strategia con quelle che sono le altre potenze finanziarie, militari e monetarie, le quali sennò continuerebbero ad agire secondo i propri interessi, anche qualora fossero interessi che alla fine devono comunque convergere; poiché a essere in gioco non è tanto la salute dell'economia americana, quanto piuttosto la possibilità del collasso della macchina economico-politica del capitalismo finanziario e del debito. Una macchina che è arrivata al capolinea. L'intimidazione economica e il ricatto, l'intimidazione e il ricatto dell'intervento militare, delle guerre e del genocidio, vengono mobilitati tutti insieme. Gli Stati Uniti. con il pretesto del narcotraffico, minacciano di intervenire nel "loro proprio cortile" (l'America Latina), vale a dire, in Colombia, Messico, Haiti ed El Salvador, mentre simultaneamente puntano le armi contro il Venezuela. Hanno invitato a Buenos Aires (19/21 agosto) i ministri della Difesa della regione per chiedere un perfetto allineamento contro la Cina e imporre un rafforzamento della presenza militare americana negli "Stretti" (Magellano, Panama, ecc.). «I quali potrebbero essere utilizzati dal Partito Comunista Cinese per estendere il proprio potere, interrompere il commercio e sfidare la sovranità delle nostre nazioni e la neutralità dell'Antartide». Nelle condizioni attuali, è difficile anche solo parlare di capitalismo, parlare di un "modo di produzione", visto che ci troviamo di fronte all'azione di un "Lord", di un Signore che decide arbitrariamente la quantità di ricchezza che ha il diritto di estrarre dalla produzione dei suoi "servi della gleba". Il segretario al Tesoro americano, Scott Bessent, ha dichiarato, senza un briciolo di imbarazzo, che gli Stati Uniti tratteranno la ricchezza dei loro "alleati", come se tale ricchezza fosse la propria: il Giappone, la Corea del Sud, gli Emirati Arabi Uniti e, soprattutto, l'Europa, si sono impegnati a investire «secondo i desideri del presidente». Si tratterebbe di «un fondo sovrano, gestito a discrezione del Presidente, al fine di finanziare una nuova industrializzazione». Il conduttore di Fox News, stupefatto, lo descrive come un «fondo di appropriazione offshore». Bessent: «Insomma, si tratta di un fondo sovrano americano, ma fatto con il denaro di altre persone». Le relazioni impersonali del mercato, stanno diventando nuovamente relazioni personali, che contrappongono «il padrone e i suoi schiavi», il colonizzatore e il colonizzato. A governare e decidere, non è il feticismo delle merci, non è l'automatismo della moneta, del mercato, del debito, ecc., bensì è piuttosto la forza, in quanto espressione di una volontà politica. Gli Stati Uniti non designano più il loro concorrente, ma piuttosto il nemico; un nemico che ora hanno identificato nel resto del mondo, ivi compresi i loro alleati (in realtà, in primo luogo, alleati nella misura in cui essi fanno parte della medesima classe dominante, e sono terrorizzati dall'idea del crollo del centro del sistema, che porterebbe anche alla loro stessa caduta; ragion per cui, per salvare il capitalismo, sono pronti anche a spogliare le loro stesse popolazioni, in particolare l'Europa che, come il Giappone negli anni '80, verrà costretta a pagare per la crisi degli Stati Uniti, sacrificando la propria economia e le sue classi lavoratrici, ed esponendosi così ai rischi di una guerra civile). La legge del valore, o dell'utilità marginale – ossia, tutte le categorie dell'economia classica o neoclassica – sono del tutto assolutamente inutili. Non spiegano nulla di tutto ciò che sta accadendo attualmente. Al posto dei modelli econometrici, troppo complicati, è sufficiente un'operazione matematica, appresa alle elementari, per calcolare le tariffe applicate al resto del mondo. La cosiddetta complessità delle società contemporanee si dissolve abbastanza facilmente di fronte alla dualità politica amico-nemico. La "distruzione creatrice" non è più una prerogativa dell'imprenditore, ma diventa il lavoro dei decisori politici, economici e militari.
Nemmeno il Capitale di Karl Marx (partendo quantomeno dall'accumulazione primitiva, invece che dalla merce) risulta molto utile, quando si tratta di spiegare la situazione. Pierre Clastres, la cui lettura di Nietzsche, incentrata sulla volontà di potenza, è assai diversa da quella di Foucault, può darci invece qualche spunto di riflessione: le relazioni economiche, sono relazioni di potere che non possono mai essere separate dalla guerra. La sua descrizione di come funziona il "potere", quando esso si afferma a spese delle primissime «Società contro lo Stato» rimane ancora il commento più appropriato che abbia mai letto per quel che riguarda l'attuale funzionamento di quella macchina statale/capitale che è l'amministrazione degli Stati Uniti. L'ordine economico - vale a dire la divisione della società in ricchi e poveri, sfruttatori e sfruttati - è il risultato di una divisione più fondamentale della società: la divisione tra coloro che governano e coloro che obbediscono, tra coloro che mantengono il potere e coloro che vi sono sottomessi. Diventa pertanto essenziale capire quando e come nasca nella società il rapporto di potere, di governo e di obbedienza. In che modo coloro che detengono il potere diventano sfruttatori, e in che modo coloro che vi sono sottoposti o lo riconoscono – la differenza conta poco – vengono sfruttati? Il punto di partenza, molto semplicemente, è il tributo. È fondamentale. Non dobbiamo mai dimenticare che il potere esiste solo in quello che è il suo esercizio: un potere che non viene esercitato non è potere. Il segno del potere, il segno che esso esiste realmente è, per chi lo riconosce, l'obbligo di rendere omaggio. L'essenza di una relazione di potere, è una relazione di debito. Quando la società è divisa tra chi governa e chi obbedisce, il primo atto di chi governa è quello di dire agli altri: «Noi governiamo, e possiamo dimostrarvelo chiedendovi di pagare un tributo». (*2). Noi, possiamo facilmente interpretare il rapporto tra governare e obbedire vedendolo come determinato dalla violenza dell'accumulazione primitiva che si ripete costantemente; esso e il rapporto tra lo sfruttatore e lo sfruttato, visto come l'esercizio del potere nella "produzione", una volta che "l'ordine" è stato stabilito, e la situazione "normalizzata": entrambi i rapporti (governante/obbediente e sfruttatore/sfruttato) sono azioni complementari della stessa macchina stato-capitale. La critica di Clastres alla "economia", che in ultima istanza determina anche la "politica", ci sembra pertinente, a patto però che si consideri la volontà di potenza e la volontà di accumulazione come le due facce della stessa medaglia. Il tributo da rendere all'amministrazione degli Stati Uniti, dovrebbe essere il segno di una nuova ridistribuzione del potere, capace di elaborare un nuovo "nomos della terra", vale a dire, un rapporto di subordinazione coloniale degli alleati agli Stati Uniti, da un lato, e dall'altro l'operazione più difficile dei BRICS nei confronti degli Stati Uniti. Internamente a ogni Stato, il tributo dovrebbe essere riconosciuto in quanto segno di sottomissione da parte delle classi dominanti, le quali si suppone siano i veri pagatori. L'arroganza di Trump nasconde così la sua debolezza: voler imporre un nuovo ordine mondiale nel mentre che supervisiona la sconfitta della NATO in Ucraina, oltre a una crisi economica mostruosa e un sud globale che non si sottomette così tanto facilmente come invece ha fatto l'Europa. Il nuovo ordine può essere instaurato solo per mezzo dell'imperialismo, caratterizzato fin dal suo inizio dalla complementarietà tra economia e politica, guerra e produzione. L'imperialismo collettivo, definito da Samir Amin negli anni '70, in cui il ruolo centrale era riservato agli Stati Uniti, si è ora trasformato in una vera e propria subordinazione coloniale degli alleati: Europa, Corea del Sud, Giappone, Canada, ecc. L'Europa si trova nella stessa condizione di subordinazione coloniale che l'Inghilterra aveva imposto all'India nel XIX secolo, dal momento che, come quest'ultima, deve ora pagare un tributo al paese "occupante", costruendo e finanziando eserciti europei, con risorse che vengono acquistate dagli Stati Uniti per poter fare la guerra contro quei nemici che vengono definiti tali dal potere imperiale (la guerra in Ucraina rappresenta l'esperimento, un test generale, per questo tipo di guerra).
Il "neoliberismo" e la reversibilità del fascismo e del capitalismo
La nuova sequenza del ciclo strategico, cominciato nel 2008, che ha portato alla guerra aperta, reca in sé una novità enorme. La macchina del capitale statale, non delega più ai fascisti la violenza estrema. Ma è essa stessa che ora organizza tale violenza, sentendosi forse ancora scottata dall'autonomia che assunse il nazismo nella prima metà del XX secolo. Il genocidio getta una luce inquietante sulla natura del capitalismo e della democrazia, costringendoci a vederli come forse non li abbiamo mai visti prima. Il capitalismo e le democrazie, stanno orchestrando insieme, e per conto proprio, un genocidio come se questo fosse la cosa più normale e naturale del mondo. Numerose aziende (logistica, armi, comunicazioni, controllo, ecc.) hanno partecipato economicamente all'occupazione della Palestina e stanno ora orchestrando, senza remore, l'economia del genocidio. Analogamente alle aziende tedesche negli anni '30 e '40, esse promettono enormi profitti derivanti dalla pulizia etnica dei palestinesi. L'indice principale della borsa di Tel Aviv, è salito del 200% nel corso del genocidio, assicurando un flusso continuo di capitali, per lo più americani ed europei, verso Israele. Con il genocidio, le democrazie liberali si sono riconnesse con le loro genealogie che, un tempo felicemente represse, ora tornano per la vendetta. Gli Stati Uniti hanno costruito le loro fondamenta sul genocidio dei nativi americani, e sulle istituzioni del razzismo e della schiavitù, e questo nel mentre che le democrazie europee hanno fatto più o meno lo stesso, sebbene in colonie lontane. La questione coloniale, le questioni del razzismo e della schiavitù, sono state al centro delle due rivoluzioni liberali, verso la fine del XVIII secolo. Il razzismo strutturale, che caratterizza il capitalismo e che oggi si concentra contro i musulmani, è stato spudoratamente scatenato dagli israeliani, da tutti i media occidentali e da tutte le classi politiche occidentali. Anche qui, senza molto bisogno di nuovi fascisti, perché sono gli Stati, in particolare quelli europei, che lo hanno alimentato a partire dagli anni '80 (e questo mentre negli Stati Uniti esso è endemico e centrale per l'esercizio del potere). Il razzismo si trova profondamente radicato nella democrazia e nel capitalismo, sin dalla conquista delle Americhe, perché in esse regna la disuguaglianza, e uno dei modi centrali per legittimare una tale disuguaglianza, è farlo attraverso il razzismo. Il dibattito sui fascismi contemporanei sta avvenendo troppo tardi, forse perché nessuno di questi "nuovi fascismi" è in grado di esercitare una tale violenza e promuovere la distruzione su questa scala. Per varie ragioni, essi non sono più come i loro antenati, i quali vennero incaricati di condurre una massiccia controrivoluzione contro il socialismo. La ragione principale, tuttavia, è la seguente: non esiste un vero nemico che assomigli, nemmeno lontanamente, ai bolscevichi. I movimenti politici contemporanei non costituiscono alcuna minaccia. Sono del tutto innocui. I nuovi fascismi, sono marginali rispetto ai fascismi storici, e quando arrivano al potere si pongono immediatamente dalla parte del capitale e dello Stato, limitandosi a intensificare la legislazione autoritaria/repressiva, e a influenzare la sfera simbolica e culturale. È questo ciò che i fascisti italiani sono in procinto di fare. Trump (o Milei) costituisce l'immagine perfetta del "capitalista fascista", dato che rappresenta una parte della classe capitalista, e agisce come tale. Le azioni di Trump non hanno nulla a che fare con il folklore fascista storico, tranne forse marginalmente, quando agisce a livello geopolitico al fine di salvare il capitalismo americano dall'implosione, imponendo un diventare fascista di ogni aspetto della società americana. Il capitalismo non ha alcun bisogno di delegare il potere, come ha fatto in passato, ai fascismi, e questo poiché, a partire dagli anni '70, la democrazia è stata svuotata dall'interno (vedi la Commissione Trilaterale). Essa produce, dall'interno delle sue stesse istituzioni – così come il capitalismo fa dall'interno della finanza e lo Stato dall'interno della sua stessa amministrazione e delle sue forze armate – la guerra, la guerra civile e il genocidio. Quelli che chiamiamo "nuovi fascismi", o "post-fascismo", non sono altro che degli attori che interpretano ruoli minori. Non hanno altra scelta se non quella di accettare le decisioni prese dai centri di potere finanziari, militari, monetari e statali.
Come dobbiamo interpretare questa situazione senza precedenti? Essa ha radici profonde nella fase precedente dell'accumulazione primitiva che ha organizzato la transizione dal fordismo al cosiddetto "neoliberismo". Il ciclo strategico organizzato dall'amministrazione Nixon, per far pagare al resto del mondo, come oggi, le crisi accumulate negli anni '60, è stato ancora più violento di quanto sono ora le azioni di Trump: una decisione unilaterale di rendere il dollaro USA inconvertibile in oro (*3), i dazi del 10%, i capitali giapponesi messi a disposizione degli Stati Uniti, "l'Accordo" del Plaza che ha saccheggiato sia il Giappone che, all'epoca, la Cina, sacrificando l'economia di quest'ultima per salvare il capitalismo americano; e poi il ristabilimento delle relazioni politiche con la Cina, che si riveleranno decisive per la globalizzazione; la decisione politica di costruire un "super-imperialismo" attorno al dollaro, e così via. Alcuni degli episodi più drammatici di questo ciclo strategico sono state le guerre civili in tutta l'America Latina, le quali hanno contemporaneamente dichiarato anche la fine della rivoluzione globale, e avviato i primi cosiddetti esperimenti neoliberisti. A questo proposito, è interessante rivisitare l'analisi economica del neoliberismo nascente di Paul Samuelson, vincitrice del premio Nobel, dal momento che essa non viene quasi mai ricordata. Abbiamo considerato l'analisi di Foucault, della "nascita della biopolitica", come se fosse un'impressionante anticipazione del neoliberismo, anche se durante la stessa epoca l'interpretazione di Paul Samuelson tagliava mirabilmente dritto riguardo l'ammirazione del mercato, le libertà, la tolleranza delle minoranze, la governamentalità, ecc., descrivendo l'economia neoliberista come un "capitalismo fascista", nel senso che, con il mercato neoliberale, I due termini diventano reversibili. Questa categoria, dimenticata negli anni che seguirono, ci aiuterà forse a capire la genealogia del genocidio democratico-capitalista. Ciò a cui alludo, è ovviamente la soluzione fascista. Se il mercato efficiente è politicamente instabile, vediamo allora i simpatizzanti fascisti che concludono: «Sbarazzatevi della democrazia, e imponete alla società il regime del mercato. Non importa se i sindacati debbano essere evirati, e che gli intellettuali fastidiosi debbano essere messi in prigione o in esilio». (*4) Il "mercato" (leggi: "capitale", che non è la stessa cosa) ha gradualmente distrutto, a partire dagli anni '70, la democrazia del dopoguerra; l'unica che potesse, anche solo in qualche modo, assomigliare al suo stesso concetto, poiché essa è sorta dalle guerre civili globali contro il nazismo. Una volta esaurita questa energia politica, il capitalismo fascista cominciò ad istituirsi. La logica del mercato, invece di essere un'alternativa alla guerra e alla violenza terribile, li ha contenuti, li ha alimentati, e alla fine l'ha messo in pratica essa stessa, da sé sola, fino al punto del genocidio. Nell'era dei monopoli, il mercato – quella forma di mediazione che si suppone automatica – costituisce, in realtà, il fine di ogni mediazione, perché fa emergere la forza come attore decisivo: la forza dei monopoli, la forza della finanza, la forza dello Stato, e così via. Non solo ci deve essere la guerra civile per instaurarla, ma delega anche il funzionamento del capitalismo alla forza. In questo senso, il mercato è già un'economia fascista. Samuelson, capovolge il più solido dei sistemi di credenze: l'economia dei Chicago Boys – Hayek, Friedman, ecc. – è una forma di fascismo, e costituisce un paradigma per l'economia in generale. L'esperimento neoliberista è quello di una "economia imposta", che poi è esattamente ciò che l'amministrazione Trump sta cercando di realizzare: un "capitalismo imposto" (un altro dei termini felici di Samuelson), un capitalismo imposto con la forza: «L'undicesima edizione del 1980 della mia "Economia", ha una nuova sezione dedicata allo sgradevole argomento del fascismo capitalista. Per così dire, se il Cile e i ragazzi di Chicago non fossero esistiti, avremmo dovuto inventarli come paradigma. È importante citare alcune delle mie parole, tanto più che i conservatori che non amano il modo in cui funziona la democrazia non sono disposti a seguire la loro logica fino alla conclusione fascista di questi giorni e a usare i limiti costituzionali sulla tassazione come forma di capitalismo imposto. Ecco le parole per descrivere il capitalismo fascista...» (*5)
Piuttosto che chiederci perché il governo stia portando alla guerra, al fascismo e al genocidio proprio come ha fatto nella prima metà del XX secolo, abbiamo accettato la narrativa liberale. Noi stessi non siamo stati in grado di trarre le necessarie conclusioni, eppure siamo passati dalle cosiddette libertà del neoliberismo al genocidio democratico-capitalistico senza colpo di Stato, senza una "marcia su Roma", senza una controrivoluzione di massa, ma come se tutto questo fosse un'evoluzione naturale. Non una sola persona dell'establishment, men che meno le classi politiche e gli esperti, sono stati infastiditi da ciò. Al contrario, questi ultimi si sono allineati con sorprendente fretta attorno a una narrazione che contraddice, da cima a fondo, l'ideologia professata da decenni di diritti umani, di diritto internazionale, di democrazia contro la dittatura, ecc. Perché tutto questo avvenisse senza il minimo intoppo, gli orrori fisici e mediatici del genocidio dovevano essere inscritti nelle strutture del sistema, il quale - una volta emersi gli orrori - li considerava non più come un'aberrazione, bensì come una normalità. Tutto questo si è svolto come se fosse una cosa ovvia. Il capitalismo "liberale" si è naturalmente e pienamente espresso e realizzato nel genocidio senza che ci fosse la mediazione fascista, senza che i fascisti costituissero una forza politica "autonoma" come negli anni '20. Non siamo riusciti a vedere quello che si trovava sotto i nostri occhi, perché abbiamo messo troppi filtri "democratici"; un'idea pacificata del capitalismo che ci impedisce di leggere con precisione ciò che è accaduto con la costruzione del neoliberismo in America Latina. Rileggiamo Samuelson, tenendo a mente tutti i commenti dei pensatori critici che continuano, anche dopo il 2008, a parlare di neoliberismo: «Generali e ammiragli prendono il potere. Spazzano via i loro predecessori di sinistra, esiliano gli oppositori, imprigionano gli intellettuali dissidenti, frenano i sindacati e controllano la stampa e tutta l'attività politica. Ma, in questa variante del fascismo di mercato, i leader militari rimangono fuori dall'economia. Non pianificano e non accettano tangenti. Consegnano tutta l'economia ai fanatici religiosi – fanatici la cui religione è il mercato del laissez faire; fanatici che non accettano tangenti. (Gli oppositori del regime cileno chiamarono un po' ingiustamente questo gruppo "i Chicago Boys", in riconoscimento del fatto che molti di loro erano stati addestrati o influenzati dagli economisti dell'Università di Chicago, ii quali favorivano il libero mercato). Allora l'orologio della storia tornava indietro. Il mercato veniva liberato, e l'offerta di moneta è strettamente controllata. Senza il pagamento del sussidio, i lavoratori devono lavorare o morire di fame. Quei disoccupati ora frenano la crescita del tasso salariale competitivo. L'inflazione potrebbe così essere ridotta, se non spazzata via.» (*6)
In realtà, la funzione del mercato "fascista" non è mai stata economica. Era, soprattutto, repressiva. Contro l'individualizzazione del proletariato e contro ogni azione collettiva o solidaristica e, secondariamente, disciplinare. Il mercato è stato un costrutto ideologico immanente, sotto il cui mantello la predazione poteva procedere tranquillamente, una predazione resa possibile dal monopolio del "dollaro" e della "finanza", così come dalla violenza militare degli Stati Uniti, i veri agenti economico-politici del neoliberismo che non sono mai stati regolati né governati dal mercato. In che modo possiamo confermare la pertinenza del concetto di Samuelson, il quale implica l'ossimoro della "democrazia fascista"? Abbiamo difficoltà ad afferrare la realtà, poiché la tremenda violenza che unisce democrazia e capitalismo nasconde, con sconcertante facilità, i valori dell'Occidente, sanciti dalle sue costituzioni. Il giovane Marx, ci ricorda che il cuore delle costituzioni liberali non è né la libertà, né l'uguaglianza, né la fraternità, ma la proprietà privata borghese. Questa è una verità incontestabile, tanto più che è «il diritto più sacro dell'uomo» affermato dalla rivoluzione francese, l'unico vero valore dell'Occidente capitalista. La proprietà, è di certo il modo più pertinente per poter definire la situazione degli oppressi. L'accumulazione primitiva messa in atto da Nixon negli anni '70, impose politicamente un'appropriazione e una distribuzione iniziali, stabilendo una divisione proprietaria senza precedenti ai tempi di Marx: questa nuova divisione non era principalmente tra capitalisti, proprietari dei mezzi di produzione, e lavoratori privati di qualsiasi proprietà, ma tra i proprietari di azioni e obbligazioni, cioè tra i detentori di titoli finanziari e quelli che non ne detengono alcuno. Questa "economia" funziona come i dazi di Trump, estraendo ricchezza dalla società dei "servi della gleba" con l'unica differenza che la predazione procede attraverso gli "automatismi" della finanza e del debito, automatismi che vengono mantenuti continuamente e politicamente. La società è divisa più che mai: ai vertici si concentrano i possessori di azioni/titoli, al di sotto della stragrande maggioranza della popolazione che, in realtà, non è più composta da soggetti politici, ma da "esclusi". Come nel caso dei servi della gleba dell'ancien régime, la "funzione" economica non implica il riconoscimento politico. L'integrazione del movimento operaio, che è stato riconosciuto come un attore politico per l'economia e per la democrazia negli anni successivi alla guerra, si è trasformata nell'esclusione delle classi lavoratrici da qualsiasi istanza del processo decisionale politico. La finanziarizzazione ha permesso a coloro che sono al "vertice" di praticare la secessione. È essa che organizza il suo rapporto con le classi inferiori in modo che sia esclusivamente di esplorazione e dominio. I servi della gleba non solo sono stati espropriati economicamente, ma sono stati anche privati di qualsiasi identità politica, al punto tale da aver adottato la cultura/identità del nemico – l'individualismo, il consumo, l'ethos della televisione e della pubblicità. Oggi sono spinti ad assumere un'identità fascista e una soggettività in tempo di guerra. I "servi della gleba" sono frammentati, dispersi, individualizzati, divisi in mille modi (per genere, razza, reddito, ricchezza) – ma tutti partecipano, in varia misura, alla società segregata stabilita dalla macchina stato-capitale, una macchina che non ha più bisogno di alcuna legittimazione, tanto favorevoli sono i rapporti di potere ad essa. Vengono prese decisioni sul genocidio, il riarmo, la guerra e le politiche economiche senza che nessuno debba rispondere ai propri subordinati. Il consenso non è più necessario perché il proletariato è troppo debole anche solo per pretendere di contare qualcosa. E' chiaro che in questa situazione la democrazia non ha senso. La condizione dell'oppresso assomiglia più alla situazione del colonizzato (una colonizzazione generalizzata) piuttosto che a quella di un "cittadino". Walter Benjamin ci ha avvertito: «L'attuale stupore che le cose che stiamo vivendo siano "ancora" possibili nel ventesimo secolo, non è filosofico. Questo stupore non rappresenta l'inizio della conoscenza; a meno che non sia la consapevolezza che la visione della storia da cui ne trae origine è insostenibile».(*7) Ciò che è inoltre insostenibile è una certa idea del capitalismo sostenuta anche dall'economicismo del marxismo occidentale. Lenin definì il capitalismo imperialista come reazionario, a differenza del capitalismo competitivo, nel quale Marx vedeva invece ancora alcuni aspetti "progressisti". La finanziarizzazione e l'economia del debito hanno creato un mostro, fondendo capitalismo, democrazia e fascismo, e non ponendo assolutamente alcun problema alle classi dominanti. Dovremmo indagare la natura del ciclo strategico del nemico, dichiarando a noi stessi un unico obiettivo: trasformare tutto questo in un ciclo strategico di rivoluzione.
Maurizio Lazzarato - 7 ottobre 2025 -
Note:
1.Le tariffe variano tra il 15% e il 50%. Una riduzione dell'aliquota fiscale è stata promessa a condizione che (1) l'acquisto di titoli dal mercato americano che stanno avendo problemi tra gli acquirenti sui mercati e (2) il trasferimento gratuito di miliardi di dollari agli Stati Uniti. I dazi hanno un duplice scopo: uno economico (gli Stati Uniti hanno bisogno di denaro fresco per coprire i loro deficit), l'altro politico (l'India commercia liberamente con la Russia, ecc., e il Brasile ha "perseguitato" Bolsonaro). - Imposizioni di acquisti di energia USA quattro volte più cari del prezzo di mercato: l'Europa ha promesso di - Un obbligo di investire miliardi di dollari nella reindustrializzazione americana (Giappone, Europa, Corea del Sud, Emirati Arabi Uniti hanno promesso somme astronomiche, con i 600 miliardi di dollari dell'Europa considerati un "regalo" da Trump). Investimenti che saranno a discrezione degli Stati Uniti, sotto la minaccia di un aumento dei dazi. -Il GENIUS Act autorizza le banche a detenere stablecoin come valuta di riserva per far fronte alle difficoltà legate al collocamento degli enormi titoli di debito pubblico. La condizione politica per queste stablecoin è che siano indicizzate al dollaro e utilizzate per l'acquisto del debito statunitense.
2.R. Bellour e P. Clastres, "Entretien avec Pierre Clastres", in R. Bellour, Le livres des autres. Entretiens avec M. Foucault, C. Lévi-Strauss, R. Barthes, P. Francastel, Union générale d'éditions, 1978, 425-442.
3. Mentre gli Stati Uniti uscirono per la prima volta dal gold standard con un ordine esecutivo nell'aprile del 1933, fu solo nell'agosto del 1971 che Nixon pose fine alla capacità dei governi stranieri di scambiare dollari con oro.
4.Paul A Samuelson, “The World Economy at Century’s End,” Human Resources, Employment and Development. Vol 1, the Issues: Proceedings of the Sixth World Congress of the International Economic Association held in Mexico city, 1980, ed. Shigeto Tsuru, Palgrave International Economic Association Series, 1, 1983, 75.
5.Samuelson, "L'economia mondiale", 75. [Nel francese da cui Lazzarato cita, "capitalisme imposé" risuona con la parola per tassazione, cioè "l'imposizione".
6.Samuelson, "L'economia mondiale", 75.
7. Walter Benjamin, "Sul concetto di storia",