mercoledì 28 agosto 2019

Strade

«Bella Ciao», una melodia ebraica venuta da New York
- di Karlos Zurutuza -

Ebreo di nascita, zingaro di sangue e cristiano di fede: questo era Mishka. Un cane senza guinzaglio, un essere talmente estemporaneo da suonare «Bella Ciao» decenni prima che il mondo la conoscesse.
A lui, ci siamo arrivati attraverso Fausto Giovannardi, un irrequieto ingegnere italiano, talmente irrequieto da trovare un CD dal titolo "Klezmer, música swing yiddish" in una bancarella del quartiere latino di Parigi. L'acquisto avvenne nel giugno del 2006, ma per ascoltarlo tutto, all'ingegnere, ci vollero alcune settimane. Lo sentiva in macchina, andando al lavoro.
«All'improvviso, senza nemmeno accorgermene, ecco che comincio a cantare. Era la musica di Bella Ciao! Fermo la macchina e leggo il titolo del brano sul CD: "Koilen (3'.30) – Mishka Ziganoff, 1919"», ha spiegato Giovannardi ad un corrispondente de La Repubblica. Ma come ha fatto una melodia ebraica del XX secolo ad aver viaggiato dai confini del Mar Nero fino agli Stati Uniti, per poi tornare in Europa e trasformarsi in un inno antifascista? La cosa sembrava assai più che intrigante! Avrebbe potuto essere stato un emigrante italiano ritornato dagli Stati Uniti...
Col CD nella tasca della giacca, Giovannardi si mise al lavoro. Un professore dell'università californiana di Berkeley gli spiega che la melodia di Koilen ha suono russo assai ben distinto, e che potrebbe avere avuto la sua origine in una canzone popolare yiddish. La British Library di Londra confermò che Mishka Ziganoff era un ebreo proveniente dall'Europa orientale, e che la melodia in questione era una versione della canzone yiddish «Dus Zekele Koilen» [«Un sacchetto di carbone»], di cui esistono almeno due registrazioni precedenti.
Un viaggio ed un'intervista dopo l'altra, Giovannardi si fa trasportare dagli accordi del Klezmer, un genere musicale tanto affascinante quanto poco documentato. Che interesse si potrebbe mai avere nei confronti di un pugno di ebrei e di zingari analfabeti che si trovano sulle rive del Mar Nero, a confronto con i nostri Debussy e Rachmaninov? Ma se lo guardiamo dal punto di vista opposto: l'autocompiacimento accademico dei tardo-romantici potrebbe fare poco, o niente, contro al tradizione dell'Europa più orientale; quell'Europa che si è bevuta Daci, Traci e Romani; quell'Europa fatta di bulgari, polacchi, ungheresi, serbi, turchi e perfino di Gaugazi e Ruteni. Se a tutto questo aggiungiamo un'interminabile fila di automobili piene di gitani e di ebrei, ecco che allora si può arrivare ad ascoltare clarinetti e violini che imitano il rumore dei temporali, e perfino il suono  di voci umane, risate e lacrime incluse. Ecco, è questo il Klezmer!

A questo punto, i neuroni del nostro ingegnere stavano già facendo il bagno nelle acque del Mar Nero, senza nemmeno essersi avvicinati alle sue rive. Subito dopo scopre che il termine Klezmer proviene dalle parole ebraiche "kli" ("strumento") e "zemer" ("suono", "canzone"). E scopre anche che l'emigrazione di massa degli ebrei centro-europei, avvenuta soprattutto durante la seconda metà del XIX secolo, e la fuga di coloro che scapparono e sopravvissero alla Shoah del XX secolo, trasformarono gli Stati Uniti nella mecca e nella culla di questo genere musicale che risale al XVI secolo. Da Cornelius Van Sliedregt, musicista della banda olandese KLZMR, Giovannardi ottiene la conferma del fatto che "Koilen" era stato registrato da un certo Mishka Ziganoff (anche Tziganoff o Tsiganoff) a New York nell'ottobre del 1919. Un momento! Come può essere ebreo qualcuno che si chiama Ziganoff [«figlio di gitano»] ?. A tal proposito, è Ernie Gruner, leader della band australiana Klezmer, a spiegare all'ingegnere come Ziganoff fosse un fisarmonicista zingaro cristiano. Era nato ad Odessa (nell'attuale Ucraina) e aveva aperto un ristorante a New York; e parlava perfettamente l'yddish. Prima di continuare, apriamo una parantesi per parlare di una lingua che è pura fantasia. Il suo corpo è costituito al 70% di tedesco medievale, mentre il resto si ripartisce fra parole ebraiche, slave e perfino aramaiche. Va detto che Ludwik Lejzer Zamenhof costruì l'Esperanto a partire dalla grammatica dell'yddish moderno, quello stesso yiddish che Isaac Asimov dimenticò poco tempo dopo aver messo piede negli Stati Uniti, o che Woody Allen o Leonard Cohen non arrivarono mai ad ereditare dai loro genitori. Ma torniamo alla musica. Quello che è il carattere tradizionale del Klezmer, inizia il suo declino non appena arriva dall'altra parte dell'Atlantico ed entra in contatto con le nuove correnti musicali (non dimentichiamo che il CD di Giovannardi includeva anche lo swing presente nel titolo), ma c'è da dire anche che l'anima Askenazi continua a trasudare nell'opera di compositori ebrei di successo, come Leonard Bernstein o Aaron Copland. Inoltre, gli esperti affermano come il clarinetto che apre la «Rhapsody in Blue» di Gershwin sia inequivocabilmente klezmer. Allo stesso tempo, ci sono dei compositori non ebrei che fanno ricorso a questo baule pieno di tesori musicali che continua ad esse il klezmer. Lo stesso Sostakovich sosteneva di ammirare la capacità che una simile musica aveva di «armonizzare l'estasi nei confronti della vita e la disperazione umana in un unico pezzo». Bisognerà aspettare fino agli anni '70 perché si produca un vero e proprio revival, quando il klezmer si fa di nuovo vivo e torna a farsi valere, come se si trattasse di un organismo dotato di vita propria. A partire dagli anni '80, un folto gruppo di gruppi e bande musicali (Brave Old World, Hot Pstromi, The Klezmatics…) mettono in atto a quelle che sono le loro origini più orientali, resuscitando pezzi risalenti al 19° secolo, come se fosse musica senza tempo. La fusione musicale degli anni '90 finisce per incrociare quei violini e quei clarinetti con tutto lo spettro musicale; jazz d'avanguardia, drum & bass, trip hop... ed altre etichette che non riescono ad ingabbiare un territorio così infinito come quello della musica.
Torniamo ora a «Bella Ciao». Le teorie sulla sua origine sono molteplici, sebbene non troppo diverse. Tutte quante girano intorno ai possibili autori italiani, che spaziano dal nord al sud dello stivale: di Modena, di Ferrara, di Catania... Oppure, che sia stata scritta prima o dopo la guerra; o se era una precedente canzone appartenente al mondo contadino... Da dovunque essa provenga, stiamo parlando di un tema folk che in mezzo a quelli che erano i rantoli della seconda guerra mondiale, è diventato un inno antifascista. Da qualche parte, in Italia, un incontro di partigiani. Un nuovo arrivato comincia a canticchiare, distrattamente, una canzone che aveva sentito nel ristorante di un ebreo a New York. La melodia è talmente accattivante che finisce per farla diventare una canzone di resistenza e di libertà. Il fatto che la storia reale abbia avuto o meno simili ingredienti, oppure ancora degli altri, adesso, ha poca importanza. Quello che importa è continuare a cantarla. Non dimentichiamocela!

- Karlos Zurutuza - Pubblicato il 19/8/2019 su Jot Down -

 



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