venerdì 29 agosto 2014

Non c'è niente da sperare...

briche

La forza delle cose
di Gérard Briche

Suzanne Bernard, in un suo libro dove racconta di quand'era una giovane artista in rivolta, ricorda il suo incontro con Guy Debord. Erano gli inizi degli anni sessanta e, insieme a qualche amico, crecava un altro modo di essere artista, diverso da quello degli artisti "borghesi" che ignorano la situazione del popolo, così si era avvicinata ad alcuni gruppi "radicali", lettristi, situazionisti... L'Internazionale Situazionista si era detta disposta a partecipare ad un'esposizione organizzata dal suo piccolo gruppo, contribuendo con una tavola di Michèle Bernstein, ed era avvenuto così che Suzanne Bernard incontrasse Guy Debord. Quest'ultimo, racconta la Bernard, al momento di commentare i progetti rivoluzionari che venivano presentati, aveva scosso la testa dicendo: "fate il vostro giro di pista, vedrete, non c'è niente da sperare..."
E' singolare che Debord, allora ancora poco sospetto di mancanza d'intransigenza, abbia espresso così tanta indulgenza nei confronti dell'impegno di alcuni giovani artisti, per il loro sforzo di immaginare un atteggiamento diverso da quello di immergersi nell'ordine sociale della società borghese. Ma Debord manifestava anche una totale mancanza di illusioni: "vedrete, non c'è niente da sperare..."
Il suo lasciar "fare un giro di pista": forse potrebbe essere, quanto meno, la scelta di quelli che, alle elezioni presidenziali, hanno votato per il candidato della "sinistra". Di cui, almeno una parte era cosciente che questa "sinistra" non farebbe molto di diverso dalla "destra". Con senza dubbio, il sogno vago ma insistente che però, forse...
Beh, niente - o talmente poco... Bisogna riconoscere che le speranze che si potevano essere formate nel maggio del 2012 si sono infrante contro la forza delle cose.

1. « Siate realisti, domandate l'impossibile ! »

Molti degli slogan di quello che è stato chiamato "maggio 68 in Francia" rimangono nella memoria collettiva come espressioni di un momento di gioiosa utopia - finita la quale, bisognava ritornare certamente alla realtà, dolorosa ma inevitabile. Un po' come avviene con i giovani borghesi che si inacanagliscono per qualche mese, per poi tornare nei ranghi, e meglio rispettare l'ordine delle cose. "Finiranno tutti per diventare notai!", avrebbe affermato - si dice - un celebre reazionario, parlando degli studenti insorti sulle barricate parigine. Non sono diventati tutti notai, ma un buon numero di loro ha capito che in questa società, è meglio sapere come posizionarsi. Come scriveranno, qualche anno dopo, due abili compari: "Non se ne verrà fuori, ora lo sappiamo. Non si rovescerà il capitalismo...". Ed in questa situazione diventata definitiva, il realismo, s'ha da domandare quel che è possibile, e preferibilmente un possibile politicamente praticabile ed economicamente gratificante.

2. Il realismo è l'obbedienza al principio del valore

Contro "la forza delle cose", non si può fare niente. E' il discorso della "sinistra" di François Hollande al potere per argomentare la messa all'incasso, una ad una, delle promesse elettorali e governative. La "sinistra" al potere si vuole realista, in accordo con le necessità della "economia", quest'entità che, come quella denominata "i mercati", sembra muoversi come un vincolo contro il quale non si può niente, un po' come una catastrofe naturale - oppure la volontà spietata di una divinità vendicativa.
Ma "l'economia", non esiste. Certo, da sempre gli uomini producono quello di cui avevano bisogno e che la natura non forniva loro; ma circoscrivere questa produzione al dominio soggetto al calcolo economico, escludendo tutte le altre determinazioni, è un'originalità di quello che viene chiamato capitalismo. Ridurre il produttore ad essere solo un produttore, ridurre la cosa prodotta ad essere solo un prodotto da proporre sul mercato, e più in generale ridurre tutto ad essere solo una merce, ovvero qualcosa che ha un prezzo, che si può vendere e che si può comprare, tutto questo è un'originalità del capitalismo. Cioè a dire di un sistema nel quale il principio sociale è il valore, e nel quale tutti i fenomeni sono modellati sul modello della merce: un sistema nel quale il feticismo della merce rende chiaro il fatto che l'unica qualità che viene presa in considerazione in un bene qualunque, è il suo valore.
Considerare che i fenomeni de "l'economia" sono dei fenomeni sui quali non si ha (purtroppo!) alcun controllo, significa obbedire al principio del valore. Il preteso realismo non è altro che rassegnazione nei confronti di tale potere di cui si dimentica che è il potere, per mezzo della logica del mercato, che gli uomini gli hanno attribuito, quasi senza averne coscienza

3. Non ci sono soluzioni politiche, perché la politica non è la soluzione

Certamente, qualcuno suggerisce che non c'è fatalità, e che quel che manca è una volontà politica. E non mancano gli esperti che affermano che bisogna "rilanciare i consumi" per rilanciare l'economia; è il linguaggio neo-kenesyano, "di sinistra", - oppure che bisogna, al contrario, abbassare la pressione fiscale sulle imprese per permettere che si dia crescita e si creino posti di lavoro: è il linguaggio neoliberista, "di destra". Il punto comune a tutti questi discorsi, è la convinzione che bisogna "tornare a crescere", e perciò lavorare, produrre, e vendere. Ora, la crescita non produce affatto ricchezza, essa produce povertà, in quanto ha come obiettivo solo quello di produrre merci, al fine di realizzare capitale. Fin quando i "responsabili politici", per cecità o per cinismo, manterranno questa logica, continueranno a mettere in scena lo spettacolo pietoso per cui si ricercano degli espedienti per tenere, bene o male, a galla un sistema che è arrivato.
Inutile cercare una soluzione politica, perché non esiste. Quando Jean-Claude Juncker, il presidente del Lussemburgo, vede nella situazione presente delle inquietanti analogie con la situazione del 1913, sta ripetendo semplicemente, ma inesorabilmente, che il solo modo è quello di voltare la spalle a quello che dappertutto viene chiamato realismo, e prendere una strada completamente diversa. Dal momento che le strade che pretendono di tener conto della "forza delle cose" vanno tutte nella stessa direzione: la barbarie.

Gérard Briche, Articolo apparso sulla rivista Lignes n°41, 2013

fonte: Critique Radicale de la Valeur

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