lunedì 27 marzo 2017

Il potere del dono

dono

«In un saggio gli aspetti oscuri dei regali: dalla mela di Eva al vaso di Pandora, dalla carità elargita per andare in Paradiso alla beneficenza fatta per ottenere delle deduzioni fiscali.»

Queste pagine offrono un'analisi alternativa che mette in luce l'uso del dono per perseguire propositi cattivi. Che sia quello di ribadire uno status sociale, stabilire una supremazia o ottenere qualcosa in cambio, più spesso di quanto pensiamo è un mezzo della prepotenza. Attraverso una ricerca basata su una documentazione che attinge dall'antropologia, la storia, la sociologia e il diritto, l'autore esplora un territorio solo apparentemente familiare, mettendone in luce gli aspetti più insidiosi e non di rado drammatici. (dal risvolto di copertina di: Cosimo Carlo Mazzoni, Il dono è il dramma, Bompiani, pp.292, euro 14)

Ogni dono, in fondo, è una gran fregatura
- di Felice Modica -

Forse ha ragione Paperon de' Paperoni, il papero più ricco del mondo uscito dalla penna di Carl Barks, quando afferma categorico: «Se è gratis non vale niente». Zio Paperone si è convinto così, studiando alla dura università della vira; il giurista Cosimo Carlo Mazzoni, invece, arriva alla medesima conclusione con un dottissimo saggio che analizza la questione durante un lungo arco temporale, che parte dalla Bibbia e dalla mela di Adamo, passando per l'antica Grecia del vaso di Pandora e del cavallo di Troia, per arrivare ai giorni nostri: Il dono è il dramma (Bompiani, pp.292, euro 14).
Non si tratta di un pamphlet, ma di uno studio molto serio che possiede la virtù rara (specie in Italia) di conciliare il rigore scientifico con la chiarezza espositiva. Sembra quasi un ossimoro, ma Mazzoni è un giurista di piacevole lettura... Il volume capovolge il senso comune secondo cui lo scambio di regali è un segno di amicizia o di affetto e scava sui significati reconditi del dono, mostrandone il lato oscuro, gli aspetti perversi, come questo possa perfino essere portatore di disgrazia. Sempre più spesso, ad esempio, accade che, in quest’epoca mercantile, lo spirito filantropico nasconda vere deduzioni fiscali dietro finta liberalità. O che la carità sia una forma dissimulata di paternalismo autocompiacente. O, perfino, che gli scambi di doni normalmente in uso tra congiunti e amici, rispondano a logiche inconfessabili e fintamente spontanee. In questi casi (volutamente esasperati) - e in molti altri - il dono è dramma, può addirittura celare intenzioni malvagie.

Ciò non vuol dire, beninteso, che il dono non possa essere espressione di autentica generosità, sentimento d’amore, atto gratuito, gesto spontaneo. Il saggio rivela che, comunque, spesso il dono non è tutto questo, descrivendone «l’altra faccia», gli inconfessabili aspetti negativi. Nel volume non mancano i riferimenti letterari, storici, filosofici, indispensabili per stendere una vera antropologia del dono, i cui risultati demistificatori della sua funzione benefica saranno sorprendenti. Per far ciò, l’autore, intrecciando parole e immagini tratte da testi biblici e da cronache quotidiane, dalla mitologia greca e dalle ritualità di oggi, affronta il tema in quattro sezioni: la Gratuità, lo Scambio, la Beneficenza, l'Anonimato.
Gratuità equivale spesso a inutilità. Un atto gratuito non ha scopo. Ma, dietro questa futilità, può nascondersi un’apparenza di generosità, possono celarsi disegni poco chiari, obbedienti a ritualità sociali. La gratuità è anche il tratto del dispotismo, del potere assoluto. Citando Jean Starobinski, la sparsio degli imperatori romani che gettano le monete d’oro affinché il volgo possa azzuffarsi nel tentativo di raccattarle. Il gesto, compiuto durante i Saturnali,
aveva lo scopo di rendere visiva e pregnante la relazione tra dominante e dominati. I doni gettati, i missilia, «davano conto tangibile di una sovranità fondata sulla violenza e generatrice di violenza ritualizzata». La gratuità può pure celare uno scambio dissimulato. Doni contro altri omaggi, o contro benevolenza, gratitudine, affetti, amore.

Ancora, la beneficenza è, per così dire, una conseguenza delle differenze tra le classi sociali, che attraversa l’intera storia dell'Occidente cristiano nel rapporto tra ricco e povero. È uno tra i mezzi utilizzati per ridurre le distanze, riequilibrando gli squilibri economici. Tentativo sempre ingloriosamente fallito, pietra di paragone di governi e utopie. Le sorti del povero - materiali e spirituali - sono state storicamente prese in carico dal Cristianesimo, che ha fatto dell’elemosina uno strumento di aiuto materiale per l’indigente e di elevazione spirituale per chi la fa. Il povero diventa così una sorta di categoria morale. La beneficenza si chiama carità, è una virtù teologale. Osserva Mazzoni che «i Padri della Chiesa hanno fatto dell’atto dell’elemosina la prima parte di un contratto nel quale la contropartita è la ricompensa divina». Con lo Stato moderno tutto si capovolge. La povertà è innanzi tutto dramma sociale. Dopo la Rivoluzione francese, il problema non può più essere rimesso alla bontà del singolo, alla compassione dell’individuo, ma diventa compito dell’autorità statale. Alla compassione subentra il desiderio, anzi, la vocazione dello Stato moderno di «rimuovere le cause che di fatto impediscono alle classi povere, al proletariato, il pieno sviluppo della personalità individuale e la partecipazione alla vita sociale».
Infine, il dono anonimo. Dal Vangelo di Matteo risulta chiaro che il vero dono è quello che non deve apparire come tale. Eppure, anche dietro questo gesto, può celarsi l’ansia dell’ignoto. L'anonimato come insincero, di chi abbia qualcosa da nascondere, di inquietante perché segreto.

- Felice Modica - Pubblicato su Libero del 19 febbraio 2017 -

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