domenica 7 agosto 2016

L’accuratezza del titolo

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"Storia poliziesca", di Imre Kertész, è stato scritto nel 1975 e pubblicato per la prima volta in Ungheria nel 1977, sotto il regime totalitario comunista. Per tale motivo, la trama - la confessione di un ex torturatore, ora in prigione, che rammenta la sua "carriera" a partire dalla cella in cui si trova e con l'aiuto dei diari di una delle sue vittime - è stata, per così dire, trasferita dall'Ungheria ad un paese senza nome dell'America Latina.
A tal proposito, vale la pena ricordare la frase, scritta da Roberto Bolaño a proposito dell'America Latina, lo specchio distorto dell'Europa:
« L’America Latina è stata il manicomio d’Europa come gli Stati Uniti ne sono stati la fabbrica. La fabbrica ora è in mano ai caposquadra, e i matti evasi dal manicomio sono la mano d’opera. Il manicomio, da più di sessant'anni, sta bruciando nel proprio olio, nel proprio grasso. » (Roberto Bolaño - Il gaucho insostenibile)

Sul tema delle storie scritte nelle celle delle prigioni - intese come racconti retrospettivi della vita scritti sotto il segno della morte (da Socrate nel Fedone, a Casanova, al Dostoevskij "nell'istante della sua morte") - così come sulla natura della fiction radicale sul totalitarismo, così bene catturata da Kertész nella sua narrativa dell'abisso, con i suoi giochi di specchi, i suoi personaggi dalle identità posticce (e "posticcio" serve qui a ricordare la celebre barba posticcia di uno racconti di Danilo Kiš), c'è tutto un insieme di procedure che in America Latina trova eco in Ricardo Piglia, con il suo "Respirazione artificiale".

Borges, in un capitolo della sua opera dedicato al racconto poliziesco, parla del fatto che il nostro mondo è caotico, senza regole, e dice che una delle poche roccaforti dell'ordine rimane proprio il racconto poliziesco: dal momento che necessita di un inizio, di una metà, e della fine, con questo ci rassicura, ci tranquillizza. Antonio Martens, il poliziotto protagonista del racconto di Kertész, il detective che confessa in "Storia poliziesca" (rimane ancora da investigare sull'ambivalenza dei termini, detective, poliziotto, termini che scivolano, che oscillano ora in una direzione ora in un'altra - nell'originale di Kertész quest'ambivalenza viene definita Detektívtörténet), vive il caos della burocrazia totalitaria, il suo punto di vista è dall'interno (esattamente come avviene in "Ronda di notte" di Patrick Modiano). È la storia, il resoconto, che organizza il caos, è la confessione, è proprio la Storia Poliziesca, e sta in questo l'accuratezza del titolo - Martens racconta la sua storia con un inizio, una metà, e una fine, che beneficia di una rivelazione finale che (e sta qui il tratto geniale del racconto di Kertész) non solo non sostiene tutto quello che si è andato via via a costruire fino a quel momento, ma fa implodere la logica totalitaria, la sua parvenza di efficacia, scagliando tutto, ancora una volta, nel caos.

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