sabato 24 agosto 2013

Fallimenti e Salvataggi

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Un fallimento ben meritato?
di Claus Peter Ortlieb
- maggio 2013 -

Ai primi di Novembre del 2012, Der Spiegel ha rivelato l'esistenza di un rapporto "segreto" della BND, secondo il quale il piano di salvataggio previsto per le banche cipriote avrebbe giovato, in primo luogo, ai detentori di conti correnti sui quali era depositato denaro sporco russo. Oligarchi, imprenditori e mafiosi russi, avrebbero depositato circa ventisei miliardi di euro sui loro conti bancari a Cipro. Dopo aver accuratamente taciuto la questione, i media on-line si sono improvvisamente scatenati a parlare solo di questi ventisei miliardi di euro. Quanto, esattamente, di questi depositi bancari era stato acquisito attraverso mezzi criminali? Chiaramente, proprio a partire dalla natura di questo genere di denaro, non si può sapere. Per cui, tutto il contenuto informativo del rapporto della BND si può dunque riassumere in questa sola cifra: ventisei miliardi di euro sui dei conti russi, di origine indeterminata. Il resto non aveva alcuna importanza, il fine della manovra era stato raggiunto e si poteva scatenare un "dibattito sull'equità".
Lo stesso giorno della pubblicazione della notizia, il gruppo dell'SPD al Bundenstag dichiarava, per bocca del suo portavoce per la politica interna: "Prima che l'SPD dia il via libera al finanziamento degli aiuti per Cipro, bisogna parlare del modello economico di questo paese. Noi non possiamo garantire il denaro sporco russo depositato nelle banche cipriote con i soldi dei contribuenti tedeschi." Così dicendo, il portavoce dell'SPD si è potuto assicurare l'approvazione della quasi totalità dei suoi colleghi parlamentari, dal CSU a Die Linke. Nel quadro delle misure di salvataggio dell'euro, era stato raggiunto, alla fine, un obiettivo certo che si basava su una sorta di risentimento assai in voga, ma che perfino i semplici deputati potevano comprendere: proteggere il denaro dei tedeschi che lavorano duramente, non solo contro gli avidi speculatori ma perfino contro i criminali russi.
Il tono fermo, adottato in quest'occasione, ha messo fine alla discussione. Il fallimento del modello finanziario cipriota, e da qui, come ha dichiarato il ministro delle finanze tedesche, la necessità di un cambiamento verso un sistema a più velocità, fanno ormai parte degli argomenti standard in favore del trattamento speciale che i "salvatori dell'euro" hanno inflitto a Cipro. Questo famoso modello finanziario, seguito non solo da Cipro ma anche da altri paesi della zona euro come Malta e Lussemburgo, consiste in una flebile pressione fiscale e in controlli assai poco rigorosi sui flussi finanziari, al fine di attrarre capitali stranieri, compresi quelli di dubbia provenienza che sono riusciti a passare sotto il naso delle loro proprie autorità fiscali. Modello finanziario che non è del tutto fallito: tanto che a Cipro il totale delle attività bancarie equivale ad almeno sette volte il PIL, mentre, per quanto riguarda Lussemburgo, paese cha ha il più alto PIL pro capite al mondo, bisogna moltiplicare la stessa cifra per tre.

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Il fallimento delle banche cipriote non ha perciò assolutamente niente a che vedere con il loro modello finanziario; Cipro risulta anzi essere quello che ha investito più coscienziosamente i capitali che gli erano stati affidati, e che erano visti in tutta l'Unione Europea come assolutamente sicuri, ovvero in titoli di Stato. Ahimè! si trattava, nello specifico, essenzialmente dei titoli dello Stato greco, e dei miliardi di euro di perdite legate alle esigenze dei creditori nei confronti della Grecia, che hanno portato la prima banca di Cipro sull'orlo del fallimento, e la seconda nel pieno del fallimento. Da quel momento, senza un aiuto esterno, la bancarotta dello Stato cipriota era solo questione di tempo.
Ora, il trattamento speciale che la " troïka" formata dal Fondo Monetario Internazionale, dalla Banca Centrale Europea e dalla Commissione Europea ha riservato a Cipro, consiste nel fatto che sui ventitré miliardi di euro giudicati indispensabili per il salvataggio delle sue banche, solo dieci miliardi venivano dall'estero, cosa che lasciava di conseguenza almeno tredici miliardi che dovevano essere forniti dalla stessa Cipro; e non certo da parte dello Stato, che non aveva più un soldo, bensì dai creditori delle banche in fallimento, ovvero da quelli che avevano depositato il loro denaro, dal piccolo risparmiatore al miliardario. L'annuncio iniziale che perfino i conti al di sotto dei centomila euro non sarebbero stati più garantiti, aveva provocato delle manifestazioni non solo a Cipro, ma in tutta l'Europa, e la contestazione rischiava di non fermarsi lì: chi può credere oggi che i suoi risparmi sono al sicuro? Alla fine, venne raggiunto un accordo per toccare solo i depositi sopra i centomila euro, i quali dovevano fornire i famosi tredici miliardi, e la cosa doveva avvenire sotto forma di un contributo obbligatorio dal 40 al 60%; il ché significava la rovina a breve termine per numerose imprese cipriote.
Con questa misura che i media hanno etichettato "salvataggio di Cipro", è stato annientato il settore finanziario cipriota e si è messo fine al modello finanziario fino ad allora in vigore. Non si dispone, al momento, di alcun nuovo modello e, del resto, anche se ce ne fosse uno, le misure di austerità prescritte lo renderebbero impraticabile. Cipro è andata dunque ad unirsi alla lista del paesi sud europei in crisi, con le conseguenze che questi ultimi già conoscono: abbassamento della crescita economica (è attesa una contrazione dell'8% per quest'anno), abbassamento delle entrate fiscali, aumento del debito pubblico, disoccupazione di massa che coincide con uno smantellamento delle protezioni sociali, aumento dei senza-tetto, collasso della sanità nei confronti dei più poveri, aumento drammatico del numero di suicidi

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Quel che si discerne meno bene, sono le conseguenze che, al di là di Cipro, avrà un tale piano di salvataggio di nuovo genere. Quando il ministro delle finanze olandese, e nuovo presidente dell'eurogruppo, ha spiegato che le modalità di "salvataggio di Cipro" costituiscono la formula per i futuri interventi nella zona euro, le borse del mondo intero sono crollate, obbligando i responsabili politici ha fare bruscamente marcia indietro, definendo Cipro come un caso a parte che non ha alcun carattere di modello per l'avvenire. Una settimana più tardi, un nuovo cambiamento: politici e media si lambiccano il cervello per sapere come far partecipare, in nome dell'equità, il settore finanziario ai costi dei prossimi fallimenti bancari. La dichiarazione di Uwe Jean Heuser, su Die Zeit del 27 marzo 2013, rappresenta perfettamente questo genere di riflessione: "L'equità in Europa, cioè a dire la posizione oggi dell'Europa su questa questione, è che il salvataggio di Cipro non deve soprattutto essere visto come una ulteriore prova del carattere ingiusto del salvataggio dell'euro; si tratta, al contrario, del salvataggio più equo oggi possibile e, di conseguenza, di uno standard per il futuro. Ecco perché anche l'Italia può e deve ormai fare appello ai suoi cittadini più ricchi, non solo attraverso le tasse. L'idea di un contributo di crisi per i milionari italiani non deve più essere un tabù - anche se è politicamente più delicato che rivolgersi ai russi che detengono dei capitali a Cipro. L'equità, è anche una questione di coraggio".
A fronte della situazione in cui si trova l'Europa del sud e le altre regioni in crisi, dissertare sull'equità tradisce un cinismo che gronda moralismo. Si preferisce far finta di non vedere che l'equità, come tutti sanno, non fa per niente parte dei criteri sui quali poggiano le economie capitaliste. E per quanto si possa ritenere ingiusto che i benefici vengano accaparrati dai settori privati mentre, in seguito, le perdite vengono socializzate attraverso la tassazione, non va dimenticato che l'ultimo tentativo di intervento sistemico, volto a far funzionare diversamente la finanza e far pagare al settore finanziario i suoi propri rischi, ha portato, nel 2008, alla messa in liquidazione della Lehman Brothers, cosa di cui tutti si ricordano le conseguenze. Per quanto concerne la zona euro, ecco cosa significa: il semplice sospetto che il "salvataggio di Cipro" possa costituire uno standard per il futuro farà sì che i depositari, all'apparizione del più piccolo problema bancario, chiuderanno i loro conti e metteranno il loro denaro in un luogo sicuro, e questo metterà le banche coinvolte di fronte ad un problema questa volta reale. Il giornalista Ulrike Herrmann ha giustamente osservato, su Die Taz del 30 marzo 2013, che il cancelliere tedesco sarebbe stato preso costretto ad "estendere la sicurezza illimitata dei depositi a tutta la zona euro. Perché, altrimenti, l'euro cadrebbe a pezzi, dal momento che centinaia di miliardi di euro prenderebbero il volo". Ci sono poche possibilità che la cancelliera accetti di dare una simile garanzia: salvare i conti del risparmio del sud con "i soldi tedeschi" sarebbe contrario al senso tedesco dell'equità. Si vedrà se questo sentimento è pronto ad accogliere un crash dell'euro.
I primi ad essere minacciati dal nuovo paradigma di gestione della crisi europea, sono i piccoli Stati, il cui settore finanziario, a partire da Cipro, può essere visto da un giorno all'altro come sovradimensionato. Perciò, anche se Cipro - come continuano ad affermare i politici europei - era considerato un caso a parte, Malta e Lussemburgo sono parimenti in un forte rischio di ritrovarsi da un giorno all'altro nella stessa situazione. I rappresentanti di questi due Stati non hanno avuto parole abbastanza dure per definire tutte le discrepanze nel corso dei colloqui per Cipro, cui loro stessi hanno avuto buona parte. Così, il ministro maltese delle finanze, in un articolo sul Times di Malta, ha visto in questi negoziati "il trattamento che una piccola isola mediterranea deve aspettarsi quando mai arrivasse ad aver bisogno dell'aiuto degli altri Stati membri". Il suo omologo cipriota, da parte sua, alla fine ha accettato, "il coltello alla gola", le condizioni di salvataggio. Ed è con la stessa mancanza di diplomazia che si è espresso il ministro degli Affari esteri del Lussemburgo. Sullo Spiegel del 25 marzo 2013, ha dichiarato: "Noi accettiamo perfino che la Germania venda delle armi. In contropartita, Berlino potrebbe fare lo sforzo di mostrare più comprensione per la situazione particolare dei piccoli paesi." Questo signore avrebbe fatto meglio a criticare il "modello di affari tedesco" basato su un'industria automobilistica e militare sovradimensionata, invece di coltivare la speranza di placare la Germania!

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Evidentemente, nessuno Stato è in grado di riparare il solo suo settore finanziario, allorché questo si trovi in caduta libera ed il totale del suo attivo arrivi a ventidue volte il prodotto annuo dell'economia nazionale: da questo punto di vista si può comprendere il discorso sul sovradimensionamento. Solo che non si dovrebbe dimenticare il processo storico che ha portato ad una simile situazione. Il settore finanziario è sovradimensionato a livello mondiale, e per decenni nessuno ha avuto niente da ridire, anzi, al contrario: è stata proprio questa vera e propria inondazione del capitale finanziario che, attraverso il credito, ha permesso all'economia mondiale di funzionare per trent'anni, ed ha permesso di rinviare una crisi che era già divenuta virulenta a partire dagli anni 1970; solo che alla fine non ha funzionato più niente, i crediti accordati si sono rivelati essere, in grande maggioranza, dei prestiti tossici. Suggerire, come alcuni fanno in questo genere di situazione, che le banche dovrebbero concentrarsi sul cuore del loro mestiere, che consisterebbe nel sostenere l'economia reale, significa evitare di considerare il vero problema: il fallimento delle banche cipriote non proviene da pratiche discutibili, ma proprio dall'avere esercitato il "rispettabile" cuore del loro mestiere.
Altrettanto ignara della storia, si rivela essere quella critica della politica di rigore tedesca che si accontenta di invocare una "nuova socialdemocrazia", che abbia come missione quella di opporre all'austerità pro-ciclica nella zona europea, un piano di rilancio anti-ciclico focalizzato su Keynes. E' vero che la politica anti-crisi, prescritta agli europei dal governo tedesco non fa che aggravare ulteriormente la crisi. Solo che il contro-modello non è di grande aiuto quando consiste nel riprendere - come, per esempio, preconizza Wolfgang Münchau nella sua rubrica, sullo Spiegel Online del 3 aprile 2013 - la politica a carattere essenzialmente macroeconomico di un Karl Schiller, negli anni 1960, e di un Helmut Schmidt, negli anni 1970. Quella politica, all'epoca, finì per fallire, e con essa la coalizione social-liberale al potere, dal momento che i piani di rilancio statale non portavano che ad una crescita dei tassi di inflazione, sempre più elevata, senza arrivare ad avviare una ripresa durevole in grado di auto-alimentarsi.

Londra 1940

Per uscire dalla crisi non c'è che un mezzo: uscire dal capitalismo. E' tempo di riflettere su questo, possibilmente ad alta voce, anche se non sarà facile. Ma visto il carattere globale, che non si limita affatto all'Europa, che ha assunto la crisi, un discorso sull'equità che non rimetta in discussione il capitalismo è diventato semplicemente insopportabile.

- Claus Peter Ortlieb -

fonte: http://www.exit-online.org/textanz1.php?tabelle=aktuelles&index=0&posnr=583

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