Apocalisse. Scuola Umbra anno 1490 circa
Ormai non è lui il più giovane, ansima,
tira fuori una gran tela, borbotta,
mercanteggia a lungo e tenace con il committente,
un avaro carmelitano degli Abruzzi,
priore o superiore generale. Si fa presto inverno,
le nocchie schioccano, la fascina
schiocca nel camino. Lui ansima, mestica,
lascia asciugare la tela, mestica una volta ancora,
scarabocchia impaziente su piccoli cartoncini
le sue figure spettrali che rileva con bianco zinco.
Indugia, strofina qualche colore, spreca
parecchie settimane. Poi un bel giorno, siamo
tra l'altro già al Mercoledì delle Ceneri
o alla Presentazione di Maria Vergine,
ecco che immerge di buonora,
i pennelli nelle tinte bruciate e dipinge:
sarà un quadro cupo. Come si fa
a dipingere la fine del mondo? Gli incendi,
le isole sfollate, i lampi, i crolli
straordinariamente lenti di mura, pinnacoli e torri:
questioni tecniche, problemi di composizione.
Distruggere il mondo intero è una faticaccia.
Particolarmente difficili da dipingere sono i rumori,
il lacerarsi della cortina nel tempio,
il mugghio delle bestie, il tuono. Tutto
infatti deve squarciarsi, essere squarciato,
esclusa la tela. E la scadenza
è fissa: ad ogni costo Ognissanti.
Per quel giorno bisogna che, sullo sfondo, il mare rabbioso
sia verniciato, mille volte, di verdi
luci spumeggianti, trafitto da alberi maestri,
da navi che verticali si fiondano verso i fondali,
e da relitti; mentre fuori, in pieno luglio,
non c'è un cane sulla polverosa piazza.
Il pittore è rimasto solo in città,
disertato da donne, scolari, servitù.
Sembra stanco, chi l'avrebbe mai detto,
stanco da morire. Tutto è color ocra, senz'ombra,
tutto sosta immoto, fisso in una sorta
di malvagia eternità; eccetto il quadro. Il quadro
cresce, si oscura lentamente, si riempie
di ombre blu acciaio, grigioterra, viola cupo,
caput mortuum; si riempie di diavoli, cavalieri,
carneficine; finché la fine del mondo
è felicemente conclusa e il pittore,
rianimato per un breve istante,
follemente allegro come un bambino,
quasi gli avessero condonato la vita,
offre, la sera stessa,
a donne, bimbi, amici e nemici,
tartufi freschi, beccaccine e vino,
mentre fuori la prima pioggia d'autunno scroscia.
da "La Fine del Titanic" di H.M.Enzensberger