Ultima cena. Scuola veneziana, XVI secolo
I
Quando ebbi terminato la mia Ultima Cena,
cinque metri e mezzo per poco meno di tredici metri,
una fatica da cani ma pagata molto bene,
spuntarono le solite domande.
Cosa vorrebbero significare quegli stranieri
con le loro alabarde? Da eretici
sono agghindati, o da tedeschi.
Dica, le pare conveniente
mettere a San Luca
uno stuzzicadenti in mano?
E chi mai l'ha convinta
a invitare mori, beoni e pagliacci,
al desco di Nostro Signore?
E questo nano con il pappagallo, cosa ci fa,
cosa ci fa quel cane che fiuta,
e perché al mamelucco sanguina il naso?
Signori miei, dissi loro, tutto ciò
l'ho inventato io liberamente per il mio diletto.
Ma i sette Giudici della Santa Inquisizione
fruscianti nelle loro vesti vermiglie
mormorarono: Non ci convince.
II
Oh certo, ho dipinto cose migliori;
ma quel cielo fa mostra di colori
quali non li troverete in nessun cielo
che non sia stato dipinto da me;
e mi piacciono quei capocuochi
con i loro immensi coltellacci,
quella gente con diademi, piume d'airone,
cuffie impellicciate e sgadiate,
e turbanti trapunti di perle;
ne fanno parte anche quegli imbacuccati
arrampicati sui più remoti tetti
dei miei manieri d'alabastro,
che da altissime balaustre si affacciano.
Cosa stiano tenendo d'occhio,
io non lo so. Ma né a voi
né ai santi volgono lo sguardo.
III
Quante altre volte mi toccherà dirvelo!
L'arte senza il piacere non esiste.
E ciò vale anche per le innumerevoli crocefissioni,
i diluvi e le stragi degli innocenti
che, non so per quale motivo,
voi tutti mi commissionate.
E un dì, quando i sospiri dei critici,
le cavillosità degli inquisitori
e le molestie degli esegeti
mi vennero al fine in uggia,
ribattezzai L'Ultima Cena
col titolo
La Cena in Casa di Levi.
IV
Vedremo comunque chi ha il fiato più lungo.
Ad esempio la mia Sant'Anna con la Vergine e il Bambino,
per certo un soggetto non troppo divertente.
E tuttavia sotto il trono,
sul pavimento in marmo riccamente intarsiato
di rosarena, nero e malachite,
dipinsi, onde far salvo il tutto,
una testuggine dagli occhi strabuzzati,
dai piedi leggiadri e dal guscio
in tartaruga semi-trasparente:
un'idea stupenda.
Come un immenso pettine artisticamente convesso,
color del topazio, essa scintillava al sole.
V
Quando la vidi strisciare
mi sovvenni dei miei nemici.
Udii i gargarismi dei galleristi,
le insinuazioni degli accademici
e il ruttare dei saccenti.
Presi in mano il pennello
e seppellii la creatura -
prima che i parassiti potessero cominciare
a spiegarmene il significato -
sotto piastrelle accuratamente dipinte
a marmo nero, verde e rosa.
Sant'Anna non è il più famoso,
ma forse il migliore tra i miei quadri.
Nessuno all'infuori di me sa perché.
da "La Fine del Titanic" di Hans Magnus Enzensberger
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