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mercoledì 17 settembre 2008
pensieri
"Bisogna essere lenti come un vecchio treno di campagna e di contadine vestite di nero, come chi va a piedi e vede aprirsi magicamente il mondo, perche' andare a piedi e' sfogliare il libro e invece correre e' guardarne solo la copertina. Bisogna essere lenti, amare le soste per guardare il cammino fatto, sentire la stanchezza conquistare come una malinconia le membra, invidiare l'anarchia dolce di chi inventa di momento in momento la strada.
Bisogna imparare a star da se' e aspettare in silenzio, ogni tanto essere felici di avere in tasca soltanto le mani. Andare lenti e' incontrare cani senza travolgerli, e' dare i nomi agli alberi, agli angoli, ai pali della luce, e' trovare una panchina, e' portarsi dentro i propri pensieri lasciandoli affiorare a seconda della strada, bolle che salgono a galla e che quando son forti scoppiano e vanno a confondersi al cielo. E' suscitare un pensiero involontario e non progettante, non il risultato dello scopo e della volonta', ma il pensiero necessario, quello che viene su da solo, da un accordo tra mente e mondo."
("Il pensiero meridiano" - Franco Cassano)
Il pensiero meridiano era il titolo che chiudeva l'ultima parte de "L'uomo in rivolta" di Albert Camus. E pare che, adesso a distanza d'anni, Camus si stia prendendo la sua rivincita su un certo "pensiero notturno", tirando dalla sua parte anche quelli che in gioventù, forse, mai e poi mai si sarebbero sognato di dare ragione a chi definiva Marx, "profeta della giustizia senza tenerezza". Adesso, magari, va di gran moda contrapporre - come fa Camus - comune a stato e rivolta a rivoluzione. Niente di strano, se si riscoprissero - di questi tempi - figure come quella di Giuseppe Fanelli e di Ricardo Flores Magon. Come se si passasse dal "Lenin in Inghilterra" e "Marx a Detroit", entrambi di Mario Tronti, a "Ricardo Flores Magon a Centocelle" di Franco Piperno!
«Vento del Meriggio» DeriveApprodi
Dall’introduzione di Franco Piperno:
I nove saggi raccolti in questo volume si distendono su una costellazione di luoghi che attraversa buona parte del Mezzogiorno continentale e su un orizzonte temporale decennale – da una parte, sono arbitrari segnatempo che alludono alla ricostruzione, dall’interno, di ciò che è accaduto dell’anima meridionale in quest’ultima decade; dall’altra, costituiscono delle piccole pietre miliari che nominano i «luoghi ameni», quei luoghi dove si sono dati avvenimenti singolari che hanno trovato il loro compimento come sentimenti, concetti, giudizi – penetrati nel senso comune fino al punto d’abitare ormai quegli stessi luoghi.
Da un punto di vista accademico o, meglio, di storia del pensiero politico, gli scritti qui pubblicati sono il risultato di una convergenza imprevedibile tra due traiettorie culturali partite da luoghi geograficamente assai distanti e del tutto autonome l’una dall’altra. Infatti, a far data dagli anni Novanta del secolo appena trascorso, è andato delineandosi, nel Mezzogiorno d’Italia, un «pensiero meridiano» che ha creato le premesse per una vera e propria «esplosione di senso», per dirla con Jurij Lotman. Qui, oltre al rimando bibliografico ai lavori di Alcaro, Cassano, Petrusewicz et al.1, importa sottolineare come il risultato più significativo conseguito da questo sforzo di pensiero sia stato la critica roditrice della tediosa «questione meridionale», ovvero la demolizione spietata della rappresentazione del sud costruita, a partire dalla fine dell’Ottocento, da quella corrente economico-politica che va sotto il nome di «meridionalismo». Si badi: non si è trattato solo di fare i conti con la radice liberal-risorgimentale che ha alimentato il meridionalismo italiano tanto nella sua versione dorsiana-salveminiana quanto in quella marxista-gramsciana – per via dell’inerzia dei processi d’individuazione, i ruderi di questa tradizione, ben rappresentati icasticamente dalla figura del governatore-giornalista della Calabria Agazio Loiero, sparsi anche al di fuori del Mezzogiorno, nella pubblica amministrazione, nelle burocrazie sindacali e di partito, nelle redazioni dei giornali e delle emittenti televisive, continuano a produrre e riprodurre una «opinione pubblica» accidiosa; mentre nell’attività di studio e di ricerca la presenza del meridionalismo è divenuta marginale, se non caricaturale, come è attestato dalle opere di un esemplare epigono, l’accademico napoletano Enrico Cirillo Pugliese.
La posta è stata ben più alta, perché si è puntato a emancipare gli studi sul Mezzogiorno dal privilegio indebito accordato e dalla conseguente egemonia esercitata da quella triste e improbabile scienza che è l’economia politica; e ad aprirli nel verso dell’antropologia e della sociologia comparata, della storia delle idee, delle passioni comuni, dei desideri indotti, della comune apprensione del tempo e della natura, della psico-analisi della vita quotidiana, del senso comune, delle forme di rimozione collettiva. Questo primo, meritorio, lavoro di scavo tra i concetti irriflessi ha consentito l’apparire di uno scenario da esodo, esodo semantico da parole come crescita economica, modernizzazione, progresso – riconosciute nella loro natura di credenze culturali, ideologie superstiziose; feticci, insomma, che legittimano il funesto desiderio d’arricchirsi in fretta piuttosto che tendenze ontologiche dell’umanità in ascesa.
Così, per riassumere con un veloce slogan il lento e profondo maturare del «pensiero meridiano», possiamo dire che il rifiuto sordo e massiccio alla modernizzazione, quella comune percezione ciclica e lenta del tempo, considerata alla stregua di un cancro da estirpare per la salvezza della nazione intera, si è svelato come un immenso magazzino di sentimenti, relazioni, concetti dal quale attingere a piene mani perché il Meridione rientri in se stesso, assuma consapevolezza della propria autonomia etica e civile.
Franco Piperno (a cura di)
Vento del meriggio
Insorgenze meridionali e postmodernità nel Mezzogiorno
DeriveApprodi pagg. 228 €13
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