Aveva la faccia e l'atteggiamento di quel genere di persona, avanti negli anni, che incontri al mercato e con cui scambi quattro chiacchiere, a proposito del tempo, della città, del quartiere -peraltro senza magari averlo mai incontrato prima. Come dire, era il conforto della vita che si oppone allo spettacolo.
Le ultime sue parole pubbliche, curiosamente, sono state contro la speranza; assai più di quanto possano sembrare incentrate su quella domanda di "rivoluzione", che tanto più scalpore ha destato. La speranza, già. Quella speranza che - normalmente - fa sì che i novantenni e i centenari, in questa società non vadano in giro a suicidarsi o a rapinare le banche. Ci si attacca di più, alla vita, man mano che diventa sempre più flebile. Ci si attacca alla speranza, di continuare. E invece, Mario Monicelli aveva tuonato contro la speranza, e mi aveva ricordato il grido - più di maniera - di Bunuel, contro la libertà. Meccanismi e dispositivi che ci intrappolano, invece di ... liberarci. Questo voleva dire, credo, senza troppi sproloqui, quel vecchio che avrei amato incontrare al mercato - come dicevo prima. Questo ha fatto, senza biglietti e senza infiorettature, quel vecchio che usava parlare fuori dai denti, come quando a suo tempo aveva dato di idiota - a lui e alle sue domande - al tizio che ieri sera, dall'alto del suo "share", intratteneva gli italiani che "sperano".
Del resto,in altri tempi forse migliori, l'aveva fatto dire a Mastroianni, nel suo film più bello e più ignorato, quando alla domanda "che paese è questo?", sentiva rispondere: "è un paese di merda".
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