Solo un blog (qualunque cosa esso possa voler dire). Niente di più, niente di meno!
lunedì 31 agosto 2009
Poeta e Pugile
"Arthur Cravan diceva di essere nipote di Oscar Wilde e, salvo pubblicare a Parigi cinque numeri di una rivista che si intitolava "Maintenant", non fece altro. Anche se siamo nell'ambito della legge del minimo sforzo, i cinque numeri di "Maintenant" si rivelarono più che sufficienti per farlo passare con tutti gli onori alla storia della letteratura."
- Bartleby e Compagnia - Enrique Vila-Matas
venerdì 28 agosto 2009
Un brindisi a Pilluccio!
Questa era la porta della "'ncantina ri Pillucciu", si trovava nel Largo della Graziella, a Siracusa. Nella cantina si beveva vino, spillato dalle botti, e si poteva mangiare il polpo lesso, tenerissimo, le uova sode, le olive.
Ora la 'ncantina non c'è più, le porte sono sbarrate. Il locale è chiuso, da quando Pilluccio, il vecchio proprietario è morto, e nessuno ha continuato il suo lavoro.
Anche perché non ci sono più i pescatori.
Nel locale, oltre alle bevute, si facevano gli affari. Veniva stabilito il prezzo d’ingaggio, si noleggiavano le barche, si compravano e si vendevano. E, soprattutto, il padrone divideva i soldi in ragione del lavoro svolto da ciascuno. Negli anni cinquanta e sessanta il guadagno veniva retribuito secondo la gerarchia dei lavoratori e secondo la loro bravura. Se si guadagnavano 2000 lire, 250 spettavano al garzone, 500 al marinaio, 1000 al proprietario della barca e, se la pesca era stata buona, il resto si divideva fra tutti.
Il padrone riconosceva, inoltre, la somma di cento lire necessaria ad acquistare il cibo da portare a bordo: a bordo si portava però un pezzo di pane e una cipolla, o un pomodoro, e la somma andava alla famiglia.
La distribuzione delle paghe avveniva sempre nelle cantine, come in quella di Pilluccio, perché per consuetudine il padrone offriva un bicchiere di vino e un uovo sodo, alla fine dell’operazione.
La stessa offerta veniva fatta ai portatori della statua di San Sebastiano, copatrono di Siracusa, quando, durante la processione del 20 gennaio, facevano una sosta davanti all’edicola della Madonna delle Grazie, nello stesso Largo della Graziella. I portatori erano scelti tra i lavoratori che facevano parte della Confraternita dei Portuali, una delle più vecchie d’Italia, che aveva il Santo come patrono e lo stipendiava come uno qualunque dei suoi lavoratori. Un incontro tra lavoratori legati al mare e che si concludeva con questa tradizionale offerta da parte di Pilluccio che rendeva il resto della fatica più leggero.
giovedì 27 agosto 2009
Isambard Kingdom Brunel
I. K. B. (1806-1859)
Ingresso: uno scellino. Nella tetra luce dei fanali a gas i turisti accalcati
fissavano gli operai: seminudi, animaleschi, a otto metri di profondità
nel Tamigi. Mille mattoni al giorno a testa, fino alle ginocchia immersi
in acqua fetida. In quel tunnel più d'uno rimase accecato.
Eppure, in testa al turno più lungo, il demiurgo in persona:
trentacinque ore e mezza.
Una patina nera sul palato, nei polmoni: vertigini, vomito, collasso cardiaco.
Infine il battesimo delle strutture: un banchetto in fondo al fiume,
cinquanta ospiti d'onore. Le volte drappeggiate di raso color scarlatto.
Le Coldstreams Guards suonavano in gran gala. Brindisi alla regina.
Un melodramma tecnologico. Poi l'irrompere dell'acqua: panico!
Un vortice tuonante ... L'effetto fu grandioso. I flutti s'innalzarono
fino al collo. Dopotutto fu un godimento! (Ci furono sei morti).
Crisi, sedute ministeriali, sbraiti in consiglio d'amministrazione.
Poi la fame lo sommerse. Ogni catastrofe una vittoria. Ogni
vittoria una catastrofe. Una tale forza di volontà ce l'ha solo chi annega.
Il grande ingegnere era piccolo di statura: un neurogigante.
Maniaco mattiniero. Cinquanta sigari al giorno. Da un progetto
all'altro sfrecciava nel suo calesse nero, poggiava piede in terra,
malinconico, un distruttore, patito delle Ecloghe virgiliane, e gridava:
Non mi serve gente che dica la sua. Mi servono strumenti!
Nella sua stanza da bambino carillons e automati, poi meccanismi
d'orologeria e piallatrici. I margini d'errore devono decrescere quotidianamente:
è il benedicite di suo padre. Macchinari tanto precisi che in essi
la riflessione ragionevole pare felicemente accoppiarsi
alla leggiadra certitudine dell'istinto.
All'età di sei anni lo colse la Sfortuna, mai dimenticata,
mai chiamata per nome: il vecchio, fallito, in prigione.
Da allora la sua ragione si lanciò allo sbaraglio. Il capitale delle mie imprese:
cinque milioni di sterline. Non male per un trentenne ...
A dir vero, oggi sono qualcuno. (Sempre questo logorante dubbio).
Bacini a secco, chiuse, colossali viadotti: prodigi assai maggiori
delle piramidi egizie, degli acquedotti romani, delle cattedrali gotiche.
Indubbiamente. Eppure i pilastri dei ponti erano adorni di rosoni
e, meditabonde sugli ancoraggi dei cavi portanti,
due sfingi si lanciavano sguardi di pietra da un lato all'altro dell'abisso.
Febbre ferroviaria. Roso da megalomania: nessuno scartamento
è abbastanza largo per lui. Dinosaurici locomotori. Una giungla
di commissioni e sottocommissioni. La sua stazione se la costruisce da sé:
Paddington, un palazzo di cristallo. Nelle navate laterali
ornamenti moreschi. Le consuete grida di giubilo. Infastidito
ora se ne torna a casa. Il calesse è tappezzato di seta nera.
Specchi veneziani, grandeur à la mode. Fredda e isterica
Mary Horsley. Un po' di Chopin. Balli e sciarade. Pelle d'oca:
La professione è l'unica moglie adatta per me. A volte
una visita di Mr. Babbage, ospite taciturno.
Oro: una notte ingoia una moneta. Prossimo all'asfissia
inventa un apparecchio e vi si fa connettere;
la forza centrifuga gli espelle la sovrana dalla gola.
Iperprogettistica: il motore ad acido carbonico, ferrovia atmosferica:
treni risucchiati in declivio su ventose di cuoio. Voli pindarici.
I cargo da tè sull'Avon hanno issato il gran pavese.
Fanfare e mortaretti. La riflessione ragionevole
si tappa le orecchie. Minuscolo punto nero in un cesto
egli saetta appeso alla fune sul baratro. SOlitario lemmo nello spazio!
(Leggiadra certitudine dell'istinto). Oh ebbrezza! Oh vertigine!
Metastasi dell'impero, sommosse indiane, guerre d'oppio e di Crimea:
ospedali militari volanti per Florence Nightingale, l'ingegnere
della carità. Ogni catastrofe una vittoria. Gli ammiragli sono incapaci;
se mi offrissero un contratto per conquistare Kronstadt,
fonderei una società per azioni e vincerei la battaglia.
L'ultima avventura furono le navi: ciascuna grande il doppio
della precedente. Ciò che non si era mai visto prima, diventa oggi norma.
Assemblaggio, propulsori a elica, ruote a pali cicloidali, albero a gomiti
forgiato in un unico pezzo, quaranta tonnellate. Sei volte più grande
di qualunque mezzo che avesse mai solcato i mari: il Great Eastern.
Mezzogiorno e mezzo. Lassù in alto, eccolo, in cima alla piattaforma.
Si annoia. Un segnale di bandiera e i martelli da fucina
tranciano i cuori dell'invasatura. Gli argani a vapore gemono,
le catene sferragliano, un sospiro, un rumore come un interminabile rullo di tamburi,
un rombo sordo nello scafo di ferro, un urlo, il pavimento trema,
la nave si mette in moto. Un bracciante irlandese addetto
alle ancore di nome O'Donovan, afferrato dalla manocella dell'argano,
squarciato, scagliato in cielo. Strano, con quanta lentezza il morto veleggia
sulle teste della folla! Sembra librato in volo. Tremila
curiosi, e nessuno lo nota. Poi si mette a piovere.
Leviathan doveva inizialmente chiamarsi, il Mostro. Hobbes,
o Giobbe? Dopo il varo vennero i falegnami, dopo i falegnami
sciami di tappezzieri sui ponti e di pittori paesaggisti.
Luxus necesse est: Tutti i geni della scienza sui pannelli!
E nel salone da ballo istallarono un pianoforte in bois de rose.
L'ultimo penny fu speso per la nave. La rovina, la rovina! Una liberazione!
Lo tirarono fuori da una botola della stiva, il giorno prima del viaggio inaugurale,
paralizzato a metà. L'ultima foto lo mostra davanti alla catena di un'ancora.
Sono enormi le maglie di ferro. Lui parrebbe in abito di lutto.
Un po' Chaplin e un po' forzato di galea: un pessimista in cilindro.
Molte vittorie e molte catastrofi dopo, nell'autunno dell'ottantotto,
quando l'avevano ormai quasi dimenticato e Nietschze stava avviandosi a Torino,
il suo ultimo viaggio, si sarebbero, pare, trovati tra i rottami del Great Eastern
due scheletri neri, quello di un inchiodatore e del suo apprendista.
Ma gli storici dicono, scrollando le spalle: sono tutte leggende.
H.M. Enzensberger - Mausoleum -
mercoledì 26 agosto 2009
Lucio!
"Di anarchici è sempre stato pieno il mondo. Quelli che hanno dovuto fare rapine o entrare nel contrabbando sono stati numerosi. Quelli che hanno discusso di strategie con il Che o hanno aiutato Eldridge Cleaver – leader delle Pantere Nere – sono un po’ di meno. Quelli che, insieme a tutto questo, sono riusciti a mettere in ginocchio la banca più importante del pianeta con la massiccia falsificazione di traveller checks, senza per questo assentarsi un solo giorno dal loro lavoro come muratori, sono soltanto uno. Lucio Urtubia, originario di Cascante (Navarra).
Lucio oggi vive a Parigi, lontano dai clamori. E’ stato testimone -spesso come parte attiva- di vari accadimenti storici della seconda metà del XX secolo. Visse da militante il maggio ’68, appoggiò con la sua partecipazione il regime di Castro, collaborò in tutte le attività antifranchiste… Ma senza alcun dubbio la sua più grande impresa è stata quella di fine anni ’70, per la quale fu descritto dai giornali come il “bandito buono” o lo “Zorro dei baschi”. Riuscì a truffare la First National Bank (adesso Citibank) per 20 milioni di euro del tempo, utilizzando quel denaro per le cause in cui credeva. Incredibilmente, la sua carriera gli è costata solo qualche mese di carcere."
Ora questo è un film:
"LUCIO" di Aitor Arregi e Jose Mari Goenaga (2007) Durata: 93 min.
martedì 25 agosto 2009
Ensenada
Ensenada, Baia di California, finalmente Messico, dopo Tijuana, città di confine. Qui la strada sembra non portare da nessuna parte. Quasi si perde, nella baia, fin dentro l'oceano.
La Strada per Ensenada
Lyle Lovett
A terra, malato e a pezzi
Viva Mexico
Non riesco a tenere gli occhi aperti
E sto sognando una casa mia
Sogno il sogno di una casa mia
Dove ci sia una tazza di caffè sul tavolo
E gentilezza nella tua mano
Tesoro, ti aiuterò non appena sarò in grado
Ma adesso mi sento male
Ora sto proprio male
Ascolta i battiti del tuo cuore
E seguili con entrambi i piedi
E mentre cammini, respira
Non mi sei amica
Non mi sei amica
La strada per Ensenada
È comoda e veloce
Se da Tijuana vai verso sud
Finalmente, riuscirò a vederti
Ti rivedrò, alla fine
Ma i miei occhi si aprono lentamente
E si guardano intorno nella stanza
Il vecchio sembra preoccupato
E non c'è alcun segno di te
Non c'è alcun segno di te
Ascolta i battiti del tuo cuore
E seguili con entrambi i piedi
E mentre cammini, respira
Non mi sei amica
Non mi sei amica
Sei in grado di offrire al giusto
Il bene che hai guadagnato
Ma qui, in mezzo alla sporcizia
Tutto il tuo lavoro si perde
Tutto il tuo lavoro si perde
Le sorelle sul confine
Tengono strette le mani
Signore, mi stanno chiedendo qualcosa
Ma io non capisco
Non riesco a capire
Così dai il mio adios ad Alvero
Digli di comportarsi bene
E se vede quella ragazza, Gabriella
Le dica che verrò a cercarla la prossima volta
Sì, la cercherò la prossima volta
Perché la strada per Ensenada
È comoda e veloce
E questa volta attraverso Tijuana
Non sarà certo l'ultima
Non sarà l'ultima volta
Ascolta i battiti del tuo cuore
E seguili con entrambi i piedi
E mentre cammini, respira
Non mi sei amica
Non mi sei amica
Non mi sei amica
lunedì 24 agosto 2009
Se scampi ai fascisti, ci pensa lo stato
Era il titolo del libro-inchiesta che, nel 1974, il "Comitato Anarchico G.Marini" di Firenze mandò alle stampe, nel quadro della campagna per la liberazione di Giovanni Marini, a fronte del processo che si sarebbe celebrato di lì a poco. Franco Mastrogiovanni, l'ho incontrato un paio di volte. La prima a Salerno, subito dopo la prima tornata del processo, in attesa del trasferimento del procedimento a Vallo della Lucania. La seconda a Vallo, in quei giorni, in quelle settimane frenetiche e piene, con la speranza che si potesse davvero, utopisticamente, arrivare ad una sentenza di assoluzione.
Un processo politico, uno di quelli che "non se ne fanno più". Mi torna in mente il film di Montaldo su Sacco e Vanzetti, e di come si concludano sempre i "processi politici". Forse si doveva fare un processo ... tecnico. No, meglio così!
Ci arrivai per primo, a Vallo, se non il primo. Partii da Firenze insieme ad una compagna che si fermò a Salerno: avrebbe raggiunto dopo Vallo della Lucania, e scesi a Casalvelino Scalo, dove mi fermai a dormire da un compagno del posto. Troppo lontano Casalvelino da Vallo Scalo e da Vallo. Mi trasferii in albergo a Vallo. c'è da dire, per onestà, che quando arrivammo a Vallo, prima che cominciasse il processo, ci incontrammo coi dirigenti del PCI locale. Ricordo ancora il viso del segretario, anche se non ne ricordo il nome. Ci disse che era successo un casino, perché loro avrebbero voluto sostenerci ed aiutarci, fino a metterci a disposizione la sede per fare dormire i compagni. Ma la direzione provinciale aveva posto il veto!
Così si rosicchiavano i soldi, ai libri venduti, e ad altro, per poter pagare l'albergo. Ricordo come, ad un certo punto si "materializzò", un vecchio amico di Franco Leggio che aveva una pizzeria alla fine del paese, e che, praticamente, ci dava da mangiare. Ce ne sarebbero di cose da ricordare, di nomi e di facce, di storie, dal piacere di incontrarsi in quello strano paese, fino alla notte passata all'addiaccio, in attesa della sentenza. Le lacrime e la rabbia. Perché si seppe ancora una volta che se scampavi ai fascisti, ci pensava lo stato.
Com'è tornato a succedere, trentacinque anni dopo!
venerdì 21 agosto 2009
Il Potere del Cane
Il libro procede come a passo di cinema. sontuoso e violento.
Quasi ti impedisce di smettere di leggerlo, in onore al suo titolo, come quel cane che, tempo fa, a Monemvasia, in Grecia, mi serrava la mano fra i denti, fermo e dolce, per impedirmi di smettere di accarezzarlo.
Ecco, "Il potere del cane", di Don Winslow, è questo ed altro.
E' il pugilato dove il pugile vale per quante riesce a prenderne, più che per quante riesce a darne. E' le tre "S" (saranno tre "A", nell'originale?) del "Sei Sempre Solo" di uno dei protagonisti, nonostante una moglie con dei "punti di vista un po' più a sinistra di Emma Goldman". Ed è il Messico dove a tavola si mangia in silenzio, e poi si parla, perché mangiare è una cosa seria. Come la vendetta.
giovedì 20 agosto 2009
Piombo!
J.G.G. (1395 - 1468)
Quanto uguale questa pagina a mille altre pagine,
e quanto arduo è stupirsene!
Un libro solo, e tuttavia molteplice. L'arte
dello scrivere artificiale: qualcosa di metallico,
un logoro pensiero d'oro, d'argento,
di rame, di piombo. La prima riproduzione
dovette essere una moneta, la prima merce
il denaro, il principio dell'indusria. Messaggi
e ancora messaggi; punzoni, matrici e caratteri,
Il Quattrocento, roba per storici dell'arte
e per teologi. Anatemi, roghi,
guerre di cent'anni, varietà gotiche.
Sì, anche questo. Eppure innanzi tutto: progressi
nelle miniere e nei mulini, nella metallurgia
e nelle armi. Non la Madonna
nel roseto, besì la gru e la ruota dentata.
Nella buia sua officina, clandestino
e anonimo, costui persegue, perseguitato
da tratte, ingiunzioni, ammanchi,
il suo fine imponente come il calcolo combinatorio:
venticinque volte per due i segni metallici
(cifre e legature non comprese),
tutto ciò che fu, è o potrebbe essere,
da combinare a suo talento e da moltiplicare
non con l'ausilio del calamo, del lapis o della penna,
ma tramite la congiunzione delle forme,
intagliate nell'acciaio, martellate nel rame,
fuse in piombo, stagno, bismuto e antimonio.
Ciò che necessitava: arti idriche d'Arabia,
coltivazioni di canapa e lino, torchi tessili e vinicoli,
macine per stracci, imprese di import-export; un arsenale
di utensili obliati: ramaioli, bulini,
branchie, vantaggi, rulli e serraforme;
un esercito di operai, sfruttatori e complici
da Cracovia a Salamanca: trafilatori,
cenciaioli, banchieri; e infine
Gensfleisch, l'anziano specchiaio di Magonza,
pressato dai creditori, mezzo accecato, non
odoroso d'incenso ma di vernice
e fuliggine. In una foschia di metallo rovente
scomparve. Questo, il nero
sulla carta bianca, rimase:
L'arte dello scrivere artificiale,
un sapore plumbeo del Quattrocento.
- H. M. Enzensberger - Mausoleum -
mercoledì 19 agosto 2009
Voi, gente per bene ...
"Ma la domanda che bisognerebbe innanzitutto porre è, forse, la seguente: a partire da quando, e come, si è cominciato a immaginare che fosse la guerra a funzionare all'interno delle relazioni di potere, che una lotta ininterrotta travagliasse la pace, che l'ordine civile fosse fondamentalmente un ordine di battaglia. (...) Come, nella filigrana della pace, si è scorta la guerra? Chi ha cercato, nel clamore e nella confusione della guerra, nel fango delle battaglie, il principio di intelligibilità dell'ordine, delle istituzioni e della storia? Chi, per primo, ha pensato che la politica non fosse che la guerra continuata con altri mezzi?"
- Michel Foucault -
martedì 18 agosto 2009
L'estate più pericolosa di Ernest Hemingway
Al ritorno dal suo penultimo viaggio in Spagna, si dice che Ernest Hemingway sembrasse molto più vecchio e più acciaccato rispetto a quell'atleta che solo cinque anni prima aveva vinto il Nobel. È stato uno di quei cosiddetti eroi per cui il gioco della vita ha senso solo quando si gioca la carta più preziosa: la vita stessa. Per questo ha dovuto affrontare i leoni, gli elefanti, i tori. Per questo, si propose di vivere la sua vita esplorando i molti modi di essere un uomo. Una vita, come la sua, si gioca sulle donne, la guerra, la boxe, l'alcool, e l'infamia.
La Spagna fu, per Hemingway, una terra di affinità, fin da quando, nel 1921, nella sua prima intervista come corrispondente in Europa per il Toronto Star, si occupò della pesca del tonno a Vigo. La Spagna era il luogo dell'avventura, un'Africa oltre i Pirenei. Fu Gertrude Stein ad ncoraggiarlo ad andare a vedere la corrida.
Quando scoppiò la guerra in Spagna - incoraggiato dalla sua terza moglie, corrispondente di guerra, Martha Gellhorn - si arruolò frettolosamente come corrispondente per l'agenzia NANA. Anni più tardi, confesserà che "è stata la fase più felice della nostra vita. Eravamo felici perché quando la gente moriva sembrava che la loro morte avesse importanza e giustificazione."
Nel novembre 1938, insieme al giornalista Herbert Matthews e al fotografo ungherese Robert Capa, attraversò il confine francese. Gli ci vorranno 15 anni per tornare in Spagna. Visse quei tre lustri nella convinzione che non ci fosse nessun altro paese in cui era stato così felice.
Da Biarritz, accompagnato dalla sua ultima moglie, Mary Welsh, attraversò la frontiera per Irún senza alcun contrattempo, con sua grande sorpresa: "Era strano tornare. Non avevo mai sperato che mi permettessero di entrare nel paese che amavo più di ogni altro, dopo il mio."
In quell'estate del 1953, conobbe il giovane torero Antonio Ordoñez, 21 anni.
Era il figlio di El Niño de la Palma, che lo aveva stregato a Pamplona nel 1924, e che è stato immortalato nel personaggio di Pedro Romero in Fiesta.
Sulla Spagna, oltre a questo romanzo, aveva già scritto "Morte nel pomeriggio" (1932), la sceneggiatura per il documentario di Joris Ivens "Terra di Spagna" (1937), il dramma teatrale "La quinta colonna" (1938) e "Per chi suona la campana" (1940). Per completare il suo "Retablo" di passione, violenza e ritmo mancava un libro: "L'estate pericolosa". Per scriverlo, ritornò di nuovo nel 1959.
Don Ernesto, come lo chiamavano in Spagna, era già premio Nobel, quando, a bordo del Constitución, sbarcò il 1° maggio del 1959 ad Algeciras. Era venuto a scrivere una cronaca giornalistica di 10.000 parole, commissionata dalla rivista Life, sulla rivalità tra i toreri Luis Miguel Dominguín e Antonio Ordóñez. Si stabilì a La Cónsula, un vecchio palazzo dell'ottocento di
proprietà dell'americano Bill Davis. Erano giorni di caldo intenso, e Mary Welsh comprò un paio di tonnellate di ghiaccio, che arrivarono su un camion e vennero rovesciati nella piscina. Lì, il 21 luglio del 1959, venne celebrato il 60° compleanno dello scrittore. Nel bar dell'hotel Miramar, gli dissero che Florence, la figlia del suo vecchio amico André Malraux, desiderava conoscerlo. Si recò alla reception e tornò con tre persone: Florence, Monique Lange, che lavorava alla Gallimard, l'editore francese di Hemingway, e un giovane scrittore spagnolo Juan Goytisolo, che era l'amante di Monique. Sulla vecchia Ford del suo amico Davis, Hemingway viaggiò fino a Madrid e soggiornò presso l'Hotel Svezia, vicino alla Calle Alcalá. Lì conobbe l'irlandese Valerie Danby-Smith, che prima divenne la sua segretaria e poi sua nuora. Le offrì uno stipendio di 250 dollari al mese e lei ben presto si integrò nella "banda". Si sposò con Gigi, il giovane figlio di Hemingway, ne ebbe tre figli e una montagna di avversione per il marito che si sottomise ad un'operazione di cambiamento di sesso, e morì in un carcere femminile.
Alla Feria de San Isidro, don Ernesto era entusiasta di assistere al duello del pomeriggio fra Ordóñez e Dominguín. Il 14 agosto, a Malaga ci fu il secondo appuntamento, il giorno successivo, a Bayonne (Francia), i due cognati (Carmina, moglie di Antonio, era la sorella di Luis Miguel) completarono la loro terza sfida. Due giorni dopo, un'altra sfida a Ciudad Real, la quinta ed ultima a Bilbao. Uno di loro, Dominguín, rimase gravemente ferito. "Il problema è stato risolto", sentenziò Hemingway. Gli spagnoli gli rimproverarono la sua glorificazione di Ordoñez e l'ostilità contro Dominguín, ma soprattutto contro Manolete: "Un buon torero, ma con trucchi a basso costo". Il fatto è che Hemingway non vide mai una corrida di Manolete.
Al ritorno, ad Aranda de Duero, la Ford color rosa guidata dal suo anfitrione Bill Davis, forà una gomma, si rovesciò e rimase distrutta. Gli occupanti ne uscirono illesi, ma ad Hemingway cominciò a pesare il viaggio. Si sentiva molto stanco a causa del sovradosaggio di chilometri, di feste, del baccalà ajoarriero e del whiskey. Aveva male ad un rene, perciò scriveva in piedi.
Tornò a casa con la sua testa "come un sacco di gatti", piena di emozioni, dei dati e dei postumi della sbornia. Life gli aveva chiesto le 10.000 parole, ma ne aveva scritto 63.562, e dovette passare la notte a limare per poter rispettare la data di consegna. Alla fine, aveva scritto 108.746 parole che sono state pubblicate, in Spahna, 24 anni dopo la sua morte con il titolo "L'estate pericolosa" (Ed. Debolsillo).
Ai primi di agosto 1960, tornò in Spagna. Perché? Egli ha affermato che voleva completare il testo, ma Life era già in possesso di una versione in tre parti. Questa volta, stranamente per lui, aveva viaggiato da solo in aereo. Ai primi di ottobre, il suo vecchio amico Aaron Hotchner lo aveva trovato in pessime condizioni di salute. Lo convinse a lasciare la stanza dell'Hotel Svezia in cui si era rinchiuso.
"Non voglio morire qui. La Spagna è un paese per vivere, non per morire".
A Ketchum (Idaho), aveva un appuntamento con la morte. "Levarsi di mezzo" era una tradizione della sua famiglia. Suo nonno, suo fratello Jack e suo padre l'avevano fatto prima di lui. Venne sepolto il 7 luglio, il giorno di San Firmino.
Aspettando
- CLOSER TO THE BONE -
1. Closer To The Bone 2:32
2. From Here To Forever 3:32
3. Holy Woman 2:29
4. Starlight And Stone 3:46
5. Sister Sinead 2:20
6. Hall Of Angels 3:59
7. Love Don t Live Here Anymore 2:01
8. Good Morning John 2:50
9. Tell Me One More Time 2:39
10. Let The Walls Come Down 2:41
11. The Wonder 2:53
venerdì 14 agosto 2009
condanna eseguita
MUORE IN REPARTO PSICHIATRICO, AVEVA POLSI E CAVIGLIE LEGATI
(Liberazione, 13 agosto 2009)
(Liberazione, 13 agosto 2009)
di Daniele Nalbone
Francesco Mastrogiovanni è morto legato al letto del reparto psichiatrico dell'ospedale San Luca di Vallo della Lucania alle 7.20 di martedì 4 agosto. Cinquantotto anni, insegnante elementare originario di Castelnuovo Cilento, era, per tutti i suoi alunni, semplicemente "il maestro più alto del mondo". Il suo metro e novanta non passava inosservato. Inusuale fra la gente cilentana. Così come erano fuori dal comune i suoi comportamenti, «dolci, gentili, premurosi, soprattutto verso i bambini» ci racconta la signora Licia, proprietaria del campeggio Club Costa Cilento. E' proprio lì che la mattina del 31 luglio decine di carabinieri e vigili urbani, «alcuni in borghese, altri armati fino ai denti, hanno circondato la casa in cui alloggiava dall'inizio di luglio per le vacanze estive». Uno spiegamento degno dell'arresto di un boss della camorra per dar seguito a un'ordinanza di Trattamento Sanitario Obbligatorio (competenza, per legge, solo dei vigili urbani) proveniente dalla giunta comunale di Pollica Acciaroli. Oscuri i motivi della decisione: si dice per disturbo della quiete pubblica. Fonti interne alle forze dell’ordine raccontano di un incidente in cui, guidando contromano, alcune sere prima, avrebbe tamponato quattro autovetture parcheggiate, «ma nessun agente, né vigile, ha mai contestato qualche infrazione e nessuno ha sporto denuncia verso l’assicurazione» ci racconta Vincenzo, il cognato di Francesco. Mistero fitto, quindi, sui motivi dell’“assedio”, che getta ovviamente nel panico Francesco. Scappa dalla finestra e inizia a correre per il villaggio turistico, finendo per gettarsi in acqua. Come non bastassero carabinieri e vigili urbani «è intervenuta una motovedetta della Guardia Costiera che dall’altoparlante avvertiva i bagnanti: “Caccia all’uomo in corso”» racconta, ancora incredula, Licia. Per oltre tre ore, dalla riva e dall’acqua, le forze dell’ordine cercano di bloccare Francesco che, ormai, è fuori controllo. «Inevitabile» commenta suo cognato «dopo quanto gli è accaduto dieci anni fa». Il riferimento è a due brutti episodi del passato «che hanno distrutto Francesco psicologicamente» spiega il professor Giuseppe Galzerano, suo concittadino e carissimo amico, come lui anarchico. Il 7 luglio 1972 Mastrogiovanni rimase coinvolto nella morte di Carlo Falvella, vicepresidente del Fronte universitario d’unione nazionale di Salerno: Francesco stava passeggiando con due compagni, Giovanni Marini e Gennaro Scariati, sul lungomare di Salerno quando furono aggrediti, coltello alla mano, da un gruppo di fascisti, tra cui Falvella. Il motivo dell’aggressione ce lo spiega il professor Galzerano: «Marini stava raccogliendo notizie per far luce sull’omicidio di Giovanni, Annalisa, Angelo, Francesco e Luigi, cinque anarchici calabresi morti in quello che dicono essere stato un incidente stradale nei pressi di Ferentino (Frosinone) dove i ragazzi si stavano recando per consegnare i risultati di un’inchiesta condotta sulle stragi fasciste del tempo». Carte e documenti provenienti da Reggio Calabria non furono mai ritrovati e nell’incidente, avvenuto all’altezza di una villa di proprietà di Valerio Borghese, era coinvolto un autotreno guidato da un salernitano con simpatie fasciste. Sul lungomare di Salerno, però, Giovanni Marini anziché morire, uccise Falvella con lo stesso coltello che questi aveva in mano. Francesco Mastrogiovanni fu ferito alla gamba. Nel processo che seguì, Francesco venne assolto dall’accusa di rissa mentre Marini fu condannato a nove anni. Nel 1999 il secondo trauma. Mastrogiovanni venne arrestato «duramente, con ricorso alla forza, manganellate e calci» spiega il cognato Vincenzo, per resistenza a pubblico ufficiale. Il motivo? Protestava per una multa. In primo grado venne condannato a tre anni di reclusione dal Tribunale di Vallo della Lucania «grazie a prove inesistenti e accuse costruite ad arte dai carabinieri». In appello, dalla corte di Salerno, pienamente prosciolto. Ma le botte prese, i mesi passati ai domiciliari e le angherie subite dalle forze dell’ordine lasciano il segno nella testa di Francesco.«Da allora viveva in un incubo»racconta Vincenzo fra le lacrime.«Una volta, alla vista dei vigili urbani che canalizzavano il traffico per una processione, abbandonò l’auto ancora accesa sulla strada e fuggì per le campagne. Un’altra volta lo ritrovammo sanguinante per essersi nascosto fra i rovi alla vista di una pattuglia della polizia». Eppure da quei fatti Mastrogiovanni si era ripreso alla grande,«tanto da essere diventato un ottimo insegnante elementare», sottolinea l’amico Galzerano, «come dimostra il fatto che quest’anno avrebbe finalmente ottenuto un posto di ruolo, essendo diciottesimo nella graduatoria provinciale». Era in cura psichiatrica ma si stava lasciando tutto alle spalle. Fino al 31 luglio. Giorno in cui salì «di sua volontà» sottolinea Licia del campeggio Club Costa Cilento «su un’ambulanza chiamata solo dopo averlo lasciato sdraiato in terra per oltre quaranta minuti una volta uscito dall’acqua». Licia non potrà mai dimenticare la frase che pronunciò Francesco in quel momento: guardandola, le disse: «Se mi portano all’ospedale di Vallo della Lucania, non ne esco vivo». E così è stato. Entrò nel pomeriggio di venerdì 31 luglio per il Trattamento Sanitario Obbligatorio. Dalle analisi risultò positivo alla cannabis. La sera stessa venne legato al letto e rimase così quatttro giorni. La misura non risulta dalla cartella clinica, ma è stata riferita ai parenti da testimoni oculari. E confermata dal medico legale Adamo Maiese, che ha riscontrato segni di lacci su polsi e caviglie della salma durante l’autopsia. Legato al letto per quattro giorni, quindi. Fino alla morte sopravvenuta secondo l’autopsia per edema polmonare. Sulla vicenda la procura di Vallo della Lucania ha aperto un’inchiesta e iscritto nel registro degli indagati i sette medici del reparto psichiatrico campano che hanno avuto in cura Mastrogiovanni. Intanto oggi alle 18, nel suo Castelnuovo Cilento, familiari, amici e alunni porgeranno l’ultimo saluto al “maestro più alto del mondo”.
giovedì 13 agosto 2009
ovunque
"I greci sapevano distinguere e amavano le differenze. Tutte le cose, diceva Talete, sono piene di dei: ma dove sono andati a finire gli dei? Gli dei, diceva Jung, sono andati a finire nelle malattie, anche in quelle del mondo. Gli dei sono stati rimossi. Ma come notava Freud, il rimosso ritorna. Ares-Marte lo ritroviamo nella violenza, nelle esplosioni, nelle colluttazioni, nelle sparatorie, negli incendi, nelle pistole, nei coltelli, nei combattimenti, nelle guerre delle immagini televisive. Afrodite-Venere la ritroviamo invece nella pornografia, nella pubblicità , nelle vetrine dei negozi, nei saloni di bellezza. Ermes-Mercurio oggi è dovunque. Vola per l'etere, viaggia, telefona, è nei mercati, e gioca in borsa, va in banca, commercia, vende, acquista, e naviga in Rete. Seduto davanti al computer, te ne puoi stare nudo, mangiare pizza tutto il giorno, non lavarti mai, non spazzare per terra, non incontrare mai nessuno, e tutto questo continuando a essere connesso via Internet. Questa è Intossicazione Ermetica. E il grande Pan? Il grande Pan è morto. Pan tace perché qualcuno ci ha spiegato che la natura non può parlare."
- James Hillman -
mercoledì 12 agosto 2009
Mitologie!
Si torna dalle ... vacanze, e si pensa di aver qualcosa da raccontare. Posti, suggestioni, persone. Un bagaglio di foto, qualcuna ti sembra migliore, più importante delle altre. Chissà. Stavolta, è successa una cosa abbastanza strana. Casuale. Eravamo partiti per una cena di pesce alla darsena, da januzzo. Poi, invece, inoltrandosi per Ortigia, si è cominciato a cambiare idea, anche perché la serata comandava senz'altro una scenografia all'aperto, di strada o piazzetta o cortile. Così, dopo aver puntato, illusi, alla cucina iblea di Mariano, tutto troppo pieno, siamo finiti nello scenario incredibile della Corte degli Avolio, in via del Consiglio Reginale. E, anche lì, ancora il caso. La scelta fra i due ristoranti incastonati nella piazza. Per caso, quasi "sbagliando", la scelta cade su "Il Cenacolo", più in odor di ... trattoria del concorrente.
Un uomo, fra i tavoli, il proprietario, decisamente. Chiede, consiglia, sorride. Ma la faccia, io, quella faccia ... Mi capita sempre, a Siracusa, di pensare di riconoscere le facce, per la strada. Quasi sempre lascio perdere, non ne sono troppo certo ed evito una figuruccia. E mi tengo i ricordi!
Il liceo scientifico "Orso Mario Corbino" (questi, un fisico nato ad Augusta) è un luogo mitico per i siracusani della mia generazione. Entri, e nell'atrio giganteggia una statua. "Invento speculo naves romanas incendit", la scritta sul piedistallo della statua, ad accogliere personaggi che non avrebbero certo sfigurato in un film come "il seme della violenza". Ma questa è un'altra storia, come si dice.
La storia della sera, di cui sto parlando, racconta invece di un'agnizione, di un tatuaggio su un braccio e di un libro. Dentro il libro che ho sfogliato, al tavolo, con occhi affamati di musica e di ricordi, c'era tutta la storia e tutti i personaggi di un tempo passato. "Siracusa Beat", si può comprare solo laggiù, alla "Casa Musicale Antonino Fiore", che se non era il negozio di Ray Charles, ne "I Blues Brothers" ...
Dentro ci sono tutti, ci sono anch'io, anche se non appaio né col nome, né, tantomeno, in effigie. Ci sono le decine di gruppi e di persone che facevano musica, che erano fatte di musica. Allora, funzionava così, e sculo per chi non c'era e per chi non c'è stato.
Pippo Lo Manto ed io, c'eravamo!
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