venerdì 1 agosto 2008

siciliani



Letture disordinate le mie, molti le chiamerebbero così! Letture a cui, a volte, torno. E c'è qualcosa di perverso, a mio avviso, nell'andare a ri/leggere. Uno scavare alla ricerca di qualcosa, fra il perduto ed il dimenticato. Qualcosa che magari non esiste, nel libro. Sfogliare le pagine, in un crescendo di frenesia quasi, alla ricerca del "periodo perduto"; quello che ti salverà la vita. A volte lo trovi, altre volte no. Oggi l'ho trovato. Era all'inizio, stava nello scritto di introduzione di Gesualdo Bufalino ad un'antologia sulle "cento sicilie". Uno sguardo impietoso e affascinato, una capacità di mettere a nudo e di ferire, un modo di ascoltare e di guardare. L'isola e sé stessi.
Isola? Ha ragione Tucidide quando scrive "è impedita dall'essere terraferma da un braccio di mare di circa venti stadi". Impedita! Ed è stata impedita da quei soli venti stadi, dall'essere isola, sembra concludere Bufalino. Oh, i siciliani sono convinti di essere isolani, i più isolani di tutti, anzi! Isolani per antonomasia. E l'hanno anche data a bere a tutti, questa storia! Ma, forse, l'insistere su questa presunta "isolitudine" è l'unico tratto accomunante. Poi, come dice Bufalino, sull'isola tutto è plurale, molteplice. I colori delle tante sicilie ... colorate. Il verde del carrubo, il giallo dello zolfo, il bianco del sale e il bianco della pomice, il rosso della lava e il nero dell'ossidiana, il biondo del miele e l'arancio degli agrumeti. E l'azzurro del mare. E l'abbaglìo del sole, che tutto copre e riveste. Che fa sembrare inaccettabile la morte. L'ho toccato con mano, al funerale di mio padre, nel sole accecante di un mattino di luglio. Non è, lì, la morte, l'esito naturale della vita: è l'invidia degli dei!
E tutto che è - come dire - diverso. Perché i siciliani sono diversi. Diversi dagli altri, e diversi fra loro. Diversi dall'invasore come diversi dall'amico. Diversi quelli che partono, per non ritornare, da quelli che restano. E gli uni e gli altri, diversi da sé stessi.
Diversi, quelli che si condannano per essere ... siciliani, diversi da quelli che se ne assolvono.
Claustrofobia e agorafobia. Agorafilia e claustrofilia. Dritti e rovesci.
Dura poco l'allegria di essere nati e di vivere nel centro del mondo! Come un eccesso di identità che diventa segregazione che si odia o si ama, e si lega da sé sola ad altre segregazioni che portano il nome di famiglia, casa, città, cuore. E che pesano, richiedono una scelta di districarsi fra i mille fili del sangue e del destino che si intrecciano. E orgoglio, diffidenza, pudore, sono le risposte che accompagnano la fuga come il nascondersi. L'odio e l'amor di clausura. Ma rimane una dimensione teatrale del vivere.
Teatro, del resto è nato da quelle parti, il teatro. Tragedia, farsa e melodramma, dovunque. Sempre in bilico fra mito e sofisma, ciascuno, dentro e fuori. Ogni occasione è buona. Ci sono maschere da indossare o da strapparsi dalla faccia, ma sempre nella liturgia scenica.
E si è suscettibili ai fischi come agli applausi. All'occhiu r'e ggenti.
Teatro perpetuo, come quello che sto tra/scrivendo, rubando, magari facendo finta e facendo credere che sia ... vero!

1 commento:

lucharoja ha detto...

leggevo, poco tempo fa, della definizione che chateaubriand dava di saint-just: "un jeune homme atroce et théatral".
la si riportava a sostegno della tesi per cui l'accusa di teatralità s'accompagnerebbe, solitamente, al disprezzo di classe.
non so se sia vero, ma istintivamente e forse anche per quel motivo, non ho potuto fare a meno di ritenerla uno dei più bei complimenti mai sentiti.
digressioni... :-)

saluti

e.