lunedì 27 novembre 2006

gucciniana...un po' contaminata



Adesso che i manifesti per strada, che annunciano il prossimo concerto di Guccini, non sono più gli stessi di sempre, adesso si è liberi di tornare ai tempi di via paolofabbri43, ai manifesti di un tizio con la barba, appesi sui muri di Firenze, in via Nazionale all'angolo con via Guelfa.
I manifesti! Allora i manifesti non erano affatto "visi di carta che non dicono nulla...". Erano voce sui muri. Erano festa. Erano confronto. Erano sudore e colla, e dita intirizzite in attesa di scaldarsi nei primi bar dell'alba. Erano sogni e speranze. E, in mezzo ad essi, anche quella faccia ci stava bene!
Millonevocentosettantacinque, Firenze fra via Guelfa e via Nazionale. Migliaia di "locomotive", per la strada, a cercare di scagliarsi contro l'ingiustizia. I tempi erano quelli! E "l'avvelenata" faceva molto più effetto, dentro le nostre orecchie, di "canzone quasi d'amore". Eravamo più disponibili a considerare le cose che venivano dette su di noi, anche se spiacevoli. Non mi è mai piaciuta, "l'avvelenata"! Falsa e costruita. Sempre tale, l'ho considerata! Per "canzone quasi d'amore", invece, avevo ancora bisogno di tempo. E di strada! Dovevo arrivare fino a ...."fra la via emilia e il west", per accorgermene. Dovevo arrivare ad un periodo in cui, per la prima volta, avrei cominciato a volgermi indietro. Riconsiderando episodi e persone che avevo lasciato scivolare via, come "spiccioli infernali" da un buco nelle tasche. Cominciare a fare i conti, e tirare i cordoni delle borse. Non era più tempo di dissipare le parole. Ne avevamo scialacquate troppe! Rinunciare anch'io a cercare le "mie" parole che non trovavo. E per rinunciare, avrei prima dovuto cominciare a cercarle! Non era ancora tempo. Era una canzone che doveva "lievitare" dentro. O, forse, eravamo solo noi che dovevamo "crescere" per riuscire ad arrivare all'altezza della canzone......abbracciarla, una canzone!
Di quando ero bambino ricordo sempre un fumetto con Brick Bradford, "viaggio dentro in una moneta". Parlava di un viaggio nel microcosmo, all'interno degli atomi che componevano una moneta. Atomi che diventavano astri e pianeti da visitare. Ora mi chiedo come sarebbe un viaggio dentro una canzone. Cosa riusciremmo a trovarci? E tutto questo, più che a larghezze e altezze, sembrerebbe attenere a delle...profondità! Lo spazio profondo delle storie di Bonvi e Guccini, per l'appunto!
"Canzone quasi d'amore". Non riesco a vederla come canzone di "disamore". Mi dispongo ad essa come alla canzone di un "ripensamento", uno dei tanti che facciamo, quando ci ritroviamo ad indugiare col pensiero alle possibilità perdute, alle strade non imboccate. E lo facciamo spandendo a piene mani tutta una serie di "responsabilità"! Rimpiangendo, certo. Ma, forse, rimpiangendo anche l'esserci preclusi, allora, la possibilità di non rimpiangere, o di rimpiangere per davvero!
A mio avviso, "canzone quasi d'amore" parla dell'indugiare al "ripensamento" di una "storia" finita ma non morta. Una di quelle che continuiamo a portarci dentro. Una di quelle storie cui, in una sera un po' più strana delle altre, rivolgiamo il nostro pensiero. Ne tiriamo fuori il ricordo per raccontarCI che, forse, si potrebbero ancora trovare le parole per riuscire a dire quello che siamo stati incapaci di comunicare allora. Si arriva quasi al punto di sollevare la cornetta del telefono e comporre il numero. Ma poi ci figuriamo l'altra persona e le sue certezze e la sua vita. Facciamo un respiro profondo e ci disponiamo a riseppellire quella storia che non sapremo mai come avrebbe cambiato la nostra vita. Canzoni di disamore, invece; già! Quante ce ne sono? Io, per parte mia, ci metterei "invecchierai" e "sabato stelle" di Roberto Vecchioni e, forse, "giugno 73" di De André. Questo perché le canzoni di "disamore", a mio avviso, non si costruiscono sugli abbandoni. Niente abbandoni alle spalle. Né da una parte né dall'altra! Ma solo sfumata consapevolezza che qualcosa si è irrimediabilmente rotto, accompagnata da una consapevolezza, altrettanto sfumata, che non abbiamo fatto niente perchè la rottura non avvenisse. E le "canzoni" che continuiamo a "scrivere", insieme alle "pigioni"(che fa rima con "illusioni") che continuiamo a "pagare". Servono ad "assolverci", probabilmente. Fanno parte di quella "nausea di ricominciare" (si lo so che questa è un'altra canzone) che permette, ogni volta, di sopravvivere. Sopravvivere sapendo che "la noia di un altro non vale". E che la tua "noia" non vale per un altro!

Fingo d'aver capito
Che vivere e' incontrarsi
Aver sonno, appetito
Far dei figli, mangiare,
Bere, leggere, amare,
Grattarsi.

In questa strofa, riesco proprio a vedere la comprensione, accompagnata all'incapacità di trasmetterla (non vale la "comprensione" di un altro!). Non è il poeta, ad essere un "fingitore" (con buona pace di Pessoa), ma è l'uomo! E il fingere avviene all'interno di un gioco mortale dove ciascun altro sa benissimo come e quanto l'altro finga, e finge, a sua volta, di non saperlo! Si finge di non sentire dolore al fine di poter continuare a sentir(se)lo in santa pace!

siamo vigliacchi e fieri,
saggi, falsi, sinceri,
coglioni,

e, anche qui, credo che Guccini si riallacci al tema della "finzione". Il "per te" che precede depone a favore della non condivisione di questo punto di vista. Anche se alla fine si può fingere di condividerlo. C'è quello che si vorrebbe dire e c'è quello che gli altri vorrebbero sentirti dire.
E, per finire, c'è la solitudine. Sempre presente. Anche se, forse, non subìta. Bensì, quasi scelta. Quella solitudine per cui "non si è soli, se qualcuno ti ha lasciato. Si è soli se qualcuno non è mai venuto!"

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