giovedì 4 dicembre 2025

La Parola d’Ordine è Rischiare Tutto !!

Rivoluzione Teorica Incompiuta
- Introduzione al libro "Denaro senza Valore" - Luglio 2012 -
di Robert Kurz

  Le teorie grandi e influenti, sfociano sempre in scuole di interpretazione, e percorrono una storia che va ben al di là delle loro origini, che viene portata avanti mediando con la storia della società. La teoria di Marx, in termini storici, è ormai sedimentata: più di 125 anni dopo la morte del suo creatore, ha provato, da molto tempo, di essere una delle più poderose teorie di tutta la storia del pensiero; e questo sebbene non sia disponibile come se essa fosse una sorta di "insieme artistico" (come Marx avrebbe voluto pretendere dalla sua esposizione), ma più, quasi, come un immenso tronco, costituito da masse di testo, a volte tra loro eterogenee. A causa e a partire dalla sua forma, questa teoria non può essere integrata in quelle che sono le schematizzazioni del mondo accademico; dal momento che essa affronta, in termini espitemici, anche la comprensione del cosiddetto metodo scientifico. E questo perché Marx ha operato una cesura paradigmatica, la quale dev'essere definita come se fosse una "rivoluzione teorica"; e questo a ragione. Ma è proprio tale carattere, intrinseco alle riflessioni di Marx, ad aver dato luogo - e continua a dar luogo - a dubbi e a conflitti; e tutto ciò a causa del fatto che mai, per una sola volta, sia stato condotto alcun "assalto" paradigmatico. Pertanto, la rivoluzione teorica di Marx rimane, necessariamente, una rivoluzione incompiuta e, in questa misura, non è solo incompleta, ma è anche passibile, e carente, di interpretazione. Come ogni teoria poderosa, anche quella di Marx viene filtrata per mezzo di quella che è stata la sua storia interpretativa, e ciò avviene soprattutto in due modi:  da una parte, la critica radicale dell'economia politica ha provocato una reazione affermativa da parte della scienza borghese che, proprio a causa del suo carattere reattivo, si è vista essa stessa costretta a un'interpretazione dell'oggetto in esame e, senza volere, ha assorbito elementi di quello stesso oggetto, seppure volesse negare qualsiasi "scientificità" a Marx; senza però essere tuttavia capace di riflettere sul contenuto di una teoria veramente critica della scienza. Dall'altro lato, la teoria di Marx è stata recepita in maniera positiva ma, com'era inevitabile, ciò è avvenuto a partire da una griglia interpretativa continua, e condizionata sia dalla contemporaneità che dalla società, che si è cosi manifestata, pertanto, come una storia del marxismo; la quale, simultaneamente, è stata determinata dalla controversia con le reazioni borghesi coeve (politiche e teoriche), costituendo così alla fine, e insieme a esse, un vasto campo del discorso storico. Il marxismo, si è differenziato in scuole, e relative battaglie interpretative che si sono caratterizzate per l'intendimento secondo cui la rivoluzione teorica di Marx si fosse conclusa, innalzando la sua opera principale a una sorta di bibbia. Tolte alcune eccezione (come quella di Rosa Luxemburg, sebbene in maniera limitata), nella storia della sua ricezione non c'è stato alcun confronto aperto coi concetti fondamentali della teoria di Marx; la critica marxista a Marx, si è riferita, tutt'al più, a dei fatti empirici, la cui mediazione con le determinazioni della riflessione teorica rimaneva del tutto nell'ombra. Così, le basi categoriali della critica dell'economia politica sono state solo oggetto di interpretazioni diverse, ma non di un ulteriore sviluppo. Apparentemente, Marx apriva una prospettiva che andava ben oltre l'orizzonte di comprensione di quella determinata epoca. Come disse Rosa Luxemburg, «ci aveva superato in anticipo». Pertanto, il carattere incompleto della teoria di Marx si manifestava solo indirettamente, e la cosa avveniva nell'ambito del confronto e nelle differenze interpretative, facendola così assomigliare a una disputa teologica. Sebbene le scuole filosofiche e scientifiche borghesi, si fossero raramente comportate in maniera diversa, la contro-reazione affermativa si aggrappò - con gratitudine - alla teologia interpretativa del marxismo, in modo da poter così respingere del tutto il testo della rivoluzione teorica, denunciandola come "ideologica", o come "metafisica". In tal modo si riuscì a enfatizzare il carattere ideologico e metafisico del positivismo (borghese), e la cosa riscosse il medesimo successo che aveva avuto il carattere della metafisica reale della società feticista capitalista. La storia interpretativa marxista, mancava di spiegazione, ma tale spiegazione - e soprattutto la necessità della stessa - sarebbe stata possibile solamente se la corrispondente storia, nella sua limitazione,  fosse stata intesa in quanto tale. In realtà, tutto il campo del discorso storico cui apparteneva il marxismo, aveva cominciato ad appannarsi, e in maniera peculiare a partire dalla fine del XX° secolo, e tutto questo malgrado il fatto che i processi di crisi della società globale si stessero acutizzando in quelli che erano i suoi nuovi modelli; o forse proprio per questo. Le attuali esigenze capitalistiche richiedevano, a gran voce e più che mai, una critica radicale, ma sembrava che, apparentemente, con il cambiamento delle condizioni storiche, una simile critica, se vista nel quadro della griglia interpretativa del marxismo, non fosse più formulabile, proprio perché da tale griglia veniva paralizzata.

   Ma tuttavia, la paralisi di un paradigma non ha mai impedito ai suoi difensori di trincerarsi identitariamente, o di combattere in ritirata, fino alla propria auto-dissoluzione. A volte, il processo di decomposizione viene mascherato da una "evoluzione" che, tuttavia, non rappresenta altro che delle varianti di un agganciamento, ostentato o inconfesso, alle teorie borghesi che si sono sviluppate storicamente in parallelo col marxismo. In questo si vede come ci si seppellisca, insieme ai vecchi avversari, in un campo discorsivo che ha smesso di essere veritiero. Le costellazioni e le congiunture di questa telenovela, che parla di una comprensione della teoria di Marx diventata obsoleta, possono essere viste mentre esse vanno in una successione sempre più veloce; non possiamo ignorare che la storicizzazione del marxismo, ivi inclusi i suoi epigoni, sia all'ordine del giorno della teoria critica, senza la cui riformulazione però il cosiddetto "postulato della prassi" della sinistra, può solo essere ridicolizzato. Storicizzazione, significa che una storia è arrivata alla fine, ed essendo finita, essa deve essere oggetto di riflessione visto da una prospettiva nuova e differente. Le scuole della storia interpretativa marxista, si sono esaurite, e la cosa rimanda all'esaurimento del loro campo di riferimento storico. Dalla "ortodossia" di Kautsky, al "revisionismo" di Bernstein, dalla teoria leninista della rivoluzione, alla "filosofia della prassi" di Bloch o di Gramsci, e dal "marxismo occidentale" fino a tutte le ramificazioni della cosiddetta "nuova sinistra", esse appartengono tutte ad un'epoca defunta che, se la critica sociale radicale vuole superare la propria impotenza, va definita teoricamente. Il fatto che sia arrivata l'ora di una profonda cesura si manifesta anche (spesso in modo involontario) nella letteratura accademica, sia quella favorevole a Marx che quella critica di Marx. In entrambi i casi, si afferma sempre più quello che è un punto di vista sinottico, nel quale le scuole del passato vengono elencate per poi essere messe in relazione le une contro le altre. Il loro carattere - per la maggior parte dei casi che si limitano alla filologia di tale letteratura di analisi critica, sotto forma di una sorta di "entomologia" del marxismo, con etichette e perfino con tabelle della storia della teoria - non riesce nemmeno a negare che quella che si sta marcando, è una cesura storica ancora indefinita. Ciò di cui essa consiste, e quello che è il suo obiettivo, costituisce, come si dice, un assunto "polemico". Tuttavia, non siamo più davanti ad una guerra di trincea tra posizioni formulate fino all'esaurimento, che poi si differenziano in una determinata costellazione interpretativa, e il cui campo di riferimento principale (all'incirca dalla metà del XIX° secolo e fino alla fine della II guerra mondiale) costituiva un punto cieco comune, o un presupposto incontestabile. Invece, oggi la teoria di Marx viene, da una parte, collocata, dal mondo accademico, sul piano della storia delle idee e fatta accomodare in un museo classico; mentre, dall'altra parte, viene ecletticamente amalgamata con le attuali tendenze ideologiche e/o subordinata, in maniera leggittimatrice, alle necessità politiche dei movimenti pre-teorici, senza tornare a radicalizzarla - a livello del XXI° secolo - in quanto contrarietà sovversiva per l'ordine vigente. Così facendo, si rende inevitabile un sondaggio e una definizione concettuale di quello che è un terreno ancora sconosciuto, in quanto solo a partire da questo si può gettare luce su una costellazione che è ormai di per sé passata. E quando ciò non avviene, allora non si può più formare, a causa delle alterate condizioni storiche, un campo discorsivo nuovo e stabile, relativo alla rivoluzione teorica di Marx e al suo sviluppo ulteriore. Nella maggior parte dei casi, quello che si fa passare per questo, fa parte proprio del processo di dissoluzione del marxismo. In questo inter-mondo, la riflessione critica comporta necessariamente un rischio elevato, e deve incontrare il suo destino solo nella determinazione della cesura storica. Bisogna chiarire non solo la relazione di tensione della storia del marxismo con la teoria di Marx, così come, e soprattutto, il modo in cui il marxismo storico si sia alimentato dell'incompletezza di questa teoria, a causa proprio del suo postulato di completezza, tentando di risolvere le contraddizioni dei contenuti in maniera interpretativa ed unilaterale. Il fatto che, in termini oggettivi, si sia aperto un nuovo terreno storico è qualcosa di ben presente - tanto nel discorso ufficiale quanto nel discorso di sinistra della critica sociale - nell'espressione corrente di "fine di un'epoca", dove per questo si intende, nella maggior parte dei casi, superficialmente, il collasso del "socialismo reale" e la fine della Guerra Fredda. Tuttavia, questa rottura eclatante è stata solamente il fenomeno superficiale di un processo ben più profondo e che, da molto, si era già manifestato nella decadenza del vecchio movimento operaio, e nell'affievolirsi della "lotta di classe" storica. Lo sfondo di tutte queste manifestazioni, è costituito dallo sviluppo capitalistico delle forze produttive, che avviene nella transizione della terza rivoluzione industriale della microelettronica, la quale non solo rappresenta una mutazione tecnologica nel disegno dei nuovi processi di razionalizzazione (forme di informazione e di comunicazione, Internet), così come rappresenta un capovolgimento delle condizioni sociali e culturali; ma tutto questo ha finito anche per costituire il capitale globale, e ha portato a un processo di crisi planetaria di nuovo tipo. Quel che ora importa sapere, è se questa rottura sia avvenuta nell'ambito di una storia continua - significando in tal modo solo una modificazione delle strutture basilari della società moderna, la quale continua ancora a essere capace di svilupparsi sul suo proprio terreno -  oppure se si tratti di una fine della Storia, in quanto storia della modernizzazione; e pertanto di una rottura strutturale di ordine superiore. Dalla risposta a questa domanda, dipende il modo in cui ora vengono trattati i fenomeni a livello teorico, e di come essi vengono integrati nell'auto-riflessione della Critica Radicale del Capitalismo: ossia, se questa ha bisogno solo di modificarsi,  in modo da poter così tenere il passo con le alterazioni, oppure se essa deve operare, in sé stessa, una vera e propria rottura consapevole, la quale metta profondamente in discussione tutta la comprensione precedente. Quando la letteratura di analisi del marxismo - filologica e superficiale - ci rimanda in forma implicita e - nella maggior parte dei casi - inconscia a una profonda cesura nella storia della teoria - e alla fine di tutto un discorso - ecco che vediamo che quest'allusione a una cesura endo-teorica, ancora non maturata appieno, può essere compresa solo nella misura in cui essa possa essere relazionata alla Storia della Società Reale, e alla "Fine di un'Epoca" di tale società reale. Di conseguenza, bisogna tematizzare le condizioni storico-sociale in cui si inquadra la discussione teorica.

   In questo saggio, rispetto a tutto questo, possiamo procedere solo marginalmente, soprattutto per quanto riguarda il contesto dell'analisi critica della Teoria della Crisi di Marx, che rimane solo come se fosse la "desiderata" di un'elaborazione teorica. e di un'ulteriore analisi.  Qui si tratta soprattutto di un contesto avvolgente, il quale proietta una qualche luce sulla Rivoluzione Teorica di Marx, e sul suo carattere incompiuto, in modo che così possa indicarci la strada di un'ulteriore evoluzione; il che comporta sapere in cosa consista il "nucleo temporale" della teoria di Marx, vale a dire, sia i suoi limiti storici che i momenti i quali puntano oltre tali limiti. La pretesa storicizzazione, pertanto, non può essere definitiva, ma solo trasformativa. Ed essa, in tal modo, ci assegna un compito del tutto nuovo, rispetto a cui non può essere risolta, e non può nemmeno continuare a essere collocata, e formulata in quanto tale, sul terreno del Marxismo, così come lo intendiamo ora. Questa forma di porre il problema, ancor meno, può essere attribuita a un qualche "post-marxismo" attuale. Tutti i "post" sono oriundi dell'ideologia postmoderna, la quale è, sotto ogni aspetto, incompatibile con la Critica dell'Economia Politica di Marx, così come lo è con ogni "tipo di teoria", o comprensione concettuale di base, corrispondente, il cui aspetto principale consiste proprio nel sabotare qualsiasi chiarificazione teorica che riguarda la nuova situazione storica, affogandola nell'eclettismo. La teoria critica viene sostituita da una percezione superficiale fenomenologicamente riduttiva, ovvero dal positivismo discorsivo "decostruttivo". Essenzialmente, si tratta di un'ideologia della classe media, la quale costituisce l'espressione affermativa di una virtualizzazione del capitale nel contesto di crisi all'inizio del XXI° secolo. Così, sotto il termine di "post-marxismo"  possono essere riassunti tutti gli sforzi volti a "post-modernizzare" il marxismo; il che equivale - anziché a soppiantare criticamente il marxismo del Partito e del Movimento Operaio - a virtualizzare solamente quello che era il  vecchio paradigma, e renderlo così compatibile con la classe media. Per fare avanzare il contenuto radicale della teoria di Marx - nel senso di una concretizzazione approfondita della rivoluzione teorica - contro le tendenze "post-marxiste" di dissoluzione e di volatilizzazione, è necessaria una definizione più circostanziata di quello che è il concetto di Trasformazione, rispetto alla differenziazione che poneva la vecchia opposizione fra ortodossia e revisionismo. Tale opposizione, deriva il suo nome dall'antidiluviana controversia fra Kautsky e Bernstein, avvenuta alla fine del XIX° secolo; ma oltre a questo, essa è diventata la definizione di ogni controversia politica - tra e all'interno di tutte le scuole marxiste - a partire da quell'epoca e, prima, fino al "marxismo occidentale", e poi alla "nuova sinistra" degli anni 1960. In un contesto simile, il concetto di revisionismo è diventato più o meno una parola che sembra essere ora quasi sinonimo di riformismo, nel mentre che, simultaneamente, l'ortodossia veniva supposta essere come l'equivalente delle posizioni "rivoluzionarie". Così, già allora si poteva dire che con l'esaurimento del suo ambito di riferimento storico, tutto lo spettro dei marxismi aveva dato le dimissioni da qualsiasi tipo di ambizione rivoluzionaria; così come essa era stata sempre intesa, e (secondo i suoi stessi vecchi termini) era caduto in una sorta di Revisionismo. Da questo punto di vista, la vergognosa fine del "socialismo reale", in quanto segnale esterno della fine di un'epoca, non ha fatto altro che ratificare uno sviluppo ideologico già iniziato molto tempo prima. Appare evidente, in questa sua unilateralità, che  associare l'ortodossia a delle posizioni radicalmente critiche - e il revisionismo, invece, alla pura ideologia del conformismo - sia sempre stato sbagliato. Durante la Prima Guerra Mondiale, furono molti gli ortodossi che votarono a favore dei prestiti di guerra, mentre il revisionista Bernstein, malgrado tutto, alzò la sua voce contro quei prestiti e affrontò il patriottardismo socialdemocratico.  In termini generici, quel che è certo, è che nella pratica, gli ortodossi e  i revisionisti delle diverse fazioni e scuole marxiste, manifestarono, nel corso dei decenni, il medesimo orientamento, contro-rivoluzionario o riformista; cosa che fa già intuire come entrambe le parti appartenessero - una volta osservati da un punto di vista teorico e storicamente superiore - a un determinato campo delimitato e che era loro comune, senza che avessero alcuna coscienza di questo fatto. A prima vista, invece, la vera opposizione immanente consisteva, da una parte, nel trattamento diverso della contraddizione esistente nella teoria di Marx, e dall'altra nella pratica riformista di quella che era una mera "lotta per il riconoscimento" dei lavoratori salariati sul terreno delle categorie capitalistiche. In tal modo, si definisce un punto di vista decisivo: quello categoriale. La teoria di Marx, si riferisce essenzialmente al piano categoriale, del fondamentale contesto sociale formale, del "lavoro astratto": merce, forma del valore, denaro e valorizzazione del capitale. Sono tutti questi, i momenti decisivi della definizione critica dei concetti, fatta da Marx (specialmente l'analisi del carattere feticista della socializzazione capitalista), i quali venivano ugualmente tutti elusi da entrambe le parti, che non li comprendevano. Ma, mentre la cosiddetta ortodossia aveva pietrificato l'opera di Marx, in termini teorici, canonizzando su piani diversi i suoi enunciati parzialmente sconosciuti e contraddittori, e convertendoli poi in una sorta di catechesi marxista - la quale, si contrapponeva come se fosse qualcosa di esterno alla vera prassi "politica", e rimaneva pertanto, in larga misura, senza conseguenza alcuna - nel mentre che, invece, il revisionismo tendeva innanzitutto ad affermare le necessità di questa vera prassi dei partiti e dei movimenti ponendola in contrasto con la teoria "distante dalla realtà". Da un lato, essa si avvicinava così alla critica borghese a Marx, la quale, alla fine, parlava di mistificazioni, di promesse di salvezza, di costrutti filosofici, e "non scientifici" della teoria di Marx. Dall'altro lato, allo stesso tempo, si prendeva in considerazione solo la difesa del buon senso del movimento operaio, contro le imposizioni delle distanze teoriche rispetto alla vita quotidiana; e la cosa riguardava non solo la routine politico-partitaria e sindacale, in quella che è la "gabbia di ferro della servitù" di cui ha parlato Weber, ma anche il radicalismo della sinistra soggettivista di tutti i tempi e paesi. L'impulso a essere ostili rispetto alla teoria è stato, da sempre, profondamente revisionista, nel senso di una  falsa immediatezza del volontarismo, del sentimento istintivo, dell'espressione esistenzialista, dell'orizzonte presente degli eventi e delle ideologie di moda, che veniva contrapposto alle difficili astrazioni teoriche della critica dell'economia politica. In un certo, tale modo, anche oggi, nel pensiero di "sinistra" postmoderno, fa parte di questo tipo di revisionismo; nel momento in cui fa ancora qualche riferimento a Marx.

   L'effetto revisionista che ebbe la necessità di una partecipazione pratica - sul piano del mero trattamento della contraddizione nel quadro irriflesso delle categorie capitalistiche - si fece sentire, in termini teorici o metodologici, nella forma di un orientamento positivista ed empirista di "sinistra". Qui, la critica a Marx, che ne conseguiva, faceva riferimento al piano categoriale, le cui definizioni venivano - quando andava bene - rifiutate in quanto "filosofiche" o "speculative", senza che nemmeno se ne analizzasse il contenuto. Anzi, contro certi enunciati analitici di Marx, si invocava l'esistenza di un mondo fattuale cambiato, come accadeva per esempio relativamente alla formazione di una nuova classe media al posto della crescente polarizzazione fra borghesia e proletariato industriale, (e anche in questa misura, il revisionismo classico appartiene alla galleria degli antenati del pensiero postmoderno). Analogamente, anche la teoria della crisi di Marx, che non aveva ricevuto un trattamento sul piano categoriale, finì per essere considerata refutata e considerata vedendola su un piano superficiale, empirico e datato. Anche i marxisti ortodossi, facevano riferimento a un mondo empirico che era cambiato in termini politici e superficialmente analitici, ma tuttavia cercavano di conciliarlo astrattamente con il dogma, oppure smettevano di continuare a mettere la teoria da "catechesi"  accanto alle circostanze empiriche, fianco a fianco, in quanto esterne l'una all'altra, e non mediate, laddove, in termini pratici e programmatici, non andavano però, tuttavia, molto lontano rispetto alla posizione contraria dei revisionisti.Il vero tratto comune - tra ortodossia (inclusa quella leninista e quella della sinistra radicale) e revisionismo - consisteva nell'intendere, in fondo, le categorie della critica dell'economia politica come se fossero delle "definizioni" positive della fattualità oggettiva e, in larga misura, trans-storica, della cosiddetta economia, in quanto supposta come "base" della società umana in quanto tale. Fino alla Prima Guerra Mondiale, occasionalmente, emergevano ancora delle concezioni oscure che si riferivano a un superamento socialista delle forme del valore e del denaro, ma venivano proiettate in un futuro immaginario e molto distante. E poi, in secondo luogo, venivano intese quasi esclusivamente in senso tecnocratico, vale a dire, non come una loro applicazione cosciente e "pianificata", di modo che così la forma valore e il denaro potessero semplicemente "sparire" in termini fenomenologici (o "deperire" pacificamente), senza che la relazione del feticcio soggiacente al "lavoro astratto", dovesse simultaneamente sparire anch'essa (come avviene, per esempio, in Hilferding). Dopo la Grande Guerra, questo piano di riflessione, già così poco frequentato, finì per evaporare sempre più dal discorso marxista - anche sotto i colpi della produzione pianificata di merci da parte del "socialismo reale" -  e oggi viene evitato, più accuratamente che mai, da quasi tutte le correnti residuali e post-marxiste, come se si trattasse di peste. In buona coscienza - dal punto di vista categoriale - possiamo definire tanto l'ortodossia quanto il revisionismo, e quello che di loro rimane, come profondamente positiviste. Naturalmente, si pone la questione di come relazionare la rivoluzione teorica di Marx, e il suo carattere incompiuto, con questa storia della sua ricezione; ora oramai già chiusa da tempo e da storicizzare. Questa domanda, che prima non era neanche possibile, è stata preparata grazie a una riflessione teorica, avvenuta nel contesto della nuova sinistra fin dagli anni 1960, e  presentata come una "ricostruzione della critica dell'economia politica"; "ricostruzione", in primo luogo, perché si suppone che il marxismo tradizionale di partito, con tutte le sue fazioni e correnti, alla fine, quella che aveva diffuso e canonizzato era solo un'interpretazione superficiale e ridotta della teoria di Marx. In secondo luogo - d'accordo con l'idea fondamentale, soprattutto filologica, per cui tale interpretazione, tuttora, si riferisce a una materiale editoriale limitato - è avvenuto che importanti testi di Marx sono stati pubblicati solo nel corso del XX° secolo e, in particolare, i tuttavia famosi Grundrisse sono tornati a essere accessibili solo dopo la II° guerra mondiale. Un impulso importante, è stato esercitato dall'ampio commentario di Roman Rosdolksky, con il suo "Genesi e struttura del Capitale di Marx" (Rosdolsky, 1968), il cui fulcro erano appunto i Grundrisse. A partire dai primi scritti di Marx, aveva avuto così origine una corrente interpretativa propria della "teoria dell'alienazione" (per lo più, superficialmente filosofica o moralizzante), nella quale i Grundrisse ora apparivano come al centro di una nuova e diversa riformulazione. La critica dell'economia di Marx, andava ricostruita dettagliatamente, proprio sulla base del materiale delle fonti nel frattempo scoperte, e quindi depurata delle erronee interpretazioni "revisioniste". Questo progetto di ricostruzione ebbe una carattere ambivalente, Da un lato, gli si doveva attribuire il grande merito di avere di reso accessibili nuove grandi masse di testi dell'opera di Marx e, soprattutto, di essere tornato a collocare al centro dell'interesse il trascurato piano categoriale della critica dell'economia politica; più o meno ridotto ad astrazione, a causa del suo trattamento accademico e, in gran misura, malinteso sulla base delle definizioni positiviste. Dall'altro lato, questi tentativi di ricostruzione avvenivano in un ambiente peculiare. L'abbandono del marxismo di Partito, aveva anche ragioni strutturali. Alla fine, in ultima analisi, la cristallizzazione dogmatica o la dissoluzione revisionista del marxismo di Partito derivavano dal fatto che il movimento e i partiti operai si erano da molto tempo istituzionalizzati, in termini capitalistici e, in fondo, non avevano più alcuna necessità della teoria di Marx; tranne che, forse, per operazioni nostalgiche. Il marxismo teorico era stato accademizzato, e trasformato in una manifestazione marginale di discussioni scientifiche borghesi. A tutto questo, corrispondeva una limitazione filologica al Marx del progetto di una sua ricostruzione, ed essa aveva come lemma, più o meno, quello di appurare, con minuziosità certosina, "quello che Marx aveva realmente detto".

   Così come l'inquadramento delle proprie intenzioni, e dell'oggetto del loro rifiuto nello sviluppo storico concreto della società, aveva portato in larga misura a occupare il piano categoriale della teoria di Marx; allo stesso tempo tuttavia non aveva portato a stabilire dei nuovi obiettivi per la critica radicale, ma aveva piuttosto consentito e favorito, occasionalmente, la prosecuzione delle carriere accademiche, per quanto questo fosse avvenuto solo nel campo delle discipline cosiddette esotiche. In tal modo, il progetto di ricostruzione filologica era andato acquisendo impercettibilmente il colorito di una coscienza accademica di classe media, come, del resto, accadeva con tutta la nuova sinistra, il cui ambito di riferimento "proletario" non era mai andato oltre la pura ideologia nostalgica; per quanto marziali fossero le loro evocazioni. Inoltre, evidentemente essa non aveva potuto restare immune dall'attivismo superficiale del movimento del 1968, e delle sue necessità politichesi. Così, in parte, era tornato a legarsi, nel nome della "capacità di intervento politico" - seppure con una pretesa "critica" ai vecchi partiti operai in acuta decadenza ideologica (SPD, DKP, eurocomunismo)  o agli apparati sindacali - ai cosiddetti nuovi movimenti sociali della classe media. e al loro sbocco nel partito dei Verdi. Con simili orientamenti, le elevate pretese di "ricostruzione" tendevano così forzatamente a morire; almeno rispetto per quel che riguardava la maggior parte dei teorici. Il progetto di ricostruzione, non poteva essere pertanto classificato in maniera inequivocabile; in una determinata fase la nuova sinistra vi partecipava, a un grado minore o maggiore, con dei teorici di quasi tutte le correnti, e tutti quanti soffrivano la pressione di quelle che erano le necessità pratiche e politiche dell'ideologia del movimento, la cui preponderanza non portava a niente, se non al pantano ideologico. Mentre, per quanto riguardava l'occupazione della teoria di Marx, essa si suddivideva, grosso modo, in un'ortodossia cosiddetta recente, da una parte, e ina una denominata "Nuova lettura", dall'altra. L'aggettivo che indica la novità rimandava, in entrambi i casi, non solo alla nuova sinistra nell'ambito della classe media accademica, ma anche al passaggio (con caratteristiche diverse per ciascun caso) attraverso un progetto, filologicamente esigente, di ricostruzione; i cui risultati, tuttavia, dobbiamo ricercare, con fatica, noi bibliofili. E' stata proprio l'ortodossia recente, a mostrarsi disposta, in maniera significativa, ad avventurarsi sul piano categoriale della teoria di Marx, seppure solo in maniera condizionale e sempre più marginale, nella maggior parte dei casi, più per fini formativi (come, per esempio, nelle lezioni introduttive al Capitale di W.F. Haug), piuttosto che nel senso di una mediazione storica concreta e analitica, come già avveniva con la vecchia socialdemocrazia.  L'abbandono di questo piano può esser visto, esemplarmente, nella cosiddetta teoria della regolazione, o "scuola della regolazione", la quale all'inizio si riferiva ancora alle categorie fondamentali della critica dell'economia politica, ma che poi non tardò a sganciarsi da sé sola, facendolo a beneficio di una elaborazione teorica superficiale, caratterizzata da un empirismo positivista. In termini globali, possiamo dire che fu proprio l'ortodossia recente, che non solo si limitò a comportarsi come quella vecchia, ma che, a dirla tutta, finì essa stessa per adottare, almeno implicitamente, un orientamento revisionista in senso classico. L'enfasi posta sull'elaborazione teorica e sulle pubblicazioni (nello spazio linguistico tedesco, per esempio, in riviste come Das Argument, Sozialismus o Prokla) si allontanò irreversibilmente dalle discussioni intorno alle categorie fondamentali (teoria del valore e del denaro, lavoro produttivo ed improduttivo, il "problema della riduzione", il "problema della trasformazione", ecc.), le quali rimanevano così senza alcuna soluzione in vista, in favore di un'analisi riduttiva, frequentemente sociologica e soprattutto fenomenologica, di quelli che erano i processi di sviluppo, le tendenze e i conflitti sociali; in parte, tutte porte già spalancate alle ideologie oriunde del mondo accademico e alle correnti indotte dallo spirito dell'epoca. Di una mediazione categoriale nel senso della critica di Marx, già si poteva parlare poco, e per lo più con riferimenti superficiali; fu questo, del resto, ciò che avvenne proprio riguardo alle relazioni fra i sessi (così, la rivista Argument, contrariamente alla maggioranza delle altre riviste teoriche di sinistra, che ebbe il grande merito di un'apertura alla teoria femminista, ma rimase assente sul riferimento categoriale). In realtà, la questione delle categorie fondamentali, e della loro interpretazione, compariva ancora nell'ambito dell'ortodossia recente, soprattutto quando veniva fuori il conflitto latente con la "Nuova Lettura di Marx". Fu quest'ultima che (soprattutto nei lavori di Hans Georg Backhaus e di Helmut Reichelt e, successivamente, nella riformulazione fatta da Michael Heinrich) proseguì il progetto di ricostruzione, concentrandosi più che mai sugli aspetti variati dell'analisi che Marx aveva fatto della forma del valore. Il prezzo da pagare fu, sotto diversi punti di vista, la quasi completa rinuncia alle analisi concrete dei processi sociali e della loro propria situazione storica, dal momento che cominciava ad evidenziarsi una peculiare "divisione del lavoro", sotto forma di deficit simmetrici e complementari. Se, per l'ortodossia recente, il piano categoriale della teoria si diluiva sempre più in una contemplazione superficiale delle tendenze, per la "Nuova Lettura di Marx", al contrario, il piano di analisi empirica della teoria rientrava in una auto-sufficienza categoriale filologica. Con la sua tematica "esoterica", tutto questo approccio sembrava qualificarsi come "eterno consiglio di iniziati" con un'esistenza nell'ombra, nel mondo accademico di sinistra e nelle frange delle pubblicazioni specializzate. La problematica teorica veniva cucinata a fuoco lento, nelle occasionali incursioni dell'ortodossia recente che, almeno sul suo stesso nuovo terreno catechistico, accondiscendeva a volersi mantenere "ortodossa", e si opponeva ai sondaggi di profondità concettuali della "Nuova Lettura di Marx" con sempre maggior diffidenza. La contesa guadagnò nuovo respiro nel discorso degli anni 1990, allorché la ricostruzione di Marx, fatta dalla "Nuova Lettura di Marx", si convertì poco a poco in critica. A questo contribuirono le pubblicazioni teoriche di Michael Heinrich, che con la sua "Die Wissenschaft vom Wert", non solo allargò il terreno su cui ricostruire l'analisi fondamentale della forma del valore, estendendolo all'analisi della totalità del Capitale di Marx, ma egli acutizzò anche la questione della critica di Marx, superando i suoi riferimenti teorici. Già nell'introduzione alla sua opera principale, dice chiaramente che, a proposito del progetto di ricostruzione: «E' un fatto che, negli anni '70, la rivelazione e la sistematizzazione dei testi di Marx emersi sotto il titolo di "Nuova Lettura", sono stati un passo importante verso l'appropriazione della teoria di Marx. Tuttavia, essi presupponevano l'esistenza di un discorso coerente e corretto, il quale poi si sarebbe semplicemente distillato a partire dai vari manoscritti di Marx, ossia, "ricostruito" già protetto dalle volgarizzazioni e dalle interpretazioni erronee, essendo rimasta sistemisticamente limitata  quella che era la capacità critica di fronte al testo di Marx.» Possiamo dire che, per Heinrich, la "capacità critica" relativa a Marx costituiva il nocciolo degli sforzi teorici. Ora, bisogna invece evidentemente sapere in quale senso qui va inteso il concetto di critica. Da un lato, esso può riferirsi al carattere necessariamente incompiuto della teoria di Marx e pertanto, in questa accezione, alla sua natura storicamente datata; ma può anche però riferirsi ai fondamenti stessi, oltre che al modus operandi della teoria di Marx. Anche nel caso di una critica formalmente immanente, tutto dipende dal criterio; essa può designare ciò che rimane incompiuto, oppure può sviluppare la teoria a partire dal suo interno, secondo quello che è il suo proprio impulso, o ancora può valutare la teoria per quel che dice riguardo la propria realizzazione immanente, facendolo a partire da un criterio esterno di definizioni del contenuto, oppure dalla teoria della scienza, e in tal modo abbandonare, o perfino negare, tale impulso. Nel primo caso, si tratta della già citata trasformazione della teoria di Marx, mentre nel secondo, ancora una volta e alla fine, della sua mera revisione; in questo caso, però, andata già molto al di là del revisionismo classico: ora si tratta di abbandonare gli stessi fondamenti categoriali, proprio perché ne viene riconosciuto il loro carattere negativo e, insieme ad esso, il potere esplosivo insito in un tale piano. Dalla metà del decennio 1980, e soprattutto negli anni 1990, questa preconizzata interpretazione della teoria di Marx -  fatta alla luce della critica del valore, o (includendo anche la moderna relazione tra i sessi) quella svolta alla luce della dissociazione e del valore - è come sorta, in mezzo agli altri combattenti, come se, nel campo del dibattito della critica sociale, fosse una specie di UFO. E dopo i falliti tentativi di metterla a tacere, essa è stata coinvolta in un'accesa polemica con entrambe le parti, ossia, tanto con l'Ortodossia recente quanto con la Nuova Lettura di Marx (la quale, da parte sua, non ha potuto fare a meno di rispondere); non essendo ancora oggi completamente chiaro se sia la nostra insistenza sulle definizioni fondamentali relative al Marx critico del feticcio, oppure se, a motivare la maggiore enfasi, sia stata la critica trasformativa del cosiddetto Marx del "movimento operaio", formulata in questo preciso senso. Tutto ciò, non solo ha una sua connotazione identitaria dovuta a motivi nostalgici, ma fa anche sì che si debba rimanere nel cuore della teoria, in modo da poter così continuare a "correggerlo" su un unico e solo superficiale piano sociologico (detta più concretamente, nel senso dell'ideologia postmoderna della classe media di sinistra), nel mentre che, allo stesso tempo, "l'altro" Marx possa continuare a essere ignorato, o svalorizzato, come se fosse un po' "tonto".

   Tuttavia, bisogna che la critica della Rivoluzione Teorica Incompiuta contenga in sé gli impulsi per la sua prosecuzione, e non per la sua revoca parziale o totale. Se la questione sia quella di andare "con Marx oltre Marx", o "dietro Marx senza Marx"? Un ulteriore sviluppo trasformativo - se è questo ciò che viene chiesto sul serio, e non solo per finta - attuato nel senso di un adattamento alle relazioni capitalistiche del XXI° secolo, presuppone la critica della teoria di Marx svolta unicamente nel senso dei suoi limiti storici relativi, e la sua collocazione rispetto alla nostra attuale posizione storica. Dal punto di vista di un tale intendimento, la delimitazione storica al XXI° secolo è stata duplice, essendo i due momenti legati tra di essi. Da una parte, e sebbene la rivoluzione teorica di Marx rappresenti una rottura con la razionalità illuminista del capitalismo, in accordo con le condizioni dell'epoca e con le sue forme di espressione teorica, essa conserva le scorie di una tale razionalità (come, soprattutto, possiamo vedere nella metafisica borghese della storia e del progresso, in quella che è la sua rappresentazione hegeliana). Nelle condizioni storiche date, una rottura pià ampia non sarebbe neppure stata possibile, dal momento che il Capitale e la Ragione, a partire dalle loro proprie stesse basi, avevano ancora davanti a sé un lungo sviluppo. E' per questo che la critica categoriale della costituzione feticista del capitale, a volte inciampa in quelli che sono i resti dell'ontologia borghese che si trova contenuta nel pensiero di Marx. Dall'altra parte, Marx lega necessariamente la sua teoria, sotto molti aspetti, al movimento operaio allora incipiente, il cui obiettivo immanente, tuttavia, era solamente quello del suo riconoscimento in quanto soggetto funzionale proprio sul terreno delle categorie capitaliste: un compito questo,  che era parte della "modernizzazione" capitalista stessa, e non della rottura con essa modernizzazione. Era da qui che nasceva una tensione, non solo fra la teoria di Marx e l'ideologia borghese del movimento operaio, ma anche in seno alla teoria di Marx stessa. Allora, la vecchia ortodossia aveva risolto questa tensione, in gran misura e unilateralmente, facendo ricorso al paradigma della modernizzazione e del riconoscimento. Pertanto, in tal modo, possiamo caratterizzare tutto il marxismo fino a oggi esistente come un "marxismo del movimento operaio" esercitato sotto il controllo (o il vincolo) delle categorie del contesto formale capitalista. Ma oggi, all'inizio del XXI° secolo, il capitalismo si è già sviluppato fino al punto di aver reso manifesta la sua essenza feticista e la sua maturità per la crisi. Proprio per questo, il marxismo finora esistente si deve ora esaurire in tutte le sue correnti, nella misura in cui quello che era l'intento della modernizzazione e del riconoscimento è ormai diventato puramente e semplicemente irrilevante. Al contrario, la critica che viene fatta a Marx, da parte della sua "Nuova Lettura", soprattutto nella versione di Michael Heinrich, in questa riduzione, rimane legata - in accordo con il suo percorso, che è di natura molto più strettamente filologica, e senza un inquadramento storico approfondito  - soprattutto alla scienza economica borghese, e al suo rispettivo sviluppo accademico, collocando pertanto la questione della «rottura (di Marx) con il campo teorico dell'economia politica»(Heinrich) in un quella che appare come una penombra sospetta, come verrà dimostrato. Questo si applica soprattutto al problema di sapere in che relazione la critica di Heinrich a Marx si ponga rispetto all'economia neoclassica borghese e all'ideologia postmoderna (a loro volta, legate tra di loro). Ora, potrebbe anche sembrare che l'Ortodossia recente si opponga, e resista, alla discussione intorno alla critica di determinati elementi della teoria di Marx, e che  così finisca per affermare la sua vecchia identità, ma questo è vero solo fino ad un certo punto. Evidentemente, i grandi punti di una lettura che, in termini globali e di preferenza, è orientata secondo modelli di comprensione tradizionali (o, in ogni caso, finalizzata a una narrazione lineare e ininterrotta del marxismo), si agitano davanti all'espressione del "duplice Marx", la quale da tempo è moneta corrente nella teoria critica della dissociazione e del valore, e con la determinazione da essa risultante, di un Marx "essoterico" e un Marx "esoterico" - differenziazione dell'opera di Marx che avviene per la prima volta in Stefan Breuer (1977). Queste designazioni vennero usate dallo stesso Marx (in "Teorie sul Plusvalore") nei confronti di Adam Smith, il vero fondatore della "scienza economica" moderna. Secondo Marx, il lato "essoterico" della teoria di Smith consisteva nel cominciare a fare una semplice descrizione dei fenomeni capitalistici, ossia, a determinare le categorie solo rispetto al loro modo di essere superficiali. La parte "esoterica" di Smith, al contrario, si sarebbe sforzata, anche se in modo erroneo e affermativo, di determinare teoricamente l'essenza del "nesso interno" categoriale. Ora, W.F. Haug insorge contro la possibilità che si possa procedere secondo questa differenziazione, seppure in un altro modo, anche nei confronti dello stesso Marx: «Uno dei fenomeni grotteschi della forma verbalmente radicale di misurarsi con Marx, nel post-comunismo, consiste nell'applicare retroattivamente una simile differenziazione allo stesso suo autore, Marx» (Haug). Per Haug, e non solo per lui, è insopportabile vedere designati i momenti di mera teoria della modernizzazione, della metafisica del progresso e "del movimento operaio" presenti nella teoria di Marx, vedendoli come "essoterici" e storicamente decadenti, e vedere invece i momenti critici del feticcio, riferiti al carattere di fine in sé della "ricchezza astratta" e al "soggetto automatico" del valore, essere designati, al contrario come "esoterici", e dotati così di vitalità futura. Nell'invettiva di Haug viene espressa soltanto la sua caparbietà nel voler interpretare la teoria di Marx nell'orizzonte della supposta infinita "storia della modernizzazione", sulla base di fragili premesse ispirate tanto dalla Realpolitik quanto dall'opportunismo del movimento, oltre che sul terreno delle categorie fondamentali del capitalismo, che non deve mai essere messo in discussione, né teoricamente né praticamente. Questa opzione, però - ed è in questo che consiste la dialettica del proseguimento di un marxismo che viene supposto ininterrotto, e che viene solo modificato secondo la modernizzazione - non può essere attuata senza operare, sotto diversi aspetti, delle rotture che non sono ammesse. Così, da un lato, anche la supposta ortodossia è rimasta da tempo bucherellata, come un formaggio svizzero, dal modo di pensare postmoderno - cosa che non costituisce alcuna sorpresa, dal momento che, sul piano categoriale, l'ortodossia stessa ha smesso di offrire qualche resistenza; e la grettezza dell'analisi, fenomenologicamente sociologica e "praxeologicamente" politicastra, deve rimanere sottomessa al positivismo del discorso decostruttivista postmoderno, a essa conforme.00

   Dall'altro lato, col collasso della RDT e dell'Unione Sovietica, l'Ortodossia recente (e molto più i suoi cugini dell'Est del vecchio "socialismo reale") ha sofferto un colpo tale, che alla fine non si è alzata più in piedi, e l'arbitro della storia teorica ha dovuto contare fino a dieci. Gli occhi tumefatti, il naso disfatto e il cervello ridotto in pappa, ora anche il marxista residuale di ferro ritiene di doversi trascinare verso nuovi lidi: «Che, in quest'ambito, andiamo sempre oltre Marx, è sottinteso» (Haug). Ma come, e in che stato, e soprattutto: per andare dove? Guarda piuttosto dove stai andando, è tutto quello che possiamo dire; soprattutto visto che Haug continua, facendo una citazione di sé stesso: «Per il pensiero marxista, bisogna considerare escluso ogni riferimento a Marx fatto in termini acritici»  Anche qui occorre, piuttosto, interrogarsi proprio  sul contenuto e sulla tendenza di ogni critica a Marx, la quale, quanto meno a partire dal 1989, ora è diventata alla portata di tutti, e anziché dichiarare una nuova e piacevole passeggiata del proprio discorso, e andare a dare una benevola occhiata, l'integrazione politichese dell'Ortodossia recente (che si trova già nell'orbita del Linkspartei) ci fa proprio invece sospettare che la critica di Marx che è stata intrapresa abbia proprio come obiettivo, innanzitutto, la legittimazione delle necessità di partecipazione e di adattamento, per potersi così leccare le ferite, dopo essere stati messi al tappeto dalla storia reale. Con simili premesse, il rifiuto apparentemente ortodosso di una storicizzazione del Marx del movimento operaio assomiglia a una critica di Marx ispirata esclusivamente dallo spirito dell'epoca, ed è essa stessa revisionista, regredendo fino a prima del Marx "essoterico". Pertanto, lo sfondo che vediamo stagliarsi dietro l'intento di un più o meno chiaro ripudio di Marx - sia da parte dell'Ortodossia recente che da parte della "Nuova Lettura di Marx" - è costituito, da un lato, dal collasso del "socialismo reale", dalla fine della Guerra Fredda e dalla terza rivoluzione industriale e, dall'altro lato, dalla necessità e dall'ideologia postmoderna vista sull'orizzonte di una coscienza della classe media di sinistra. In questo confronto si decide se ciò sarà una trasformazione della teoria di Marx, nel senso di un avanzamento della rivoluzione teorica, o nel senso di un revisionismo di nuovo tipo. Al centro di tale processo, si trovano necessariamente le categorie fondamentali della critica dell'economia politica e il loro statuto. E rispetto a questo ci sono, almeno, cinque gruppi di questioni che vanno trattati e chiariti, non potendo il presente saggio fare altro che delimitare soltanto il terreno, in modo da fornire un panorama delle linee guida dell'inevitabile conflitto teorico. Il primo gruppo di questioni, riguarda sapere in che misura le categorie di Marx non rappresentano delle mere categorie teoriche, o un "modello" meramente ipotetico, bensì categorie reali ovvero, secondo Marx, delle "forme oggettive di esistenza", alle quali corrispondono delle "forme oggettive di pensiero". In quest'ultimo approccio, però, la differenza tra situazione storica reale e la sua riflessione teorica, non è ancora del tutto appianata. Nella teoria, lo statuto delle categorie dev'essere diverso dalla realtà. Da qui ne consegue il famoso "problema di esposizione" riguardo solo lo sviluppo sequenziale della teoria di Marx, sistematizzato dalla "Nuova Lettura di Marx", ma in maniera non adeguatamente risolta. Il secondo gruppo di questioni, si riferisce alla storicità delle categorie, e lo fa in duplice senso. Da un lato, a essere in causa è il suo statuto nella storia pre-moderna o pre-capitalista. Queste questioni, andrebbero intese come trasversali rispetto alle formazioni, se non addirittura trans-storiche, quanto meno per quel che riguarda le culture cosiddette superiori, a partire approssimativamente dalla rivoluzione neolitica; oppure si applica, in senso stretto, solo al capitalismo? E in cosa consisterebbe allora la differenza, e come può la costituzione storica primordiale del capitale venire tradotta in categorie? Dall'altra parte, si deve determinare lo statuto delle categorie in quella che è stata la storia interna del capitalismo. Si tratta di forme di esistenza, intrinsecamente dinamiche, che nell'astrazione teorica, possono solo apparire come sempre uguali, sennò sarebbero statiche in sé, confrontandosi così con una storia fatta solo di accadimenti esteriori, e meramente empirica? Dalla risposta a questa domanda, dipende non solo sapere se un'esposizione definitiva del "capitale in generale" è del tutto possibile, ma anche se esiste un limite storico interno alla valorizzazione del capitale (teoria della crisi). Il terzo gruppo, si occupa della relazione tra categorie e totalità capitalista ovvero il "processo globale" (Marx) del Capitale, il quale viene trattato solamente nel terzo volume dell'opera principale di Marx. Qui, la questione dello statuto delle categorie, si riferisce alla relazione tra la particolarità e la generalità sociale. Potrebbero, le categorie della critica dell'economia politica, essere concettualmente rappresentate nella merce e nel capitale, se considerate individualmente, o si tratta invece dell'incontro di categorie della totalità che, in quanto tali, si applicano solo al Tutto, e appaiono non corrette dal punto di vista dei soggetti economici individuali e della loro condotta? Questo significherebbe anche che il concetto di "valore individuale" di Marx, sarebbe errato, e dovuto solamente al suo "problema di esposizione", laddove, implicita ed inavvertitamente, si manifesta "l'individualismo metodologico" delle scienze sociali borghesi, che ostruisce la prosecuzione della rivoluzione teorica. Il quarto gruppo, attiene invece allo statuto delle categorie, viste nella loro relazione tra essenza ed apparenza. Si tratta, nel caso delle categorie della critica dell'economia politica, di determinazioni dell'essenza di quello che è un "apriorismo trascendentale", il quale non può manifestarsi immediatamente in quanto tale, ma costituisce ancora la realtà sociale; oppure i fenomeni capitalistici possono essere compresi direttamente nelle categorie, e pertanto possono esistere sotto forma indipendente? Come categorie reali trascendentali, non possono essere empiriche; e, se venissero intese come empiriche, allora non necessiterebbero di definizione trascendentale. Nel primo approccio, teoria ed empiria non possono fondersi l'una con l'altra, e le apparenze devono essere, innanzi tutto, decifrate; mentre nel secondo, l'essenza e l'apparenza - e insieme a esse anche la teoria e l'empiria - coincidono immediatamente, vale a dire che le stesse categorie sono immediatamente empiriche. In tal caso, da un lato, esistono solamente, a ben vedere, le apparenze e la loro osservazione "scientifica". Il quinto gruppo di questioni, costituisce, in un certo qual modo, la conclusione dell'approccio categoriale totale. Lo statuto delle categorie della critica dell'economia politica sarà positivo o negativo? La parola "positivo" deve qui essere intesa nel senso di un'oggettività esteriore neutra che un soggetto della conoscenza affronta. È questa la costellazione fondamentale del mondo della scienza, che esclude il concetto di critica e, insieme a essa, per la verità, anche il sottotitolo del Capitale di Marx. In questo caso, la critica dev'essere sostituita da un'etica ugualmente esteriore. Le categorie non sono, in questa prospettiva, dei meri modelli del pensiero (come indicato nel primo gruppo), ma si relazionano anche a un'oggettività indiscutibile, le cui "leggi" devono solo essere identificate e trattate in maniera strumentale. Se, al contrario, lo statuto delle categorie sarà negativo, allora anche la sua conoscenza può essere solo negativa, ossia, esso statuto viene processato soltanto secondo il modus della critica dell'oggetto stesso, il quale va distrutto, e le cui "leggi" devono essere abolite. Da questa breve rassegna, già emerge il fatto che una prosecuzione della rivoluzione teorica di Marx sarà, in termini epistemici, fondamentalmente critica della scienza, e pertanto dovrà farla finita con qualsiasi intendimento positivista del capitale; cosa che finora è stata caratteristica della totalità del marxismo del movimento operaio (sia quello dell'ortodossia che quello del revisionismo) il quale ora è allegramente rinato dalle sue ceneri sotto forma di una riformulazione postmoderna. Un momento essenziale, in questo superamento del pensiero positivista, è costituito - per la critica radicale - dallo "individualismo metodologico"; e questo non solo nella forma riferita prima, nel terzo gruppo, ma anche come momento globale di tutti gli aspetti di una reinterpretazione della critica dell'economia politica. Qui, non si tratta solo di una diffusa ideologia borghese "della totalità", ma della definizione accurata che descrive la relazione tra il contesto sociale globale, in quanto determinazione dell'essenza, e le apparenze, ovvero le micro-"unità" riproduttive individuali di questo Tutto sociale; ossia, la critica di un modo di pensare predominante nelle scienze sociali che, al posto della totalità (negativa), nel suo contesto di mediazione, colloca la mera "astrazione intellettuale" (Hegel) dell'azione individuale (per esempio, il cosiddetto atto di scambio) vista come essenziale e costitutiva. Non è certo per caso che questo problema rimane alieno al marxismo, ed è stato tematizzato, nella migliore delle ipotesi, in modo tanto marginale quanto insufficiente.

La parola d'ordine, è rischiare tutto. La conseguenza, può consistere solamente in un programma esplicito di critica categoriale e di rottura categoriale pratica, vale a dire, in un globale «programma di abolizioni» (Karl Korsch). E' proprio a questo sviluppo di energia negativa che si riferisce il concetto di trasformazione teorica, con il quale già si affronta solo un revisionismo fondamentale, fatto di vari colori, sotto forma di marxismo residuale e post-marxismo. Trasformazione o revisione, ecco il problema. Per questo, ciò che sta all'ordine del giorno è il confronto, e non un eclettismo accademico post-moderno. In un nuovo empito polemico, il problema può innanzi tutto essere rappresentato con particolare chiarezza, in quanto contesto storico-sociale globale, nella realtà e nel concetto di denaro. Il Denaro è la manifestazione fondamentale dell'essenza; esso è categoria e, allo stesso tempo, fenomeno palpabile, crocevia della storia e oggetto visibile dell'abolizione. E' perciò che è in quest'oggetto che la determinazione categoriale negativa può distruggere con la massima incisività l'esaltazione positivista dei fatti e la grettezza fenomenologica.

- Robert Kurz -  Introduzione al libro "Denaro senza Valore" - Luglio 2012 -

lunedì 1 dicembre 2025

PROFEZIE di CRISI…

UN INCIDENTE IMMINENTE
- di Ernst Lohoff -

Il settore dell'Intelligenza Artificiale,  mobilita somme astronomiche di capitale monetario. Finora, per le aziende tecnologiche che vi investono, non è stato un business redditizio, però, tuttavia, le sue azioni si trovano ancora ai massimi storici. Nel frattempo, crescono gli avvertimenti riguardanti una bolla dell'IA, la quale potrebbe scoppiare ben presto, proprio come avvenne, alla fine degli anni '90, con la bolla di internet. Nonostante ciò, va detto che la struttura di mercato, e la dinamica di svalutazione dei due settori sono piuttosto diverse. In generale, gli esperti economici non riescono a prevedere lo scoppio delle bolle finanziarie, oppure se ne rendono conto solo quando è ormai troppo tardi. Accadde questo, nell'autunno del 1845, quando, improvvisamente, in Inghilterra, un crollo della borsa interruppe bruscamente il primo grande boom ferroviario, rovinando finanziariamente molti investitori; trai quali anche Charles Darwin. All'inizio del millennio, la situazione era assai simile. Pochi mesi prima che la bolla di Internet scoppiasse, nel marzo 2000, la maggior parte degli economisti prevedeva ancora l'aumento delle azioni IT. Il quadro attuale è ben diverso. Mai, prima d'ora, il periodo di allerta era stato così talmente lungo. Cinque anni fa, all'inizio del boom dell'IA, pubblicazioni come il Financial Times e il Wall Street Journal parlavano già di una possibile bolla. Ora, ormai quasi tutti avvertono a proposito della possibilità di un incidente. Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca d'Inghilterra, sono preoccupati quanto lo è Deutsche Bank e la stampa economica tedesca. Figure di spicco nel settore di Information Technology - come Sam Altman, CEO di OpenAI, Mark Zuckerberg, Jeff Bezos e Bill Gates -  stanno fungendo anch'essi come dei profeti della crisi. Alla fine di ottobre, Oliver Welke, sul programma satirico "Heute-Show", aveva scherzato  sulla "fragilità della bolla dell'IA". In quella stessa settimana, il Tagesschau aveva riferito che «il produttore di chip Nvidia è diventato la prima azienda a raggiungere un valore di mercato di cinque trilioni di dollari.» A seguito di questo livello record, anche l'indice azionario Nasdaq della borsa tecnologica statunitense aveva raggiunto un massimo storico. Naturalmente, ci sono anche voci dissenzienti, come quella di Jerome Powell, Il presidente della Federal Reserve, che nella veste di guaritore, ha dovuto dichiarare recentemente che il boom dell'IA non è una bolla, e che non vede alcun parallelo tra la bolla di internet e l'attuale aumento dei prezzi azionari delle aziende di IA.

Un parallelo con la bolla di Internet
Tuttavia, bisogna dire che una caratteristica comune, è assai evidente: nella seconda metà degli anni '90, i prezzi delle azioni di molte startup salirono alle stelle; per quanto poi, solo poche divennero redditizie. Bastava che fossero in qualche modo collegate ai primi passi di internet. Dall'inizio di questo decennio, la parola magica "AI" ha avuto un effetto assai simile, alimentando le fantasie degli investitori. Chiunque abbia promesso che con l'IA si possa guadagnare, finora è riuscito a raccogliere enormi somme di capitale monetario per finanziare un'azienda che, innanzitutto, costa moltissimo. Un esempio rimarchevole è OpenAI, l'operatore di ChatGPT. Solo nel terzo trimestre di quest'anno, l'azienda avrebbe registrato una perdita di dodici miliardi di dollari. Ma, nonostante le enormi perdite, il suo valore di mercato è schizzato alle stelle, fino a 500 miliardi di dollari. Le sei più grandi aziende tecnologiche statunitensi (Nvidia, Microsoft, Apple, Amazon, Meta e Alphabet), che investono miliardi in IA, stanno vivendo un fenomeno simile. Il loro valore in borsa, è aumentato di circa otto trilioni di dollari, nei primi due anni trascorsi dal lancio di ChatGPT nel novembre 2022. E questo equivale a circa il doppio del PIL annuo della Germania. Come dimostrato dallo scoppio della bolla di internet, queste enormi quantità di "capitale fittizio" (Marx) possono anche svanire, nel caso i profitti attesi non si dovessero concretizzare, e si verificasse una fuga di investitori delusi. All'epoca, cinque trilioni di dollari in azioni di aziende IT in tutto il mondo, in 3 anni si trovarono a essere cancellate. Anche la Borsa di Francoforte non sfuggì a questo. Nel momento in cui sospese la quotazione dell'indice Nemax, nel marzo 2003, le società quotate sul Neuer Markt (un segmento della Deutsche Börse introdotto negli anni '90, modellato sul Nasdaq) avevano già perso il 95% del loro valore rispetto al picco della speculazione. A sua volta, iI Nasdaq americano impiegò ben 15 anni per poter ritrovare il livello del marzo 2000. Una cosa è certa: un crollo dell'IA non sarebbe una semplice ripetizione dello scenario del collasso della Nuova Economia. Innanzitutto, il progresso della digitalizzazione ha cambiato radicalmente il punto di partenza. La digitalizzazione è diventata onnipresente, e in modo negativo, nella forma economica privata. I giganti tecnologici di oggi, sono sopravvissuti all'estinzione economica di massa di quell'epoca. L'intera infrastruttura digitale globale di queste aziende, ora è di proprietà privata. I cosiddetti "Magnifici Sette" (che, oltre alle aziende tecnologiche menzionate, includono anche Tesla) occupano delle importanti posizioni strategiche,le quali danno loro enormi profitti. Nella bolla di internet, le giovani startup — ad eccezione delle aziende di telecomunicazioni — erano solo delle portatrici di speranza. Ma nella bolla dell'IA, i giganti IT affermati, non solo partecipano come investitori, ma sono anche in prima linea nello sviluppo dell'IA. Inoltre, i requisiti finanziari per lo sviluppo del settore dell'IA, sono assai più elevati rispetto a quelli richiesti per la costruzione della vecchia industria IT. Naturalmente, si sono resi necessari anche dei grandi investimenti, finalizzati a costruire reti mobili e infrastrutture digitali. Tuttavia, rispetto alle somme esorbitanti che le aziende di IA hanno già speso, e che intendono ancora spendere, il capitale richiesto allora, adesso sembra quasi trascurabile. L'espansione della potenza di calcolo, in particolare, consuma somme astronomiche. Secondo le stime della banca d'investimento Morgan Stanley, a New York, entro il 2028, la spesa globale per la costruzione di un data center arriverà a circa tre trilioni di dollari. Questo supera persino le capacità finanziarie delle grandi aziende tecnologiche. Secondo le stime degli analisti, tali aziende potranno permettersi poco meno della metà di quella somma. Il vuoto pertanto dovrà essere colmato in altri modi, soprattutto tramite prestiti. Nel finanziare progetti di IA, la quota di queste aziende  è già aumentata, arrivando alle stelle. Anche aziende come Meta, che per molti anni ha finanziato i suoi investimenti con il flusso di cassa, ora ha dovuto cambiare le proprie pratiche finanziarie. Per costruire il data center Hyperion, in Louisiana, Meta, in collaborazione con la società di investimenti e co-proprietaria Blue Owl Capital, spenderà oltre 26 miliardi di dollari in capitale preso in prestito; Meta ha già investito 6 miliardi di capitale proprio. La situazione del debito nelle aziende di IA di secondo e terzo livello, appare assai più drammatica. «Anche la piccola azienda britannica di cloud AI, Fluidstack, che lo scorso anno impiegava solo dieci persone, avrebbe ora preso in prestito fino a 10 miliardi di dollari dalla banca d'investimento australiana Macquarie», come ha riportato il Frankfurter Allgemeine Zeitung (FAZ) all'inizio di novembre:  fungono da garanzia, i chip AI dell'azienda.

Particolarità della bolla dell'IA
Il grande afflusso di risorse finanziarie esterne per alimentare l'euforia intorno al settore dell'IA dipende, ovviamente, dal mantenere le aspettative degli investitori di rendimento. Il fattore decisivo è l'evoluzione dei ricavi. Secondo una previsione di settembre della società di consulenza Bain & Company, le aziende di IA devono generare 2 trilioni di dollari di fatturato all'anno entro il 2030 per diventare redditizie. Tuttavia, il leader di mercato Open AI ha raggiunto solo 4,3 miliardi di dollari di fatturato nella prima metà del 2025. Il business delle applicazioni commerciali di IA, crescerà poi davvero così rapidamente da raggiungere questa scala esorbitante? Questo è assai dubbio, dal momento che l'euforia dei potenziali utenti di IA con alto potere d'acquisto, si è già attenuata. Se crediamo allo studio "State of AI in Business 2025" del Massachusetts Institute of Technology, il 95% delle aziende che hanno iniziato a lavorare con l'IA non ha ancora registrato alcun aumento di produttività o di crescita. Probabilmente si tratta di un fenomeno transitorio. Ci vuole tempo per adattare all'IA i processi operativi, e oltretutto i dipendenti, che temono di perdere il lavoro, resistono al cambiamento. Børge Brende, presidente del Forum Economico Mondiale (WEF), prevede, che non l'uso dell'IA, a  lungo termine, ci sarà un aumento della produttività fino al 10%, e il che comporta riduzioni di posti di lavoro. Questo, tuttavia, richiede perseveranza, e probabilmente a redditività rimarrà irraggiungibile per la maggior parte dei fornitori di IA. Come dice la rivista The Economist, «anche se la tecnologia sfruttasse tutto il suo potenziale, molte persone perderanno tutto». Questo è tanto più probabile, dato il rapido ritmo dello sviluppo tecnologico nel settore dell'IA, il quale minaccia di realizzare l'obsolescenza di attrezzature e prodotti molto più rapidamente di quanto i loro costi possano essere ammortizzati: una minaccia questa, per tutti gli investimenti in IA. Non c'è nulla di nuovo nel fatto che il progresso tecnologico porti alla svalutazione del capitale esistente. Marx ha già analizzato questo processo, e gli ha dato il particolare nome di «logoramento morale». Tuttavia, per molto tempo, questa usura si è limitata ai mezzi di produzione. Oltre tutto, allora avvenne gradualmente, e rimase parziale. Con l'IA, la situazione è diversa. Da un lato, anche i prodotti realizzati a partire da una enorme applicazione di risorse, diventano rapidamente obsoleti. In tal modo, una generazione di strumenti di IA succede a un'altra, rendendo economicamente inutile lo sforzo di sviluppare strumenti obsoleti. Dall'altra parte, a seguito dei progressi tecnologici, un'infrastruttura di IA, che ieri era ultra-moderna, domani potrebbe essere abbandonata. La portata di questa minaccia, è diventata chiara a gennaio, quando l'azienda cinese Deepseek ha presentato il suo modello linguistico. [*1] Si dice che sia superiore a Chat GPT e che sia stato addestrato senza utilizzare i chip più avanzati, e che abbia una potenza di calcolo molto inferiore rispetto a prodotti simili dei concorrenti della Silicon Valley. Quando la notizia è arrivata, hanno trattenuto il respiro non solo gli investitori che hanno versato i loro soldi nei data center;  ma è rimasta scossa tutta l'intera industria dell'IA statunitense. In un solo giorno, le azioni di Nvidia - un produttore di "superchip" - sono crollate del 17%. E questo da solo ha già causato il fatto che una capitalizzazione di quasi 600 miliardi di dollari sia svanita.

IA e monopoli naturali
Spesso, i libri di testo di economia esaltano la competizione. Un'eccezione a questo. è il  cosiddetto "monopolio naturale": una ricerca su Google, su questo termine, rivela la seguente definizione: «Un monopolio naturale nasce quando una singola azienda può servire l'intero mercato in modo più efficiente e a un costo inferiore, di quanto avverrebbe se ci fossero invece più aziende. Ciò è spesso dovuto agli elevati costi fissi e alle economie di scala, che rendono proibitivo per i concorrenti partecipare. Esempi includono le compagnie di servizi pubblici, così come i fornitori di elettricità o di acqua, poiché costruire ulteriori reti sarebbe non economico.» E infatti, sarebbe uno spreco enorme di risorse e di denaro costruire e mantenere reti elettriche, o sistemi di approvvigionamento idrico, paralleli nella stessa città. Questo, naturalmente, non ha impedito alla società capitalistica che, durante il suo sviluppo, di impegnarsi frequentemente in simili assurdità. Ad esempio, è così che venne realizzato il progetto infrastrutturale più importante del XIX° secolo, la costruzione di una rete ferroviaria che portò allo spreco di ingenti somme in strutture parallele superflue, in  particolar modo rispetto alla rete pionieristica della Gran Bretagna. Vennero create diverse società per azioni che dapprima costruirono linee ferroviarie sull'isola, e poi sul continente europeo, senza alcun piano generale, e in competizione tra di loro. In Germania, fu solamente nel 1885 che tutte le importanti compagnie ferroviarie private vennero portate sotto la proprietà statale, e riunite in tal modo sotto un unico tetto; cosa che richiese ancora più tempo per poter raggiungere anche gli altri principali paesi capitalisti d'Europa. Alla fine del XX° secolo, la pratica di trasformare la costruzione di nuove infrastrutture in un campo d'azione per capitali privati concorrenti, prese nuovamente forza. Negli anni '90, sotto la religione neoliberista del mercato, sia le reti telefoniche cellulari, sia l'intera infrastruttura IT, sono state costruite tutte in questo modo, ed entrambe si trovano ancora in mano di aziende a scopo di lucro. Naturalmente, l'ideologia neoliberista della concorrenza, non cambia il fatto che esista una forte tendenza ai "monopoli naturali" nei segmenti chiave dell'industria IT. Una moltitudine di sistemi operativi diversi, porta solo ad avere problemi di compatibilità. La maggior parte delle persone, usa lo stesso servizio di messaggistica che usano tutti gli altri, e anche i ricavi pubblicitari vengono concentrati. Ecco perché la fase di competizione tra startup, per lo stesso segmento di mercato, in diversi settori chiave è durata solo pochi anni. La bolla di internet, che ha portato tante nuove aziende al fallimento, non è stata la causa, bensì un acceleratore del processo di concentrazione. Una volta che un'azienda ottiene una posizione dominante nel mercato, e stabilisce lo standard in un settore, poi non è più così facile perderla. Per anni, circa il 90% delle ricerche su internet nel mondo venivano effettuate su Google, e oggi più del 70% dei computer desktop utilizza ancora il sistema operativo Windows. Solo a partire dalle trasformazioni tecnologiche, emergono nuove opportunità. Fino ad allora, le aziende che detengono il monopolio nel settore IT, hanno profitti garantiti. A differenza dei tradizionali "monopoli naturali", limitati a un certo territorio, i monopoli digitali si estendono in tutto il mondo. Fino alla prossima rivoluzione tecnologica, potranno estorcere le tariffe d'uso alla società mondiale, tariffe che rappresentano quasi una licenza per stampare denaro. Non sorprende che nel settore IT si concentrino le dieci aziende più ricche del mondo. Parti importanti dell'industria dell'IA ,seguono anch'esse la logica del "tutto va a un solo vincitore". John Lovelock, analista tecnologico di Gartner, sul giornale "Faz", ha riassunto bene la questione, commentando i chatbot: «i maggiori fornitori di IA,  stanno correndo una corsa in cui arriverà uno solo.» Lovelock, spera che alla fine rimarranno solo uno o due modelli di IA. E anche nel settore, nel suo complesso, i segnali indicano un processo di concentrazione accelerato: «presumiamo che, nei prossimi anni, solo il 10% delle startup attuali continuerà a operare in modo indipendente». Il resto sarà assorbito, o fallirà. Il fatto che la rivoluzione dell'IA divori quasi tutti i suoi figli, è stato il punto di partenza delle strategie aziendali dei giganti dell'IT. Tutti, sono stati concepiti per essere tra i pochi sopravvissuti alla grande battaglia finale e dopo, in quanto «padroni dell'universo dell'IA», per pretendere e riscuotere, dalla società mondiale, tributi che oscureranno tutto ciò che si è visto finora. Questo significa anche, che tutti gli investitori che non hanno scommesso sul vincitore hanno buttato via i soldi. Non si sa ancora come avverrà il processo di distruzione del capitale fittizio, ma non c'è dubbio che avverrà.

La casa di tutte le bolle
L'importanza di tutta quest'euforia intorno all'IA, soprattutto negli Stati Uniti, ma anche per l'intera economia globale, è innegabile. L'economista di Harvard, Jason Furman, ha concluso che nella prima metà del 2025 il 92% della crescita del PIL degli Stati Uniti è stato attribuito agli investimenti nelle infrastrutture di IA. È Il settore delle costruzioni, in particolare, a trarne beneficio diretto. Nel 2024, un investimento record di 180 miliardi di dollari in infrastrutture, è stato dedicato alla costruzione di data center di IA. Espandere le capacità delle centrali che forniscono questi nuovi consumatori di energia, genera anche dei posti di lavoro e dei profitti nei settori più convenzionali. Se il consumo globale di elettricità dei data center di AI, è stato di 50 miliardi di kilowattora nel 2023, si prevede che entro il 2030 si moltiplicherà fino ad arrivare a 550 miliardi; un disastro per la protezione climatica, ma un vantaggio per il prodotto interno lordo. Quando i sogni dell'IA si dissolveranno, gli Stati Uniti non solo perderanno l'unico motore di crescita rimasto loro, ma è anche probabile che si inneschi una reazione a catena, nei mercati finanziari. Il punto di partenza più probabile sono le banche ombra, così come i fondi di investimento. Questo segmento, non regolamentato, del sistema finanziario, è cresciuto enormemente negli ultimi anni, e ha contribuito in modo significativo a finanziare l'euforia cresciuta attorno all'IA. Sarebbe quindi quello più colpito da una battuta d'arresto. Nel suo Global Financial Stability Report, pubblicato a ottobre, il FMI è preoccupato per questa faccenda. Il rapporto, non solo avverte del rischio di «correzioni di mercato nette», nelle azioni dell'IA, ma mette in guardia anche del fatto che le banche ombra potrebbero avere dei problemi. Questo, a sua volta, innescherebbe una reazione a catena. Lo scoppio della bolla dell'IA, non colpirebbe soltanto un settore economico, ma provocherebbe una crisi generalizzata. E questo vale, prima di tutto, per la terra d'origine dei giganti tecnologici. Nell'era del capitalismo, guidato dalle dinamiche dei mercati finanziari, gli Stati Uniti hanno già provocato due crisi che hanno scosso l'economia mondiale: lo scoppio della bolla di internet e la grande crisi finanziaria del 2008. In entrambi i casi, la recessione è stata superata grazie all'emergere di bolle ancora più grandi, negli Stati Uniti, le quali hanno così portato l'economia mondiale a riprendere la sua crescita. Con lo scoppio della bolla dell'IA, tuttavia, il ruolo degli Stati Uniti come "casa di tutte le bolle globali" potrebbe essere arrivata al termine.

- Ernst Lohoff -  pubblicato su Jungle World 2025/47 de 20.11.2025

NOTA (1) https://francosenia.blogspot.com/2025/11/il-pollo-fritto-e-le-barriere-interne.html .

sabato 29 novembre 2025

Fascisti !!

Paolo Berizzi: “CasaPound coperta per anni dalle istituzioni”
- Intervista a Paolo Berizzi, che nel “Libro segreto di CasaPound” racconta i retroscena dell’organizzazione neofascista -
Intervista di Fabio Bartoli

L’uscita de "Il libro segreto di CasaPound" (Fuoriscena, 2025), di Paolo Berizzi, non è passata inosservata e non solo per il successo dell’operazione editoriale. Il movimento neofascista romano ha infatti cercato di bloccarne la pubblicazione - un tentativo fallito - cui ha fatto seguito una campagna di boicottaggio sui social, culminata in un video diffuso da Davide Di Stefano, fratello di Simone Di Stefano, ex segretario dell’organizzazione. In questa intervista Berizzi, da anni sotto scorta per le minacce ricevute dall’estrema destra, parla della sua inchiesta che svela chi ha finanziato CasaPound, i suoi legami con la politica e le connivenze istituzionali, ripercorrendo la parabola di un movimento che, dopo l’ascesa, vede oggi il suo declino:

Fabio Bartoli: «Il libro si basa sulle rivelazioni di una talpa, una fonte davvero riservata. Il prologo evoca questa genesi. Come ha fatto a fidarsi di uno sconosciuto proveniente da un contesto politico dove, per usare un eufemismo, non è certo apprezzato?»

Paolo Berizzi: «Lo spiego nel prologo del libro. Questo è quello che è successo: nel 2020 sono andato a Roma, accompagnato dalla mia scorta di polizia — ero già sotto scorta da quasi due anni — per seguire una manifestazione di CasaPound contro il pass sanitario introdotto dal governo Conte per contenere il Covid. Si teneva in Piazza Santi Apostoli ed è ricordata come la protesta contro le "maschere tricolori". In realtà, è stato un semi-flop: tirando le fila dei raduni più violenti contro le misure sanitarie, era più Forza Nuova che CasaPound. Alla fine della manifestazione, mentre sto tornando alla mia auto, una giovane donna apparentemente innocua si avvicina a me: nessun simbolo o segno la colleghi all'universo neofascista. Ha detto: "Berizzi, può sembrarti strano, ma se vuoi sapere di più su CasaPound, contattami a questo numero." Mi lascia un biglietto, mi saluta e se ne va. La scena mi incuriosisce e mi lascia perplesso: capisco che dovrebbe stare nel mezzo, ma non so cosa pensarne. Immagino sia uno scherzo, una provocazione. Passarono alcuni mesi. Un giorno ho scritto un tweet e ho ricevuto un messaggio privato da un utente con un nome fittizio: mi ha detto che era pronto a raccontarmi cose nuove su CasaPound e ha aggiunto che aveva già provato a contattarmi tramite una ragazza, la sua partner, che mi aveva lasciato un numero di telefono. Nella mia testa si accende una luce. Ma avevo buttato via il biglietto. Qualche giorno dopo, ho deciso di chiamarlo, senza troppe aspettative. Durante la nostra prima conversazione telefonica — circa dieci minuti — mi ha detto che era un attivista di spicco nell'organizzazione, con molto da rivelare. Rimango cauto, controllo alcune fonti romane e capisco subito che la fonte è autentica e affidabile. Certo, considero anche il rischio che voglia usarmi per regolare conti interni, ma ciò che prevale è il valore della sua storia: una testimonianza diretta dall'interno sui meccanismi segreti e operativi dell'organizzazione.»

Bartoli: «E dopo questi primi contatti, quali sviluppi sono seguiti?»

Berizzi: «Ha iniziato a fornirmi documenti, conversazioni, messaggi, fotografie, file audio: prove che confermavano la sua affidabilità. Capisco che questa quantità di materiale non possa essere limitata a una semplice indagine per un giornale, perché è troppo e senza precedenti. Deve diventare un libro. L'ho proposto a un editore e, dopo vari colpi di scena, è nato questo lavoro investigativo. Per la prima volta, un militante di CasaPound — la più importante organizzazione fascista degli ultimi vent'anni — rivela i suoi segreti dall'interno: i suoi relè politici, i suoi finanziatori, la sua struttura, i suoi legami con la destra al potere, l'uso della violenza come metodo, i suoi campi di addestramento, i suoi leader e i suoi sotto-leader. È un libro nato da un incontro fortuito ma decisivo. La mia fonte non è un pentito, non è un anziano: fa ancora parte dell'organizzazione. È un fascista che si è sentito tradito dai suoi stessi compagni e ha deciso di rivelare chi sono veramente.»

Bartoli: «Da anni hai a che fare con l'estrema destra, mettendo anche in evidenza i suoi legami con le istituzioni. Questo sondaggio ti ha insegnato qualcosa di nuovo?»

Berizzi: «Sì, mi ha permesso di scoprire i rapporti — in alcuni casi molto stretti, persino personali — che legano CasaPound ai membri dei Fratelli d'Italia e a certi rappresentanti del governo italiano. Ciò che mi ha sorpreso di più, e che non era mai stato chiarito fino ad ora, è uno degli scoop del libro: i collegamenti tra Giorgia Meloni e alcuni membri di spicco di CasaPound. In particolare, questi sono due nomi. Il primo è Alessandro Giombini, soprannominato Manolo: uno dei cinque "arditi" che, nella notte del 27 dicembre 2003, ruppero le finestre di Via Napoleone III e occupò il palazzo che da allora è la sede di CasaPound. Alcuni anni fa, Meloni aveva un rapporto personale e stretto con Giombini. Il secondo è Alessio Tarani, leader di CasaPound Padova, ancora a capo del movimento. Meloni aveva anche un legame con lui durante la sua giovinezza. Così come con i fratelli De Angelis, Marcello e Renato: il primo, un ex terrorista di Terza Posizione e cognato di Luigi Ciavardini (condannato per l'attentato a Bologna); il secondo, per anni, fidanzato dell'attuale Primo Ministro. Quello che mi ha colpito è stato che due figure di spicco di CasaPound avevano un rapporto così stretto e personale con la donna che ora è Presidente del Consiglio. Sono rimasto anche sorpreso nel vedere che Alessandro Giombini vive ancora oggi nel palazzo in Via Napoleone III — un edificio appartenente allo stato, all'attuale Ministero dell'Istruzione e del Merito — occupato da CasaPound dal 2003. In breve, un uomo che aveva un legame personale con l'attuale Primo Ministro vive in un edificio che è stato rimosso dallo stato.»

Bartoli: «Cosa possiamo dedurre esattamente da questo?»

Berizzi: «Va chiarito: questi collegamenti non dimostrano in alcun modo che Giorgia Meloni faccia parte di CasaPound o ne condivida la ideologia. Ma ci parlano di un ambiente, di un contesto, di una rete di relazioni che esistono da anni a Roma. In effetti, Giombini e Tarani non abbandonarono mai la loro militanza di estrema destra per cercare il loro posto in altri partiti: rimasero fedeli al loro ambiente originario. Dettaglio curioso: quando il nostro collega Daniele Piervincenzi è stato aggredito a Ostia nel 2017 da Roberto Spada (membro della famiglia mafiosa Spada), Tarani ha pubblicato un messaggio sui social network per difendere l'aggressore, con lo slogan "Dieci, cento, mille Spada". Non stiamo quindi parlando qui di personalità particolarmente legate alle regole democratiche. Poi c'è un altro elemento interessante: Meloni iniziò a impegnarsi in politica nel 1992 nella sezione del Movimento Sociale Italiano a Garbatella, il suo quartiere natale. Fu Simone Di Stefano ad accoglierlo alla porta di questa sezione. In seguito divenne uno dei leader di CasaPound — per anni una figura di spicco del movimento, portavoce, segretario nazionale — prima di lasciarlo a causa di una disputa con Gianluca Iannone e la leadership. In breve, i rapporti di Meloni con questo ambiente risalgono agli inizi della sua attività politica: mi ha sorpreso scoprirlo, e questa è una delle rivelazioni inedite del libro. Nel capitolo dedicato ai rapporti tra CasaPound e la destra al potere, parlo anche di Ignazio La Russa, Andrea Delmastro e altri rappresentanti dei Fratelli d'Italia che, nel corso degli anni, hanno partecipato a festival, raduni e manifestazioni organizzate da CasaPound. Questo dimostra che la destra al potere e la destra neofascista, nelle strade, non sono così distanti come sostiene i Fratelli d'Italia. Ufficialmente si distacano, ma in realtà ci sono comunanze — ideologiche e talvolta persino fisiche — che li avvicinano molto di quanto vorrebbero farci credere.»

Bartoli: «Riguardo all'edificio occupato, "la torre", che viene ampiamente discusso nella prima parte del libro: com'è possibile che un edificio appartenente allo Stato sia stato occupato impunemente per più di vent'anni? Durante tutto questo tempo, Giorgia Meloni non è sempre stata al governo...»

Berizzi: «Penso che non ci sia mai stata una vera volontà politica concreta di espellere CasaPound e rimediare a questa tipica anomalia italiana. Stiamo parlando di un gruppo apertamente neofascista, violento, sotto indagine e oggetto di diversi procedimenti per aggressione e violenza squadrista. Un movimento che continua ad associare il proprio nome alla violenza e che si colloca de facto fuori dalla Costituzione repubblicana. CasaPound occupa un edificio nel centro di Roma da più di vent'anni, causando anche considerevoli danni finanziari: nel 2019 si stima che lo Stato abbia perso circa 4,5 milioni di euro di entrate, senza contare le bollette elettriche mai pagate. In quegli anni, nessuno, tranne Virginia Raggi quando era sindaca di Roma, cercò davvero di risolvere la questione. Raggi — che non è senza motivo nel mirino degli attivisti di CasaPound — è stato l'unico a tentare di affrontare la situazione, ma senza successo. In secondo luogo, i governi di ogni tipo non hanno mai fatto nulla. Oggi, almeno in termini di parole, il Ministro dell'Interno Matteo Piantedosi sembra voler affrontare anche il "caso CasaPound". Dopo l'evacuazione del Leoncavallo, che aveva scatenato molte controversie, Piantedosi disse che "arriverà anche il momento di CasaPound". Recentemente, al Leopolda di Renzi, ha ribadito che "il momento si avvicina." Vedremo se e quando ciò accadrà davvero.»

Bartoli: «Anche il tuo informatore ne parla?»

Berizzi: «La fonte del mio libro ci dice che CasaPound, negli ultimi anni, ha certamente potuto contare sulla complicità e sui favori di alcune persone all'interno delle istituzioni, inclusa l'amministrazione municipale di Roma e le aziende che forniscono elettricità, acqua e gas. Perché, semplicemente, se vuoi evacuare un edificio, il modo più semplice è interrompere i servizi: si taglia l'elettricità, si spegne l'acqua e l'evacuazione avviene quasi naturalmente. Ma il fatto che nessuno abbia mai tagliato l'elettricità o l'acqua suggerisce, come dice la fonte, che ci sia sempre stato un accordo con qualcuno complice, in collusione con loro. Esiste quindi anche una spiegazione tecnica per il fatto che questo edificio non sia mai stato evacuato. Personalmente, penso che l'assenza di intervento rappresenti una seria responsabilità politica. Questo vale per i governi di destra — che sono in combutta con questi ambienti, quindi non li evacueranno — ma è particolarmente vero per chi è di centro-sinistra, che in tutti questi anni non ha mai mosso un dito.»

Bartoli: «Il sostegno economico che CasaPound ha ricevuto da varie fonti, come racconti nel libro, va ben oltre la fornitura di elettricità e acqua...»

Berizzi: «Nel libro, riveliamo per la prima volta chi, nel corso degli anni, ha finanziato CasaPound. E menzioniamo nomi: circa settanta persone, molte delle quali ricoprono posizioni di rilievo nella società civile e, in molti casi, anche nell'apparato statale. Sono ambasciatori, generali, professori universitari, imprenditori, manager, giornalisti, politici. Il nome più conosciuto è quello di Mario Vattani, ex console "fascio-rock", attuale commissario italiano per l'Expo Osaka 2025, che sta per diventare ambasciatore italiano in Giappone. Ma c'è anche un generale dell'aeronautica, oltre a una rete di professionisti e personalità che, nel corso degli anni, hanno partecipato a eventi, cene autofinanziate e iniziative pubbliche, contribuendo anche finanziariamente alla causa neofascista. Questa è una delle principali scoop del libro, poiché mostra come CasaPound sia andato ben oltre l'attivismo di strada, insinuandosi nel funzionamento dello stato. E questo, a mio avviso, è l'aspetto più preoccupante: il neofascismo, quando accettato, protetto e coperto da chi detiene il potere, diventa un vero pericolo per la democrazia. E lo è ancora di più quando è sostenuto da persone che lavorano all'interno delle istituzioni, che fanno parte della stessa macchina pubblica che dovrebbe difendere la Repubblica e i suoi valori. Questi sostenitori, noti come "gli Unici" nel gergo interno di CasaPound, sono distribuiti in cinque città (Roma, Milano, Firenze, Verona e Torino) e hanno garantito un flusso costante di denaro all'organizzazione nel tempo, permettendole di sopravvivere e continuare le sue attività. Erano infatti un elemento fondamentale dell'attività politica e materiale di CasaPound.»

Bartoli: «Hai già menzionato Simone Di Stefano, che per anni ha rappresentato l'ala "istituzionale" di CasaPound, quella che aspirava a entrare nelle istituzioni. Ma Di Stefano lasciò l'organizzazione e fu l'approccio militante di Gianluca Iannone a prevalere. Da allora, si può dire che il declino dell'organizzazione sia iniziato, che certamente non è oggi al suo apice...»

Berizzi: «Sì, confermo. A un certo punto, CasaPound, che aveva raggiunto un numero considerevole di membri e un peso specifico — al punto di conquistare la leadership dell'estrema destra italiana — decise di svolgere un ruolo politico autonomo. Dopo l'alleanza con la Lega, quando Salvini divenne segretario federale, nacque un'intesa politica che durò alcuni anni: CasaPound e il Carroccio organizzarono manifestazioni insieme e condividevano la loro militanza all'interno di Sovranità, un gruppo comune il cui simbolo era una spiga di grano di Mussolini. Era il periodo delle campagne anti-immigrazione, delle quadrate infuocate e degli slogan nazionalisti. Ma questa relazione viene interrotta per motivi di candidatura e di equilibrio elettorale. CasaPound chiede spazi e riconoscimenti che non ottene, nonostante molti dei suoi attivisti abbiano lavorato per sostenere i rappresentanti della Lega, in particolare Mario Borghezio, eletto al Parlamento Europeo grazie ai loro voti. Dopo questa parentesi, CasaPound scelse la via autonoma e si candidò, con risultati modesti. Dopo il fallimento delle elezioni europee del 2019, il movimento ha deciso di non partecipare più al gioco elettorale. È poi apparsa una spaccatura interna: da un lato, Simone Di Stefano, che ha spinto per trasformare CasaPound in una vera forza politica; dall'altro, Gianluca Iannone, che vuole mantenerlo a livello "metapolitico", più militante. La frattura divenne irreversibile: il primo lasciò il movimento, portando con sé molti attivisti. Da quel momento in poi, CasaPound cercò di infiltrarsi in altri partiti — Fratelli d'Italia, ancora la Lega — cercando di collocare i propri uomini qua e là. Nel libro racconto anche di una sorta di "tentata presa" da parte di Giorgia Meloni di CasaPound, e in particolare di Di Stefano: l'attuale Presidente del Consiglio gli offrì di unirsi ai Fratelli d'Italia, ma lui rifiutò, dicendo che sarebbe entrato solo con gli altri. Questo portò a contatti e negoziati che non si concretizzarono mai. Dopo questa fase, iniziò un lento declino. Rispetto agli anni di forte espansione, CasaPound perse terreno, chiuse molte sedi e vide anche un indebolimento delle attività economiche legate al movimento: il marchio Pivert di Francesco Polacchi, le edizioni Altaforte e altre iniziative commerciali. Oggi, in realtà, è un movimento incentrato sulla figura di Iannone e dei suoi luogotenenti, sempre più marginale, anche nel mondo neofascista, dove la Rete dei Patrioti, Lealtà e Azione e una Forza Nuova risorta sono più attive. CasaPound è così tornato a essere un movimento di strada romano, con poche ripercussioni altrove. Gli Uniques, cioè i principali finanziatori, non esistono più. Iannone ha trasformato alcune sezioni — come quella di Milano — in gruppi di motociclisti, più legati a raduni e uscite che all'attivismo politico. Era una parabola dall'alto al basso, ma resta il fatto che, negli ultimi vent'anni, CasaPound è stata l'organizzazione neofascista più importante in termini di numero, capacità d'azione e presenza mediatica. Ho sentito che era mio dovere raccontare e smascherare CasaPound: i suoi sostenitori politici, i suoi finanziamenti, i suoi segreti interni, la vita nell'edificio occupato su Via Napoleone III. Penso che sia un atto necessario per chi fornisce informazioni e si riconosce nella Costituzione repubblicana, antifascista e antirazzista. Spero che CasaPound non solo venga espulso dalla sua sede a Roma, ma venga anche sciolto per aver tentato di ricostituire il partito fascista. E aggiungerei che questo dovrebbe valere anche per Forza Nuova e tutti i gruppi neofascisti ancora attivi in Italia.»

- Intervista pubblicata il 12 novembre 2025 su MicroMega -

La Crisi della Modernità…

Le sorgenti irrazionali dell'adesione al fascismo
- di Tristan Lefort-Martine -

   L'irrazionalismo è un carattere che viene esplicitamente rivendicato dal fascismo storico: la riflessione deve lasciare il posto all'azione, e questa azione deve essere diretta solo dall'interpretazione proveniente dal leader ispirato, dal «giusto sentimento del popolo». Ancora oggi, i portavoce dell'estrema destra sostengono di «dire ad alta voce ciò che tutti gli altri pensano in un sussurro», di rivelare dei sentimenti inconfessati e di difendere i propri diritti: incluso quelli derivanti da sentimenti negativi, dato che la loro retorica respinge, con lo stesso gesto sprezzante, con obiezioni tecniche, la morale caritatevole del "partito del bene". Come si arriva a rifiutare la logica e i sentimenti positivi? E da dove proviene il potere seducente dell'ideologia di estrema destra? L'antifascismo può ignorare la comprensione delle sorgenti irrazionali dell'adesione al fascismo? Questo problema, venne posto assai chiaramente dallo psicoanalista marxista Wilhelm Reich, in un libro intitolato "La psicologia di massa del fascismo", scritto nel pieno dell'epoca, tra il 1930 e il 1933, vale a dire proprio nel momento stesso dell'ascesa del nazismo. Pertanto, comincio ricordando il contenuto di questo libro, ed evocando le estensioni che poi esso ha trovato nel lavoro di Alice Miller sulla "pedagogia tossica". Tuttavia, la soluzione che da lei viene proposta mi sembra troppo generale, per poter essere soddisfacente. Gli studi del sociologo Alain Bihr, raccolti nel 1998 con il titolo "L'Actualité d'un archaïsme" - basati su una descrizione più stretta del pensiero di estrema destra - suggeriscono invece delle risposte assai più precise.

Il problema della "psicologia di massa del fascismo"
L'analisi di Wilhelm Reich parte da una critica interna riguardo l'impotenza dei movimenti socialisti contro il fascismo. Il socialismo tedesco dei primi anni '30, in particolare, non riesce a spiegare perché le masse impoverite, che avrebbero dovuto essere le più colpite dalla rivoluzione proletaria, in occasione della tanto attesa crisi del capitalismo e della democrazia liberale, si stiano invece spostando a destra. Eppure (a + b)  mostrava come le richieste del fascismo fossero contrarie al loro interesse oggettivo. E allora perché queste dimostrazioni ebbero così poco effetto? Tale sviluppo, sembrava incolpare tutta la loro teoria politica e confermare che avevano ragione i nazionalisti che rimproveravano loro di aver escluso dalle loro analisi, lo "spirito" . Così come non riuscirono a comprendere il sostegno popolare, analogamente, non spiegarono come potesse, il fascismo, opporsi alla grande borghesia fin dall'inizio, incapace com'erano di vedere in essa nient'altro che un «guardiano del capitale». Così rimasero sorpresi dal suo carattere di movimento di massa. Il rifiuto totale dell'ideologia, e il rigido determinismo economico dell'analisi marxista, portarono a trascurare i fattori psicologici: così, questo materialismo rozzo finiva per impedire ai socialisti di comprendere che cos'era che rendesse le teorie "ideologiche" (come il nazionalismo) così tanto efficaci tra le masse. Non riuscivano a vedere che un'ideologia, quando produce un carattere psicologico, può a sua volta diventare essa stessa una forza materiale, e agire così sul corso della storia. Ora, quando vedi che delle condizioni ampiamente condivise producono caratteristiche comuni in un gran numero di persone, allora devi ammettere che è possibile una psicologia di massa la quale spieghi questo fattore soggettivo dei processi storici. La psicologia di massa, integra l'analisi socio-economica spiegando dei comportamenti che, ai suoi occhi, non sono razionali e che derivano proprio dall'inerzia delle strutture psichiche ereditate relative alle trasformazioni delle condizioni economiche. Basandosi sulla tesi di Freud, secondo cui il desiderio sessuale è il motore più profondo e generale dei processi psichici, Reich cerca l'origine del comportamento irrazionale nella repressione dei desideri sessuali, che avvengono fin dall'infanzia, prima nella famiglia autoritaria, e poi nella comunità religiosa. Pertanto, la sua argomentazione prende due direzioni: da un lato, Reich vuole mostrare che l'inibizione sessuale produce un soggetto generalmente resistente alla rivolta; dall'altro, ci fa vedere come il fascismo offra uno sfogo perverso per tutti questi desideri repressi. Dal servilismo, appreso verso il padre autoritario, alla sottomissione al leader politico, l'atteggiamento è sempre lo stesso: il potere patriarcale all'interno della famiglia è, indirettamente, il sostegno primario dell'autoritarismo statale. Questa supremazia del padre, nella famiglia, si esprime soprattutto nel controllo che egli esercita, con il sostegno della religione che associa la sessualità all'angoscia del senso di colpa, sulla sessualità della moglie e dei figli. Al contrario, il mito nazionalista mobilita l'immaginario risultante dalla repressione sessuale: l'attaccamento degli uomini alla "madrepatria" ripete l'attaccamento problematico del ragazzo alla madre, la rappresentazione della civiltà occidentale, che viene vista così in una Atene minacciata di stupro dai satrapi orientali, ripete la situazione di conflitto nel quale l'ideale della pura astinenza viene costantemente minacciato da dei desideri bestiali. Nella competizione tra socialisti e fascisti, per raggiungere le masse "apolitiche", l'argomentazione economica dei primi, per quanto ben fondata, si scontra col fatto che molte persone che si rifiutano positivamente di schierarsi, lo fanno ora perché sono occupate con problemi più urgenti, problemi che sono "personali" solo all'apparenza, poiché riguardano la vita familiare e la vita amorosa. Il fascismo, invece, per quanto debole a livello economico, non offre la soluzione a questi problemi sessuali, quanto piuttosto una forma di sublimazione; nello stile della religione. Nella mia analisi, mi sono accontentato di riprodurre il profilo generale dell'argomentazione di Reich, e non ho voluto parlarne nei dettagli, che a mio avviso sono spesso ridicoli. Un'altra interpretazione nello stesso stile (e meno stravagante nelle sue elaborazioni secondarie) è quella che è stata proposta più recentemente da un'altra terapeuta con formazione psicoanalitica, Alice Miller. Nel suo "It's for Your Good", Miller sostiene che le caratteristiche dei leader nazisti, così come il sostegno popolare che sono riusciti a suscitare, derivino dalla «pedagogia nera», a cui i bambini tedeschi venivano e continuano ancora a essere esposti quotidianamente. A differenza di Reich, Miller non si concentra solo sulla repressione sessuale, ma estende la sua critica a tutte le forme di trattamento crudele, violento e sprezzante che esistono all'interno della famiglia patriarcale. Non è semplicemente il fatto che una pedagogia, interamente ed esplicitamente intesa a spezzare la volontà del bambino, a proibirgli ogni emozione e ogni riflessione, produca esseri terrorizzati all'idea di pensare con la propria testa, i quali così tendono facilmente a fare affidamento su un dittatore che assuma il ruolo del padre, e ne imitino persino le sue furie incomprensibili. Il bambino ferito, nel divieto di esprimere il proprio odio e rabbia, e ancor più di comprenderli, li reprime senza eliminarli: allorché diventa adulto, egli sarà tentato di trovare un oggetto sostitutivo, per sé o per lei, su cui indirizzare tutto questo, senza violare il divieto. Le persone già discriminate nella società, e che possono essere odiate senza timore di giudizio, ecco che sono allora i capri espiatori evidenti. Tipicamente, vengono etichettati, per proiezione, con le stesse caratteristiche di malvagità, sporcizia, che il bambino ha inizialmente dovuto dissociare da sé, interiorizzando così il giudizio crudele dei suoi genitori. Il carattere epidemico della "pedagogia nera" ci spiega perché la maggior parte della popolazione tedesca, compresi i suoi intellettuali, abbia aderito alla "soluzione" proposta da pochi uomini che erano stati particolarmente abusati durante l'infanzia, e l'abbia fatto senza scoprirne la sua irrazionalità. Senza sminuire i meriti di queste teorie psicoanalitiche, mi sembra chiaro che la soluzione che propongono sia troppo generale: proprio come la repressione sessuale, anche l'oppressione dei bambini è millenaria, e le caratteristiche che produce potrebbero servire da supporto a qualsiasi forma di autoritarismo. Il fascismo, invece, è peculiare dell'epoca contemporanea ed è solo una particolare forma di nazionalismo.

Tre sorgenti irrazionali dell'adesione al fascismo  
Nel suo "L'Actualité d'un archaïsme", Alain Bihr sostiene che il pensiero di estrema destra, spesso presentato dai suoi detrattori come arcaico e delirante, presenta in realtà una logica originale, la quale poteva apparire solo con la "crisi della modernità". Bihr riduce la struttura comune di tutte le manifestazioni dell'ideologia di estrema destra, a tre elementi essenziali. Innanzitutto, tutto il pensiero di estrema destra afferma l'esistenza di un'identità collettiva eterna e sacra. L'appartenenza di un individuo alla propria comunità non è negoziabile, la sua vita assume significato solo nella misura in cui egli sostiene i valori della sua comunità. Qualsiasi differenza - esterna o interna - dev'essere interpretata come una minaccia, e pertanto la minaccia è costante. In secondo luogo, l'universo viene rappresentato da tutti come se fosse un ordine gerarchico disuguale, dove non solo i forti dominano i deboli, ma dov'è bene che sia così. Riconoscere una differenza, porta inevitabilmente e comunque a stabilire la preminenza di una parte sull'altra. Terzo, tutti descrivono la vita come una lotta permanente per difendere la propria identità e supremazia sugli altri. È attraverso la guerra, che i forti rivelano il proprio valore a discapito dei deboli. Una visione della natura, in cui ogni organismo cerca di perseverare in sé, nel proprio essere, quella che è una competizione con gli altri, fino alla morte,la quale, grazie ai suoi successi, si colloca in un'unica scala, dove costituisce il modello ricorrente in cui tutti e tre questi aspetti si uniscono. Da questi emergono quelli che sono gli assi tipici della politica di estrema destra, in particolare il fatto che si chiede allo Stato, di difendere l'identità minacciata contro i nemici interni ed esterni, lasciando a una sola volontà, la definizione di questa identità. Inoltre, i nemici appaiono evidenti: il liberalismo, per la sua enfasi sulla libertà individuale a discapito delle norme comunitarie; il socialismo, per la promozione dell'uguaglianza, a costo di una lotta all'interno della comunità; e infine, l'umanesimo, per promuovere una fratellanza universale che supera i confini della comunità. «Alla triade repubblicana di "libertà, uguaglianza, fratellanza", si contrappone la propria triade: "identità, disuguaglianza, combattività". È comprensibile, che un programma del genere presupponga di mettere da parte determinati sentimenti positivi. Ma cos'è che rende questa visione del mondo così tanto affascinante?» Nel libro, Bihr analizza per prima cosa un romanzo dal forte sapore autobiografico del fascista francese Drieu La Rochelle, poi i discorsi politici dell'ex presidente del Fronte Nazionale, Jean-Marie Le Pen, e infine la retorica, ispirata dall'Action Française, di Maurice Barrès; oltre alle condizioni sociali e psicologiche di ricezione di tutti questi discorsi. Evito di dare un resoconto di ciascuno di questi studi, ma pensavo di poterne estrarre tre sorgenti irrazionali di adesione al fascismo.
   Per prima cosa, la solitudine dell'individuo nella società moderna. La costituzione delle grandi nazioni ha scombinato tanto le comunità di villaggio quanto i grandi quadri di pensiero, in particolare quelli religiosi. Li sostituisce con un maggiore anonimato, una maggior mobilità e con la prospettiva di felicità individuale, spesso associata a un semplice comfort materiale. Alla sofferenza della solitudine mentale, si aggiunge così anche la sensazione dell'assurdità degli sforzi richiesti. La corrispondente risposta psicologica, è il desiderio di appartenere a una comunità e al suo calore, dove la vita assuma un senso; e insieme a questa risposta, l'idea di una decadenza della società moderna. Essa diventa davvero irrazionale nel momento in cui vediamo società composte da migliaia di individui che vengono chiamate a dover svolgere questo ruolo di "comunità" nazionale, razziale o regionale. Se aggravato, questo comunitarismo può finire  per produrre l'idea che esista salvezza solo nel sacrificio di sé stessi, ai fini dell'avvento - o della difesa - di una simile comunità. Pertanto, per ottenere tutto questo, nessuna deviazione, o obiezione di coscienza, rispetto ai valori della comunità andrebbe tollerata.
    In secondo luogo, l'insicurezza degli uomini riguardo alla propria virilità. Gli uomini imparano a reprimere l'espressione dei propri sentimenti, così come l'empatia verso quelli altrui, imparano a concentrarsi sul lavoro, facendolo a discapito delle proprie relazioni emotive: un condizionamento queto,  che può solo aggravare la loro solitudine. Al contrario, per la maggioor parte di loro, l'ideale di una virilità irraggiungibile, legata al successo sociale, rimane una fonte continua di umiliazione. La risposta psicologica corrispondente è quella secondo cui la comunità ideale viene fantasizzata da loro a partire da un modello spartano, dove gli uomini si riconoscono a vicenda nella loro propria virilità comune. L'irrazionalità di questa risposta, ancora più evidente rispetto al primo punto, consiste nel voler cercare il rimedio proprio nel male. Se aggravato, questo virilismo può produrre l'idea che gli uomini debbano essere guerrieri, e le donne, madri e mogli dei guerrieri. Nessuna disabilità - né alcuna deviazione dalle norme tradizionali di genere - può essere tollerata.
    Terzo, il senso di colpa che deriva dal privilegio bianco. I bianchi sanno che parte del loro comfort deriva dallo sfruttamento coloniale e dalle sue eredità. La corrispondente risposta psicologica, consiste nel nascondere a sé stessi questa ingiustizia, denigrando le persone e le culture associate ai paesi colonizzati. Ma una simile rappresentazione, finisce per colorarsi degli elementi precedenti. Per una comunità di guerrieri, gli stranieri sono nemici, pronti a colonizzare a loro volta. Così, ai barbari africani, o orientali, viene attribuita una virilità straordinaria e minacciosa, mentre ad altri una lasciva effeminata. Infine, in tutto questo, vediamo che la figura dell'ebreo assume un'importanza particolare, a causa della sua associazione, reale o immaginaria, con degli ambienti intellettuali o finanziari: egli diventa così l'incarnazione della fredda astrazione della società moderna. Se aggravato, questo razzismo può produrre l'idea secondo cui la comunità dovrebbe rimanere pura e - se necessario - purificarsi dagli elementi etnici stranieri.

Nessuna influenza culturale esterna al gruppo - e nessun membro esterno - verrà tollerata. Se questa analisi è corretta, allora la conclusione è quella che le persone che oggi lavorano per promuovere la convivialità su piccola scala, e/o per decostruire mascolinità e bianchezza a livello personale, contribuiscono alla lotta antifascista. In modo che così, in effetti, riconoscendo l'importanza della sfera privata, stanno facendo ciò che i socialisti degli anni Trenta non riuscirono a fare.

- Tristan Lefort-Martine - Pubblicato su lundimatin#498, 24 novembre 2025 -