sabato 15 novembre 2014

Uguaglianza e identità

cervello

Il sesso del cervello... e quello dei ruoli sociali
di Christophe Darmangeat

E' da qualche tempo che sembra si stia definendo una controversia a proposito di un'eventuale "sesso del cervello", cioè a dire, l'esistenza - indipendentemente dal differente apprendistato che la società impone agli uomini e alle donne - di un'attitudine intellettuale staticamente differente secondo il sesso degli individui. L'autore più noto su quest'argomento è Catherine Vidal, che ha pubblicato diversi testi e si è imposta come un punto di riferimento - ovviamente, non tanto nel dominio strettamente scientifico, quanto presso un pubblico generale, o istanze più politiche. Tuttavia, recentemente le sue posizioni sono state attaccate a più riprese, in particolare da Nicolas Gauvrit e Franck Ramus, due specialisti delle scienze cognitive. Per farla breve: questi due ricercatori affermano che molti studi hanno riscontrato delle differenze fra il cervello maschile e quello femminile, che non possono essere imputate all'ambiente sociale (si può fare riferimento, ad esempio, a questo articolo  apparso sulla rivista dell'AFIS, "Scienze e pseudo-scienze"). Negando l'esistenza di tali differenze, Catherine Vidal renderebbe un cattivo servizio non solo alla scienza, ma anche alla causa femminista, poiché farebbe dipendere la necessità dell'uguaglianza uomo-donna da una realtà biologica (la mancanza di sesso del cervello) che può essere smentita in qualsiasi momento da delle nuove scoperte (e che, secondo Gauvrit e Ramus, sono già state fatte).
Nella sua conferenza sul tema, Franck Ramus torna in dettaglio sul legame che si stabilisce fra il riconoscimento dell'esistenza di differenze cognitive innate ed il programma femminista - trascrivo di seguito pressoché parola per parola il passaggio in questione):
"Per riassumere, abbiamo visto che le differenze cognitive fra gli uomini e le donne esistono davvero. Esse non sono affatto enormi, sono di taglia moderata, ossia non giustificano necessariamente una ripartizione di ruoli molto diversa fra uomini e donne nella società, ma sono attendibili. Per alcuni, si possono osservare fin dall'infanzia, perfino dalla nascita, inoltre, se ne cominciano a conoscere parzialmente le basi cerebrali, le origini ormonali e genetiche.
Quindi, ci sono differenze. E allora? Questo giustifica la discriminazione delle donne riguardo le assunzioni ed il pagarle di meno? Evidentemente no. Non c'è niente che possa giustificare tali discriminazioni, quali che siano le differenze che possono essere evidenziate. Quindi, si vede bene che questo è fuori luogo, nella realtà.
Si tratta di una confusione fra uguaglianza nei diritti e uguaglianza di fatto. Quando si dice: « gli esseri umani nascono liberi ed uguali nei diritti », non si sta affermando un fatto: si sta affermando un valore. E desideriamo affermare questo valore quali che siano le osservazioni che si possano fare, e quali che siano le differenze che si possono osservare fra gli individui. Perché in ogni caso, di differenze ce ne sono dappertutto, e ci saranno sempre: noi siamo tutti differenti, e in effetti, per essere tutti uguali, bisognerebbe non solo che fossimo tutti dei cloni, e quindi tutti dello stesso sesso, ma anche che noi ci trovassimo tutti in condizioni di laboratorio rigorosamente identiche. Chi lo vorrebbe? Perciò, le differenze, sono dappertutto, e infine è anche per questo che è interessante la vita umana: è la diversità. Ed è anche quello che permette di sperare che piuttosto che aver paura delle nostre differenze, si possa cercare di capitalizzare su di esse, e di riconoscere che abbiamo delle qualità che possono essere complementari.
Inoltre, ciò che è ancora più importante, è l'idea di giustizia e di equità. Quel che è ingiusto, è discriminare una persona perché lo si valuta sulle qualità medie, reali o supposte, del suo sesso o del gruppo al quale appartiene. Questo, è fondamentalmente ingiusto. La giustizia, è semplicemente il valutare le persone sulla base delle loro qualità individuali, indipendentemente dal loro sesso o dall'altro gruppo cui esse appartengono.
Per concludere, io penso che è questo che bisogna rivendicare per le donne: non l'uguaglianza di fatto, su tutti i punti, con gli uomini, ma l'uguaglianza come diritto, la giustizia e l'equità.
"

Questa conclusione sembra richiedere qualche commento.
Data la mia totale assenza di qualifiche in biologia, non posso che fidarmi circa gli studi che arrivano a concludere riguardo l'esistenza di differenze innate fra il cervello maschile e quello femminile, e di quello che persone come Ramus affermano. Inoltre, ammetto di essere un po' perplesso riguardo la posizione difesa da Catherine Vidal. Non mi sono affatto immerso nel dettaglio dei suoi scritti; non posseggo che il suo piccolo "Hommes, femmes, avons-nous le même cerveau ?" edito da Pommier, e recentemente sono andato ad una sua conferenza. Nei due casi, non sono arrivato a stabilire se lei neghi qualsiasi sessualizzazione innata del cervello (posizione che le viene attribuita da Gauvrit e Ramus) o se ammetta l'esistenza di questa sessualizzazione, contestandone il punto di vista sessista che la scienza, o la società, le riservano. Una frase, per esempio, tratta dal piccolo libro summenzionato, è rivelatrice di tale ambiguità. A proposito del progresso della conoscenza che ha permesso la risonanza magnetica, lei conclude:
"Di fatto, la variabilità individuale supera assai spesso la variabilità tra i sessi che, conseguentemente, appaiono come figure di eccezione".
Ora, per cominciare, non ci sono "conseguenze" fra le due proposizioni; quale che sia il fenomeno considerato, l'ampiezza della variazioni individuali è del tutto indipendente da quella delle variazioni fra i gruppi (qui, sessuali). Si possono avere delle deboli variazioni individuali associate ad una forte variazione fra gruppi, e, a sua volta, deboli o forti variazioni fra individui e fra gruppi: tutte le configurazioni sono possibili. Poi, questa frase può essere letta come il riconoscimento - a mezza bocca e con una buona dose di limiti, ma comunque un riconoscimento - della realtà delle variazioni fra sessi. Comunque sia, se questo punto è importante in una discussione con Catherine Vidal, non è essenziale per la discussione scientifica in quanto tale.
Le conclusioni di Ramus mi appaiono più problematiche, invece, allorché trattano del legame tra differenze sessuali biologiche (che, nel seguito del ragionamento assumerà come stabilite) e le rivendicazioni femministe.
Un elemento di confusione viene introdotto dall'utilizzo sistematico del termine di uguaglianza, laddove quello di identità sarebbe più preciso. Questa confusione è, è vero, tanto attuale quanto antica. Nondimeno: dire che per essere uguali, bisognerebbe che fossimo tutti analoghi, significa confondere la similarità delle quantità e quella delle qualità (o almeno, andrebbe precisato: per essere uguali sotto tutti i punti di vista - ma non credo fosse questo cià che Ramus aveva in mente).
Le cosa diventa fastidiosa, quando Franck Ramus limita la portata di quello che dev'essere il femminismo, all'uguaglianza nei diritti (sarebbe meglio dire: l'identità dei diritti), sostenendo che l'uguaglianza (l'identità) di fatto, in presenza di differenze innate, sarà sempre una chimera. Ma, le donne possono subire molteplici forme di inferiorizzazione che non si situano sul piano dei diritti, e che meritano nondimeno di essere combattute con altrettanta energia di quella riservata alle discriminazioni formali. Nessuna legge, per esempio, obbliga le donne ad assumersi la gran parte dei compiti domestici, o sbarra loro la strada agli studi tecnici. Ma un condizionamento sociale tanto pernicioso quanto efficace porta a che una grande maggioranza di uomini (ed una buona parte di donne) integrino questa specializzazione come data per scontata, fino a rappresentarla come il prodotto di scelte volontarie. Pertanto, combattere il sessismo, non significa solo abbattere i limiti formali che la società impone agli individui: significa anche opporsi alle pressioni sociali che portano al "sessaggio" degli individui, per riprendere un termine forgiato dalle femministe e che esprime bene quel che vuol dire.
Si è tentati di rispondere che anche in una società totalmente liberata da ogni sessismo, quello che prende la forma di discriminazioni legali o di semplici pressioni sociali, la differenza fra le attitudini innate degli uomini e delle donne porterebbero ugualmente ad una specializzazione sessuale dei ruoli - salvo errori, è proprio qui dove vuole arrivare Franck Ramus. E' possibile... ma solo a condizione che queste differenze di attitudine siano tali da conferire un vantaggio per un'attività concreta piuttosto che per un'altra. Ora, mi sembra, le attività concrete mettono sempre in gioco tutto un insieme di tali attitudini semplici per le quali le esperienze di laboratorio mostrano eventuali vantaggi per questo o per quel sesso. Per esempio, Franck Ramus riferisce della grande facilità maschile per la geometria nello spazio. Tuttavia, non è molto chiaro in quali attività concrete tali facilità, ed esse sole, porterebbero gli uomini a specializzarsi maggiormente rispetto alle donne.
In ogni caso, è questo il punto cieco del ragionamento di Ramus, le specializzazioni dei sessi (che vengano dettate per legge o dalla semplice consuetudine) non hanno, fino a prova contraria, alcun fondamento razionale, nel senso che non procedono da una più grande attitudine naturale degli uni o delle altre rispetto a questo o a quel compito - la sola eccezione possibile è la funzione legata alla maternità, che ha senza dubbio giocato un ruolo nella prima divisione sessuale del lavoro, anche se questo ruolo è estremamente difficile da definire. Ecco perché è molto tendenzioso dire che "le differenze cognitive tra gli uomini e le donne", per riprendere le parole di Ramus e per dimostrare quello che possono diventare, "non giustificano necessariamente una ripartizione dei ruoli assai differenziata tra gli uomini e le donne nella società". Fino a prova contraria, non giustificano in niente una ripartizione dei ruoli "molto", o anche moderatamente, differenziata - per lo meno, se non si parla dell'ipotetica divisione sessuale del lavoro che potrebbe esistere in una società senza dominio maschile, ma della divisione del lavoro reale che esiste nella società reale da millenni, e che costituisce il substrato del dominio maschile.

Christophe Darmangeat

fonte: Blog de Christophe Darmangeat. À propos de marxisme, d'anthropologie et d'évolution sociale

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