mercoledì 5 novembre 2014

Telecomunisti, musicisti, tassisti e lecca-lecca

14

Il disvalore dell'ignoranza
- "Critica del valore" tronca come ideologia di legittimazione di una nuova piccola borghesia digitale -
di Robert Kurz

*Nota precedente all'edizione stampata* 1. Dalla critica del valore all'ideologia del circolo digitale* 2. La sorella della merce e Internet come "macchina di emancipazione* 3. Forma del valore, sostanza del valore e riduzionismo della circolazione* 4. "Scambio giusto" e relazioni d'uso capitalistiche* 5. L'anima della merce in azione: dal "ben pagare il non serio" all'antisemitismo strutturale* 6. Produzione di contenuti, costi capitalistici e "riproduttività senza lavoro"* 7. Lavoro produttivo ed improduttivo nel contesto di riproduzione capitalistica* 8. Verso un'ontologia del lavoro secondaria* 9. Il carattere sociale totale della sostanza del valore e l'ideologia del capitale "produttivo" e "predatore"* 10. Svalorizzazione universale e teoria degli stadi di un'emancipazione simulatrice* 11. Falso universalismo ed esclusione sociale. L'ideologia dell'alternativa digitale come eldorado degli uomini della classe media trasformati in casalinghe* 12. Il punto di vista degli idioti del consumo virtuale* 13. Autoamministrazione della miseria culturale* 14. L'esproprio dei produttori e delle produttrici dei contenuti come abnegazione sociale e risentimento* 15. Termiti e formiche blu. La biopolitica della "intelligenza del formicaio" digitale* 16. Realpolitik di pauperizzazione dei candidati a capo dell'amministrazione di crisi nella cultura*

14. L'esproprio dei produttori e delle produttrici dei contenuti come abnegazione sociale e risentimento

Ricordiamo l'affermazione "sull'economia politica" altamente originale di Lohoff, secondo cui i presunti "beni universali" si trasformerebbero in "beni liberi", dal momento che non potrebbero "incorporare" nessuna sostanza di valore. Per riuscire ad arrivare a questa definizione, basata sull'ideologia della circolazione primitiva, come già sottolineato, il lavoro d'informazione e di contenuti - necessario nonostante tutto - viene definito improduttivo dal punto di vista capitalista, cosa che è vera; ma, tuttavia, la stessa cosa si applica anche ad una enorme quantità di altri tipi di lavoro astratto, nel contesto della riproduzione capitalistica. Per gli artefatti di informazione digitale, così come per i contenuti cui servono da supporto ("conoscenze, music, film, testi"), si pretende ora che questa definizione di "lavoro improduttivo" - che non è circoscritta in alcun modo a questo settore - significhi improvvisamente anche un'assenza specifica della forma merce nei "beni universali", il cui passaggio qui ed ora allo statuto di "senza prezzo" si presume che avvenga nel quadro della "teoria dell'appropriazione", mentre rimane intatto il capitalismo, il quale presumibilmente fabbrica ancora merci "seriamente". Le conseguenze per la riproduzione del lavoro di contenuti e d'informazione, nelle condizioni di una riproduzione capitalista per il resto rimasta inalterata, non solo sono semplicemente assurde, ma anche barbare e perdenti.
Se Lohoff dice sciocchezze con connotazioni di antisemitismo strutturale a proposito dei "redditieri dell'informazione" e Meretz denuncia "gli interventi selvaggi dell'industria della musica e dei film", poiché questa cerca d'impedire che i consumatori-"utenti" beneficino dei contenuti senza prezzo, tutto ciò è chiaramente una variante della critica tronca del capitalismo; che ovviamente nasconde dentro la mano un secondo livello di disastro ideologico. I "detentori del capitale" della Microsoft, della Bertelsmann o di un consorzio di Hollywood naturalmente non sono produttori diretti di contenuti o d'informazione, ma rappresentanti di un capitale monetario circolante (generalmente sotto forma di azioni). Sebbene l'attività di produzione di questo settore specifico sia solo un'infima parte, essa ha adottato la forma del lavoro salariato delle fabbriche o degli uffici, i suoi fornitori di prodotti d'informazione o di contenuti, siano anche freelancer, ossia, lavoratori indipendenti (e questo comprende non solo programmatori e designer, ma anche giornalisti, pubblicitari, attori, artisti, ecc.) sono in realtà lavoratori dipendenti, poiché dipendono dai loro onorari ("pane") per poter riprodursi. Che cosa accadrà, ora, di questa massa molto significativa di produttrici e di produttori di contenuti e d'informazione nel senso più lato, se i loro prodotti, in quanto supposti beni universali, diventano "senza prezzo" qui ed ora, pur non essendo, però, i beni di cui necessitano per la loro riproduzione materiale (e come mezzi di produzione)?
Meretz ha preso "amorevolmente" in mano questi produttori - accettando essi questo stadio passeggero di vita "ricco di opportunità" - per condurli, nei panni di imprenditori della miseria, verso un abisso manifestatamente simpatico, nel quale ora devono saltare a braccia spalancate, come angeli dell'emancipazione dalla forma merce. L'apoteosi della "opportunità". Nel suo testo, di cui ci occupiamo principalmente, Meretz (così come Lohoff) tratta una tale conseguenza nel campo dell'implicito, senza affrontarla esplicitamente. E' sempre più chiaro dove si voglia arrivare, sia su diversi forum su Internet, sia nelle mailing list dell'ideologia dell'alternativa digitale, dove svolge le sue diatribe una "critica del valore" ridotta, screditata, infine, una critica del valore degradata fino all'irriconoscibilità ( come per esempio su www.keimform.de ). Qui si solleva ripetutamente il problema della riproduzione dei produttori diretti di contenuti e dei loro mezzi di produzione.
Così, nel contesto del "movimento per la cultura libera", l'autore Dmytri Kleiner, co-fondatore di una "impresa (!) di telecomunisti", cerca di spiegare la differenza tra capitale d'informazione e capitale di conoscenza, da una parte, e fra produttori diretti di informazione e produttori diretti di conoscenza, dall'altra; un'analogia un po'maldestra con la contrapposizione, fatta dai marxisti del movimento operaio, fra lavoro salariato e capitale ( http://www.keimform.de/2007/08/14/copyfarleft-und-copyjustright ). Eppure, qui si discute del carattere dipendente della produzione di contenuti ("improduttiva" dal punto di vista capitalista). Il tentativo di "soluzione" - corrispondendo al carattere proprio della nuova piccola-borghesia del "movimento per la cultura libera" - viene di nuovo ricercato a livello del formalismo del contratto, nella misura in cui - per esempio nell'ambito delle licenze creative commons - in qualche modo venga considerata la differenza fra la rappresentanza del capitale ed i produttori immediati, per non cadere, inconsciamente, nell'errore che invece di essere, il capitale a venire, espropriato del suo potenziale di sfruttamento, possano essere i produttori a venire espropriati del loro reddito già di per sé precario. Rimane un mistero come questo possa avvenire in uno scenario di "assenza di prezzo" dei beni d'informazione e dei contenuti.
Meretz, in un tentativo di far sparire il problema in quanto tale, svalorizza immediatamente questa discussione in quanto sarebbe da forum "del marxismo del movimento operaio" (http://www.keimform.de/2007/08/16/copyfarleft-eine-kritik). Per lui non c'è alcuna differenza fra rappresentanza del capitale ed attività per conto proprio apparentemente autonoma o imprenditoria della miseria, alla fine tutto è semplicemente "valorizzazione" (concetto questo, per inciso, del quale non conosce il significato esatto, che per lui inoltre non è importante). Ora, quando lo "svalorizzare per valorizzare" - come egli ama descrivere i "redditi secondari" dell'imprenditoria della miseria - avrà svolto il suo compito, allora apparirà alla luce del giorno la verità per cui "l'umanità" dovrebbe essere un "pochino di più" liberata dall'ideologia della scarsità e dalla forma del denaro, nella misura in cui i produttori diretti di contenuti, di conoscenza e d'informazione - sotto condizioni che per il resto rimangono completamente capitalistiche - saranno "liberati" dalla possibilità di ottenere un reddito monetario, pur precario, per mezzo del loro lavoro. La timida domanda di un partecipante al forum, a proposito di come i musicisti professionisti, per esempio, potrebbero riprodursi, ottiene l'insolente risposta di Meretz secondo cui dovrebbero cercare la loro sussistenza in impieghi come quelli di "tassisti o qualsiasi altra cosa", in quanto la loro musica diventerebbe d'ora in avanti un "bene gratuito", per mezzo del quale potranno graziosamente rendere felice l'umanità. Quest'idiozia, dichiarata come un'equivalente della "emancipazione dalla forma di merce", non merita alcuna risposta argomentativa. Musicisti professionisti (ed altri produttori di contenuti) non sono sempre necessariamente degli esseri eterei, gentili e di natura non violenta. Quindi se Meretz continua a seminare la sua propaganda di espropriazione dei produttori, potrebbe raccogliere una reazione che forse potrebbe portare, a sua volta, a dover ricorrere ai servizi di polizia, di giustizia e magari anche ai servizi pubblici sanitari. La sua costruzione ideologica della "teoria degli stadi" non è un contributo all'abolizione della forma merce, ma semmai un contributo alla "guerra civile molecolare" (Enzensberger).
Dal momento che non viviamo in condizioni di comunismo, ma semmai in condizioni di capitalismo di crisi, la realizzazione dell'utopia particolare di Meretz, diretta principalmente contro i produttori di contenuti culturali, non "libererebbe" i loro beni ma, al contrario, porterebbe in gran parte alla paralisi la loro rispettiva produzione. Questo è anche un problema di "economia di tempo", perché la scarsità, sistemicamente generata, di tutti i beni materiali avrà una durata di tempo imprevedibile. Se i produttori di contenuti non possono vendere i loro prodotti nemmeno nel commercio di strada, ma devono molto gentilmente (sempre dentro il capitalismo di crisi, beninteso) offrirli all'umanità, allora il tempo disponibile per la produzione di contenuti subirà un'interruzione improvvisa e tenderà probabilmente a zero, poiché il tempo necessario verrà consumato da altre attività di miseria, con le quali verrà guadagnato il "pane", in quanto bene "rivale".
La "guida dei taxi" sarebbe un'occupazione abbastanza elevata in una favela; in generale, gli ex-musicisti, per esempio, vendono caffè o fiammiferi per strada, in quanto i CD da loro registrati con la musica che praticamente al giorno d'oggi non possono produrre, sono un caso abbastanza limitato. Più o meno lo stesso accadrebbe con la produzione di testi, come sa chiunque abbia già scritto qualche volta un libro. L'illusione per cui, attraverso una totale amatorialità forzata - nelle condizioni di un'accentuata lotta di sopravvivenza per il "pane" -, una graziosa "creatività" post-lavorativa avrà le gambe per camminare, potrà verificarsi solo per qualcuno che avrà ottenuto un part-time facile in una struttura sindacale o in una qualche fondazione, e che abbia ereditato un appartamento dai nonni. Quel che rimarrebbe, in generale, sarebbe una produzione di contenuti a livello di tempo libero e di hobby, ma già neppure nelle condizioni fordiste di lavoro normale e di sicurezza sociale; nelle attuali condizioni di crisi, la conseguenza sarebbe l'asfissia di tutto il potenziale di contenuti, che verrebbe sacrificato alla lotta feroce per il "pane".
L'unica ragione "teorica" per cui i lavori di contenuto, d'informazione e di conoscenza non dovrebbero essere remunerati consiste, bizzarramente, nel fatto che si tratta di un lavoro capitalisticamente improduttivo in termini di "economia politica". Tuttavia e dal momento che questa definizione - come ci ha illuminato Lohoff - si applica anche a giudici, soldati, ecc., così come a migliaia di altri impieghi della riproduzione capitalista; la logica che qui si afferma dev'essere pensata fino in fondo. Sarebbe qualcosa del genere: in quanto "critici" del valore, si suppone che in qualche modo vogliamo, giorno più giorno meno, abolire il denaro. Ora, non si può fare tutto insieme, ma non è neppure il caso di rimandare la cosa ad un futuro distante. In fin dei conti vogliamo godere già qui ed oggi di un po' di post-forma della merce. Da qualche parte si deve pur cominciare. Cominciamo allora con l'abolire "in parte" il denaro, nella misura in cui sopprimiamo i redditi monetari dei lavoratori "improduttivi". Tentare una simile misura con i magistrati o con i soldati sarebbe pretendere troppo, anche perché non è facile arrivare a loro; tentare di farlo con una maggioranza di altri "improduttivi" sarebbe ugualmente difficile. Ora, con i produttori di contenuti e d'informazione potrebbe essere più facile, poiché, allora che i loro prodotti vengono digitalizzati, sono già disponibili per il "download". Geniale e, come tutto quel che è geniale, incredibilmente semplice. Insieme ai suppostamente speculativi redditieri dell'informazione (già di per sé dipinti come abbastanza "ebrei"), anche i fornitori di contenuto, dipendenti, vengono resi totalmente privi del malvagio denaro (che è "buono" solo per i consumatori di merci, che non vogliono più spenderlo in inutili prodotti di contenuto).
Per quanto assurdo, ed anche sconnesso, possa apparire questo "contesto argomentativo", esso contiene in sé una certa dose di realtà negativa. Gli è che, anche se la comprensione dell'economia politica borghese non arriva a discernere teoricamente fra lavoro produttivo ed improduttivo, essa riflette ancora anche praticamente il problema dell'espansione relativa del lavoro improduttivo in seguito alla scientificizzazione della riproduzione, e della simultanea diminuzione della massa assoluta di plusvalore sostanziale. Questa relazione si impone alla superficie come un dilemma crescente di "sostenibilità finanziaria". La risposta dell'ideologia neoliberista della crisi trasversale ai partiti ed all'amministrazione pratica della crisi del capitalismo consiste, fra le altre cose, anche nella liquidazione, il più possibile, del lavoro improduttivo, in modo da economizzare di fatto il reddito monetario. Questo investe, com'è universalmente noto, gran parte delle infrastrutture pubbliche. Specialmente in aree come l'assistenza, la sorveglianza, l'istruzione, la cultura, l'educazione, ecc., in quanto non privatizzate, si devono sostituire sempre più lavori pagati con lavori "volontari" e, di conseguenza, non pagati. La cultura viene liquidata in larga misura, oppure diventa non remunerata, con un'inevitabile perdita di qualità, che viene implicitamente accettata. Meretz e il suo "movimento per la cultura libera" sono solo dei lanciatori di mode "alternative", sulla linea dell'ideologia neoliberista della crisi.
La domanda che si pone, ora, è come sia possibile che una tale miscela di sciocchezze teoriche, e di collage che mascherano una logica da amministrazione della crisi, non solo si possa trasformare in un progetto "emancipatore", ma trovi anche parzialmente un terreno fertile fra coloro contro la cui riproduzione sociale è diretta una simile ideologia dell'alternativa digitale; ossia, in un determinato tipo di produttori di contenuti e di conoscenza, che già sono stati relegati ad un livello di precariato indipendente. Questa situazione è spiegabile solo per mezzo della psicologia sociale della precarizzazione postmoderna, che va di pari passo con una determinata mentalità. In questa prospettiva, si può innanzitutto dire che nell'anima scissa della merce, come abbiamo già detto, l'anima del consumatore si sovrappone a quella del produttore. I nipoti dell'ormai defunto fordismo, socializzati nell'era dell'economia delle bolle finanziarie, hanno interiorizzato, forse come nessun'altra generazione prima di loro, una vita misurata sull'orientamento verso il consumo delle merci. Ora si suppone che il consumo sarebbe addirittura produzione e la produzione, nella forma che continua ad essere capitaliasta, sarebbe in qualche modo consumo, quindi una specie di lecca-lecca. Lo slogan generale postmoderno, secondo il quale la situazione è disperata ma non è grave, contiene ancora una sua forza irradiante, nonostante la crisi galoppante. La stessa precarizzazione non può essere presa completamente sul serio; in qualche modo, essa è una specie di "gioco" o di "film", nel quale i "vecchi" possono sempre passare per stupidi.
Il senso consumista infantile è già conforme alla summenzionata quasi totale incapacità di organizzazione. Persone che considerano un incontro personale, con ora e luogo segnato, come se fosse una coazione stalinista, non sono tuttavia capaci di una qualsiasi resistenza sociale nel mondo reale, ma solo, tutt'al più, di una pseudo-organizzazione nello "spazio virtuale", senza alcuna compromissione reale. Come contropartita, si sviluppa un enorme potenziale allucinatorio. L'esistenza come imprenditoria della miseria viene esaltata inoltre come un'aureola di "libertà" e di "indipendenza". L'auto-sfruttamento sembra essere un'auto-realizzazione e appare come un'opportunità, secondo Meretz, che si trova dietro l'angolo. L'auto-affermazione allucinatoria come abnegazione volontaria ed auto-negazione sociale fa parte dell'accettazione incondizionata della situazione di crisi, dalla quale si vorrebbe ancora sottrarre il "capitale culturale" (Bourdieu).
Questo non esclude il veleno della concorrenza universale, anzi! L'auto-negazione dev'essere applicata a tutto. In termini di produzione di contenuti culturali, nessuno vuole dedicare la propria vita ai contenuti, al contrario, è preferibile che la produzione sia prima consumo; e, dal momento che gli stessi produttori non credono alla domanda di contenuti, i risultati sono corrispondenti, volendo essere, pur così, più grandi, anche se la produzione di consumatori praticamente non ottiene di trarre un qualsiasi reddito monetario. E' proprio questa la ragione per cui fiorisce il risentimento contro tutti coloro che sono ancora in grado di riprodursi, anche se solo parzialmente, attraverso la produzione di contenuti, per la quale naturalmente è necessario qualcosa più che l'ideologia di meri "produttori"-consumatori. In tal caso si applichi, senza eccezioni, l'Hartz IV a tutti i produttori di contenuti! E' questa la logica che si nasconde dietro tutto questo modo di pensare. Ed è esattamente questa miscela di abnegazione sociale e di risentimento maligno che, al suo interno, costituisce l'obiettivo dell'elaborazione ideologica di Meretz e Lohoff.

15 – segue -

Robert Kurz

fonte: EXIT!

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