mercoledì 28 febbraio 2007

L'uomo che non poteva piangere



Una canzone di Johnny Cash, anche se è stata scritta da Loudon Wainwright III! Una di quelle storie, fra l'ironia e la parabola, cui ci ha abituato certa canzone americana.


L'uomo che non poteva piangere
di Loudon Wainwright III

C'era una volta un uomo che proprio non poteva piangere,
Non aveva più pianto per anni e anni
Bambini bruciati dal napalm e film d'amore
Per esempio non riuscivano a farlo piangere.

Da piccolo aveva pianto, come piangono tutti i bambini
Ma ad un certo punto i suoi condotti lacrimali si erano prosciugati.
Crebbe fino a diventare un uomo, fece scoppiare dei casini,
Le cose cominciarono ad andar male, ma non sapeva piangere.

Il cane gli finì sotto una macchina, la moglie lo piantò
E subito dopo essere stato licenziato in tronco
Perse un braccio in guerra,venne deriso da una puttana
E nonostante tutto ciò non tirò su col naso né singhiozzò.

Rifiutarono il suo romanzo, il suo film venne stroncato
Il suo spettacolo a Broadway fu un fiasco.
Venne mandato in galera, e - avete indovinato - niente cauzione.
Ma ancora niente lacrime, neppure una goccia.

In prigione fu picchiato, maltrattato e inculato
Lo misero a fabbricare targhe d'automobile.
Pane e acqua, era tutto ciò che gli davano
Ma nessuna lacrima gli bagnò la faccia.

Furono chiamati dei dottori, e anche degli scienziati.
E alla fine, praticamente per ultimi, dei teologhi.
Furono tutti d'accordo, più o meno; sicuramente non era un incapace
Anzi, era una bestia insensibile.

Così lo tolsero di prigione, e lo misero in un posto
Per gli insensibili e i matti.
Giocò tanto a scacchi, e si fece un bel po' di amici
e pianse ogni volta che pioveva.

Una volta piovve per quaranta giorni, e piovve per quaranta notti,
E lui piangeva, piangeva, piangeva e piangeva
Al quarantunesimo giorno passò a miglior vita
Era rimasto disidratato, e morì.

Bene, arrivò in paradiso, ritrovò il suo cane
Ma non solo, ritrovò persino il suo braccio.
Giù sulla terra, i critici si rimangiarono tutto,
E un cancro privò la puttana del suo fascino.

La sua ex-moglie morì di smagliature, il suo ex-padrone rimase senza un soldo
I teologi furono smascherati come imbroglioni
Il vecchio carcere andò a fuoco, e bruciò fino alle fondamenta
E la terra fu per sempre preda della siccità.

martedì 27 febbraio 2007

l'olandese



Michael Smith nasce il 7 Settembre del 1941 a South Orange, New Jersey, dove frequenta le scuole cattoliche "Nostra Signora della Valle" e "Nostra Signora del Dolore". In queste scuole ambienterà alcune delle sue migliori canzoni.
A quindici anni si compra una chitarra per cinque dollari. Con quella comincia a suonare, ispirandosi in egual misura alla musica del Kingston Trio e di Harry Belafonte. Con un gruppo che si fa chiamare i Kalypso Kids, comincia ad esibirsi in varie strutture, compresi Ospedali Psichiatrici. Quando è al college, in Florida, forma un gruppo, i Wanderers. Poi comincia a girare con un duo chiamato i Talismen.
"Quelli erano tempi in cui venivi ingaggiato per una settimana, e la gente stava in piedi ad ascoltarti. Essi non avevano idea di chi tu fossi. Era solo Folk Music!"
Per tre anni, a Miami, sei notti la settimana, Michael suona solo canzoni sue.
"Dicevo che la canzone era di Fred Neil, e la gente rispondeva che non l'aveva mai sentita prima, quella canzone. E io dicevo che era un delle sue migliori canzoni, e chiedevo se erano d'accordo."
A Miami, al Flick, conosce Barbara Barrow, che diventerà sua moglie.
Steve Goodman incide "The Dutchman" e la gente comincia a cercare le canzoni di Michael Smith. Suona al Philadelphia Folk Festival con John Prine e Corky Siegel e insegna alla "Old Town School of Folk Music". Poi gli viene chiesto di scrivere la musica per la produzione di "Furore" di John Steinbeck, e con quello gira i teatri di America e Inghilterra per due anni. Poi comincia ad incidere per la "Flying Fish".
Con Jamie O'Reilly crea e incide "Pasiones: Songs of the Spanish Civil War"


L'Olandese
di Michael Smith

L'olandese non è quel tipo d'uomo
che possa tenere infilato il suo pollice nella diga
Porta i suoi sogni dentro di sé
ma quello è un segreto che conosce solo Margaret

Quando Amsterdam si tinge d'oro nella luce del mattino
Margaret gli porta la colazione
Lei gli crede
quando lui pensa che i tulipani fioriscano sotto la neve
Lui è pazzo, ma solo Margaret a volte vede
nei suoi occhi il loro bambino mai nato

(coro):
Andiamo in riva all'oceano
Dove le dighe si levano alte sulla Zuiderzee
Molto tempo fa ero giovane
Serbane il ricordo per me, cara Margaret

L'olandese calza ancora zoccoli di legno
La sua giacca e il suo cappello sono stati rattoppati con l'amore
che Margaret ci ha cucito dentro
A volte lui crede di essere ancora a Rotterdam
quando guarda i rimorchiatori scendere i canali
E li saluta quando pensa di riconoscere il capitano
Fino a quando Margaret viene per riportarlo a casa
Camminando per strade inesorabili che lo fanno inciampare
E sebbene lei lo tenga per mano
A volte teme di essere solo e chiama il suo nome

(coro)

I mulini girano nell'inverno
Lei lo avvolge più stretto nella sua sciarpa
Siedono in cucina
Una tazza di the corretta col whiskey allontana il freddo
Lui la vede per un istante, la chiama per nome
Lei prepara il letto mormorando una canzone d'amore
L'ha imparata quando la melodia era nuova
Ne mormora un verso o due
Mormorano insieme nella notte
L'olandese si addormenta e lei spegne la candela con un soffio

(coro)

lunedì 26 febbraio 2007

Thank You, Satan!



"Cristo conosceva la collera; anche le lacrime; ma non il riso. Virginie non riderebbe alla vista di una caricatura. Il saggio non ride, e nemmeno l'innocenza. Il comico è un elemento dannato e di origine diabolica. "

- Walter Benjamin su Baudelaire -

domenica 25 febbraio 2007

Buio A Mezzogiorno




















Credo valga la pena di copiarlo e incollarlo, il "commento" di Loris Campetti, pubblicato sul "Manifesto" di sabato 24 Febbraio. Senza "commenti".

Il compagno Cappelloni Guido
Loris Campetti

«Vieni avanti», mi aveva detto in tono freddo ma rispettoso. E non aveva aggiunto «cretino», quel compagno grigiamente elegante. Erano tempi in cui il dissenso non era consentito, ma i modi restavano cortesi. Andai avanti, era una stanza molto grande in non ricordo quale piano del mitico palazzo del Pci, alle Botteghe oscure. Quel compagno mi spiegò in tono severo che mi ero «posto oggettivamente fuori dal partito». Io non ero d'accordo. In quella grigia giornata di fine inverno del 1970 ero ancora convinto che «quelli del Manifesto» avessero ragione su tutto tranne su una cosa: non dovevano farsi radiare, dovevano restare dentro a far battaglia politica. Io ci provai, per un anno ancora, finché la verità (che come è noto era depositata alle Botteghe oscure) non mi venne sbattuta in faccia: «Forse sei un compagno in buona fede - mi disse paternamente quel compagno - ma devi prendere atto che non sei uno del Pci, sei uno del Manifesto». E aggiunse: «Tanti auguri». Avevano ragione i compagni che erano stati espulsi un anno prima. E aveva ragione quel dirigente delle Botteghe Oscure, che peraltro non parlava a titolo personale ma addirittura su mandato della CCC (il CC era il Comitato centrale, la CCC invece, la Commissione centrale di controllo). Erano i tempi del «centralismo democratico».
Ieri, parlando al telefono con quel reprobo di Franco Turigliatto, che ammetto di conoscere da tempo, ho scoperto che anche lui è stato convocato da un compagno che presiede il Collegio di garanzia (mutatis mutandis) del Partito della Rifondazione comunista, incaricato di spiegare all'affossatore delle speranze democratiche del popolo di sinistra che il suo operato l'ha reso «incompatibile con il Partito». In poche parole, Turigliatto «si è messo oggettivamente fuori dal Partito». Il racconto potrebbe finire qui - una semplice analogia. Senonché, capita che il compagno che fece chiarezza nella mia mente (e pulizia nel Partito) 37 anni fa si chiamasse Guido Cappelloni. E capita che il compagno che ha convocato Franco Turigliatto si chiami, anch'egli, Guido Cappelloni. E' ovvio, non può che essere un curioso caso di omonimia. Quel Cappelloni con cui ebbi a che fare io era nato a Macerata, come me ma molto prima, nel '25 e dunque poteva essermi padre. Si era iscritto al Pci nel '44 e aveva già alle spalle una gloriosa storia di guida delle proteste popolari, da quelle contro l'attentato a Togliatti alle lotte mezzadrili nelle Marche, al biennio rosso '68-'69. Quindi la carriera nel Partito, in quella componente del Partito che aveva come fari i compagni Pietro Secchia e Armando Cossutta. Quel Guido Cappelloni che ha convocato - non a Botteghe oscure, a via del Polichinico - Franco Turigliatto, invece, è nato a Macerata nel '25, nel '44 si iscrisse al Pci e «nel periodo che va dal '48 al '69 sostenne numerose proteste popolari...».
Sì, è proprio lui. E' sempre lui. Una vita da custode dell'ortodossia, in nome del «centralismo democratico». Sono passati 37 anni, forse sono passati invano. Credo che sia un'ottima persona, il compagno Cappelloni, il problema non è lui.
Non so perché, improvvisamente mi viene in mente un vecchio libro di Arthur Koestler: «Buio a mezzogiorno», scritto a ridosso delle purghe staliniane.

- Loris Campetti - da il manifesto

venerdì 23 febbraio 2007

Gerusalemme, domani.



David Olney. Tredici dischi, e l'ultimo è un live. "Lenora".
L'ennesima dimostrazione di una capacità di ammaliare, con la sua vena compositiva, anche dal vivo. Tanto per cambiare, è stato l'incontro con la musica di Townes Van Zandt a convertirlo definitivamente, e irreversibilmente, alla ... chitarra acustica. La sua musica cambia da "Deeper Well", nel 1989, e il rock blues degli esordi viene messo da parte in favore di un folk stradaiolo sposato alla musica delle origini scozzesi di Olney. Ascoltare le sue canzoni è come vedere una storia che si anima davanti agli occhi. Ogni scena è - come dire - accurata. Puoi vedere il calore del sole tremolare sul selciato, sentire i suoni della città, annusare gli odori. Tutto in una canzone, come in questa "Jerusalem Tomorrow" che racconta di uno strano "messia"! Ed ogni volta che la riascolti ci ritrovi qualcosa di nuovo. Come nei migliori film, come nei migliori libri. Non a caso, quando gli veniva chiesto quali fossero i suoi autori preferiti, Townes Van Zandt rispondeva: “Mozart, Lightnin’ Hopkins, Bob Dylan ma, soprattutto, David Olney”.

Gerusalemme, domani
di David Olney

Tu mi avessi incontrato tanto tempo fa, allora
avrei potuto raccontarti una storia, tirandola per le lunghe
Avrei potuto dirti che il nero era bianco, e che la notte era giorno
Ma non solo quello avrei potuto dirti
A quel tempo avrei potuto davvero mentirti

Avrei potuto pagare un bambino e dirti che era storpio
Poi lo avrei toccato e lo avrei fatto camminare di nuovo
Allora avrei sfoderato qualche trucco di magia pretendendo di guarire gli infermi
Avrei portato loro via tutto quello che potevano darmi
Non era poi un modo così cattivo di vivere

Così mi ritrovai in questa città deserta, calda come l'inferno
e non c'era nessuno che comprasse quello che avevo da vendere
Feci camminare il mio bambino storpio, feci parlare un muto
E cercai di far piovere giorno e notte
Ma ciascuno si girava dall'altra parte e se ne andava

Allora mi resi conto che stavo solo perdendo tempo
perciò attraversai la strada per andarmi a bere un bicchiere di vino
quando saltò fuori questo vecchio a dirmi che ti aveva visto per strada
E' una buona notizia, dico a me stesso
ma il tipo che ora ho davanti, lo scorso mese era completamente diverso

Adesso invece di invocare il fuoco che cade dal cielo
Stava parlando d'amore con voce suadente
E, per dirti una cosa divertente, non voleva i soldi di nessuno
Ora io non sono affatto sicuro di cosa tutto questo significhi
Ma giuro che era la più dannata cosa che abbia mai visto

Perciò dal momento che una città vale l'altra
E non riuscii a tirare su un centesimo, e non sapevo perché ci fossi venuto
Decisi di andargli dietro per scoprire cosa c'era sotto
Egli aveva convinto tutti di essere reale
E io sono convinto che insieme possiamo tirarci fuori un buon affare

Così lui mi ha offerto un lavoro e io ho detto "eccellente!"
Dice che mi pagherà lungo la strada
Scommetto che rimarremo legati a lungo, non vedo come le cose possano andare storte
Fino a che mi pagherà, lo seguirò
Siamo diretti a Gerusalemme, domani.

giovedì 22 febbraio 2007

relatività ...



11 giugno 1924, mercoledì, Praga.
Certo i tempi non erano del tutto facili. Ma dov'erano? I tempi?
In Italia i fascisti apparecchiavano i loro neri intrighi. Ma l'Italia era lontana, da Praga!
In Russia Lenin era morto in gennaio, e Trockji si trovava già in esilio. Ma la Russia era lontana, da Praga, e da parecchio tempo aveva smesso di giocare il ruolo della grande madre slava, che tutto cingeva nel suo enorme abbraccio.
In America Woodrow Wilson era morto in febbraio, e con lui era scomparso uno degli artefici della nuova pace. Ma l'Europa, di nuovo, si credeva molto lontana dall'America.
In Germania un oscuro e sconosciuto mestatore era impegnato a scrivere un libro, "Mein Kampf". Ma cosa importava, a Praga, della Germania?
A Praga l'interesse dei più andava al fatto che la moda prescriveva, alle signore, l'acconciatura alla paggetto! Un evento mondiale. Una trasformazione immane.
Per i poeti e gli scrittori praghesi tedeschi, specialmente per gli ebrei di lingua tedesca, l'11 giugno 1924 fu una giornata cupa e dolorosa. La giornata in cui il corpo di Franz Kafka, arresosi otto giorni prima, nel sanatorio Kierling presso Vienna, alle sue lunghe e tormentose sofferenze, era stato trasportato a Praga e quel mercoledì, alle quattro del pomeriggio, sarebbe stato seppellito.

mercoledì 21 febbraio 2007

umoristi!



Da "Repubblica"

09:18 D'Alema: "L'Italia rispetta l'articolo 11 della costituzione"

La politica estera dell'Italia è coerente, ha detto D'Alema, e "rispetta l'articolo 11 della costituzione". L'aspetto essenziale è "il rifiuto della guerra come principio della risoluzione dei conflitti" sancito dalla costituzione.

Evidentemente, la guerra in Kosovo, l'Iraq e l'Afghanistan, non erano, e non sono, guerre fatte per risolvere conflitti. Solo così, per divertirsi!



Gli Stati Imp/Uniti di Edward Abbey


"Ti appartiene davvero, questa terra? E' davvero tua? Cent'anni fa l'avevano gli Apaches, era tutta loro. Gliela rubarono tuo padre e altri come lui. La ferrovia e i grandi allevatori hanno cercato di rubarla a tuo padre, e poi a te. Ora te la ruberà il governo. Questa terra è sempre stata brulicante di ladri...Fra cent'anni, quando saremo tutti morti e sepolti e dimenticati, la terra sarà ancora qui, e sarà ancora la stessa inutile distesa riarsa di sabbia e cactus, e qualche altro ladro senza cervello la recingerà e strillerà che è sua, che gli appartiene, e dirà agli altri di stare alla larga."

da "Fuoco Sulla Montagna" - di Edward Abbey -

martedì 20 febbraio 2007

racconta Platone ...



...che la più terribile fra tutti gli dei, la dea Ananke, la Necessità, ordina ai morti di scegliersi un nuovo destino, nell'aldilà. Ragion per cui, ciascuno si ritrova obbligato a scegliersi un nuovo percorso di vita. Ché con la Necessità non si scherza! E così gli uomini scelgono. Orfeo - quello finito male perché s'era voltato a controllare che Euridice lo stesse seguendo - decide che lui sarà un cigno. Aiace, l'eroe che si era suicidato dopo essere rimasto vittima di un concorso truccato, sceglie un leone, per reincarnarsi. Tersite - che tanto piaceva a Marx, per sapersi opporre al potere - si risolve a diventare una scimmia. E poi Agamennone che, "detestando il genere umano per le sofferenze subite", preferisce l'esistenza solitaria di un'aquila. Atalanta, la più veloce fra tutte le fanciulle, chiede ed ottiene una nuova vita come atleta maschio, per gareggiare e vincere (dal momento che le donne non potevano partecipare a competizioni agonistiche). Il pugile Epeo vuole essere una donna operaia: niente più combattimenti, ma un tranquillo lavoro da artigiana. Infine il più geniale, il più scaltro di tutti. Odisseo, arciere infallibile e seduttore di maghe e di lolite, eversore di città ed architetto di inganni, il molto paziente Ulisse. Lui sceglie per ultimo. Ed "essendo guarito dall'ambizione, grazie al ricordo dei travagli passati", il suo nuovo destino dovrà essere quello che attiene alla vita di uno sfaccendato qualsiasi!
E qualcosa nella sua scelta fa pensare che, ancora una volta, il re di Itaca abbia capito tutto.

lunedì 19 febbraio 2007

considerazioni a margine



Dovrei parlare di Vicenza, e delle basi americane. Dovrei parlare della "brillante operazione" che ha smantellato la "colonna cgil" delle nuove brigate rosse, e della solita criminalizzazione conseguente di ogni dissenso. Dovrei parlare di queste cose, ma non ne ho punta voglia. E allora parlo di calcio. Guarda tu! Sarà stata la pagina sportiva del manifesto (che per adesso sembra essere l'unico ambito, in quel giornale sedicente comunista, immune dalle pruderie prodiane di parlato & co., forse) dove c'è un bell'articolo di Emilio Quadrelli (sì, quello di "Andare ai resti" e "Gabbie metropolitane", entrambi per DeriveApprodi) a proposito di stadi e proletariato. Sarà il considerare che il calcio è rimasto l'unico luogo dove si accendono ancora le passioni civili, dove si è faziosi di padre in figlio, dove l'avversario viene disprezzato a prescindere, dove qualsiasi cosa, il nemico, faccia o dica egli rimane "contro di te". Ed è un luogo dove ancora i corpi reali irrompono, in scontri e battaglie. Un vero fastidio, una scocciatura: devono essere tolti di mezzo i "delinquenti" che non hanno capito che la democrazia è un'altra cosa.
Il calcio di oggi è oramai un altro gioco!
Come ebbe a succedere, molti anni fa, al baseball americano, con l'irruzione massiccia della televisione. E il rimpianto per "quel" baseball è diventato il rimpianto per un'America che non c'è più. Foto in bianco&nero, the hall of fame, campioni e divine (vorrete mica mettere Marylin con una velina!?). Tutto passa, certo, ma il rimpianto rimane. Rimane il lutto. Così c'è anche chi lo elabora in pensieri, in libri, in film. Alcuni anche belli. Alcuni anche profondi.
E c'è chi mena le mani.

venerdì 16 febbraio 2007

1977 - 2007



Le "celebrazioni" si sprecano, così come gli anatemi. Se ne indagano tutti gli aspetti. E tutte le responsabilità. I giornali (da Repubblica a Liberazione) lanciano il gioco del "ritrovatevi e poi riconoscetevi nella foto!".
Le librerie pullulano di libri sull'argomento. Ci scrivono perfino le lucieannunziate, con un occhio di riguardo per il "ceto politico". Deriveapprodi ci prova, addirittura, con un'opera in tre volumi e completa di dvd. Ce n'è di che leggere! Io propongo solamente questa canzone. Per chi la vuole ascoltare, basta un click di mouse sul titolo...

In Un Antico Palazzo...
Autore: SaraBanda

In un antico palazzo nel cuore della tua città
si lotta col tempo, si muore, nessuno lo sa
se passi vicino a ’ste mura,
ti prego, staccane un pezzo.
Se pensi di avere paura
ricorda che adesso, proprio in questo momento
un fratello è privato della libertà.

Mi chiamo Roberto, presunto bierre,
mi hanno scoperto mentre rischiavo la pelle.
Non erano i soldi che mi facevano gola,
non era per rabbia che impugnavo una pistola.
Quindici anni in collegio, poi il quartiere a Milano,
la banda di autonomi ed un ultimo piano
Ma poi ho tagliato i miei lunghi capelli,
non servivano a niente, erano troppo belli,
non servivano a niente, erano troppi belli.

Il mio nome è Domenico, ma chiamatemi Dodi,
quand’ero più giovane picchiavo per soldi.
Solo dopo ho imparato che compagno vuol dire
aver meno soldi e più cose da dire.
Non bevo e non fumo, il mio mito è Bruce Lee,
non voglio sprecare i miei muscoli qui,
mi guardano stretto ma sto sempre all’erta,
nel caso ci sia qualche porta aperta,
nel caso ci sia qualche porta aperta.

In un antico palazzo nel cuore della tua città
si lotta col tempo, si muore, nessuno lo sa
se passi vicino a ’ste mura,
ti prego, staccane un pezzo.
Se pensi di avere paura
ricorda che adesso, proprio in questo momento
un fratello è privato della libertà.

Ed io sono Lino, il più buono di tutti,
dicono che ho fatto da solo trentacinque rapine.
Ma che andate dicendo? Questo è solo l’acconto,
dei tredici anni che mi avete rubato.
Ne avevo diciotto quando entrai in prigione,
e ho presto imparato la legge del bastone,
103 carceri mi hanno fatto girare,
ma sono qua pronto di nuovo a lottare,
ma sono qua pronto di nuovo a lottare.

In un antico palazzo nel cuore della tua città
si lotta col tempo, si muore, nessuno lo sa
se passi vicino a ’ste mura,
ti prego, staccane un pezzo.
Se pensi di avere paura
ricorda che adesso, proprio in questo momento
un fratello è privato della libertà.

E poi tutti gli altri, sono ormai centinaia,
seppelliti a Favignana o nei bunker dell’Asinara,
botte, isolamento e celle dove non puoi muovere un dito,
hanno paura di loro perché nessuno è pentito.
Miei cari compagni, non so come voi la pensiate,
se siete d’accordo, che giudizio politico date,
sarà forse banale, ma non sento ragione:
saremo tutti meno liberi finché resta in piedi una prigione.
saremo tutti meno liberi finché resta in piedi una prigione.

In un antico palazzo nel cuore della tua città
si lotta col tempo, si muore, nessuno lo sa
se passi vicino a ’ste mura,
ti prego, staccane un pezzo.
Se pensi di avere paura
ricorda che adesso, proprio in questo momento
un fratello è privato della libertà.

bandiere



"Ry Cooder è tornato, e stavolta è incazzato". Credo che il commento fatto da Massimiliano, a proposito di quanto avevo scritto su "My name is Buddy", renda perfettamente l'idea. Soprattutto leggendo il testo della terza canzone del disco - forse la più bella - che Federico ha provveduto a trascrivere sul suo blog. Strike, sciopero!
Sì, penso proprio che abbia ragione Oreste, quando dice che ciascuno, se deve proprio bruciare una bandiera, deve bruciare quella dello stato del proprio paese. Così come fa Ry Cooder, con una canzone come questa.


SCIOPERO (Ry Cooder)

Arrivai in treno, una sera
e scesi in una cittadina di minatori
Avevo appena cominciato a camminare per la strada principale,
mentre il sole cominciava a tramontare,
quando mi arrivò il suono delle canzoni.
Pensai che potesse essere una festa di compleanno
e che potesse esserci posto per un invitato in più

Ma erano i minatori, con le loro famiglie,
che quel giorno avevano abbandonato il lavoro
chiedendo misure di sicurezza
e scendendo in sciopero per una paga decente.
E cantavano canzoni di lotta
con spirito indomito
"Non farti fregare un solo dollaro
e controlla la paga oraria".

"Il sindacato dei minatori resiste unito
Fate attenzione, non siamo in un romanzo
Non fatevi fregare un solo dollaro
e controllate la paga oraria".

Improvvisamente arrivò correndo la polizia
Arrivavano da tutte le parti
Sciolsero il raduno dei minatori
e portarono tutti in prigione
Ma i minatori continuarono a cantare
E cantarono per tutta la notte
Cosicché quando spuntò il sole, al mattino,
avevo imparato la canzone dei minatori.

Ma il giudice chiese al capitano della polizia
"Cosa ci fa qui quel gatto rosso?"
"Arrestare tutti i rossi che stanno per la strada. Signore,
erano i vostri ordini. Forti e chiari".
Perciò mi fecero uscire dalla prigione, sul retro.
Ma io non volevo abbandonare i miei amici minatori
Così saltai sulla finestra della prigione
e cantai di nuovo quella canzone.

"Il sindacato dei minatori resiste unito
Fate attenzione, non siamo in un romanzo
Non fatevi fregare un solo dollaro
e controllate la paga oraria".

giovedì 15 febbraio 2007

città di frontiera - la canzone



La canzone è semplicemente stupenda, fatta di quella sequenza di immagini che prendono gli occhi e il cuore. Spero che la collaborazione, fra i due. sia destinata ad un futuro...
Clicckando sul titolo della canzone, si può anche ascoltarla, pur se la qualità non è eccelsa!

CITTA’ DI FRONTIERA
(testo: Massimiliano Larocca/Andrea Parodi, musica: Massimiliano Larocca)

Alla radio canzoni d’amore nella notte scura
Fernando impugnò il suo coltello per farmi paura
E’ l’aria che è gonfia di sale
e le barche fantasmi sul mare
Non è mai primavera
nelle città di frontiera

I miei occhi hanno spento la luce quand’ero sul ponte
profumo di malva e cous-cous, sudore alla fronte
le facce da rinominare
e un altro cargo da scaricare
La musica è bella alla sera
nelle città di frontiera

Nelle città di frontiera
tutto è splendore e miseria
la gente impara soltanto
a rincorrere il tempo
Nei passi di una bambina
dai vetri di una cucina
la gioia confusa al pianto
e le tende al vento

Un altro giro di vodka per la signorina
nessuno conoce il suo nome, né dove và la mattina
eppure mi tolgono il fiato i tramonti di cui mi ha parlato
domani sarà primavera
nelle città di frontiera

La musica è bella alla sera
nelle città di frontiera
ogni canzone è preghiera
nelle città di frontiera
c’è chi si arrende e chi spera
nelle città di frontiera
nelle stazioni e in galera
nelle città di frontiera
oggi è giorno di fiera
nelle città di frontiera…….

mercoledì 14 febbraio 2007

provarci ancora una volta



Ho avuto la fortuna di poterlo ascoltare, e vedere, suonare dal vivo al teatro-tenda di Firenze, alla fine degli anni settanta, quando ancora in questa città era dato di poter ascoltare musica! Lo conoscevo già da qualche anno, fin dai tempi dei primi dischi del suo amico, e sodale, Jerry Jeff Walker, che gli aveva dedicato anche una bella canzone. "David and me".
Chitarrista dotato di grande tecnica e fine musicologo, i suoi dischi compongono una collana di valore inestimabile. Dal primo, "David Bromberg", all'ultimo (ora penultimo!), "Sideman Serenade", uscito 17 anni fa. E così, a 17 anni da quel disco, e all'età di 61 anni ha deciso di provarci ancora, nonostante i propositi espressi da tempo, e ha registrato questo capolavoro fatto solo di voce e chitarra e di un pugno di canzoni. "Try me one more time", è la richiesta che fa ad un pubblico che non può averlo dimenticato. E "Try me one more time" è la canzone che apre le danze, e dà il titolo al disco. L'unica "quasi" scritta da lui, perché è la riscrittura di un pezzo di Marshall Owens, registrato nel 1931, che bromberg ha conservato nel cassetto per quasi trent'anni. Poi Robert Johnson ("Kind Hearted Woman") e Dylan ("It takes a lot to laugh, it takes a train to cry"). Ma anche il reverendo Gary Davis ed Elizabeth Cotton, fino a Blind Willie McTell ed i "New Lost City Ramblers" con le note senza tempo di "East Virginia" ed il blues di "Windin' Boy". Un disco perfetto nella sua essenzialità, sorretto da una perizia chitarristica senza pari. Quella di David Bromberg. E da tanta anima, tanta cultura, tanta intelligenza e talento, e, soprattutto, da tanto, tanto cuore ed amore.

martedì 13 febbraio 2007

tiggi



Non c'è che dire! Sembra una barzelletta ma è tutto vero. Il "comunista" Napolitano "esterna" il suo pensiero (sic!) sulle cosiddette foibe, dimenticandosi di dire che le foibe le hanno inventate i fascisti nei confronti delle popolazioni slave, e tutta la destra fascista plaude al riconoscimento del negazionismo che arriva dalla "sinistra". Il governo di destra croato bacchetta il presidente della nostra repubblica delle banane (sarà l'effetto serra?) e gli fa notare che il negazionismo, anche se fatto da un omino pelato che stava a destra degli stalinisti, sempre negazionismo rimane. Ed ecco che Massimo "ex-segretario-della fgci-bulgara" D'alema che è costretto a fare sfoggio di tutta la foresta di pelo che si porta sullo stomaco per lamentare una presunta "incomprensibilità" delle dichiarazioni del suo alter-ego croato. Ché D'alema la storia l'ha studiata, e si vede lontano un miglio che non crede ad una sola parola di quello che dice. Il tutto mentre sieg-heil Fini richiede sanzioni per la Croazia, e coppia-di-fatto Casini suggerisce che il Croato vada a lezione di storia dal Napolitano. Il tutto con il plauso di verdi e rifondaroli, e comunisti cosiddetti italiani. Non c'è male, in questa serata che vede l'arresto di quindici persone, colpevoli - a dire della magistrata di turno (evviva la quota rosa!) - di non si sa quali progetti di "lotta armata". Per lo meno, una volta venivano arrestati dopo! E si dichiaravano anche "prigionieri politici".Ma adesso non c'è più pudore. A seguire, le dichiarazioni di Feltri. Un coraggio da leone! Il tutto condito dal papa, noto esperto di famiglie, che detta le condizioni, mentre Prodi, dall'India, serve solo per ricordarci della nota pervertita madre Teresa di Calcutta. Ah, l'ambasciatore consiglia i cittadini americani di tenersi lontani da Vicenza, sabato prossimo!
Qualcuno mi dica come si fa a scendere. Cerco l'uscita ma non la trovo. Sembra tutto il contrario della frase di Rozanov, sul nichilismo: "Sei a teatro, la rappresentazione è finita. Ti alzi per prendere il cappotto e andare a casa. Ti volti e niente più cappotto, niente più casa!" Quella era una tragedia. Questa è una farsa.

West



West. Andare ad ovest, per sapere come potrebbe essere bello vivere e amarsi.E west è la tappa finale, l'ultima canzone dello splendido nuovo disco di Lucinda Williams. West, per l'appunto. E il disco ha l'incedere di un viaggio. Si comincia col chiudere i conti col passato, a metabolizzare lutti e amori finiti male. Si comincia piano, con sofferenza. Canzone dopo canzone. Da "Are you alright" a "Fancy Funeral". Poi ci si accorge, si accetta che "Everything has changed". Ed è il rock di "Come on" che segna la svolta, nel disco. Poi la stupenda ballata di "Where is my love?", dove la voce addolorata di angelo caduto si adagia, e si fa sostenere, da uno stupendo tessuto musicale sorretto da una sezione di archi.Poi "Rescue", col suo procedere notturno e ossessivo. Scuro, di una notte che sembra non dover finire mai, dove l'alba è solo un'utopia. E l'utopia sembra arrivare, subito dopo, con "What if", tanto solare quanto notturna la canzone precedente.
Poi "Wrap My Head Around That", con la chitarra di Bill Frisell a fare la differenza nel ritmo sincopato di una sperimentazione molto particolare. Poi "words" che sa di spazi aperti, di strada e di viaggio, di cieli persi nell'azzurro e di speranza, fra Luisiana e Texas. E il contrappunto della fisarmonica. Ad addolcire. E "West", a finire. Come un inizio e un ritorno. Un ritorno alle ballate struggenti che hanno fatto grande il nome di Lucinda Williams. Cinquantaquattro anni compiuti questo gennaio, e portati splendidamente. Come la sua voce imperdibile.


WEST
Lucinda Williams

1. Are You Alright?
2. Mama You Sweet
3. Learning How to Live
4. Fancy Funeral
5. Unsuffer Me
6. Everything Has Changed
7. Come On
8. Where Is My Love?
9. Rescue
10. What If
11. Wrap My Head Around That
12. Words
13. West


Ali affilate come rasoi (canzone per un poeta)
da "Happy Woman Blues" di Lucinda Williams

Sei il solo, sei la mia stella luminosa
Sei il solo che stavo aspettando
per poter volare verso terre straniere
dove nessuno sappia chi siamo
Vorrei avere una nave per navigare il mare
Vorrei avere un centinaio di dollari
Ma rimango qui con questo bicchiere in mano
e mi sento come se niente avesse più importanza
Le tue parole mi attraversano
Come il sangue nelle mie vene
Potrei giurare che conoscevo il tuo amore
Prima di sapere il tuo nome
Prima di sapere il tuo nome
ogni giorno ho dovuto fare a meno del tuo sorriso
Nessuno potrà mai sostituirti
Il sole può illuminare la mia città
ma non riesce a dare luce ai miei giorni
Ho raccontato tutto alle stelle lassù
Verrò e ti inonderò con il mio amore
Non pretendo niente, solo provare a comprenderti
Il mio amore è libero come un gabbiano
Le tue parole mi attraversano
Come il sangue nelle mie vene
Potrei giurare che conoscevo il tuo amore
Prima di sapere il tuo nome
Prima di sapere il tuo nome
Sei il solo, sei la mia stella luminosa
Sei il solo che stavo aspettando
per poter volare verso terre straniere
dove nessuno sappia chi siamo

lunedì 12 febbraio 2007

The lost week-end 1 e 2



uno

Fa sempre più freddo che altrove, a Perugia. Per fortuna, stavolta, il "più" è abbastanza sopportabile, anche perché l'intervento di Oreste, dapprima previsto per le quattro e mezzo del pomeriggio di venerdì, continua a slittare. E tocca aspettare. Anche solo per poterlo abbracciare, sulle scale, quando arriva. Il tempo di scambiare un paio di parole, e comincia l'intervento, all'aula 4 di scienze politiche. "La rivolta delle banlieu parigine", il tema. Ma è Oreste che parla. E lo fa, come dice lui, "in modo rapsodico". Si passa da Parigi alla Genova dei tempi di Tambroni e della città che insorge contro il previsto congresso del movimento sociale, alla rivolta di Piazza Statuto a Torino. E su internet girà una bella canzone su Piazza Statuto, il testo ispirato ad una poesia di Sante Notarnicola, dice, fra le altre cose. Poi esemplifica la violenza, riferendosi al bel film di Florestano Vancini, "Bronte". Le teste spaccate dei possidenti, contro gli architravi. Gli incartamenti dei municipi dati alle fiamme. E poi Bixio, che viene a spiegare con le esecuzioni che .... non avevano capito, i liberati! Ché non si intendeva quello! Poi parla un comunista russo, passato all'anarchismo, senza esser diventato bolscevico, ed un suo libro sugli intellettuali, contro la politica e il sindacalismo professionale, contro il "funzionarismo". E avanti, passando agli aneddoti. Strappando più di una risata. Oreste Scalzone. Che bisogna portarlo fuori quasi di peso, prima che il custode dell'università, incazzato, ci chiuda tutti dentro!

e due

"Ma sono davvero operai, i "Del Sangre"?" - ebbe a chiedermi, con un pizzico di incredulità, Giorgio Maimone, una sera a cena, a Milano. E sabato sera, alla Cantina Mediterraneo a Frosinone, un'unghia finta al dito medio, testimoniava col suo biancore inconsueto, l'appartenenza di classe di Luca Mirti. Già, un operaio e "tre accordi e la verità". Figuriamoci poi se son due, gli operai (Marco 'Schuster' Lastrucci, l'altro)! Con Woody Guthrie nel cuore, e Bruce Springsteen nelle corde.
Chissà, forse è per questo che, nonostante il loro ultimo disco - "Un nome ad ogni pioggia" - sia finito (correggendo un'amnesia) fra "gli imperdibili del 2006", non sono stati invitati alla consegna dei premi di Bielle!
Magari no. Magari è stato solo un contrattempo organizzativo: ché da quelle parti la mano sinistra non sa mai cosa fa la destra, e viceversa. Colpa della nebbia, forse.
Però da pensare ti viene!
Ti viene da pensare alle porte che si chiudono, e quando si chiudono. Come se fossero cose già viste che non vorresti si ripetessero. Adesso ha un bel progetto, Luca: rimettere sui piedi tutta una serie di canzoni popolori, magari facendo un doppio CD, uno con le versioni originali, l'altro con le stesse canzoni ri-lette, e con nuovi versi ad integrare l'originale. Ho avuto il privilegio di ascoltare, di queste, "tutti mi dicon ... maremma, maremma".
Ma le immagino, questa ed altre canzoni, cantate sul palco da molti. Tutti insieme. Come dovrebbe essere. Luca e Marco, ed il violino di Michele, e le chitarre e le voci di Andrea e di Massimiliano, e anche Davide, con la sua fisarmonica.
Ah, venerdì a Perugia, Oreste ha chiesto più volte, ai ragazzi del centro sociale, se qualcuno avesse una fisarmonica da prestargli. Avrebbe pagato oro, per averne una, per poterne disporre durante la serata. Ad accompagnare quello che gli veniva da cantare, qua e là. Non è che poi sia un "musicista", Oreste! Ma sono sicuro che avrebbe gradito, e di molto, quel che ebbe a dire Luca, tempo fa ad Asciano, ad un tributo ad Alfredo Bandelli alla festa di Liberazione, quando in risposta a chi chiedeva chi fossero i musicisti - ed eravamo una bella tavolata con parecchi non-musicisti - per portare loro da mangiare, ebbe a sbottare:
"Siamo tutti musicisti!"

venerdì 9 febbraio 2007

un modo di vedere



"Forse vi hanno insegnato a chiamarmi poeta, ma io non sono poeta più di voi. Non sono più di voi un autore di canzoni, né un cantante migliore. La sola storia che ho cercato di scrivere siete voi. Non ho mai scritto una ballata e nemmeno una storia che dicesse tutto quello che c'è da scrivere su di voi. Voi siete il poeta e il vostro parlare di ogni giorno è la nostra poesia migliore scritta dal migliore poeta. Io non sono che una specie di notaio e di metereologo, e il mio laboratorio è il marciapiedi, la vostra via e il vostro campo, la vostra strada e il vostro palazzo. Non sono niente di più o di meno che un fotografo senza macchina fotografica. Perciò voglio chiamare voi il poeta e voi il cantante, perché voi leggerete queste righe con una voce cha ha più musica della mia."

Woody Guthrie

giovedì 8 febbraio 2007

Fare un falò delle carte stradali!



Attività frenetica, in questi primi mesi del 2007, per Joe Ely!
Un disco, "Happy Songs From Rattlesnake Gulch". Canzoni felici dalla gola del serpente a sonagli, più o meno. E le canzoni felici sono quelle che ci vengono proposte da un Joe Ely rockandroll, più simile a quello di "Lord of the Highway" che a quello di "Letter to Laredo". Storie di uomini comuni, come in "Hard Luck Saint" o di fuorilegge, in “Miss Bonnie and Mister Clyde” e in una nuova versione del suo “Me and Billy the Kid”. Una firma per i dischi di Joe Ely, questa canzone! In "July Blues" ci informa che " fa troppo caldo anche per i serpenti, la mia mucca non dà più latte e il mio cane è sempre agitato". C'è anche una vecchia canzone di Butch Hancock, "Firewater", che Joe fa del tutto sua. Ma ogni pezzo del disco merita più di un ascolto. Fin dalla prima canzone, "Baby Needs a New Pair of Shoes", che parla delle vittime di "Katrina".
Un periodo frenetico, questo, dicevo, per Joe Ely che pubblica anche un libro "Bonfire of Roadmaps" (alla lettera, falò di carte stradali) che raccoglie i suoi cosiddetti "diari stradali". E, a marzo, un altro disco, "Silver City (Pearls from the Vault VOL. 1)". Un disco acustico, stavolta, che riarrangia le prime canzoni, anteriori al periodo dei primi Flatlanders. Niente male per i suoi sessant'anni, che festeggerà domani nove febbraio.
Auguri Joe Ely!


Happy Songs From Rattlesnake Gulch
Joe Ely


1. Baby Needs a New Pair of Shoes
2. Sue Me Sue
3. Hard Luck Saint
4. Jesse Justice
5. Miss Bonnie and Mister Clyde
6. Little Blossom
7. Firewater
8. July Blues
9. Up a Tree
10. So You Wanna Be Rich?
11. River Fever

mercoledì 7 febbraio 2007

Tre Accordi e la Verità. Di nuovo.



Il suo nome è Buddy, ed è un gatto. Gira l'America con una valigetta di cartone ed è venuto a raccontare vecchie storie. Storie dalla parte giusta. Come questa. Ancora una volta, tre accordi e la verità. Comincia come una vecchia canzone cantata da Joan Baez, e da altri. "I dreamed I saw Joe Hill last night". Ma il tessuto su cui si stende è rock, tirato. A ricordarci l'attualità, semplice e dolorosa, dei personaggi che via via compaiono sulla scena. Grazie Ryland Cooder.

* Su questo sito è possibile leggere un bellissimo articolo, in lingua inglese, su "My name is Buddy". *

Tre accordi e la verità
di Ry Cooder

Ho visto Joe Hill, in sogno la scorsa notte
In piedi nel cortile della prigione
Stavano per portarlo, legato in catene,
davanti ad un plotone di esecuzione nello Utah

Dunque, lui si voltò verso di me e mi guardò
Poi disse: "Non lasciarti trarre in inganno
Stanno provando a toglierci la nostra libertà di parola
Ma, Buddy, non è ancora finita

Mi hanno incastrato con un'accusa di omicidio
Lo sai che a te non mentirei mai
Ma i soli crimini che ho commesso
sono stati tre accordi e la verità

Tre accordi e la verità
Davvero, i soli crimini che Joe Hill ha commesso
sono stati tre accordi e la verità

Quando cantava le sue buone vecchie canzoni sindacali
Il suo messaggio si spandeva e arrivava dappertutto
Loro non avrebbero mai potuto fermare un operaio
che cantava tre accordi e la verità

Il vecchio J. Edgar Hoover amava sentire cantare i negri*
Ma un uomo gli fece cambiare idea
Paul Robeson era un uomo che non avresti mai potuto ignorare
Fu questo a buttar giù J. Edgar

Lui chiamò il suo amico del KKK** di New York
dicendogli: "Ho qualcosa di buono da farti fare
Vieni quaggià a Peekskill New York Town
E uccidi tre accordi e la verità"

Tre accordi e la verità
Davvero, i soli crimini commessi da Paul
sono stati tre accordi e la verità

Se questa è una terra di democrazia
Allora ho una domanda per te
Perché Paul Robeson non venne liberato
e restituito ai suoi tre accordi e la verità?

Ora hanno preso Pete Seeger prima che la legge
lo mettesse sul banco dei testimoni
Ma lui ha resistito alla tirannia
Impugnando solamente il suo banjo

Come un orgoglioso suonatore di banjo
Solidale con me e con te
E' stato solo un uomo che non avrebbe mai tradito
tre accordi e la verità

Tre accordi e la verità
Davvero, i soli crimini che ha commesso Pere Seeger
sono stati tre accordi e la verità

Sì, ha cantato le sue meravigliose canzoni di libertà
Che ancora spandono dappertutto il loro messaggio
Conviene ascoltare Pete Seeger
e i suoi tre accordi e la verità

Tre accordi e la verità
Conviene ascoltare il vostro vecchio amico Buddy
e i suoi tre accordi e la verità

* volutamente spregiativo nella canzone
** Ku Kux Klan

martedì 6 febbraio 2007

mala tempora



I tempi sono quelli che sono. Inutile, e sterile, lamentarsi. Poche soddisfazioni ad assistere. E tutte, curiosamente, circoscritte ad un ambito. La musica. Il disco di Cooder, "My Name Is Buddy", mantiene tutte le promesse, ed anche qualcuna in più. Sembra di essere tornati ai tempi de "I Cavalieri dalle Lunghe Ombre". Magico ed emozionante, il disco!
Ma c'è tutto il resto. Caruso - sento al telegiornale - ha lamentato la "scarsa professionalità" della polizia, capace solo di manganellare nel mucchio. Ed ha chiesto i nomi dei poliziotti implicati. All'asse Gasparri-Violante non è "parso i'vvero" di potersi scatenare e implorare sanzioni contro chi "parla male della polizia", equiparato, più o meno, a chi ammazza un poliziotto. Un bel personaggino, Violante! Da pulirsi le mani, dopo, semmai ti capitasse la disavventura di stringergliene una delle sue. Ma poi? Perché prendersela con Violante? Oramai è così! Una volta, anche all'estrema sinistra, ci si interrogava su tutto. Perfino su quale fossero le motivazioni che potevano portare ad esplosioni di violenza come quelle legate ai moti per "Reggio capitale"! Ammazzare e farsi ammazzare per un capoluogo di regione!? Ma vi rendete conto? Eppure. Eppure ci si arrovellava sopra, si tentava di comprendere come la violenza potesse attenere ad un "sobollimento". Ad una vita senza niente. Una vita da spettatore assoluto, per l'appunto, come quella cui interessi incrociati ci vorrebbero tutti condannare. Non so se sia chiaro a molti, ma rimane solo questo genere di spazio - internet, i blog - a continuare a permetterci di sfuggire al destino decretato da più parti. No, non credo che gli ultras siano attinenti alla frase di Orwell, a proposito della parte da cui stare, quando si vede un operaio lottare contro il suo nemico naturale: il poliziotto. Ma non credo nemmeno che la classe sociale, cui appartengono gli ultras, per la più parte, sia, o possa essere, organica allo "status quo". Non vado oltre. Stasera mi sento "nostalgico". Rimpiango i telegiornali in bianco e nero, dove non c'era alcun spazio per la "borsa", alla fine! E dove polizia, denaro, chiesa, ecc. non erano valori da sposare ad occhi chiusi. Lo penso, anche a rischio di sembrare patetico.

lunedì 5 febbraio 2007

Bobby? Meglio Paul!



Giocato tutto all'interno di un grande albergo (quello dove Bob Kennedy avrebbe perso la vita!), fra cucina e suite, fra inservienti messicani e vip dell'epoca; al film di Emilio Estevez, insieme alla strada, manca l'anima.
Le piccole storie dei tanti "ciascuno", piccoli o grandi che siano, lamentano un'assoluta mancanza di spessore. Quasi lo stesso identico spessore che manca alle parole sottotitolate del senatore Kennedy, pronunciate alla fine del film, a sugello, in un americano sorprendentemente chiaro e comprensibile alle orecchie. Parole banali che lasciano, poi, il posto alla galleria di foto, bellissime e patinate, che mi hanno lasciato del tutto indifferente.
Solo per pochi, brevi, minuti, lo schermo riesce ad animarsi. A prendere e a dare vita, mentre scorrono le immagini di repertorio dell'epoca, di quegli anni, al suono delle parole e della musica di una delle più belle canzoni mai scritte!

Il suono del silenzio
di Paul Simon

Ciao oscurità, vecchia amica
Sono di nuovo qui a parlare con te
Dal momento che un sogno, strisciando senza far rumore,
ha sparso i suoi semi, mentre dormivo
E quel sogno
così seminato nel mio cervello
rimane ancora, trattenuto
dal suono del silenzio.

Nei miei sogni inquieti, percorrevo da solo
l'acciottolato dei vicoli
sotto l'alone della luce dei lampioni
Alzai il bavero per proteggermi dal freddo e dall'umido
e ad un tratto i miei occhi vennero trafitti,
abbagliati da un luce al neon
che lacerò la notte
fino a toccare il suono del silenzio.

E nella nuda luce vidi
diecimila persone, forse di più.
Gente che si esprimeva senza parlare
Gente che udiva senza ascoltare
Gente che scriveva canzoni, e nessuna voce le avrebbe mai cantate,
e nessuno osava
disturbare il suono del silenzio

"Sciocchi," dissi, "non sapete
che il silenzio cresce come un cancro."
"Ascoltate le mie parole di modo che io possa istruirvi.
Abbracciatemi di modo che io possa raggiungervi."
Ma le mie parole caddero come gocce di pioggia silenziose
ed echeggiarono nel pozzo del silenzio.

E la gente si inchinò e pregò
il dio-neon che essi stessi avevano creato
e l'insegna fece brillare il suo ammonimento
per mezzo delle parole che stava componendo
E le insegne recitarono: "Le parole dei profeti
si trovano scritte sui muri della metropolitana
e nei corridoi delle case popolari
e vengono sussurate nel suono del silenzio."

venerdì 2 febbraio 2007

Tentazione



Ho già parlato di Chip Taylor, ed anche di quel prodigio che è "Black and Blue America". Una vera e propria lezione di storia "leggera". Un disco dove la musica è un perfetto tappeto su cui stendere le narrazioni. Canzone per canzone. Questa "Tentazione" chiude il disco, condensando mitologia e storia di quella terra che avrebbe dovuto chiamarsi "Appalachia"! Una sorta di "Bandito senza tempo" in una prospettiva forse diversa, ma non meno sovversiva di quella dei fratelli Severini. Come dice la canzone, "storie marchiate a fuoco dentro l'anima". Blues!

Tentazione
di Chip Taylor

Era un secolo fa quando rapinai il treno postale
Sulle colline del Sud Dakota - nazione cheyenne -
feci fuoco sullo sceriffo ma sparai un colpo di troppo
che, rimbalzando, prese in pieno quel povero ragazzo

E ho cominciato a scappare, di giorno
e a pregare, la notte.

Cinquecento anni fa mi sono battuto contro gli uomini del re
con fionde, spade e frecce - le armi che esistevano allora.
Mi imbattei in un uomo giusto, e la sua guerra divenne la mia
rubando a chi possedeva tutto per darlo a chi non aveva niente.

E ho continuato a scappare, di giorno
e a pregare, la notte.

Non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male!

Mille anni fa, ero solo una ragazzina
troppo lontana dalle coste dell'Africa, il centro del mio mondo
Urlai che avevo solo dodici anni, ma lui mi prese comunque
Dopo mi morsi le labbra, per convincermi di essere diventata come lui

E ho cominciato a scappare, di giorno
e a pregare, la notte.

Adesso canto i blues, viaggiando con il mio gruppo
Le storie marchiate a fuoco dentro la mia anima, le ho trascritte sulla mano
e cerco di cantarle immaginando qualcosa di bello che voglia amarmi ciecamente :
lei non vedrà il male che c'è in me, e io la potrò portare lontano.

E continuo a scappare, di giorno
e a pregare, la notte.

giovedì 1 febbraio 2007

città di frontiera



Due appuntamenti, la prossima settimana, almeno per me!
Da Firenze a Frosinone. Giovedì 8 Febbraio, alle 22 a San Salvi, Andrea Parodi sale sul palco insieme a Ron Lasalle, e qualcosa mi dice che sullo stesso palco, la stessa sera, salirà anche Massimiliano Larocca. Mi aspetto, fra le altre, una canzone scritta sul filo del telefono, fra Cantù e Firenze. "Città di frontiera", ciascuna a modo suo.
Poi, sabato 10, alla Cantina Mediterraneo, in quel di FrosinOne, i Del Sangre a suonare le loro ballate di frontiera. Sole accecante e polvere, anche a febbraio, di notte!

i senzanome



Poi ci sono gli altri nomi, quelli dei senzanome. Quelli uccisi dall'eroina, utilizzata anche in Italia, a partire dalla seconda metà degli anni '70 (dopo il "successo" ottenuto negli Stati Uniti, al fine di sbaragliare il movimento delle Pantere Nere), per distruggere il tessuto sociale in cui si era formato e sviluppato il movimento rivoluzionario. Le esecuzioni per overdose si attestano su una media di circa 900 morti l'anno. Di questi morti, del dolore dei familiari e degli amici di questi morti, non si parla. Nessuno mai chiederà perdono, e nemmeno scusa.