lunedì 21 gennaio 2008

Democrazia è il fucile in spalla agli operai



Un corteo interno, di operai, a viso scoperto, che spazza via gli impiegati crumiri della Fiat asserragliati nei loro uffici. Su una parete, prima di andar via, viene apposto, fra le esili proteste dell'unico operaio-sindacalista di tutto il film, un drappo rosso con sopra scritto a grandi lettere maiuscole: "POTERE OPERAIO".
E' la mia sintesi, la scena sopra descritta, del bel film di Wilma Labate, "Signorinaeffe"!

Poi ci sarà tutto il resto, quello di cui non si parla nel film (la strage della stazione di Bologna) e quello di cui si parla (la marcia dei quarantamila quadri ed impiegati Fiat). E prima c'è stato quello di cui non si parla (il licenziamento dei sessantuno operai accusati di connivenza colla lotta armata) ma che si intravvede nelle parole dure di un oste già operaio Fiat, parole da cui il protagonista prende bruscamente la distanza, dicendo che a lui non piacciono i morti ammazzati.

Prima c'è stata, non vista, quella sconfitta che si è già consumata ed è oramai dipinta a tratti indelebili sul volto degli operai fin dall'inizio del film; molto prima che tale sconfitta venga sugellata, alla fine del film stesso, dalla votazione-farsa, sull'accordo, davanti ai cancelli. La svendita di un'intera classe operaia, viene sancita dalla voce del sindacalista (sarà stata la voce di quel Carniti, lo stesso cui il film sarebbe tanto piaciuto!?) che dichiara l'accordo approvato, nonostante il filmato d'epoca ci consegni l'immagine di una assemblea decisamente contraria all'accordo! Magie sindacali mai dismesse.

In mezzo c'è tutto il film, con il suo saper coniugare il "politico" con il "personale", attraverso una capacità quasi inedita e sconosciuta per il cinema italiano degli ultimi trent'anni, mettendolo in scena nelle tante piccole situazioni che rappresenta. I silenzi di Sergio, un Filippo Timi che ha l'unico torto di non essere Gian Maria Volonté, a cui continua a tentare di riferirsi, e di riportarci. La famiglia di Emma, nelle sue componenti (sublime, la nonna) e nei suoi riti a tavola (i due maschi che si consolano mangiando pasta e fagioli); il vecchio mondo che si credeva fosse stato in qualche modo spazzato via da dodici anni di lotte e di cultura operaia che torna ad intonare il suo peana al padrone, e a vendergli e sacrificargli i figli. Figli oramai - di nuovo - troppo pronti a sacrificarsi e a lasciarsi vendere.

La partita è persa. E' persa già in quella testata sul viso, data a Sergio dal dirigente Fiat. E' perduta nelle "pere" che si fa il giovane operaio amico di Sergio. E' perduta nella distanza che Sergio misura, rispetto ad Emma, fin dentro l'aula di matematica, all'università. Ed è irrimediabilmente perduta nell'incapacità imbelle di quel reparto operaio che cede senza quasi reagire alla violenza mercenaria, prezzolata dall'ingegnere Fiat rivale di Sergio.
Forse è proprio la "storia d'amore", l'anello debole del film! Oppure ne è proprio la cifra, e la metafora, riuscendo a raccontarci la sconfitta e la disfatta proprio attraverso la sconfitta e la disfatta dell'amore. L'amore viene sbaragliato né più né meno di quanto venga sbaragliata la classe operaia. Quasi, anzi senza quasi, di conseguenza.
E così, mentre viene siglato, proprio mentre sto scrivendo, l'ennesimo accordo bidone, concordato fra padroni e sindacati, c'è un film da andare a vedere.
Un film da guardare. A lacrime asciutte!

2 commenti:

Anonimo ha detto...

C'è,in questo film,una bella capacità di saldare i filmati d'epoca al resto e, come giustamente rilevi,un semivuoto relativo alla lotta armata.Chiestone conto alla Labate in sede di presentazione del suo lavoro,ha risposto che un film non è un saggio di storia etc etc.Una scelta dunque.
Mai come in questo caso comunque è interessante "anche" scorrere la rassegna stampa delle critiche.Dalla iperlettura di Luciana Castellina sul Manifesto del 4 dicembre alle stroncature più recenti del Corriere alla condiscendenza di Repubblica, si capiscono molte cose....perlomeno che le reazioni non sono omogeneizzate.Il che qualcosa vuol dire.
A me è piaciuto l'esplicito sostenere la tesi dei perdenti (rarità) ma ancor di più (piccolo suggerimento) mi è piaciuto il documentario di Francesca Comencini, "In fabbrica" presentato insieme al film a Torino (e subito scomparso dalla circolazione) se ti capita...
ciao
Tiziana

BlackBlog francosenia ha detto...

Avevo letto anch'io a proposito delle dichiarazioni della Labate, circa la lotta armata. Del resto, ritengo che il "debito" l'abbia pagato girando a suo tempo uno dei pochi film capaci di affrontare onestamente l'argomento, regalandoci il bel personaggio di Braccio, reso da un Amendola in stato di grazia.
Ad ogni modo, un bel film, questo signorinaeffe, come ho cercato di dire.
Vedrò di rimediare il documentario. Grazie e salud