giovedì 2 novembre 2023

La Bolla della Teoria ?!!??

Potrebbe sembrare strano - a qualcuno - che uno possa perdere il proprio tempo a tradurre e a pubblicare un articolo sul cui contenuto, tutto sommato, non è poi così tanto d'accordo… E invece no! Il testo che segue è pieno di «cose vere», ma prende anche delle sonore cantonate, tali da far ballare i denti in seguito all'urto! "La civetta e la lumaca", rimane comunque un testo che va letto; a maggior ragione proprio per capire il motivo per cui non esiste alcuna ragione per una «perdita di tempo» (e stavolta lo è) a cercare di far capire a qualcuno qualcosa che nella sua zucca potrà forse entrare solo nel momento in cui tutta questa merda (valore, denaro, lavoro, ecc.) sarà sparita. Insomma, non credo affatto che sia necessario - come asserisce l'articolo - dare speranza e che, per farlo, bisogna mettersi alla ricerca del ... soggetto (magari travestito da "decrescenti", o chissà da "ecologisti", ma che sempre "soggetto" rimarrebbe!)

Per cominciare, ci sarebbe senz'altro da dire, che qui da noi, in Italia, la "Decrescita", in quanto movimento sociale, non è che poi raccolga tutto questo gran consenso - sarebbe più semplice e vero dire che non ne raccoglie punto! - e pertanto, nel caso dell’articolo in questione, sarebbe stato ovvio far finta di nulla, saltando a piè pari qualsiasi tentazione di voler tradurre e diffondere il testo di Ernst Schmitter. Ma tuttavia... Tuttavia, avviene che riesca a toccare alcuni punti sensibili relativi alla ... questione. Solo che però... li tocca tutti. Riesce a toccarli sia di qua che di là. La «superbia» e l'«arroganza» della cosiddetta Critica della Dissociazione Valore, e sia! Diamogliela per buona. Ma lo stesso va fatto anche per la dabbenaggine e il feticismo di quelle che continuano a essere delle «maschere di carattere», la cui principale preoccupazione rimane comunque la solita: «la paura di non tornare al lavoro»; sia che si tratti dell'Impiegato di De André o del Gregory Samsa di Kafka. A cui, stando al testo che forse leggerete non va detto che… non è in questo modo... ma piuttosto... Così, però c’è il rischio che a uno possa scappare da ridere. Almeno a me ...
 

La Civetta e la Lumaca
- Come uscire, da un lato, dalla bolla teorica della critica della dissociazione del valore, mentre, dall'altro, in che modo possiamo evitare le insidie della falsa immediatezza?  -
di Ernst Schmitter

Chiunque desideri capire tanto la storia quanto lo stato attuale in cui versa oggi il capitalismo, non può che accogliere con favore quei chiarimenti in proposito che ci provengono dalla Critica della Dissociazione del Valore (CDV). Essa dimostra che il DNA del capitalismo, nel suo essere sotto coercizione della concorrenza universale, ha in sé due elementi inconciliabili: da un lato, l'assoluta necessità di produrre sempre più valore - allo stesso tempo in cui il più delle volte si delegano alle donne quelle attività che sono essenziali per la riproduzione ma che non producono valore, e che pertanto si vedono negato il titolo di lavoro - mentre, dall'altro lato, abbiamo la non meno assoluta necessità di incrementare costantemente la produttività, vale a dire, eliminare gradualmente dal processo di produzione tutto ciò che costituisce la sostanza stessa del valore: il lavoro. Quella che vediamo, è una contraddizione cruciale, che conduce inevitabilmente il capitalismo alla sua propria distruzione. Questo perché il conflitto tra le due tendenze, intrinseche al sistema, è una contraddizione fondamentale, e quindi inevitabile. Ne consegue la dinamica irreversibile di questa «bella macchina» (Adam Smith) che viene spinta sempre più contemporaneamente verso i suoi due limiti: il limite interno della valorizzazione del valore, che provoca il collasso economico, sociale e civile; e il limite esterno, che ci viene imposto dall'ecosistema Terra e che è la causa del collasso ecologico. Questa diagnosi inconfutabile, è intollerabile per tutti coloro che credono alla perfettibilità del capitalismo, ossia, vale a dire che è insopportabile per tutti. Di conseguenza, la CDV incontra e suscita ben poca simpatia: il suo ruolo è quello di Cassandra. Questa teoria - così tanto apprezzata dagli uni quanto detestata dagli altri - spiega nel miglior modo possibile quel che sta accadendo al sistema produttore di merci nella sua fase terminale. Ma ahimè,  arriva un po' tardi, dal momento che ci fornisce la sua analisi, per così dire, «in tempo reale». Hegel, per descrivere quale fosse, nella società umana, il ruolo della filosofia, usava la metafora di una civetta, la civetta di Minerva, che si alza in volo solo col crepuscolo (Prefazione ai "Lineamenti di filosofia del diritto", 1821). Ed è esattamente questo il ruolo che la CDV svolge nella società capitalista: ci permette di capire perché il mondo capitalista - vale a dire il mondo tout court - stia andando in malora. Nel chiarire e spiegare le basi del capitalismo e le tendenze inerenti a tale sistema, lo fa in un modo che nessun'altra teoria è in grado di fare. Tuttavia, lo fa proprio nel momento in cui il mondo sta sprofondando in una catastrofe economica, ecologica, climatica, sociale, politica, morale; ed è proprio la catastrofe l'oggetto del suo studio. Ci troviamo così sia a essere testimoni che vittime degli spasmi di agonia di questo sistema di cui facciamo parte. Pertanto, è giusto concludere che il merito principale della CDV è quello stesso merito che viene riconosciuto al biologo che pazientemente spiega a una persona morente la malignità del suo tumore. Perciò, per darsi una possibilità, per quanto piccola, di evitare il peggio, gli esseri umani dovranno sbarazzarsi al più presto di questo sistema mortale e autodistruttivo che chiamiamo capitalismo.

È questo ciò che la CDV continua a dirci. Ma su quanto riguarda la questione di come dovremmo procedere, rimane straordinariamente silenziosa. Appare piuttosto sorprendente come in tempi come questi, fatti di cambiamenti climatici, siccità, inondazioni e guerre per l'acqua, quei gruppi che sviluppano questa teoria si ostinano invece, con una serenità impressionante, a «fare teoria pura». Quasi come se fossimo ancora negli anni '60, quando per le persone era del tutto irrilevante sapere se la Teoria Critica potesse avere  più o un po' meno impatto sulla loro vita delle persone. E, in ogni caso, non ne aveva. Come spiegare tale ritegno da parte della CDV? Si può tentare di rispondere a questa domanda dicendo che si rende conto che uscire dal capitalismo è un compito assai più difficile di quanto può sembrare. E infatti, da questo punto di vista, tutte le strategie per risolvere tale problema, che abbiamo finora sperimentato, sembrano tutte destinate al fallimento, per quanto esso possano normalmente essere utilizzate per risolvere problemi super-complessi. Il motivo è che l'uscita dal capitalismo non è un problema - semplice o complesso che sia -  che può essere risolto a forza di pazienza e di perseveranza, ricorrendo a un metodo ben collaudato. L'uscita dal capitalismo costituisce una rottura completa con tutto ciò con cui abbiamo familiarità, e per prima cosa proprio con l'idea stessa che la società capitalista - grazie a un certo numero di istituzioni competenti (lo Stato, la politica, la giustizia) e ad alcuni strumenti consolidati (scienza, economia, democrazia) - possa essere trasformata in una società non capitalista. Sebbene alcuni autori che si richiamano alla CDV evochino effettivamente la necessità di una trasformazione, e di una lotta per la trasformazione (Transformationskampf) [*1], essi comunque non prendono mai in considerazione che si possa ricorrere alle istituzioni e agli strumenti summenzionati, dal momento che tali istituzioni e strumenti costituiscono parte integrante proprio del sistema che deve essere abolito e sostituito. Questo è ciò che la CDV ha dimostrato più e più volte, in maniera particolare negli scritti di Robert Kurz. Quindi, non solo si tratta di sapere in maniera chiara qual è l'obiettivo da raggiungere - vale a dire, l'abolizione e la sostituzione del capitalismo - ma si tratta anche di non imboccare la strada sbagliata per raggiungerlo. Tra le altre cose, è proprio questa difficoltà che si traduce nel rifiuto, più o meno rigoroso da parte della maggior parte degli autori della CDV, di avere interesse a cercare di concretizzare i risultati del loro lavoro teorico. D'altronde, un rifiuto del genere è stato una caratteristica della Teoria Critica sin dalla Scuola di Francoforte. Questo argomento, potrebbe essere oggetto di uno studio a sé stante, ma non è il caso di farlo in questa sede. Basti dire che tutto ciò ha a che fare con il problema che la CDV indica col nome di «falsa immediatezza» [falsche Unmittelbarkeit]. Questa nozione, che si ritrova già in Lukács, e più tardi in Adorno, si riferisce al pericolo che corrono tutti quelli che, nel «passare all'azione», credono che si possa fare a meno di una solida base teorica. In generale, si può constatare come, nel sistema capitalista, ogni immediatezza rischia di essere falsa, proprio perché essa comincia già condizionata da questo sistema. Pertanto, la falsa immediatezza non è solamente falsa; essa è pericolosa. E ciò nonostante, malgrado la sua rilevanza, la nozione comporta inoltre anche un rischio che non va sottovalutato: il fatto che, a sua volta - l'utilizzo di questa nozione di "falsa immediatezza" - può degenerare e diventare ciò che finisce per essere solo un'argomentazione di comodo. Di fatto, tutti i tentativi di trarre delle conclusioni pratiche a partire dalla CDV vengono quasi sempre criticati dagli autori della CDV, che invariabilmente accusano ciascun tentativo di voler incautamente indulgere a perseguire falsa immediatezza. Invariabilmente, perfino il tono di queste critiche è anch'esso sempre lo stesso, e può essere riassunto in quattro parole: «Non in questo modo!» Il fatto che ci sia pericolo di perdersi in un dedalo di falsa immediatezza è innegabile. Ma cosa pensare del deliberato auto-isolamento del quale la CDV sembra compiacersi?  Essa ha dei meriti che nessuno ha il diritto di mettere in discussione. Ma il suo perpetuo «Non in questo modo!» finisce per danneggiare la sua credibilità. Vorremmo che venisse completato con un un «Ma piuttosto... ». Si ha come l'impressione che sia ormai da troppo tempo che  la CDV si sta evolvendo, rimanendo in uno spazio protetto e imbottito dal quale, chiaramente, non intende uscire. E' diventata prigioniera di una bolla. La bolla della teoria.

Combattere la miseria del mondo non è di certo una delle sue preoccupazioni. Eppure, l'autoisolamento della CDV può essere, se non giustificato, quanto meno spiegato: infatti, il suo oggetto di studio non è esattamente il problema della miseria nel mondo, ma spiegarla. La situazione catastrofica del mondo attuale corrisponde al modo in cui attualmente si manifesta la crisi profonda del capitalismo, la quale può essere compresa solamente se si fa un passo indietro, e ci si pone dal punto di vista di una critica categoriale. In ogni caso, uscire dall'impasse capitalista si sta rivelando infinitamente più complicato di quanto si poteva credere. Tanto più che a tal riguardo, la CDV, da questo punto di vista, si sta purtroppo rivelando inutile. E ciò a maggior ragione proprio a causa del fatto che la base della nostra azione, tutto ciò che siamo abituati a considerare come il nostro ego - il nostro libero arbitrio, o semplicemente il nostro buon senso - è essa stessa, se non determinata, per lo meno condizionata da questo sistema di produzione di merci. Ragion per cui, ad esempio, la famosa domanda - vecchia quanto la nozione stessa di capitalismo - riguardo che cosa fare per poter uscire dal capitalismo, ottiene quasi inevitabilmente la solita risposta stereotipata, sempre la stessa: il mondo ha bisogno di un'altra economia, di  un'economia non capitalista. Per uscire dal capitalismo, prima dobbiamo cambiare l'economia, o meglio: dobbiamo cambiare economia! Ora,  proprio questo genere di idea costituisce un ottimo esempio di falsa immediatezza. Voler cambiare l'economia per uscire dal capitalismo diverrebbe la maniera più sicura per continuare a rimanere prigionieri proprio del sistema di cui ci vorremmo sbarazzare. E questo, proprio perché non ci può essere un'economia non capitalista. La CDV ha dimostrato come - a partire dalla Corea del Nord, passando per la Cina, per l'Europa e per gli Stati Uniti, arrivando fino a Cuba e al Venezuela - in ogni paese del mondo, nonostante tutte le differenze di funzionamento, l'economia si basa su quelle che rimangono sempre le medesime categorie fondamentali: il valore, il denaro, il lavoro, il mercato. E sono queste le categorie fondamentali del capitalismo. Un'«economia non capitalista», è un ossimoro, vale a dire, è una combinazione di quelli che sono i due elementi (o i due termini contraddittori) la cui paradossale alleanza conferisce all'insieme un tocco seducente. L'affascinante idea di un'economia non capitalista non è altro che una fantasticheria. Per uscire dal capitalismo, secondo quella che è l'espressione scelta dai "Nemici del Migliore dei Mondi" [*2], sarà necessario uscire dall'economia. Uscire dall'economia! È un bel programma; come diceva De Gaulle per evocare l'impossibile. E lo è tanto più, se ci si propone anche di non cadere nella trappola della falsa immediatezza! Dovremmo pertanto rassegnarci a smettere di porci delle domande inutili, e optare quindi per una beata contemplazione? Del resto, è questo che ogni giorno l'industria del benessere e dell'auto-realizzazione ci spinge a fare. Oppure, al contrario, bisognerebbe impegnarsi in un convinto e risoluto attivismo, incuranti di qualsiasi teoria? Ed è questo ciò che stanno facendo milioni di persone che non conoscono nemmeno il nome della CDV. Lo fanno perché non sopportano di vedere il mondo che vedono intorno a loro andare in malora ogni giorno di più. Ed effettivamente, il divario esistente tra, da una parte la CDV - acuta e geniale ma senza alcun effetto pratico - e dall'altra la velleità di impegnarsi per un mondo migliore - intensa e forte, che però rimane bloccata a causa della sua mancanza di discernimento - appare insormontabile. Se si guarda all'attuale panorama dei programmi e dei progetti anticapitalisti, non c'è affatto da stupirsi se non se ne trovi nemmeno uno che sia in grado di soddisfare ai criteri della CDV. E questo per una un semplice motivo: è facile dirsi e credersi anticapitalisti. Ma è assai più difficile esserlo a livello categoriale, vale a dire, tenendo conto del fatto che la società capitalistica è costruita su della fondamenta categoriali, che siamo sempre erroneamente tentati di considerare come se fossero naturali e trans-storiche. Ora, invece, il compito difficile e indispensabile dovrebbe essere proprio quello di liberare il mondo da queste categorie di base. Tuttavia,  al momento, non c'è attualmente alcun movimento anticapitalista che sembra essere consapevole di questo. E ciò spiega anche perché, da parte della CDV, tutti questi movimenti - ma proprio tutti, senza nessuno escluso -  siano criticati, e vengono per lo più trattati con un certo disprezzo, il quale a volte arriva quasi a sfiorare l'arroganza. Insomma, bisogna che vi atteniate alle seguenti istruzioni: Non potete pretendere di cambiare il mondo se prima non riuscite a comprendere la nostra teoria!

Di fronte a quella che appare essere come una difficoltà insormontabile, a volte magari è sufficiente affrontare la questione a partire dalla fine. Chissà. Nei termini e sul piano del metodo, si può perciò cercare di afferrarla per la coda, la catena del ragionamento, e di conseguenza agire come se invece l'obiettivo previsto fosse già stato raggiunto. Anziché chiederci quale movimento anticapitalista - o quale movimento autoproclamatosi anticapitalista - possa soddisfare i criteri della CDV, possiamo procedere a ritroso, chiedendoci così quale movimento esistente sarebbe quello che è effettivamente il più temuto dai sostenitori del capitalismo; da coloro che Karl Marx definiva come le «maschere di carattere» del capitale. Ora, però, soprattutto in Francia, piuttosto che un movimento, vediamo che esiste una nozione, un concetto onnicomprensivo ben noto, il quale riesce a suscitare paura e a provocare la rabbia di molti leader politici ed economici: si tratta della Decrescita. Va subito chiarito che il significato del termine non è per niente chiaro, anzi è piuttosto vago. Ma il prefisso negativo "", qui associato proprio al termine "crescita", il quale designa il nucleo del sistema di produzione di merci, innesca dei violenti riflessi difensivi nelle cosiddette «maschere di carattere». I sostenitori del movimento della decrescita hanno ragione a dire che "decrescita" è una parola sporca, oscena e volgare, un'arma che serve a impressionare soprattutto chi non sa effettivamente si tratta. E di cosa si tratta? Quali sono le idee e che cosa rivendicano i fautori della decrescita? Va subito detto che in tutto lo spettro del movimento internazionale della decrescita, e nonostante tutte le differenze nazionali e regionali, al centro di questa galassia troviamo un concetto: è il concetto di una buona vita, vale a dire l'idea che la soddisfazione collettiva e individuale, la felicità di vivere una vita materialmente semplice in una società conviviale, si trova agli antipodi di una società costretta alla crescita economica. L'animale emblema della decrescita - la lumaca - simboleggia quel rallentamento di cui l'uomo ha bisogno per potersi liberare dalla frenesia della crescita. Ma contrariamente a quel che potrebbe suggerire lo slogan "decrescita", i sostenitori di un tale movimento non vogliono abolire la crescita economica, ma essi, invece, protestano contro il fatto che la società capitalista vive sotto il controllo esercitato della costrizione alla crescita. Secondo loro, perciò, si tratterà solo di porre fine alla dittatura di questa costrizione, e di creare un'economia senza che ci sia una coazione a crescere; forse anche senza la crescita. Rieccola! Eccola di nuovo, l'idea di cambiare l'economia! La decrescita incontra sempre più simpatie, e questo è comprensibile. E ciò avviene perché la lotta per una buona vita e contro la compulsione a crescere è assai più attraente di quanto mai lo possa essere l'abolizione delle categorie fondamentali del capitalismo propugnata dalla CDV. Tuttavia, va detto e sottolineato che, tra i sostenitori della CDV, il programma della decrescita non può altro che suscitare ilarità; e ciò è perché, ovviamente, i Decrescenti hanno sbagliato avversario. Nessuno può immaginare un'economia senza che alla sua base ci sia una spinta alla crescita; sarebbe un po' come preferire il caffè decaffeinato! Se si è contro la compulsione alla crescita, allora si deve per forza essere anche contro quel sistema del quale la coazione a crescere costituisce il motore; vale a dire, contro il sistema produttore di merci, cioè contro l'economia capitalista, cioè contro l'economia stessa, cioè contro tutte le categorie che stanno alla base di un tale sistema. Finché non si comprendono questi meccanismi, non avrete alcuna possibilità di cambiare il sistema. Le maschere di carattere del capitale potranno dormire sonni tranquilli: la decrescita non è poi così "decrescente" come può sembrare. L'abbiamo appena colta in flagrante reato di falsa immediatezza. La simmetria è sorprendente: da un lato, disponiamo di una teoria che analizza in modo brillante i meccanismi del capitalismo, ma che però è del tutto priva di valore pratico: la CDV. D'altro lato, ecco che invece ci troviamo davanti a un movimento che, nel panorama del movimento anticapitalista, riscuote l'interesse di sempre più persone, ma che però manca di rilevanza teorica: la decrescita. Cosa di più ovvio, allora, se non suggerire una collaborazione tra la CDV e la decrescita? A questo punto, però, serve una spiegazione un po' più approfondita: il termine onnicomprensivo e generico di «Decrescita» ha finito per rendere assai popolare il movimento che sostiene tale decrescita e che a essa si richiama. Ma tutto ciò ha anche reso possibile degli utilizzi abusivi, rispetto ai quali in genere i sostenitori della decrescita non sono sufficientemente sospettosi. Infatti, vediamo che da parte dell'estrema destra sono in atto molti tentativi  di cooptare il movimento. In Francia, l'esempio più famoso probabilmente è stato quello della pubblicazione, nel 2007, del libro "Demain, la décroissance", scritto dal famoso filosofo di estrema destra, Alain de Benoist. Questo libro, si inserisce in una lunga serie di pubblicazioni sulla decrescita, e pertanto non ha nulla di originale, nemmeno il titolo, che è stato copiato dalla versione francese di un libro di Nicholas Georgescu-Roegen, pubblicato nel 1979. Ma la notorietà di Alain de Benoist potrebbe però indurre l'opinione pubblica a credere che la decrescita sia essenzialmente un'idea di destra. A peggiorare la cosa, potrebbe contribuire l'ingenuità di molti sostenitori della decrescita, i quali sono dell'opinione che una decrescita di destra non sarebbe meno accettabile di una decrescita di sinistra. A tal proposito, l'esempio più famoso e preoccupante proviene da quell'uomo che alcuni chiamano il «Papa della decrescita»: Serge Latouche, visto nel suo ruolo di principale autore della decrescita, avrebbe potuto rendere un grande servizio al movimento se avesse preso le distanze da Alain de Benoist e dalla Nuova Destra. E invece non ha potuto fare a meno di compromettersi, rilasciando interviste su riviste di estrema destra e comparendo al fianco di Diego Fusaro, un professore italiano che, come Alain de Benoist, interpreta brillantemente il ruolo dell'intellettuale disposto a tutto il cui pensiero è vicino al fronte trasversale (rossobruno). L'infiltrazione nei movimenti ambientalisti, da parte dell'estrema destra, ha una lunga tradizione, e avremmo preferito che Serge Latouche fosse stato più cauto al riguardo.

Pertanto, si può facilmente capire perché nel 2015 due rappresentanti della CDV - Anselm Jappe e Clément Homs - abbiano bruscamente interrotto ogni loro collaborazione con Serge Latouche. E ciò è tanto più comprensibile a partire dal fatto che questa collaborazione non deve essere stata nemmeno la più fruttuosa. Rileggendo il libro "Pour en finir avec l'économie", pubblicato da Anselm Jappe, Clément Homs e Serge Latouche, vediamo come quest'ultimo - pur ritenendosi anticapitalista - non arriva a capire quasi niente della critica categorica del capitalismo. I suoi contributi al libro, dimostrano come egli sia manifestamente del tutto impermeabile alle idee della CDV; è manifestamente impermeabile alle idee della CDV, dal momento che di Marx ha conservato solo il Marx "essoterico", catalogato e ingabbiato da quel marxismo tradizionale da cui proviene. E non è  neppure il solo. Si ha spesso l'impressione che molti degli oppositori della crescita siano allergici alle idee della CDV. Ciò può essere dovuto al fatto che sono generalmente convinti di essere all'avanguardia della critica anticapitalista; di modo che quando si fa capire loro che esiste una critica assai più fondamentale di quanto possa essere la loro, ecco che ciò li mette a disagio, quando invece avrebbero tutto da guadagnare se approfondissero il loro anticapitalismo. E per quanto riguarda la CDV, questa non perderebbe di certo nulla se rinunciasse al suo abituale atteggiamento di superiorità, ascoltando il messaggio che proviene da un movimento teoricamente debole, ma che è ben versato nella pratica. Questi sono tempi estremamente difficili per tutte quelle persone che non vogliono perdere la speranza di cambiare il mondo. E' pertanto forse è arrivato il momento che la civetta della CDV abbandoni il suo consueto «Non in questo modo!»,  e questo nel mentre che la lumaca della decrescita riesca a resistere in maniera risoluta,tanto all'anticapitalismo tronco quanto alla tentazione del populismo trasversale che lo spinge verso una qualche forma di alter-economia, e non invece verso un'uscita dall'economia. E questo potrebbe portare a una vera collaborazione. Potrebbe essere l'inizio di un vero e proprio movimento di emancipazione, del quale l'umanità sembra oggi essere così tremendamente priva. Possiamo sempre sperare.

- Ernst Schmitter - Luglio 2023 -

NOTE:

[*1] - È il caso, ad esempio, di Tomasz Konicz, che fa della lotta per la trasformazione un concetto chiave del suo pensiero.

[*2] -https://francosenia.blogspot.com/2014/03/vie-duscita.html 


fonte: Critique de la valeur-dissociation. Repenser une théorie critique du capitalisme

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