lunedì 13 novembre 2023

«Nuovi Materialismi» ?!!???

MATERIALISMO IDEALISTICO
- di NICK GIETINGER -

«Credono di garantire la libertà inscrivendola metafisicamente nell'ordine delle cose. Ma tutto ciò che stanno facendo è indebolire la capacità delle persone di pensare a ciò con cui abbiamo effettivamente a che fare».

Moishe Postone

Negli ultimi anni, c'è stato un crescente interesse per i cosiddetti Nuovi Materialismi (NM). Per qualche tempo, quest'argomento è stato discusso solo nei paesi anglofoni, ma negli ultimi anni sono apparsi degli interventi anche in tedesco [*1]. Nel settembre del 2023, alla conferenza "Futuring Critical Theory", organizzata dall'Istituto per la Ricerca Sociale (IfS), i Nuovi Materialismi verranno ora proposti come una delle numerose possibilità per il rinnovamento della Teoria Critica. Secondo una sua stessa dichiarazione, la Teoria Critica sarà messa alla prova durante il convegno: verranno affrontati argomenti che non sono mai stati trattati prima da essa, come la "rete globale dei fenomeni sociali", la "dimensione materiale della riproduzione sociale" e il "kit di strumenti normativi" della Teoria Critica classica. Il fatto che la conferenza ci inviti a integrare le analisi classiche della teoria critica con questi temi attuali, appare comprensibile se visto sullo sfondo di quella che è la lotta per la rilevanza sociale di tutte le istituzioni accademiche. Tuttavia, poiché la "Scuola di Francoforte" appartiene a una tradizione di pensiero ben diversa da quella dei Nuovi Materialismi, vale la pena riconsiderare la questione delle possibilità e - soprattutto - dei limiti di un'espansione dei contenuti in questa direzione. Utilizzando l'esempio di Bruno Latour (importante punto di riferimento dei Nuovi Materialismi, e co-fondatore della teoria attore-rete), verranno fatte alcune riflessioni sulle diverse premesse e sui loro effetti. L'Oxford Research Encyclopedia of Literature cita Latour e il suo libro "Non siamo mai stati moderni" [ed. Eleuthera] come "emblematici" dell'argomento dei Nuovi Materialismi [*2]. E in una recente relazione di Katharina Hoppe e Thomas Lenke, Latour viene anche menzionato come un'importante lemma [*3]. Anche se non sono tutti "latouriani", esiste una chiara relazione. Graham Harman [*4] e Jane Bennett [*5] fanno esplicito riferimento a Latour, e vengono anche fatti numerosi riferimenti a lui nel lavoro di Donna Haraway, collega di lunga data e amica di Latour (anche se, tra le altre cose, fa anche delle osservazioni critiche circa la mancanza di un approccio femminista. Da un lato, il Nuovo Materialismo cerca di prendere le distanze dalle scuole di pensiero hegeliane e marxiste, mentre allo stesso tempo si oppone al relativismo, all'attenzione al linguaggio e al discorso del post-strutturalismo. Le cose, i materiali o gli «attori non umani» devono avere più potere. Ciò mette in discussione il pensiero occidentale dell'Illuminismo per il suo dualismo di soggetto e oggetto e per le connesse separazioni di soggettività e razionalità, verità e ideologia, natura e società, scienza e politica, ecc. Un dibattito questo, che è antico quanto la prima formulazione di Cartesio relativa a tale dualismo: già nel XVII secolo, Cartesio distingueva lo spirito dominante dalla materia da sottomettere; concetto cui si oppose il suo contemporaneo Baruch Spinoza. Spinoza, del resto, sviluppò una filosofia anti-dualistica, una cosiddetta filosofia monistica. Tale filosofia, intendeva fare a meno di una dicotomia in cui una parte domina l'altra. Questa tradizione filosofica spinozista ha conosciuto una nuova ripresa nella seconda metà del XX secolo, attraverso personalità come Gilles Deleuze, Michel Foucault e Michel Serres, tra gli altri. Spinoza è stato invocato contro la filosofia hegeliana del soggetto, della storia e della totalità. Immanenza vs. totalità, azione vs. struttura, libertà vs. determinazione. Negli anni '80, Bruno Latour ha continuato questa tradizione, facendo uso dell'armamentario della tradizione monistica, ha dissezionato l'establishment scientifico facendo uso degli studi scientifici, e ha sottolineato che la separazione dualistica creata dalla Wissenschaftlerinnen [establishment scientifico] moderna non era in realtà reale. Anziché di soggetti e di oggetti dualistici, ha parlato - facendo riferimento a Michel Serres - di quasi-oggetti, vale a dire, di fenomeni che non sono né soggetto né oggetto [*6]. La designazione di questi quasi-oggetti ha molti nomi. Altrove, Latour li chiama anche ibridi. Donna Haraway ha adottato questo concetto, dandogli il nome di "cyborg" nel suo famoso manifesto [*7]. Uno dei temi principali dell'opera di Latour viene formulato nel suo già citato libro "Non siamo mai stati moderni" [ed. Eleuthera] (1991), vale a dire, cosa sia che caratterizza la modernità. Questa domanda sembra avere qualcosa in comune con la teoria critica della Scuola di Francoforte. E tuttavia, proprio nel rispondere a questa domanda, Latour trova la propria definizione di modernità, poi diventata una premessa centrale per il NM, e facendolo contraddice proprio le analisi dei fondatori di IfS.

LA CRITICA E LA COSTITUZIONE MODERNA
Per Latour, il modo in cui nella modernità viene espressa la critica, si caratterizza per il fatto che essa rifiuta e liquida come un fenomeno, come un prodotto, le opinioni ingenue delle persone. mel mentre che, invece, come spiegazione utilizza un ente occulto, qualcosa di inconfutabile, e che quindi esiste indipendentemente dagli esseri umani [*8]. Pertanto, solo un osservatore completamente neutrale - lo scienziato (sic!) - può quindi vedere la vera causa di un fenomeno [*9]. Secondo Latour, inoltre, il pensiero moderno sostiene anche che viviamo in un mondo dualistico. I dualismi che abbiamo enumerato all'inizio sarebbero stati dichiarati realtà dalla filosofia moderna. Latour critica questo punto di vista: a suo parere, i dualismi possono essere separati solo solo a partire da una prassi che originariamente non è dualistica. Egli chiama "traduzione" questa pratica originaria . In tal modo, Latour individua due livelli. In primo luogo, il livello della "traduzione", vista come una rete di relazioni soggetto-oggetto che non possono essere assegnate in maniera chiara. In altre parole, si tratta di ibridi che nel dualismo tra cultura e natura, scienza e politica, umani e non umani non si fondono. Il secondo livello, per Latour è quello moderno. E consiste in una "purificazione" successiva, nel corso della quale i moderni separano tutte le traduzioni precedenti inbase a quella che è la la loro moderna costituzione dualistica. I moderni consideravano come realtà soltanto il secondo livello, ma per Latour entrambe le pratiche vanno pensate insieme. Solo nel momento in cui smettessimo di considerare entrambi i livelli, non saremmo più moderni. Paradossalmente, alla fine, non rimane altro che il livello ontologicamente postulato nella traduzione, e al livello della separazione non viene più attribuita alcuna seria efficacia. Per quanto Latour si difenda dall'ovvia obiezione di aver sviluppato qui la propria critica moderna [*10], tale accusa non può essere completamente respinta. Infatti, se Latour rivela che in realtà noi non siamo moderni, e che i dualismi non sono reali, allora il fatto che la pensiamo così può essere attribuito solo a una falsa percezione. Ciò significa che la separazione non sarebbe una prassi, ma solo un modo errato di pensare. Il risultato è il vecchio dualismo tra azione e pensiero, che in realtà Latour avrebbe voluto dissolvere. Secondo Latour, riferirsi al pensiero moderno come se esso fosse la costituzione moderna, ha un solo effetto reale: ci permette di sfruttare la natura senza alcun limite [*11]. Ma se seguiamo la sua teoria, tuttavia, lo sfruttamento della natura non può essere una pratica reale. Se lo fosse, allora saremmo moderni. Invece, per Latour, questo dev'essere solo un punto di vista, o un modo di pensare, e quindi non è una realtà. Le categorie disegnate da Latour, non vengono da lui utilizzate in maniera coerente. Pertanto, la sua confusione concettuale vanifica la sua pretesa anti-dualistica. Alla fine, nella concezione di Latour, ciò che rimane è un livello simmetrico, che Latour chiama «antropologia simmetrica», dove esistono solo ibridi qualitativamente indifferenziati [*12]. Tutte le distinzioni, anche quelle relative alla storia tra pre-modernità e modernità, tra scienza e visione religiosa del mondo, ecc., vengono da lui dissolte. Le società ibride sarebbero caratterizzate solo da delle differenze quantitative [*13]. Così facendo, Latour intende mettere in discussione l'«eccezionalismo moderno». In questo modo, quella che era una critica giustificata del materialismo storico, ora finisce per oscillare qui nel suo esatto contrario. Dalle differenze, dalle rotture e dalle linearità, Latour salta e arriva, senza alcuna mediazione, alla cancellazione della storia. Visto che tutte le culture precedenti hanno sempre agito e pensato in maniera ibrida - e così facciamo anche noi - si fa sempre più forte il sospetto che Latour nutra in segreto un suo idealismo. Se non siamo mai stati moderni, allora perché la purificazione ha perso la sua efficacia? Se non è rilevante, allora perché la purificazione viene menzionata come una prassi di Latour? Si tratta quindi di una prassi puramente idealistica? Andando avanti, diventa così sempre più chiaro che l'accusa di idealismo non può essere respinta a priori.

LA COLLETTIVITÀ AL POSTO DELLA TOTALITÀ
Oltre ai concetti di critica e storia (o modernità), Latour rifiuta anche il concetto di totalità o di società. In contrasto con l'approccio di Max Horkheimer, secondo cui «il riconoscimento critico delle categorie che dominano la vita sociale reca in sé anche la sua condanna»[*14], Latour decide di gettare completamente a mare la categoria di totalità. Preferisce parlare di reti e di collettivi [*15], che restituirebbero alla politica un margine di manovra per agire. Latour arriva persino a sostenere che parlare solo di totalità finisce per rafforzarla, e ci rende incapaci di agire: «Ogni totalizzazione, anche quella critica, promuove il totalitarismo» [*16]. Ma si potrebbe però anche vedere la cosa al contrario: solo una corretta comprensione della totalità sarebbe in grado di abolire la totalità. Ma la cosa richiederebbe che se ne parlasse. Latour - e questa sembra essere una tendenza generale del NM - da nessuna parte affronta in maniera approfondita quelle che sono le varie concezioni della totalità in Hegel, Marx, la Scuola di Francoforte, o le interpretazioni alternative della teoria marxiana della seconda metà del XX secolo. Al contrario, quel che fa consiste nel costruie argomentazioni di comodo, le quali poi possano così essere facilmente delegittimate. Ad esempio, a un certo punto Latour usa la metafora della rete ferroviaria, telefonica, idrica o televisiva, vale a dire, per quelle che sono reti tecnologiche. Per quanto queste reti coprano molti luoghi, esse non sono mai completamente globali, universali o totali, poiché: «È impossibile viaggiare in treno fino a Malpy, un piccolo villaggio dell'Alvernia, o fino a Market Drayton, una piccola città nello Staffordshire» [*17]. Tuttavia, non c'è nessuno dei rappresentanti della scuola "hegeliana" che abbia mai parlato di una rete ferroviaria o telefonica, quando è stato usato questo termine [*18]. L'inutilità dell'argomentazione di Latour riflette quello che è il suo modo di trattare concetti critici. Anziché confrontarsi con i rappresentanti della scuola hegeliana, si limita a evidenziare le cose da un punto di vista fenomenologico. A partire da questo, appare chiaro che in Latour, a differenza di Horkheimer, non esiste alcuna concezione relativa a un concetto critico di totalità che critichi la totalità senza negarla. Rifiutando il concetto di totalità, Latour - così come fanno altri rappresentanti del NM (adottandone le premesse teoriche) - cerca di sfuggire alla propria reale impotenza. La resistenza politica, secondo Latour, è possibile. Ma quel che viene meno, però, è la riflessione sulla forma in cui nel capitalismo appare la politica. Quello di cui si parla, è una "politica" astorica che, sottraendosi all'idea di totalità, potrebbe finalmente realizzare qualcosa. Ma tuttavia, gli approcci che si appropriano di queste premesse teoriche corrono il rischio di riprodurre le condizioni capitalistiche, negandone la forma e l'efficacia. Dopo tutto, sotto il capitalismo, la capacità di agire può essere conquistata solo a partire da delle restrizioni, come quella della sottomissione all'imperativo della crescita, vale a dire, la compulsione a operare attraverso il lavoro, o per mezzo dell'imposizione del valore alla natura [*19].

IL "DASEIN" SENZA L'UOMO
Come molti teorici post-strutturalisti, Bruno Latour è influenzato da Martin Heidegger. E anche Heidegger si colloca in una tradizione filosofica anti-dualista, che si considera l'antitesi della filosofia illuminista classica. La filosofia esistenzialista di Heidegger si caratterizza a partire dal fatto che vede un mondo reale, fenomenologico, che si apre a ogni individuo, e si contrappone a un mondo moderno astratto, meccanicistico e anonimo (l'«Uomo») e alla scienza naturale. Di conseguenza, le persone sono «dimentiche dell'essere». L'individuo, il Dasein, con la sua determinazione, dovrebbe resistere all'«Uomo»  e prendere in mano il proprio destino, riconoscendo il proprio essere. Latour, ora critica Heidegger per aver preso troppo sul serio la modernità, nonostante essa non sia affatto la realtà reale. Heidegger si era innamorato dei Moderni e della loro Costituzione. Di conseguenza, Latour epura completamente la filosofia di Heidegger dal quella che è la sua critica della modernità e del suo mondo astratto. Per cui, in realtà, il metodo fenomenologico sarebbe solo la descrizione della realtà, e non è vero che tutti noi non siamo «ignari dell'essere» [*20]. In altre parole, Latour vorrebbe «realizzare il progetto impossibile di Heidegger» [*21]. Viene così cancellata anche quell'unica critica per mezzo della quale la Teoria critica avrebbe potuto forse, nonostante tutte le sue contraddizioni [* 22], ancora legarsi criticamente, ovvero in quanto critica della modernità. In questo modo, invece, ciò che rimane è un'innocua teoria fenomenologica che sfocia nel positivismo descrittivo.

CRITICA DELLA RAGIONE STRUMENTALE
Ciò non significa che una teoria critica debba affermare il pensiero strumentale dell'Illuminismo. Al contrario, per una teoria critica del nostro tempo, la critica della modernità è indispensabile. Ma non tutte le scuole di pensiero che si rifanno a Hegel, Marx o alla Scuola di Francoforte affermano necessariamente una padronanza assoluta della natura, e sono quindi necessariamente cartesiane o totalitarie. Ad esempio, esiste una scuola di pensiero nella tradizione di Alfred Sohn-Rethel, che negli anni '70 e '80, in particolare all'Istituto Otto Suhr di Berlino, ha posto delle questioni epistemologiche, e ha cercato di spiegare criticamente il modo moderno di pensare nel contesto della struttura capitalista della società [*23]. Questo approccio, che potrebbe anche essere descritto come una spiegazione sociale o materialista, dal momento che cerca di spiegare le idee della prassi (quotidiana) delle persone, i loro modi sociali di relazionarsi, tra loro e con la natura. Ecco che in questo caso, il capitalismo viene inteso non solo come "economico", ma anche come un modo di esistenza. Questa tradizione - purtroppo rimasta sepolta nel mondo accademico di oggi - si riferiva a Marx, per mezzo di una sua lettura non ortodossa, e criticava sia il marxismo ortodosso che la teorizzazione borghese e post-strutturalista. I libri di questo periodo dimostrano che è possibile affrontare criticamente il concetto di totalità senza dover per questo affermare un illuminismo strumentale. Al contrario, è solo affrontando la realtà sgradevole (totalità, storia, feticcio) che la modernità può essere spiegata e quindi criticata in prima istanza. Se ci si limita a evitare il dibattito critico, non si potranno comprendere i concetti e quindi non si potrà abolirli. Questa tradizione teorica alternativa, legata a Marx, offre anche una concezione non ortodossa della storia, la quale cerca di spiegare il modo moderno di esistenza a partire dalle strutture sociali (e questo modo non include solo l'estrazione del plusvalore). Latour e alcune teorie della NM, invece, non riescono a spiegare quello che è stato l'emergere della modernità [*24].

POSITIVISMO
Il metodo di Latour mira a descrivere il mondo, piuttosto che metterlo criticamente in discussione. Lars Gertenbach e Henning Laux, scrivono in una loro recente introduzione:
«Mentre il modello della spiegazione riduce gli eventi sociali al minor numero possibile di elementi e relazioni causali, e il modello della comprensione accorcia antropocentricamente il campo di osservazione della sociologia, secondo Latour è solo il modello della descrizione che ci permette di mantenere aperto quello che è l'elenco delle entità sociologicamente rilevanti, e di perseguirne le varie associazioni. In una prima fase, l'ANT [Actor-Network Theory] persegue pertanto l'etnometodologia, ciò perché anch'essa sposta il focus della ricerca dal perché al come» [*25].
Ciò che così rimane come critica, è il riferimento agli attori non umani o la dissoluzione dei dualismi. Si potrebbe dire che l'approccio di Latour è una critica inter-scientifica dell'etnometodologia e del suo essere limitata alle persone e alle loro azioni. Di conseguenza, è per questo motivo che Latour deve rispondere alla domanda se non sia in realtà un positivista. Cosa che egli tuttavia non nega: «(...) dopo tutto, sono un realista ingenuo, un positivista» [*26] Questo suo positivismo non è altro che la logica conseguenza di ogni teoria che eviti il più possibile di parlare di una totalità, o di un essere. Sembra assurdo che una teoria positivista debba contribuire al rinnovamento della teoria critica, se si considera l'aspra critica del positivismo della Scuola di Francoforte!

NEOLIBERALISMO
In un apprezzamento del sociologo francese Gabriel Tarde [*27] - il quale ha avuto una grande influenza su di lui - Latour sostiene una teoria economica che deve essere libera da ogni essenza, dalla stabilità e dalle leggi prevedibili. Questo perché l'economia non può essere controllata e sottoposta a dei principi generali. Ed è per questo che Latour argomenta, con Tarde, a favore di un pensiero che ripensi l'economia e possa così restituire alla politica quello che è il suo potere creativo: «Se si accettasse seriamente di dispiegare, senza alcuna trascendenza, questa immanenza, non si potrebbe allora tornare a fare di nuovo politica? Una politica che i seguaci di Mammona - il dio della provvidenza e dell'armonia automatica - così come quelli dello Stato, per così tanto tempo ci hanno proibito di praticare: sì, questa politica della libertà. Liberalismo,allora?» [*28].
Latour non vuole avere "paura" del concetto di liberalismo, il quale, in fondo, è finalizzato a una politica di "libertà". Questo dimostra l'ingenua adozione, da parte sua, del gergo neoliberale, che è solo la necessaria conseguenza della mancanza di un concetto sociale di libertà. Perché la libertà nel capitalismo ha un carattere specifico: la libertà di agire nell'ambito del lavoro, del denaro e della proprietà. Anziché chiedersi e verificare se invece il discorso sulle leggi e sulle restrizioni non corrisponda forse a una realtà che esiste nella pratica capitalistica quotidiana;  si sostiene semplicemente che il problema risiede nel pensiero, nell'atteggiamento sbagliato. Secondo Latour e Tarde, il fatto che la politica non sia in grado di agire non è dovuto ai vincoli del capitalismo, ma semplicemente a un modo di pensare sbagliato, a una teoria economica sbagliata. Questo dimostra assai bene come la mancanza di riflessione sulla forma capitalistica in cui si svolge oggi la politica porti direttamente all'affermazione del capitalismo. Non è quindi un caso che il tentativo di Latour di liberare l'economia dalle leggi, somigli molto alla teoria economica neoliberista di Friedrich August von Hayek. Latour ammette addirittura, a un certo punto, che Tarde aveva «...molto in comune con Hayek, a parte il darwinismo sociale di Hayek...» [*29] .

CHI HA ABOLITO IL CAPITALISMO?
«[C'è] Nuovamente un compito politico!» si rallegra Latour, nell'ultima pagina di "Noi non siamo mai stati moderni" [*30]. Grazie a una «democrazia estesa alle cose» [*31]  verrebbero eliminate tutte le restrizioni dovute alla Costituzione Moderna, e finalmente sarebbe possibile agire. L'obiettivo di Latour è chiaro: la resistenza che la politica incontra oggi, in realtà non è una pratica reale, ma è dovuta alla Costituzione Moderna che ossessiona le menti delle persone [*32]. Sullo sfondo storico della situazione dei movimenti di sinistra, negli anni '70 e '80, quello che si può vedere è il desiderio di ignorare i vincoli imposti alla politica: la rivoluzione non si è concretizzata, e si è diffusa la disperazione. Per contrastare questa situazione, la gente ha semplicemente cercato di non parlare più di capitalismo, dal momento che è restrittivo. E questo è avvenuto con conseguenze fatali, poiché secondo Moishe Postone così facendo è stata seguita una strada che camminava parallelamente all'economia: il neoliberismo [*33]:
«La sinistra non si è resa conto di far parte della stessa ondata del neoliberismo. Anche il neoliberismo è del tutto incentrato sull'arbitrio, è questa la sua ideologia. In un certo qual modo, tanto la sinistra quanto i neoliberisti stanno rispondendo alle forme degli anni '50 e '60: con il keynesismo fordista in Occidente e con l'economia pianificata a Est. E in ogni caso si tratta di una reazione piuttosto monolaterale. C'è come un continuum tra la le persone di sinistra che parlano di Agency [N.d.t: "La facoltà di far accadere le cose"] e quelle di destra che siedono nel dipartimento di economia della mia università a Chicago: i Chicago Boys. Anche a loro piace tanto parlare di Agency» [*34].
Per criticare le contraddizioni che sorgono attraverso i dualismi della realtà - cioè la modernità - la teoria critica deve essere in grado di descriverla questa realtà. Latour, invece, descrive una realtà che non va assolutamente criticata, ovvero parla di un mondo ibrido, non moderno e privo di contraddizioni. Così, il problema si pone in maniera unilaterale sul modo di pensare: basterebbe cambiarlo, per rendersi conto che non siamo affatto moderni. Ma se, come sostiene Latour, il mondo non fosse davvero moderno, perché mai dovremmo ancora criticarlo? [*35] Quando oggi si parla di teoria critica, soprattutto nel mondo accademico, si ha spesso come l'impressione che le categorie della teoria critica siano superate. I colloqui e i convegni (ad esempio. come quello organizzato dall'IfS) ne sono la testimonianza. Se la NM, ispirata da Latour, vuole essere chiamata «Nuova Teoria Critica», allora bisognerebbe che fosse in grado di spiegare perché e come mai le categorie della Scuola di Francoforte - come feticcio, capitalismo o totalità – apparterrebbero a un epoca vecchia e il motivo per cui oggi non sono più valide. Quando sarebbe avvenuta questa rivoluzione segreta? Chi avrebbe abolito il capitalismo? Sicuramente, ci sono delle critiche giustificate da fare alle categorie della Scuola di Francoforte [*36]. Ma ritengo che sia controproducente respingerle del tutto. Così facendo, si butta via il bambino con l'acqua sporca, e ci si allontana dalla realtà capitalistica. E tutto ciò solo al fine di impadronirsi di una presunta capacità di agire [*37]. Così facendo, l'azione astratta diventa un feticcio, un fine in sé. Si adottano le categorie capitaliste, che vengono presentate come emancipatrici. Un aspetto, questo, che può essere rintracciato molto bene nel lavoro di Latour, e che si in una certa qual misura si applica anche ad altri esponenti dei Nuovi Materialismi. Il rifiuto delle categorie centrali della teoria critica, insieme a una filosofia heideggeriana ripulita dall'alienazione, conduce direttamente a un'apologia delle riforme politiche del capitalismo - che vengono già applicate in una  forma assai simile [*38] -  e anche all'affermazione del neoliberismo. Bruno Latour non è uno che ha voluto legarsi alla Teoria Critica. Al contrario, egli sostituisce la teoria critica con qualcosa di completamente diverso. Il programma di Latour è più vicino a Popper, ad Hayek e a Heidegger di quanto lo sia a Horkheimer, a Marcuse e ad Adorno. Il termine e il concetto di «teoria critica» viene qui cambiato e confuso a tal punto che ci si chiede perché mai le nuove teorie vogliano essere chiamate teoria critica.

- Nick Gietinger - Pubblicato il 30/9/2023 su https://diskus.copyriot.com/

NOTE:

1 - Gertenbach, Lars/Laux, Henning (2019): Zur Aktualität von Bruno Latour. Wiesbaden: Springer) und Hoppe, Katharina/Lemke, Thomas (2021): Neue Materialismen zur Einführung. Hamburg: Junius.

2 - https://www.academia.edu/40286307/New_Materialisms_preprint

3 - Hoppe/Lemke 2021, 11.

4 - U. a. Harman, Graham (2009): Prince of Networks. Bruno Latour and Metaphysics. Melbourne: re.press.

5 - Bennett, Jane (2010): Vibrant Matter. Durham/London: Duke University Press.

6 - Nel suo libro "Il parassita" (1987), Michel Serre, Michel (1987): si fa l'esempio del calcio, e chi i calciatori devono seguire quando giocano una partita di calcio.
      Durante il gioco, non è mai del tutto chiaro chi sia il soggetto - cioè il sovrano - e chi sia l'oggetto - cioè il governato. Il pallone o i giocatori?

7 - Haraway, Donna (1985): Manifesto cyborg. Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo. Feltrinelli

8 - Latour, Bruno (2008): "Non siamo mai stati moderni.". eléuthera 2009

9 -Questo si riferisce anche al marxismo e alla critica del feticismo. L'obiettivo di una teoria critica per il nostro tempo, invece, potrebbe essere quello di individuare un essere storicamente specifico che possa essere abolito, e quindi non sia ontologico. Per una critica della critica di Latour alla critica di Marx al feticismo, vedi White, Hylton (2013): Materiality, Form, and Context: Marx Contra Latour. In: Studi vittoriani, vol. 55, n. 4, pp. 667-82.

10 - Latour 2008, 55.

11 - Latour sostiene - in una costruzione molto discutibile - che a causa della simultaneità di traduzione e purificazione, sarebbe possibile produrre sempre più ibridi. Pertanto, i moderni sarebbero invincibili. Così, la natura non viene distrutta o sfruttata all'infinito a causa del modo di esistenza capitalistico, ma piuttosto proprio perché i moderni sono "invincibili" in virtù della loro costituzione.

12 - Haraway riprende questo concetto per mezzo del suo concetto di "culture della natura". Per la critica di questo termine, si veda Stache, Christian (2017): Capitalism and the Destruction of Nature: On the Critical Theory of the Social Relationship to Nature. Opladen/Berlino/Toronto: Verlag Barbara Budrich., 61 ss.

13 - Questa nozione di ridurre tutti gli eventi a un unico livello, fa parte dell'attuale dibattito sulla "memoria multidirezionale" avviato da A. Dirk Moses. Nella sua critica all'ultimo libro di Moses, lo storico Stephan Malinowski scrive che Moses «attraverso la sua decontestualizzazione crea una notte analitica in cui tutti i gatti sono grigi ». E che «categorie così ammorbidite» sarebbero la via diretta verso la banalità. (Malinowski, 27.08.2023, https://zeitung.faz.net/fas/feuilleton/2023-08-27/b3878584100c6841d25aad74fbb4479c/?GEPC=s9) Anche Latour potrebbe essere accusato di qualcosa di simile, se semplicemente non volesse più distinguere tra pre-modernità e modernità. Proprio come Moses, non vuole distinguere l'Olocausto dalla guerra al terrorismo o dall'annientamento degli Aztechi, Latour non vuole distinguere la scienza moderna dallo stile di vita pre-moderno. Se Moses, come Malinowski, insinua che «molte persone sono state uccise in molti luoghi in ogni momento» (Malinowski), nel caso di Latour, «molti ibridi vengono prodotti in molti luoghi e in ogni tempo».

14 - Horkheimer, Max (2011): Traditionelle und Kritische Theorie. Fünf Aufsätze. Frankfurt am Main: Fischer Verlag, 225.

15 - I collettivi sono, ad esempio, associazioni di scienziati, aziende, politici, esseri umani e non umani. Queste devono mantenere costantemente la loro stabilità e potrebbero anche scomparire di nuovo. Questo dà loro più spazio di manovra rispetto a una totalità trascendente.

16 - Latour 2008, 166. Lo stesso vale per il capitalismo. In una conferenza (Latour, Bruno: (2014): Su alcuni degli effetti del capitalismo. http://www.bruno-latour.fr/sites/default/files/136-AFFECTS-OF-K-COPENHAGUE.pdf), in cui Latour discute del capitalismo, parla dell'«idea velenosa del capitalismo». Qui Latour parla del capitalismo come di qualcosa che ossessiona le menti delle persone e le rende senza speranza. Dal momento che non era possibile rovesciare il capitalismo, forse non doveva essere fatto. «Non è il capitalismo che dovresti rivoluzionare, ma piuttosto il tuo modo di pensare.» Queste frasi ricordano i coach motivazionali di questi tempi: è tutta una questione di mentalità. L'idealismo di Latour diventa evidente nella tesi finale della conferenza: «Finora gli economisti hanno solo cambiato il mondo in vari modi, ora si tratta di interpretarlo». Anche se la parola è usata continuamente, non è chiaro in questa conferenza cosa intenda per capitalismo.

17 - Latour 2008, 166.

18 - Si ha l'impressione che Latour non abbia mai avuto a che fare con la Scuola di Francoforte. La sua critica è rivolta principalmente alle teorie sociali classiche, al marxismo o al postmodernismo, che egli chiama teoria critica.

19 - Qualcosa che poi chiede anche Latour. La capacità politica di agire si esaurisce quindi con una modifica del banale equivalente di CO2, che è stato a lungo un luogo comune e per il quale è altamente discutibile se fermerà il cambiamento climatico. Sulla critica di Latour a questa soluzione, si veda: Tellmann, Ute (2016): Political Ecology, Calculation and the De-Materialization of Dingpolitik. In: Mondo sociale, 67° anno, n. 3, numero speciale: La nuova sociologia politica di Bruno Latour, pp. 333-351.

20 - Latour 2008, 87.

21 - Latour 2008, 90.

22 - Qualcosa che Herbert Marcuse ha notoriamente provato. La sua critica a Heidegger in quel momento si applica ancora oggi a Latour: «La direzione del movimento economico come fatticità storica, tuttavia, può essere presa solo dall'analisi dello stato storico concreto e non è accessibile alla fenomenologia della storicità come struttura di base dell'esistenza. Una tale analisi storico-economica deve aver sempre preceduto ogni teoria di un atto storico, perché non fa altro che esporre il terreno su cui questo atto può avvenire come un cambiamento necessario. ( Marcuse, Herbert/Schmidt, Alfred (1973): Interpretazione esistenzialista di Marx. Francoforte sul Meno: EVA., 80 f.). Così, Marcuse critica anche una concezione astorica della politica che non si illumina sulle proprie condizioni sociali.

23 - Tra questi, Manfred Dahlmann, Bodo von Greiff, Rudolf Wolfgang Müller, Norbert Kapferer, Elvira Scheich e Claus Peter Ortlieb.

24 - La visione dualistica del mondo – e qui Latour pensa interamente nello spirito di Nietzsche – è stata "inventata" da vari filosofi o gruppi. Questi sono stati in grado di prevalere in certe situazioni storiche e i loro presupposti sono stati accettati senza discutere fino ad oggi. In alcuni punti, questa visione assomiglia all'idea di un culto del genio o di una cospirazione, in cui individui o gruppi dettano il modo di pensare di interi continenti.

25 - Gertenbach/Laux 2019, 133 f.

26 - Latour, Bruno: (2010): Eine neue Soziologie für eine neue Gesellschaft. Frankfurt am Main: Suhrkamp Verlag, 270.
27 - Latour, Bruno/Lepinay, Vincent (2010): Die Ökonomie als Wissenschaft der leidenschaftlichen Interessen. Frankfurt am Main: Suhrkamp Verlag.

28 - Latour/Lepinay 2010, 14.

29 - Latour/Lepinay 2010, 108.

30 - Latour 2008, 192.

31 - Latour 2008, 188.

32 - In un'introduzione ai nuovi materialismi, Katharina Hoppe e Thomas Lemke criticano il fatto che la dissoluzione dei dualismi non è l'ultima parola in termini di saggezza, e che il capitalismo e la tecnocrazia rimangono troppo spesso indiscussi nei nuovi materialismi (Hoppe/Lemke 2021, 144 e 165). C'è da chiedersi se questa concezione liberale della politica non sia già insita nelle premesse del NM (come qui esemplificato da Bruno Latour) e immanente in teoria.

33 - Anche Hoppe e Lemke vedono questa parallelizzazione, ma per loro questa analogia è «troppo schematica e semplicistica». (Hoppe/Lemke 2021, 155).

34 - https://www.youtube.com/watch?v=eqjiznDQ3Ho (Min. 14:37)
 
35 - Un'eccezione è Donna Haraway, anche se di solito prende molto da Latour. Prende sul serio il concetto di capitalismo e vede nella dialettica dell'illuminismo una «... critica alleata del progresso e della modernizzazione...» (Haraway (2018):(Haraway (2018): Unruhig bleiben. Die Verwandtschaft der Arten im Chthuluzän. Frankfurt/New York: Campus., 253). Fa anche una necessaria critica del feticcio del lavoro del marxismo tradizionale. Allo stesso tempo, sfortunatamente, come per molti esponenti della NM, non è chiaro cosa intenda effettivamente per capitalismo. Karen Barad critica anche Latour per la sua adozione acritica dello stato liberale (Barad, Karen (2007): Meeting the Universe Halfway. Durham/Londra: Duke University Press, 58).
 
36 - Moishe Postone, per esempio, ha fatto proprio questo. Cfr. Postone, Moishe (2003): Zeit, Arbeit und Gesellschaftliche Herrschaft. Freiburg: ca-ira Verlag, 141 ff.
 
37 - C'è anche qui una somiglianza con la filosofia esistenziale di Heidegger, per cui il Dasein deve afferrare il suo destino nella determinazione. Contro ogni resistenza dell'«Uomo». Anche in questo caso vale la critica di Marcuse a Heidegger, secondo cui bisogna sapere con che cosa si ha a che fare prima di procedere all'«azione». La «politica» non c'è solo lì, così come l'«essere-nel-mondo» non avviene nel vuoto.

38 - Hoppe/Lemke 2021, 156 ss. forniscono esempi e, secondo Ute Tellmann, in Latour ha luogo una «smaterializzazione della politica delle cose», cioè l'introduzione del calcolo tecnocratico classico dalla porta di servizio (Tellmann 2016).

fonte: DISKUS – HOCHSCHULE

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