martedì 10 giugno 2025

Segnali di Autunno cripto-mercantile …

L'autunno braudeliano del Nord America
- Le lotte delle fazioni del capitale nella seconda amministrazione Trump -
di Benjamin Braun [*1] e Cédric Durand [*2]

Contraddizioni nella base che sostiene Trump
Secondo lo storico Fernand Braudel, il declino del paese egemone coincide, storicamente, con la finanziarizzazione. A fronte del declino della redditività legata alla produzione e al commercio, i proprietari di capitale trasferiscono sempre nella finanza, i propri beni. Si tratta - secondo Braudel - di un «segnale di Autunno», ovvero, di quel momento in cui gli imperi «si trasformano in una società di investitori, dei "rentier" che pongono alla ricerca di qualcosa che garantisca loro una vita tranquilla e privilegiata.» [3*] Questo spettro braudeliano del declino, oggi perseguita coloro che sono le figure chiave della seconda amministrazione Trump. Ecco che cosa si era chiesto durante la campagna elettorale l'attuale segretario al Tesoro Scott Bessent: «Che cosa hanno in comune tra loro tutte le vecchie valute di riserva?» Vale dire «Sia che provenissero dal Portogallo, o dalla Spagna, dai Paesi Bassi, o dalla Francia, oppure dal Regno Unito... Qual è stato il modo in cui hanno fatto sì che perdessero il proprio status di valuta di riserva?» Ed ecco come si è risposto: «Tutti questi paesi hanno finito per essere parecchio indebitati riguardo le loro finanze, e quindi non potevano più sostenere i propri eserciti». Ora, sebbene Bessent - un ex gestore di hedge fund - neghi ufficialmente l'esistenza di un programma di deprezzamento del dollaro, gli speculatori hanno agito tuttavia in un modo che, da quando Trump è entrato in carica a gennaio, sta abbassando il tasso di cambio degli Stati Uniti. Da parte sua, il Segretario di Stato Marco Rubio è l'autore di un rapporto risalente al  2019, intitolato "American Investment in the Nineteenth Century". In questo testo, egli critica Wall Street per aver mantenuto la norma che mette al primo posto la «remunerazione degli azionisti». Questa regola, che «favorisce un rapido ritorno di liquidità per gli investitori, modella il processo decisionale aziendale a breve termine, anziché costruire capacità aziendali a lungo termine». Le opinioni di questi funzionari circa i privilegi maturati dalla finanza, vengono condivise dagli  autoproclamatisi  "populisti" repubblicani, come Josh Hawley. In tal modo, vediamo come una certa ostilità residua nei confronti di Wall Street, abbia segnato ideologicamente i primi mesi della seconda amministrazione Trump. Da un lato, i dazi imposti nel "Giorno della Liberazione" hanno turbato i mercati finanziari; mentre dall'altro, Wall Street si è vendicata per mezzo di minacciosi panici finanziari, i quali operano in modo da disciplinare la Casa Bianca. Sapere se una coalizione di populisti riuniti sotto la bandiera MAGA, in quanto base elettorale di Trump, sia o meno sostenibile, costituisce una questione centrale per la sua seconda amministrazione. Va detto anche che ci si si aspetta un aumento degli standard di vita, così come la rinascita dei posti di lavoro sicuri, che arriverebbe attraverso una rinascita dell'industria manifatturiera statunitense. Ora, questi populisti credono davvero che ciò possa avvenire - e che avverrà -  attraverso una politica tariffaria, e un restringimento del mercato del lavoro attuato a partire dalle deportazioni di immigrati privi di documenti. Le aziende di combustibili fossili,  e di tecnologie orientate alla difesa, come Palantir e Anduril sono infatti piuttosto soddisfatte di questo "nativismo" militarizzato. Ma appare sempre più chiaro invece che la politica commerciale di Trump stia danneggiando evidentemente la finanza privata e le grandi aziende tecnologiche. E si tratta di due settori che pure hanno sostenuto con costanza Trump, tanto che ora sperano di essere premiati. Attaccandoli, Trump potrebbe prendere le distanze da alcune fazioni del capitale statunitense, che hanno contribuito a riportarlo in carica. Ma per queste fazioni, il declino degli Stati Uniti è comunque relativo, e secondo esse potrebbe essere gestito più agevolmente, come è stato fatto in Giappone. Come osservava Giovanni Arrighi, già dal 1994, la finanza è sempre portata a mediare, e pertanto beneficia continuamente delle transizioni egemoniche. [*4] Sebbene l'egemonia si stia indebolendo, i titani della gestione patrimoniale continuano a trarre profitto sia dal ribilanciamento dei portafogli negli Stati Uniti che dall'investimento di grandi masse di capitale nelle economie asiatiche in rapida crescita; in particolare la Cina. Le grandi aziende della tecnologia dell'informazione e della comunicazione, da parte loro, mirano a controllare la generazione e la diffusione della conoscenza; ed è per questo motivo che vogliono anche avere una forte influenza sul coordinamento economico [*5]: hanno molto da perdere dalla frammentazione geoeconomica dal momento che potrebbe impedire loro di accedere ai dati, e ridurre così i loro effetti di rete, oltre ad aumentare il costo delle loro infrastrutture materiali e, in ultima analisi, può anche arrivare a spingere per politiche di sovranità digitale, da parte degli altri paesi del mondo. Pertanto, nei suoi sforzi per rilanciare l'impero americano, l'amministrazione Trump dovrà quindi bilanciare assai delicatamente quelli che sono gli interessi dei nativisti orientati alla ripresa dell'industria, da una parte, e dall'altra gli interessi delle fazioni del Capitale che invece devono operare nel mondo nel suo complesso. Essere in grado di barcamenarsi tra queste agende in competizione, rappresenta già un'enorme sfida alla longevità della coalizione che sostiene l'amministrazione Trump, e per la stabilità del sistema finanziario globale nel suo complesso.

La finanza privata sostiene Trump
Già nelle elezioni del 2016 abbiamo assistito a una drammatica spaccatura tra i capitalisti che hanno il loro centro a Wall Street. Da un lato, le banche troppo grandi per fallire insieme ai gestori patrimoniali del "capitale pubblico" si sono allineati, anche retoricamente, con i Democratici. Ma dall'altro lato, i capitalisti del cosiddetto "private equity", del venture capital e degli hedge fund hanno sostenuto, anche a voce, la prima candidatura di Trump alla presidenza. Vale la pena ricordare come tale divisione si sia manifestata anche nel Regno Unito, dove un gruppo di magnati del "private equity" e degli hedge fund ha dato il loro sostegno alla Brexit, mentre invece la finanza tradizionale, incentrata sulle banche, tendeva a sostenere il campo schierato con la permanenza nell'Unione Europea [*7]. I gestori patrimoniali, che operano come titoli del settore privato, vogliono solo due cose: privilegi fiscali e deregolamentazione. Il fattore più importante, che sta dietro l'inarrestabile ascesa dei capi della finanza privata nella classifica Forbes 400, risiede nel consentire la scappatoia fiscale per quei guadagni derivanti dalle transazioni finanziarie. Negli ultimi venticinque anni, questi guadagni - vale a dire, la remunerazione basata sulla performance dei partner di gestione dei fondi privati - hanno totalizzato l'incredibile cifra di 1 trilione di dollari [*8]. Nel 2010, Obama ha cercato – fallendo – di chiudere questa scappatoia. L'amministratore delegato di Blackstone, Stephen Schwarzman, ha ritenuto opportuno paragonare quell'impegno all'invasione della Polonia da parte della Germania nazista. Quando è stato emanato l'Inflation Reduction Act dell'amministrazione Biden, la senatrice Kristen Sinema ha fatto una richiesta dell'ultimo minuto al Senato degli Stati Uniti: proponendo semplicemente che la scappatoia fiscale venisse mantenuta. È stato così che si è potuto assistere al completo fallimento dei Democratici statunitensi per quanto riguardava aumentare le tasse sulle grandi imprese, e sui ricchi. Sul fronte della deregolamentazione, per la fazione della finanza strettamente privata, il premio più consistente  è stato l'accesso al vasto bacino di beni individuali associati alle pensioni. Attualmente, i fondi di "private equity" e gli hedge fund raccolgono fondi da individui super-ricchi e dai proprietari di asset istituzionali, ma non dalla massa dei percettori di reddito. Il gruppo, di gran lunga più numeroso, dei clienti di questi fondi sono le cosiddette "pensioni a prestazione definita", del settore pubblico e privato. Dalla crisi finanziaria del 2008, tuttavia, i piani individuali a contribuzione definita sono cresciuti due volte più velocemente di quanto abbiano fatto i loro omologhi collettivi. Attualmente, circa 10 trilioni di dollari riempiono le casse che si riferiscono a questi due tipi di piani, i quali sono gestiti dai sostenitori della fazione liberale di Wall Street; aziende come BlackRock, Vanguard e State Street. Nel suo costante tentativo di poter accedere a questa gigantesca somma di denaro, è stato sotto Trump I che la fazione della finanza privata ha ottenuto la sua prima vittoria: nel 2020, il sottosegretario del Dipartimento del Lavoro, Eugene Scalia, figlio del capo conservatore della Corte Suprema, Antonin Scalia, ha firmato un documento ufficiale nel quale si afferma che le regole esistenti consentivano già agli sponsor di tali fondi di "private equity" di anticipare le risorse che garantiscono la pensione a milioni di americani. In realtà, quello che era solo un semplice documento, sotto forma di lettera emessa dal Dipartimento del Lavoro - contrariamente a un cambiamento delle regole della legge finanziaria -  alla fine potrebbe risultare solo come un comandamento debole, ma è stato comunque piuttosto significativo. Poco dopo che Trump è entrato in carica per la seconda volta, i titani della partecipazione privata hanno raddoppiato i propri sforzi per poter aprire, e bere da quel rubinetto. Ed ora sono convinti che questa apertura potrebbe raddoppiare la domanda per i loro fondi. Non c'è alcun mistero riguardo la determinazione, da parte della "partecipazione privata", a voler ottenere l'accesso ai 60 milioni di partecipanti al piano 401(k) [*9], esistente negli Stati Uniti, e la linea di attacco è chiara: limitando le loro opzioni di investimento solo alle azioni e alle obbligazioni quotate in borsa - sostengono - le autorità di regolamentazione stanno presumibilmente privando i detentori del piano 401(k) di una diversificazione, e di rendimenti più elevati. Marc Rowan, amministratore delegato di Apollo, si è lamentato del fatto che i fondi 401(k) «sono investiti in fondi indicizzati a liquidità giornaliera, principalmente l'S&P 500». Larry Fink, CEO di BlackRock, che ha recentemente iniziato ad acquistare asset infrastrutturali, ha lamentato il fatto che questi asset si trovano «in mercati privati chiusi, bloccati dietro alte mura, con cancelli che si aprono solo ai partecipanti al mercato più grandi o più ricchi». L'ingresso di BlackRock nel "private equity", rappresenta un cambiamento radicale. E la cosa sta accadendo tra i gestori dei cosiddetti beni capitali pubblici. Ciò avviene mentre l'accesso ai rendimenti del private equity viene venduto ai risparmiatori pensionistici americani, come se fosse un passo verso una maggiore democrazia finanziaria. Ma in realtà, questo settore di "partecipazione privata" – definito dall'economista Ludovic Phalippou come la «fabbrica dei miliardari» [*10] – è alla ricerca un salvataggio. Dal 2006, i rendimenti degli investimenti dei fondi di private equity non sono più riusciti a superare il mercato azionario, anche se il numero dei loro miliardari è passato da tre, nel 2005, a ventidue nel 2020. Negli ultimi anni, questi fondi di buyout hanno faticato a sbarazzarsi di alcuni investimenti, senza riuscire a passarli, come in un gioco di patate bollenti. Nel 2024, per la prima volta da decenni, l'attività di "private equity" si è ridotta. Le trattative aziendali, nel mirino degli anni di Biden, ora offrono un percorso di ritorno alla crescita. «L'industria ha battuto il tamburo per il ritorno delle fusioni e acquisizioni, come se fosse un modo per giustificare in parte la quantità di capitale che è stata raccolta negli ultimi anni», ha recentemente detto il chief investment officer del gestore di asset alternativi Sixth Street a un gruppo di investitori. «Il problema, è che le persone, tra il 2019 e il 2022, hanno pagato troppo per gli asset, e ora nessuno vuole vendere quegli asset senza un rendimento accettabile». Con le aspettative di rendimento irrealistiche accumulate, il modo più sicuro per garantire un'uscita redditizia agli attuali investitori, è quello di attirare nuovi investitori. Portare 1 trilione di dollari di "investimenti stupidi" – come è nei piani 401 (k) – come pensa l'industria, consentirà ai fondi pensione, ai fondi sovrani e ai grandi proprietari di ricchezza individuale di uscire dalle loro partecipazioni ottenendo un profitto. I risparmiatori più piccoli rimarrebbero con questo sacco di asset sopravvalutati. In altre parole, uno schema Ponzi.

Riallineamento delle grandi aziende tecnologiche
Mentre la finanza si divideva in due fazioni politiche, l'élite della Silicon Valley marciava a destra formando un'unità sorprendente. Per tre decenni, gli imprenditori tecnologici e i finanzieri privati sono stati in grado di «agire rapidamente, spezzando le catene», senza dover temere grandi ostacoli imposti dallo Stato. Avendo ottenuto tutto troppo facilmente, questi predatori hanno deciso che l'amministrazione Biden, così come le politiche antitrust del Partito Democratico, andavano fermate.In questo senso, si sono mobilitati intorno alla bandiera di Trump, credendo che egli avrebbe ristabilito lo status di antitrust che prevaleva durante l'era Obama. Il venture capitalist Marc Andreessen ha parlato della preoccupazione avvertita dai leader di questo settore; ha segnalato che essi percepiscono come una “rivoluzione sociale” in atto nei centri tecnologici delle università e nella Silicon Valley; che c'è una “rinascita della Nuova Sinistra” e che questa sta radicalizzando la forza lavoro. Per lui è chiaro che le aziende vengono dirottate dai motori del cambiamento sociale, della rivoluzione sociale. La base dei dipendenti si sta presumibilmente scatenando. Nell'era del primo Trump ci sono stati casi in cui diverse aziende si sono accorte di essere a poche ore di distanza dal verificarsi di violente rivolte sul proprio territorio, scatenate dai propri dipendenti. Il liberalismo della Silicon Valley, a quanto pare, è stata una fase temporanea legata a un periodo di massima liquidità e di minima regolamentazione del capitalismo statunitense. Poi è arrivata la pandemia di Covid, e il governo ha previsto trasferimenti consistenti ai lavoratori. Alcuni di loro, pertanto, si sono sentiti in grado di esprimere nuove esigenze. Allo stesso tempo, il ramo più attivista dell'amministrazione Biden, la Federal Trade Commission di Lina Khan, ha cercato di applicare la legge antitrust nella regolamentazione delle grandi aziende tecnologiche. A questo si aggiunga lo sforzo compiuto dal segretario al Tesoro di Biden, Janet Yellen, volto a creare un coordinamento internazionale incentrato sulla tassazione delle società, nonché il sostegno retorico del presidente democratico alla mobilitazione sindacale. Mettendo tutto insieme, diventa possibile capire perché Andreessen abbia percepito quel periodo come «un gigantesco momento di radicalizzazione». Ecco perché, tra l'altro, ha trascorso un'enorme quantità di tempo a scambiare idee in gruppi che promuovevano la coscienza di classe dei miliardari. Sono state queste le circostanze che hanno portato le grandi aziende tecnologiche a unirsi alla finanza privata, in quanto seconda fazione del capitale che è venuta a sostenere il ritorno di Trump. L'incontro nel giorno dell'inaugurazione dei capi delle big tech ha suggellato quell'alleanza. Sono stati rapidamente ricompensati con una raffica di ordini esecutivi che hanno eliminato le protezioni di pubblica sicurezza per le società di intelligenza artificiale, e gli ostacoli normativi per le società di criptovalute. Tutto ciò è stato in netto contrasto con la posizione dell'amministrazione Biden riguardo il piano di Facebook di creare un sistema di pagamento globale chiamato Libra, il quale è stato lanciato nel 2019 e depositato nel 2022. Tuttavia, ora, il nuovo governo sembra pronto a sostenere il settore delle criptovalute con tutta la fiducia e il sostegno dello Stato. Gli interessi associati alle criptovalute hanno adottato il copione della "partecipazione privata", cercando di attirare denaro dai fondi pensione. Dalla rielezione di Trump, ventitré Stati hanno introdotto una legislazione per consentire agli enti pubblici di investire in criptovalute. In diversi casi, i progetti di legge includono specificamente i fondi pensione pubblici. Il National Innovation in Alternative Currencies (Genius) Act degli Stati Uniti, mira a fornire un quadro normativo permissivo per tali mezzi, e ha già superato un importante ostacolo al Senato. L'attacco del DOGE alle agenzie di regolamentazione finanziaria, dalla Securities Exchange Commission (SEC) al Consumer Financial Protection Bureau (CFPB), ha indebolito la supervisione, aumentando gli incentivi per l'assunzione di rischi in tutto il sistema finanziario. Ecco, ciò non impedisce il piano di Elon Musk di creare un conto X-money in collaborazione con Visa. I semi per una versione molto più ampia della crisi della Silicon Valley Bank sono stati quindi così piantati. Il risultato è quello che la grave tensione finanziaria che ha turbato i primi mesi della nuova amministrazione potrebbe essere sia una caratteristica che un errore interno della coalizione corporativa del presidente. Le ambizioni della nuova élite della Silicon Valley non sono solo quelle di paralizzare la burocrazia federale, ma di detronizzare Wall Street.

Il dilemma della Fed
Arriviamo così all'arbitro decisivo in ogni confronto che coinvolga la finanza e lo Stato: la Federal Reserve. Nonostante abbia attraversato una grave crisi finanziaria nel 2008, la Fed ha goduto di un solido dominio monetario della politica macroeconomica degli Stati Uniti. Una volta ripreso il processo inflazionistico, la politica fiscale passa in secondo piano, e la politica monetaria ora offre un promettente strumento di stabilità finanziaria e dei prezzi. L'economia ad alta pressione, prevista dalla strategia "go-big-go-early" di Yellen in risposta al crollo dell'attività economica durante la pandemia, combinata con l'aumento dei prezzi dovuto ai ritardi nelle consegne nella catena di approvvigionamento anche durante la pandemia, ha fornito alla Fed la giustificazione per poter inasprire la politica monetaria, con l'obiettivo di sgonfiare i mercati finanziari e i mercati del lavoro. Sotto Trump II, tuttavia, la Fed si trova su un percorso assai più pericoloso. I dazi di Trump, così come l'indebolimento del dollaro, offrono una chiara possibilità di un ritorno alle pressioni inflazionistiche. Una gestione competente e disciplinata, potrebbe forse prevenire l'aumento dei prezzi degli articoli essenziali, attraverso inventari strategici e controlli dei prezzi [*11]. Tuttavia, l'attuale governo non è né competente né disciplinato. L'attacco sistematico di DOGE ad alcuni dipartimenti del governo federale non fa che rafforzare l'impressione che l'onere di frenare l'inflazione ricadrà esclusivamente sulla Fed. Ora, Jerome Powell si trova di fronte a un dilemma. Se sotto il doppio assalto dei dazi e di un dollaro più debole,  le pressioni inflazionistiche aumenteranno e la Fed dovrebbe aumentare i tassi come fa sempre. Ora, la Fed sta già permettendo ai rendimenti dei titoli di Stato di salire. Tuttavia, l'aggravarsi dello stress finanziario dovuto a tassi di interesse più alti del previsto e a una crescita del reddito inferiore al previsto – i proprietari di auto non riescono a pagare i prestiti al tasso più alto degli ultimi tre decenni – potrebbe costringere la Fed a intervenire per sostenere i valori degli asset. come ha fatto alla fine del 2019 e all'inizio del 2023, attraverso prestiti di emergenza e acquisti di asset. Inoltre, Trump e Bessent hanno chiarito di volere tassi di interesse più bassi sul debito pubblico degli Stati Uniti, una prospettiva che complica notevolmente qualsiasi progetto di inasprimento monetario. Il dilemma di Powell è tanto più urgente, in quanto sembra essere in gioco il bene più grande di tutti: lo status dei Treasury statunitensi in quanto bene rifugio globale, e quindi lo status del dollaro USA come valuta di riserva e di finanziamento globale. L'appetito dei gestori ufficiali delle riserve per le obbligazioni statunitensi è in calo da anni, poiché la quota in dollari delle riserve globali è scesa dal 71% nel 2000 al 57% nel 2024. Alcuni segnali di crescente preoccupazione degli investitori per tali titoli, sono emersi già a febbraio, quando il chief investment officer del gestore patrimoniale francese Amundi ha osservato, in risposta agli ordini della Casa Bianca che indebolivano la regolamentazione dei titoli, e che «sempre più cose...si stanno facendo alcune cose che possono iniziare a erodere la fiducia... nel sistema statunitense, nella Fed, nell'economia statunitense». Nelle settimane successive, questa velata minaccia ha iniziato a materializzarsi attraverso una brusca correzione dei mercati azionari e, cosa più preoccupante, con un aumento dei rendimenti dei Treasury statunitensi. Dopo l'annuncio di Trump di dazi "reciproci", il 2 aprile, gli Stati Uniti hanno sperimentato qualcosa di straordinario: la fuga di capitali. Se la Fed è sotto pressione per consentire ai tassi di interesse reali di scendere con l'aumento dell'inflazione, la fuga di capitali si verificherà su scala molto più ampia: questa è quindi una possibilità reale. Gli obiettivi di eliminare il deficit commerciale degli Stati Uniti preservando lo status di valuta di riserva del dollaro, sono considerati incompatibili. A partire dal lavoro di Robert Triffin, alla fine degli anni '50, sull'"eccesso di dollari", gli economisti monetari internazionali hanno capito che la crescita economica globale attraverso il commercio dipende dalla disponibilità di riserve. In assenza di un nuovo standard internazionale di riserva, si pensa che ciò ponga la necessità di un'ampia offerta di dollari, fornita al resto del mondo attraverso i perpetui deficit commerciali degli Stati Uniti. In un mondo di flussi finanziari transfrontalieri, lordi, illimitati, ma in cui le transazioni sono mediate dall'euro, ad esempio, la liquidità globale non sarebbe più necessariamente legata ai disavanzi delle partite correnti degli Stati Uniti. Dal momento che un mondo del genere non esiste ancora, le idee del governo degli Stati Uniti di separare il dominio del dollaro dai deficit delle partite correnti sembrano essere poco rassicuranti. Tali idee includono specificamente «la promozione dello sviluppo e della crescita di criptovalute legali e legittimamente garantite dal dollaro in tutto il mondo». Eric Monnet lo chiamava "cripto-mercantilismo". Per lui, si tratta di una strategia volta a estendere, piuttosto che indebolire, il dominio del dollaro nel sistema monetario globale, dal momento che il valore di tali valute sarà sostenuto da asset in dollari.

Insidie per il dominio della classe dominante
Il ritorno di Trump in carica ha messo in luce i difetti all'interno della coalizione che hanno contribuito alla sua vittoria. Le fazioni popolari del MAGA hanno sostenuto le posizioni nazionaliste di Trump. Tuttavia, hanno poche cause in comune con la finanza convenzionale e gli interessi del settore tecnologico nell'apertura dei mercati finanziari e digitali globali. La tecnologia e il MAGA potrebbero incontrarsi a metà strada tra l'ambizione di rilanciare la base industriale statunitense. Ciò metterebbe a repentaglio la base formata dal dollaro forte, da cui dipendono la finanza convenzionale e privata per il suo primato. Sebbene, come dice Steve Bannon, gran parte di ciò a cui il MAGA ha aderito riguardi Medicaid, il bilancio federale recentemente approvato dalla Camera, ora controllata dal Partito Repubblicano, include ampi tagli al welfare, che sono difesi dalla finanza privata. Nonostante la retorica, questi tagli alla spesa non compensano la riduzione delle tasse: i disavanzi pubblici saranno ampi e continui; inoltre, l'agenda tariffaria e di deregolamentazione dell'amministrazione Trump minaccia la stabilità finanziaria. I teorici dello Stato hanno a lungo sostenuto che «la classe dominante non governa». Per seguire la felice frase di Fred Block, le democrazie liberali sono state caratterizzate da una divisione del lavoro tra capitalisti, che gestiscono le loro aziende, e "manager statali", che gestiscono il governo [*12] . Poiché i singoli capitalisti tendono ad avere difficoltà a vedere oltre ciò che accade nelle loro tasche, le loro fortune dipendono dal successo dei manager statali nel sostenere le condizioni per la riproduzione sociale, ecologica e finanziaria del capitale. Secondo Block, lo stato capitalista agisce cercando la sopravvivenza stessa del sistema attraverso l'aggregazione di interessi dispersi. Sorge quindi una domanda: l'attuale governo degli Stati Uniti, nella sua forma limite, sarà in grado di aggregare gli interessi delle molteplici fazioni in competizione che sostengono Trump II? I dazi, da un lato, influenzano gli interessi dell'industria tecnologica statunitense in Cina, ma dall'altro placano i nazionalisti del MAGA. In combinazione con una svalutazione del dollaro orchestrata a livello internazionale, farebbero molto per sostenere il boom degli investimenti nell'industria determinato dalle misure economiche dell'amministrazione Biden (soprannominate Bidenomics). La deregolamentazione finanziaria e l'apertura dell'accesso ai piani 401 (k) alla partecipazione privata possono essere combinate con l'inversione delle aliquote fiscali sui redditi elevati dal 37% al livello pre-2017 del 29,6%, come è stato suggerito da Trump durante il dibattito alla Camera sul bilancio federale. Resta da vedere, tuttavia, se emergerà un tale consenso. A pochi mesi dall'insediamento, le antinomie
dell'economia di Trump (soprannominata Trumponomics) si stanno manifestando senza un'evidente risoluzione.

- Benjamin Braun [*1] e Cédric Durand [*2] - Pubblicato l'8/6/2025  su Economia e Complexidade -

NOTE:

[1] Scienziato politico e ricercatore senior presso l'Istituto Max Planck per lo studio delle società.

[2] Professore di economia politica all'Università di Ginevra e membro del Centre for Economics dell'Università Paris North.

[3] Braudel, F. (1984). Civiltà e capitalismo, XV-XVIII secolo. Stampa dell'Università della California, pp. 246 e 266-267.

[4] Arrighi, G. (1994). Il lungo XX secolo: denaro, potere e le origini dei nostri tempi. Libri Verso.

[5] Durand, C. (2024). Come la Silicon Valley ha scatenato il tecno-feudalesimo: la creazione dell'economia digitale. Verso Libri

[6] N.T.: in portoghese, "private equity" può essere tradotto come "private equity" per evidenziare che si tratta di un investimento in azioni di società non quotate in borsa.

[7] Marlène Benquet e Théo Bourgeron, Alt-Finance: Come la City di Londra ha comprato la democrazia, Pluto: Londra, 2022.

[8] Phalippou, L. (2024). Il bonus da trilioni di dollari dei gestori di fondi di capitale privato (SSRN Scholarly Paper n. 4860083). https://papers.ssrn.com/abstract=4860083

[9] Un 401 (k) è un piano di risparmio pensionistico, tipicamente offerto dai datori di lavoro negli Stati Uniti, che consente ai dipendenti di contribuire con una parte del loro stipendio a un conto di investimento, di solito con la possibilità per il datore di lavoro di contribuire. I fondi investiti crescono in modo differito dalle imposte e sono tassati solo se prelevati durante il pensionamento.

[10] Ludovic Phalippou, "Un fatto scomodo: i rendimenti del private equity e la fabbrica dei miliardari", The Journal of Investing, dicembre 2020, 30 (1) 11 – 39.

[11] Weber, I. M., Lara Jauregui, J., Teixeira, L., & Nassif Pires, L. (2024). Inflazione in tempi di emergenze sovrapposte: prezzi sistemicamente significativi dal punto di vista input-output. Cambiamenti industriali e aziendali, 33(2), 297–341. https://doi.org/10.1093/icc/dtad080

[12] Blocco, F. (1987). La classe dominante non governa: note sulla teoria marxista dello Stato. In Revisione della teoria dello stato: saggi di politica e post-industrialismo (pp. 51-68). Stampa dell'Università del Tempio.

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