Spesso, appare difficile comprendere in che modo il mondo accademico, e in particolare il mondo filosofico (in quelle che sono oltretutto le sue tendenze che pretendono addirittura di essere le più democratiche), finisca poi per partecipare alle forme più autoritarie della politica. Così, le recenti misure, in America - volte a eliminare l'”affirmative action” nelle università, o semplicemente a tornare al principio di segregazione, che si pensava fosse stato definitivamente abbandonato a partire dagli anni '50, non sono l'unico risultato di una governance che è diventata improvvisamente dittatoriale, o che ha completamente abbandonato i principi di razionalità.
Ma questo tipo di posizione lo si trova anche nella letteratura della filosofia e delle scienze umane, proprio tra gli autori che sono i più commentati o i più insegnati, vale a dire i più autorevoli oggi nel campo della teoria politica. Questo è purtroppo ciò che Kathryn Belle ci dimostra, a proposito degli anni '50, nel suo libro su "Hannah Arendt e la questione nera", tradotto in francese da Benoît Basse, nella raccolta diretta da Emmanuel Faye (la versione originale inglese è stata pubblicata nel 2014 da Indiana University Press con il nome dell'autrice Kathryn B. Gines).
L'autrice e l'editrice si chiedono come una teorica politica, nota per le sue critiche all'antisemitismo, all'imperialismo e al totalitarismo, possa prendere posizione, con le sue "Riflessioni su Little Rock", contro le leggi volte a porre fine alla segregazione nelle scuole pubbliche americane, contro la decisione della Corte Suprema e contro tali posizioni dei liberali. Come e perché, agli afroamericani negli stati del sud, dovrebbe essere negato l'accesso alle scuole pubbliche? Come possiamo assumere una posizione che è oggettivamente la stessa di "quella dei bianchi razzisti"? In nome di quale visione dell'educazione e della società futura, si chiede Emmanuel Faye nella sua prefazione?
Il filosofo francese nota infatti che lo scritto di Arendt – per non parlare del commento di K. B. Gines – viene preso assai poco in considerazione dalle scienze dell'educazione: viene lasciato da parte, o, quando viene citato, ciò avviene nel tentativo di minimizzarne il contenuto. Si dice che Arendt abbia ritirato dalla rivista Commentary, che intendeva associarlo a una risposta critica di Sydney Hock, il suo articolo su Little Rock. La teorica americana ebbe comunque a pubblicare il testo due anni dopo su un'altra rivista, senza una risposta da parte del suo avversario. Molti altri intellettuali americani, e non solo neri, discussero pubblicamente contro la posizione politica di Arendt - così come fecero Sydney Hook, James Baldwin e Ralph Elisson - senza però che Arendt rispondesse in modo soddisfacente alle loro argomentazioni. In questo modo, secondo Faye, Arendt avrebbe «schivato il dibattito» (p. 13). In sostanza, Hannah Arendt ritiene che la segregazione scolastica – a differenza dei diritti matrimoniali, per esempio – non sia un problema politico, ma solo un problema sociale. Scrive che «la discriminazione è un diritto sociale [tanto indispensabile quanto l'uguaglianza è un diritto politico]» (cit., p. 12) La questione non è abolire la discriminazione, ma mantenerla nella sfera sociale, laddove è legittima. E questo perché la società americana è segnata dalla "tradizione della schiavitù". La segregazione è «radicata nella tradizione americana, e questo è tutto» (citato a p. 51). Relegare la discriminazione razziale a essere solo una questione sociale, è questo ciò che Belle critica, in quanto, così com'è anche per molti altri autori, essa costituisce una questione politica, allo stesso modo in cui lo è l'antisemitismo. Inoltre, Belle è indignata a causa del ritratto condiscendente, dato dalla teorica americana, a proposito delle persone di origine africana, che vengono descritte come "parvenu", anziché come dei "paria consapevoli". Le rimprovera di non essersi messa nei panni delle donne nere e delle famiglie nere, e di non essere informata circa le loro motivazioni. Di conseguenza, Belle non si concentra sulla problematica relativa a Little Rock, che è poi il punto di partenza del libro, e la cui trattazione occupa i primi tre capitoli.
Si impegna piuttosto a rileggere anche gran parte dell'opera di Arendt, vedendola dal punto di vista di quella che lei chiama la "questione nera", così come viene affrontata in "Vita activa. La condizione umana"; in "Sulla rivoluzione"; e in "Sulla violenza" (capitoli da 4 a 7). La questione nera riguarda tutto ciò che tocca la schiavitù, la segregazione, il colonialismo, l'imperialismo, la parità di diritti. Belle la distingue dal problema nero, nel senso che, per lei, come per Richard Wright in passato, «non esiste un problema nero negli Stati Uniti, ma c'è solo un problema bianco» (citato da Jean-Paul Sartre, p. 25). E questo è il problema del razzismo. Si tratta, ad esempio, del razzismo sistemico nei sistemi educativi, e non della presenza di studenti neri che ne abbasserebbero il livello. È il fatto di considerare gli studenti neri come degli esseri incompetenti e violenti (p. 238); si tratta di non considerare - nella Rivoluzione americana - la contraddizione tra libertà e schiavitù (p. 153); si tratta di limitarsi a denunciare la violenza anticoloniale e negare che esista qualsiasi forma di ribellione, o di rivoluzione, contro la colonizzazione; il che inoltre contrasta con le osservazioni fatte sulla necessaria resistenza ebraica (p. 229).
Il libro di Kathryn Belle è il risultato di un'indagine meticolosa e sincera, condotta secondo un approccio scientifico irreprensibile. Una lettura del genere appare indispensabile fin dal momento in cui si intenda affrontare la teoria politica di Arendt e, più in generale, le questioni del razzismo e della segregazione in relazione alle scienze umane. La questione non riguarda tanto il pensiero di Arendt in quanto tale, o le sue posizioni di intellettuale, ma piuttosto l'uso che intendiamo fare oggi della sua teoria politica, e della sua concezione dell'educazione e della segregazione. Lungi dall'essere intellettualmente autorevole, il riferimento a Hannah Arendt rischia di apparire piuttosto problematico per i sostenitori dell'uguaglianza nelle scuole pubbliche, per i teorici della democrazia, per i difensori del pensiero critico e più in generale per i progressisti e i liberali. Somiglia piuttosto, nel momento in cui scriviamo, a quelli che sono i discorsi e le decisioni politiche del governo degli Stati Uniti, e non solo in quelli che sono i suoi obiettivi – il diritto alla segregazione, o il rifiuto di porvi fine – ma gli somiglia anche nella forma, vale a dire, nell'eludere l'argomentazione e il dialogo e nel mettere al bando l'approccio scientifico.
- Alain Patrick Olivier - Pubblicato su Raison présente 2025/2 N° 234 -
- Kathryn Sophia Belle, Hannah Arendt et la question noire, Traduit de l’américain par Benoit Basse, avant-propos d’Emmanuel Faye, Paris, 2023, Kimé, collection « Philosophie critique », 280 pages, 25 € -
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