«Ho sempre voluto che ammiraste il mio digiuno», disse il digiunatore. «E noi infatti lo ammiriamo», rispose il custode con affabilità. «E invece non dovreste ammirarlo», replicò il digiunatore. «D’accordo, allora non lo ammireremo, – disse il custode, – ma perché poi non dovremmo ammirarlo?» «Perché io devo digiunare, non posso farne a meno», continuò il digiunatore. «Ma guarda un po’, – disse il custode, – e perché non ne puoi fare a meno?» «Perché, – disse il digiunatore, sollevando un poco la testolina e parlando, con le labbra arricciate come per un bacio, proprio all’orecchio del custode cosí che nulla andasse perduto, – perché non riuscivo a trovare il cibo che mi piacesse. Se l’avessi trovato, credimi, non avrei fatto tante storie e mi sarei abbuffato come te o chiunque altro». Furono le sue ultime parole, ma nei suoi occhi spenti si leggeva ancora la ferma, anche se non piú fiera, convinzione di continuare a digiunare.
- FRANZ KAFKA, Un digiunatore ("Ein Hungerkünstler", letteralmente "Un artista della fame"), 1924 -
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