Quel che sembra infastidire Susan Sontag - nella scrittura dei suoi saggi - è il bisogno di certezza: in una voce del settembre del 1975 dei suoi Diari, scrive che «un problema, lo si può trovare solo laddove c'è un avversario»! Nel momento in cui «tutto è affermazione», ecco che non si può più essere «uno scrittore buono, o uno scrittore utile» (come esempio di una simile scrittura affermativa, la Sontag usa Gertrude Stein). Il Diario, è pertanto il laboratorio di una scrittrice la cui principale sfera di attuazione è il dubbio, l'ambivalenza, l'incertezza, l'intervallo esistente tra la scelta e la non scelta di un determinato tema, o percorso: «Devo piantarla di scrivere saggi, poiché tutto questo finisce sempre per trasformarsi inevitabilmente in un'attività demagogica», scrive nel maggio 1980, sempre nei Diari. «Appaio sempre come se fossi quella portatrice di tutte le certezze che non posseggo, e che non sono nemmeno vicina ad averle». Sono innumerevoli, i momenti nei quali la Sontag si rammarica di quelli che sono i suoi propri obblighi: «Devo rinunciare», «Devo scrivere», eppure, tuttavia, quante volte si è sottratta, facendo poi esattamente il contrario? Dal suo confrontarsi con questo dilemma nel corso degli anni, ne deriva tuttavia un'opera che, quasi per caso, sembra lì proprio per essere letta e rivisitata.
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