Sloterdijk (in "Luftbeben: An den Quellen des Terrors", 2002 ["Terrore nell'aria". 2007, Meltemi Editore]) commenta il cambiamento di paradigma che è stato stabilito dalla guerra, nel XX secolo: l'ambiente esterno (la natura, l'aria, l'atmosfera) non è più garanzia di respiro e di tranquillità (come lo era per Nietzsche, Heidegger o Robert Walser, ad esempio), ma, al contrario - con l'avvelenamento generalizzato assicurato dalle tecnologie di guerra, ora "dissacrate" da un uso civile –, ora l'ambiente è sempre ostile, e l'individuo si trova sempre impegnato in quello che è uno sforzo permanente per costruire degli ambienti artificiali che lo possano proteggere, temporaneamente, dall'ambiente esterno. In simili condizioni, il sistema immunitario diventa così un argomento di discussione: «allorché, in maniera latente, tutto quanto può essere contaminato e avvelenato» - scrive Sloterdijk – «quando tutto è potenzialmente ingannevole e sospetto, ecco che dalle circostanze esterne non possono essere dedotte né la totalità né la possibilità di “essere un Tutto”. L'integrità non può più essere pensata come un qualcosa ottenuto attraverso la devozione nei confronti di un'ambiente benevolo, ma piuttosto solo come lo sforzo individuale di un organismo che si distingue dal suo ambiente. Ciò apre la strada a un nuovo campo di pensiero, tipico della contemporaneità: l'idea secondo cui la vita insiste non tanto sul suo “esserci”, espresso per mezzo della sua partecipazione al tutto, quanto piuttosto sulla sua stabilizzazione, attuata per mezzo della “chiusura di sé” e del rifiuto selettivo di partecipare.»
Poco prima di queste sue conclusioni finali, Sloterdijk fa riferimento a un saggio di Elias Canetti del 1936, in origine una conferenza in onore del 50° compleanno di Hermann Broch. «Tra le due guerre, Broch emerge come il poeta del nostro tempo», scrive Canetti, emerge come il poeta attento all'atmosfera, attento a quel cambio di paradigma di cui parla Sloterdijk (cosa che egli sottolinea, non solo per il contenuto della sua esposizione, ma proprio anche in quanto parte dalla scelta formale di collocare Canetti/Broch in un unico stesso saggio: allo stesso modo in cui Canetti legge in Broch una sensibilità profetica, un'attenzione all'ostilità dell'ambiente, che in lui sarebbe scattata solo anni dopo. Per cui, Broch denaturalizza l'immediatezza dell'ambiente, il suo carattere ancora non pensato, e lo fa parlando di quel «sonnambulismo» che contraddistingue e segna tutti coloro che non riconoscono ancora l'ostilità dell'ambiente.
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