Che cosa significa essere marginali? Quali sono i meccanismi che in una società determinano inclusioni ed esclusioni? Generalmente pensiamo a fattori economici, politici, identitari, religiosi, culturali, che tuttavia nella storia hanno avuto un peso differente secondo le circostanze. Nel nostro Medioevo, il fattore discriminante è stato quello religioso: nella cultura di quel periodo, infatti, la difformità di fede difficilmente era consentita e anzi era percepita quale alterità, mentre si mostravano atteggiamenti più mediati e accomodanti, spesso persino inclusivi, nei confronti degli umili, dei malati, dei bisognosi, degli stranieri. Sia che si manifestasse come eresia sia come adozione di un altro culto, in particolare l'ebraismo e l 'Islam europei, la differenza religiosa costituiva invece sempre un discrimine profondo, frutto non di casualità, ma di politiche culturali precise. Il libro indaga, sulla lunga durata, le ragioni di questo "carattere originario" della nostra cultura, alla luce del fatto che le scelte compiute nel passato si riverberano sul nostro presente più di quanto si sia disposti ad ammettere.
(dal risvolto di copertina di: "Ai margini del Medioevo. Storia culturale dell'alterità", di Marina Montesano. Carocci, 24€)
Meglio gli zingari di catari e valdesi
- Un'analisi delle marginalità nel Medioevo. Il fattore "più" discriminante era quello religioso. -
di Antonio Musarra
« Addì 18 di luglio venne a Bologna un duca d'Egitto, il quale aveva nome il duca Andrea, e venne con donne, putti e uomini del suo paese, e potevano essere ben cento persone. Il quale ducha si havea rinegada la fede christiana, et il Re d'Ungheria prese la sua terra et lui. Esso ducha disse al detto re di voler tornare alla fede cristiana, et così si battezzò con alquanti di quel popolo, e furono circa 4000 uomini. Que' che non vollero battezzare furono morti ».
E' una cronaca bolognese del Quattrocento a segnare l'ingresso nella storia italiana del popolo romani, gente «che chiamavano zengani», emblema della marginalità - storica e storiografica -, la cui vicenda si perde nelle brume del tempo. Il cronista ne narra l'avvento nella penisola; a suo dire, per volere di Sigismondo di Lussemburgo, re d'Ungheria e futuro imperatore. Dopo il battesimo, questi «volle che andassero per lo mondo sette anni, e che dovessero andare a Roma al Papa». Nel 1422, il gruppo giunse a Bologna; a quanto pare, recando con sé un decreto reale, in forza del quale «essi poteano rubare per tutti que' sette anni per tutto dove andassero, e che non potesse essere fatta loro giustizia». Il loro arrivo suscitò stupore. La popolazione accorreva ad ammirarli «per rispetto della moglie del Duca,che diceano che sapeva indovinare, e dir quello che una persona dovea avere in sua vita». Due settimane dopo, ripartirono, sostando a Forlì, prima d'entrare in Toscana. Orbene, è singolare constatare quanto certi cliché siano risalenti nel tempo, parametrando l'esperienza d'un popolo su caratteri quali la provenienza esotica, il nomadismo, la propensione al furto («Onde fecero gran rubare in Bologna»), le arti divinatorie; e ciò, a fronte dell'inserimento precoce nel tessuto sociale di gruppi e famiglie, come testimoniato da diverse fonti (è il caso, ad esempio, d'un certo Nicola Zingaro, proprietario terriero a Carpi, segnalato nel 1448, e di molti altri). Ma, certo, la diversità non passava inosservata. Da questo punto di vista, la vicenda del popolo romani è paradigmatica d'un Medioevo «ai margini» - ma non, certo, marginale -, la cui ricostruzione è, ora, al centro d'un ricco studio di Marina Montesano, ordinario di storia medievale presso l'Università di Messina, edito per Carocci: Ai margini del Medioevo. Storia culturale dell'alterità. Marginalità molteplici, s'intende, legate a diversi fattori: economici, sociali, linguistici, comportamentali, ma non tali da segnare un fossato culturale quanto quelli religiosi. Bisogna, dunque, intendersi sui termini. Nel corso del Medioevo, l'emarginazione riguardava, piuttosto, la difformità e la dissidenza religiosa: la forma di alterità più rilevante, in un periodo storico in cui - per così dire - la religiosità si respirava nell'aria. A partire dall'incontro latino-germanico, la Cristianità latina, affermatasi progressivamente tra IV e X secolo e definitivamente a partire dall'XI, con la progressiva crescita d'autocoscienza del papato romano, aveva visto proliferare diverse forme religiose non conformi, viste con sospetto e prontamente represse. Certo, l'accusa di eresia era un'arma spendibile in molti campi: strumento di gestione del potere, avrebbe costituito un tratto caratteristico della Chiesa basso-medievale e moderna, volta a disciplinare la società.
Catari e valdesi ne faranno le spese; i musulmani saranno oggetto di particolari attenzioni «crociate»; non diversamente dai pagani Wendi del Baltico, e così via. Nel Quattrocento, da tale accusa sorgerà quella di stregoneria, che darà avvio alla moderna «caccia alle streghe», accompagnandosi alla crescente insofferenza del mondo latino nei confronti degli ebrei, sfociata, dopo i primi pogrom del 1096, in eventi epocali come l'espulsione dei sefarditi del 1492. Controversistica e proselitismo - benché, dalla metà del Duecento, la Chiesa riconoscesse la sostanziale illiceità delle conversioni forzate - erano all'ordine del giorno. Un quadro a tinte fosche, dunque. Ma un quadro parziale, dotato di molteplici sprazzi di luce. Secondo la studiosa, quella medievale non era una «società persecutoria». Benché la difformità religiosa fosse avvertita come un pericolo, il povero,lo straniero, il malato erano tenuti in alta considerazione. Da questo punto di vista, è difficile individuare individui e gruppi realmente emarginati. Anche chi svolgeva lavori degradanti o apparteneva a comunità liminali possedeva un proprio posto nel mondo. Si pensi ai lebbrosi e al loro impegno nell'Ordine di San Lazzaro, composto da cavalieri affetti dal morbo, o agli stessi ebrei e al loro ruolo nello sviluppo dell'economia europea. Siamo difronte, dunque, a una società complessa, da leggere con gli occhi dell'antropologia storica; o meglio, della nuova «storia culturale», di cui Marina Montesano costituisce, ormai, un punto di riferimento. La sensazione è che la sua «storia culturale» dell'alterità, ben scritta e documentatissima, sia destinata a fare da modello, aprendo nuove strade.
- Antonio Musarra - Pubblicato su Tuttolibri del 29/5/2021 -
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