lunedì 17 novembre 2025

LA TENTAZIONE DI UN SENSO !!

Quando Kafka scoprì l'America
- di Alberto Manguel -

   In un momento imprecisato del 1937, il trentottenne Jorge Luis Borges acquistò in una libreria di Buenos Aires un’edizione in tedesco dell'America di Kafka. Borges disse che aveva scoperto le opere di Kafka molto prima, nel 1916 o 1917, durante il soggiorno forzato della sua famiglia in Europa per tutto il periodo della Grande Guerra. I suoi genitori avevano deciso di recarsi in Europa, con l'adolescente Jorge e la sorella Nora, per una lunga vacanza. Lo scoppio del conflitto li bloccò a Ginevra, dove Borges fu costretto a frequentare il Lycée, per completare gli studi superiori. Quando parlava delle date della sua biografia, Borges era notoriamente inattendibile, ma probabilmente è vero che scoprì Kafka in Svizzera, quando stava imparando il tedesco. «Lessi quello che a quell'epoca era il primo libro di Kafka», ha dichiarato, «ma non lo ricordo esattamente, credo si intitolasse "Undici racconti"». Si sbagliava, non esiste nessun libro di Kafka con quel titolo. Con ogni probabilità, il racconto era "Il fuochista", il primo capitolo del romanzo "America", che Kafka pubblicò separatamente nel 1913. La seconda raccolta di racconti, "Un medico di campagna", sarebbe uscita solo nel 1920. «Dopo di quello», disse Borges, «ebbi la fortuna di leggere "Il processo" e da allora non ho più smesso di leggere Kafka». Il lettore persistente e il romanzo rimandato seguirono strade parallele. Kafka aveva cominciato "America"     quando aveva da poco compiuto 29 anni e continuò a lavorarci per tutta la vita, lasciando alla sua morte, il 3 giugno 1924, sei capitoli finiti e un paio di lunghi frammenti, che il suo amico Max Brod, disattendendo alle istruzioni ricevute da Kafka di bruciare i suoi manoscritti, raccolse e pubblicò nel 1927 con il titolo "America". Da allora, i curatori hanno ripristinato quello che probabilmente era il titolo che aveva in mente Kafka, "Der Verschollene", tradotto in inglese (una volta da Michael Hoffman e una volta da Ritchie Robertson) come "The Man Who Disappared” (L'uomo che scomparve) o, meno felicemente (da Mark Harman), "The Missing Person", il disperso ("il disperso" è anche il titolo alternativo proposto in molte traduzioni italiane).   

   "America" è una sorta di Bildungsroman nella tradizione di "Martin Chuzzlewit" di Dickens, un romanzo che Kafka ammirava immensamente. Segue le traversie di un sedicenne tedesco, Carl Rossman, che viaggia dall'America all'Europa per sfuggire allo scandalo di aver messo incinta una cameriera, anche se era stata la donna, più grande di lui, a sedurlo. Mentre la nave entra nel porto di New York, Karl fa amicizia con un fuochista, un tipo burbero che sta per essere licenziato. Decide di aiutare quello sventurato e vanno insieme dal capitano, che per una curiosa coincidenza in quel momento sta parlando con lo zio di Karl, il senatore Jakob, un immigrato tedesco che ha fatto fortuna negli States come uomo d'affari. Lo zio lo prende con sé e lo manda a far visita a uno dei suoi amici che vive nei dintorni di New York in una villa che assomiglia a un dedalo (uno dei tanti labirinti descritti nel romanzo). Qui Karl incontra una giovane ragazza, apparentemente l'amante del padrone di casa, da cui si sente attratto. Ma poi, dopo la prima notte che passa nella villa, riceve una lettera dallo zio che lo informa che non è più il benvenuto a casa sua. Non volendo inventare pretesti per rimanere a casa dell'amico dello zio, Karl se ne va nottetempo e si ritrova solo e smarrito su una strada che sembra non finire mai. Incontra altri due giovani (un irlandese di nome Robinson e un francese di nome Delamarche), che promettono di aiutarlo a trovare un lavoro, e invece gli rubano il vestito per venderlo e si mangiano il salame che Karl si era portato dalla Germania. Per caso, Karl entra in un albergo lungo la strada e la gentile capocuoca gli offre un lavoro, Rimane lì per un po', ma un giorno Robinson si presenta ubriaco all'albergo, chiedendogli soldi. Timoroso di perdere il posto, Karl accetta di ospitarlo, ma vengono scoperti dal personale, e Karl viene licenziato. Raggiungono Delamarche, che si è sistemato a casa di un'obesa valchiria di nome Brunelda. Brunelda vuole assumere Karl come servitore: quando lui si rifiuta, l'infido Delamarche lo rinchiude. Lui cerca di fuggire, ma viene scoperto e picchiato. Un giorno, dopo essere riuscito finalmente a scappare da casa di Brunelda, vede un manifesto che reclamizza "Il Teatro naturale di Oklahoma", che promette di "impiegare chiunque". La selezione è affidata a dipendenti del Teatro vestiti da angeli e diavoli. Karl si presenta e viene assunto  come "operaio meccanico". Viene poi mandato in Oklahoma in treno, e lì, nella vastità delle praterie, viene accolto sotto il nome di "Negro". Qui si conclude l'ultimo frammento. Da quello che Kafka aveva detto a Max Brod, il capitolo incompiuto sul "Teatro naturale di Oklahoma" doveva concludere la spaventosa avventura con una nota riconciliatoria. Kafka amava particolarmente l'inizio del capitolo e, secondo resoconti dell'epoca, lo leggeva spesso a voce alta, con grande effetto. Lasciava intendere sorridendo che, all'interno di questo teatro "praticamente infinito" che chiamava tutti a raccolta, Karl, il suo giovane protagonista, avrebbe trovato una professione., la libertà , e persino la sua vecchia casa e la sua vecchia famiglia, come per un qualche incantesimo divino, quello di cui parlava Carl Gustav Jung quando diceva (in un'intervista rilasciata nel 1959) che «l'incantesimo è la forma di medicina più antica». Il 18 ottobre 1921 Kafka scrisse nel suo diario: «Lo splendore della vita è sempre in attesa accanto a ognuno di noi, in tutta la sua pienezza ma celato alla vista, sepolto, invisibile, in lontananza. Eppure è lì, non ostile, non riluttante, non sordo. Se lo evochi con la parola giusta, se lo chiami col nome giusto, arriva. È questa l'essenza dell'incantesimo: non crea, ma evoca». Sono parole a che a mio parere possono essere interpretate come una prova dell'ottimismo misconosciuto del grande scrittore ceco.

   L'enorme "Teatro di Oklahoma" è collocato in un immaginario teatro americano che Kafka aveva costruito basandosi su un reportage di viaggio che aveva grande successo in Europa in quell'epoca, "Amerika Heute un Morgen" (America oggi e domani) di Arthur Holitseher, del 1912. Nel libro, Holitseher enfatizza l'enormità di ogni cosa in America: gli edifici e le terre, ma in particolare il lavoro, e come lo studio dei "tempi e dei movimenti" fosse utilizzato per rendere più efficiente la produzione industriale sotto la supervisione di una "responsabile velocità" (ricordiamo tutti la scena di Tempi moderni, il film di Charlie Chaplin del 1936, in cui l'operaio viene sfamato da un robot per accelerare la produzione). Nell'immaginario di Kafka, quindi, l'America è un'altra visione di quello che era il Nuovo Mondo per gli europei (l'immagine di un uomo che contempla sbalordito l'altezza degli edifici di New York,così come l'immagine successiva della Statua della Libertà, sono prese dal libro di Holitseher). Nel XVI secolo l'America era una regione quasi mitica, popolata di amazzoni, draghi e città d'oro; successivamente, diventò la terra accogliente evocata dalle parole di Emma Lazarus, incise sulla Statua della Libertà. Agli occhi di Kafka, invece, l'America diventava l'impossibile nunc stans et hic stans di Hobbes, il punto che concentra tutto lo spazio e tutto il tempo, una perfetta mappa del mondo dove ognuno trova il suo posto. Questa regione ultima, rappresentata dal "Teatro di Oklahoma", è accessibile a tutti. Questo surrogato dell'Eden, in cui tutti possono entrare, diventerà un anno più tardi, nel 1914, "la porta della legge", la terribile parabola, contenuta nel "Processo", di un luogo accessibile a tutti dove nessuno può entrare. Biorges (come Kafka) era consapevole che l'unica creazione riuscita - pienamente riuscita - che un essere umano può realizzare è quella che coincide in ogni punto con ciò che l'ha ispirata, che sia un archetipo o la realtà. L'incompiutezza forse era nelle intenzioni stesse di Kafka: il viaggiatore non raggiunge mai il Castello, K. nel Processo non riesce mai a scoprire per quale reato il Tribunale lo abbia condannato, Karl non arriva mai a cogliere appieno il senso di quell'accogliente Teatro. Sono luoghi che esistono in eterno, che ci offrono perennemente la tentazione di un senso. Borges accettava questa evidenza nel suo lavoro. A conclusione del suo breve saggio "La muraglia e i libri". scrisse le seguenti parole, che sembrano riecheggiare il credo inespresso dell'America di Kafka: «Quest'imminenza di una rivelazione, che non si produce, è, forse, il fatto estetico».

- Alberto Manguel - Pubblicato su Robinson del 12/5/2024 -

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