venerdì 11 dicembre 2020

Dodecafonicamente…

Continuando a tener sempre presente ciò che scrive Susan Buck-Morss a proposito della triade Kraus-Benjamin-Adorno, può essere illuminante recuperare anche l'approccio posteriore svolto da Frederick Jameson nel suo libro del 1990, "Tardo Marxismo. Adorno, il postmoderno e la dialettica" (1994, Manifestolibri). La filosofia di Adorno, è «dodecafonica», scrive Jameson, ed ha «configurazioni e costellazioni che, simultaneamente, scopre ed inventa lungo il suo cammino». Ciò che Adorno ha di «radicalmente originale», continua Jameson, «in quanto pratica e in quanto micropolitica filosofica» ( e che «non ha più molto in comune con Benjamin» ), è il suo «sviluppo della sentenza dialettica», il cui precursore «più verosimile» non sarebbe né Marx, né Nietzsche, né Benjamin, «ma lo straordinario scrittore retorico Karl Kraus».
Per Jameson, Adorno trova in Kraus (ed è questo uno dei punti principali che gli permette - come se egli fosse un direttore di orchestra -  di eseguire l'influenza esercitata su di lui da Benjamin) un «paradigma di sintassi espressiva», un linguaggio filosofico che rimane in un costante processo di auto-straniamento (va qui ricordato il libro del 1998, di Jameson su Brecht ["Brecht e il metodo", Cronopio), e continuare a tenerlo in mente quando, qualche pagina dopo aver parlato di Kraus - in questo libro su Adorno di cui sto parlando – Jameson fa ricorso al formalismo russo). Da Kraus proviene un certo «meccanismo della struttura delle sentenze», delle frasi, continua Jameson, il quale viene mobilitato «per trasmettere un significato che va ben oltre il suo contenuto immediato, in quanto mera comunicazione e denotazione».
Jameson conclude affermando che a Kraus si applica l'idea benjaminiana di una «mimesi non rappresentativa», che poi sarà importante anche per Adorno (e Jameson cerca di tracciare il cambiamento dell'importanza assunta da un tale concetto nell'opera di Adorno, riconducendolo alla "Dialettica negativa", del 1966, passando poi sia per i suoi lavori insieme ad Horkheimer che per "Minima moralia". Jameson sostiene anche che tanto Benjamin quanto Adorno usino sistematicamente alcuni «termini magici», che vengono «evocati per spiegare tutto, senza però che essi vengano, a loro volta, spiegati»; i quali, però, simultaneamente, liberano «un pensiero e un linguaggio», «permettendo loro di svolgere il proprio lavoro» (Jameson simbolizza il termine "aura" per Benjamin e "mimesi" per Adorno. Si potrebbe aggiungere che questo abbandonarsi alla potenza "magica" del linguaggio e della concettualità può essere riferita anche a Kraus.

fonte: Um túnel no fim da luz

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