lunedì 16 novembre 2020

Contro il fato !

Il testo che segue, è tratto dal libro di Michael Heinrich, "Critica dell'economia politica. Un'introduzione a Il Capitale di Marx", capitolo 10.3. Il capitolo 10, di cui questa parte è un estratto, costituisce la terza ed ultima parte del libro, e si intitola "Il feticismo delle relazioni borghesi".

Classe, lotta di classe e determinismo storico
- di Michael Heinrich -

Numerose correnti del marxismo tradizionale hanno compreso l'analisi di Marx come se si trattasse innanzitutto di una analisi di classe e della lotta tra borghesia e proletariato. Al giorno d'oggi, per la maggior parte dei conservatori e dei liberali attuali, i concetti di «classe», ed in particolare quello di «lotta di classe» sono «ideologici»; cosa che non vuole significare niente più se non che sono «non scientifici». Generalmente, di norma, questi concetti vengono utilizzati soprattutto a sinistra. Innanzitutto, è importante ricordare che  il «discorso di classe» non è affatto specifico del contributo dato da Marx. Già da prima che lo facesse lui, gli storici borghesi parlavano di lotta di classe, e David Ricardo - quello che è stato il più importante rappresentante dell'economia politica classica - era arrivato addirittura a specificare come le tre più importanti classi delle società capitalistiche (capitalisti, proprietari fondiari e lavoratori) avessero degli interessi fondamentalmente opposti.
I concetti di classe e di lotta di classe costituiscono il nodo centrale delle argomentazioni di Marx nel Manifesto comunista (1848). [...]Ma è in una lettera scritta all'amico Weydemeyer che Marx riassunse tutto ciò che egli aveva individuato come costitutivo la natura del suo contributo alla teoria delle classi. Egli sottolinea di non aver in alcun modo scoperto l'esistenza delle classi, o della loro lotta:
« Per quanto mi riguarda, non compete a me il merito di aver scoperto l’esistenza delle classi nella società moderna, né tanto meno la loro lotta reciproca. Molto tempo prima di me, degli storiografi borghesi avevano illustrato lo sviluppo storico di questa lotta delle classi, e degli economisti borghesi avevano descritto la loro anatomia economica. La mia originalità ha consistito in: 1. dimostrare che l’esistenza delle classi è legata unicamente a determinate fasi storiche di sviluppo della produzione; 2. che la lotta delle classi conduce necessariamente alla dittatura del proletariato; 3. che questa stessa dittatura rappresenta solo una transizione verso l’abolizione di tutte le classi e verso una società senza classi. » [*1]
Qui, il termine «dittatura» non designa affatto una forma autoritaria di dominio, ma solamente il dominio di una classe, indipendentemente da quale sia la sua forma politica. I punti 1) e 2) hanno una forte valenza deterministica; qui la storia appare come se - animata dalla lotta di classe - fosse orientata verso il raggiungimento di un preciso fine determinato. E questa è una concezione che si può trovare, per esempio, nel Manifesto comunista.
Per quanto nel Capitale Marx parli comunque sempre di classi, non vi si trova però alcun tentativo di un trattamento sistematico nei loro confronti, né si cerca neppure di definirle. È solo alla fine del III Libro, che Marx dà inizio ad un capitolo sulle Classi, e lì, appena solo dopo poche frasi, il manoscritto termina bruscamente. [*2] Ed è proprio a partire dal fatto che le classi si trovino esattamente lì, in quel punto preciso, si può dedurre che il trattamento sistematico delle Classi non costituisca una condizione della descrizione del modo di produzione capitalistico, bensì un risultato di tale descrizione.
Non faremo alcuna ipotesi su ciò che Marx avrebbe potuto scrivere dopo queste prime righe del III libro. Doppiamo invece, piuttosto, identificare ciò che può essere detto sulle classi e sulla lotta di classe. [...]
Al termine di classe sociale vengono assegnati due significati diversi. In senso strutturale, le classi sociali sono determinate a partire dalla loro posizione nel processo sociale di produzione. In tal senso, e secondo questa misura, una persona può appartenere ad una classe senza esserne chiaramente consapevole. Un tale significato va distinto da quello delle classi comprese a partire dal loro senso storico. Laddove, invece, qui si tratta di gruppi sociali che possono essere comprese in quanto si distinguono dalle altre classi in una determinata situazione storica; ed i membri di queste classi hanno allora una «coscienza di classe». Nel Capitale, Marx utilizza il termine di «classe» in un senso che è quasi esclusivamente strutturale. Lo fa quando constata che alla base del rapporto capitalistico c'è una relazione di classe: partendo dai proprietari di denaro e di mezzi di produzione da un lato, e dall'altro dai lavoratori «liberi» nel doppio senso (si veda il capitolo 4.3). Marx si riferisce a dei gruppi, come la classe media o anche i piccolo-borghesi, che non sono né borghesi né proletari, soprattutto agli «indipendenti» come gli artigiani, i piccoli commercianti o i piccolo agricoltori.
Le classi in senso strutturale non possono essere identificate con la loro forma (Ausprägung) storica: non attiene necessariamente al capitalista, fumare un sigaro ed avere uno chaffeur, così come non attiene ai lavoratori lasciarsi ridurre ad essere degli operai industriali che abitano nei quartieri operai. La scomparsa di questo genere di stereotipi non prova affatto la fine delle classi, ma dimostra piuttosto soltanto una modifica in quella che è la loro forma storica (historischer Gestalt).
A partire da delle proprietà formali, non è possibile determinare in senso strutturale chi appartenga a quale classe, come ad esempio a partire dall'esistenza o meno di rapporti salariali, ma solo partendo dalla sua funzione in seno al processo produttivo. Più precisamente: la classe  si lascia cogliere solo al livello del «processo generale (Gesamtprozess) di produzione», cosa a cui Marx arriva solo nel III Libro del Capitale, in cui viene già presupposta l'unità tra il processo di produzione ed il processo di circolazione (si veda il capitolo 3 di questo libro).
A questo livello, è chiaro che il possesso o meno dei mezzi di produzione non è determinante al fine di stabilire l'appartenenza alla classe. L'amministratore delegato, o il direttore generale di una società per azioni può essere formalmente un lavoratore salariato, ma di fatto egli svolge le funzioni di capitalista (ist ein fungierender Kapitalist), egli dispone del capitale (anche se questo non costituisce una sua proprietà), egli organizza lo sfruttamento, e la sua «remunerazione» non è determinata dal valore della sua forza lavoro, bensì dal profitto che è stato prodotto.
Al contrario, molti lavoratori indipendenti da un punto di vista formale (che forse persino posseggono i loro modesti mezzi di produzione) sono, come in passato, da considerare ancora come dei proletari che vivono di fatto della vendita della loro forza lavoro, solo che ciò può eventualmente avvenire in condizioni ancora più sfavorevoli di quelle esistenti in un rapporto salariale formale. Certo, è vero che le condizioni di vita (reddito, istruzione, perfino eventuali progetti di vita) tra le classi che vengono determinate strutturalmente dalla «borghesia» o dal «proletariato» sono ancora oggi chiaramente distinguibili, ma le realtà delle varie vite differiscono fortemente allo stesso modo anche all'interno del «proletariato» stesso (in base al lavoro, al reddito, all'istruzione; così come differiscono anche i comportamenti relativi al consumo e all'uso che viene fatto del tempo libero). Il fatto che una situazione generale di classe si trasformi in una coscienza ed in azione comune, e che la classe strutturalmente determinata si possa trasformare in una classe storico-sociale è tutt'altro che certo: può accadere, ma anche no.
Non c'è nulla di meno automatico del fatto che la rappresentazione di un superamento emancipatore delle relazioni capitalistiche appartenga al proletariato (strutturalmente determinato) o a parti di esso, nel momento in cui esso divenga una classe storica, avendo sviluppato una coscienza di classe. Il proletariato che ha una coscienza di classe non è automaticamente «rivoluzionario».
Nel processo di produzione capitalistica, dove borghesia e proletariato si confrontano direttamente faccia a faccia, lo sfruttamento del proletariato rende immediatamente possibile l'esistenza del capitale in quanto valore che viene valorizzato. Le condizioni concrete in cui avviene la valorizzazione del capitale vengono combattute continuamente: il valore della forza lavoro deve essere sufficiente a garantire la riproduzione normale, ma ciò che viene normalmente considerato normale dipende anche dalle rivendicazioni che la classe dei lavoratori riesce ad imporre (si veda in proposito il capitolo 4.4). Sono quindi oggetto di conflitto, la durata del tempo di lavoro (si veda il capitolo 5.1) e le condizioni in cui viene svolto il processo di produzione (si veda il capitolo 5.4). In tale misura, insieme alla relazione capitalista esiste anche la lotta di classe, che la si chiami o meno così. Ed è in particolare proprio nella lotta di classe che coloro i quali si trovano in lotta possono costruire una coscienza di classe, ma tutto ciò può assumere degli aspetti estremamente diversi a seconda di quali sono le circostanze storiche. La lotta di classe non assume soltanto delle forme di scontro immediato tra la borghesia ed il proletariato, ma queste forme possono anche passare attraverso lo Stato, nella misura in cui le leggi stabiliscono o combattono le posizioni particolari (limitazione dell'orario di lavoro, protezione contro i licenziamenti, protezione sociale, ecc.). Inoltre, i conflitti di classe non sono le uniche linee di conflitto esistenti nelle società capitalistiche. I conflitti che riguardano le posizioni di genere, il dominio razzista o la gestione dei movimenti migratori sono di grande importanza ai fini dello sviluppo della società.
Il marxismo tradizionale ha spesso considerato i conflitti di classe come se fossero gli unici conflitti veramente importanti. L'«operaismo» italiano - una corrente radicale di sinistra apparsa negli anni '60 - vedeva addirittura tali lotte come se fossero il fattore determinante nelle crisi capitalistiche. È indiscutibile che le rivendicazioni imposte dalla classe lavoratrice rafforzino, o scatenino le crisi. Perfino degli economisti borghesi, come i neoclassici moderni, lo presuppongono nel momento in cui riconoscono che dei salari troppo alti, dei sindacati troppo potenti, o anche delle regolamentazioni (troppo favorevoli al padronato) del mercato del lavoro sono all'origine delle crisi, o della disoccupazione. Le forme e l'intensità della lotta di classe sono senza alcun dubbio di grande importanza al fine di analizzare lo sviluppo del capitalismo in un paese, durante un dato periodo storico. Se però, al livello della rappresentazione del modo di produzione capitalistico «nella sua media ideale» (vale a dire, a livello dell'esposizione del Capitale di Marx) le crisi vengono ridotte alla lotta di classe, ecco che allora quello che viene a mancare è il punto decisivo della teoria delle crisi di Marx. In effetti, Marx ha cercato di dimostrare che il capitale ha delle tendenze immanenti alla crisi, le quali sono del tutto indipendenti da questo genere di circostanze, e che le crisi si generano indipendentemente dalla situazione della lotta di classe. Ciò significa che ci sono delle crisi che si verificano anche quando la lotta di classe è assopita ed inattiva.
Le lotte di classe sono innanzitutto delle lotte in seno al capitalismo: il proletariato lotta per le sue condizioni di esistenza in quanto proletariato, per dei salari più alti, per migliori condizioni di lavoro, per l'istituzione legale dei diritti, ecc. In tal misura, e in questo senso, le lotte di classe non sono il segno della debolezza del capitale, oppure di una rivoluzione imminente, ma piuttosto la forma normale di movimento che viene assunta dal conflitto tra la borghesia ed il proletariato. La stessa cosa vale anche per le giustificazioni delle rivendicazioni fatte, le quali per la più parte rimangono nel quadro stabilito dalla formula trinitaria: ossia, che venga rivendicato un «giusto» salario e che venga cancellata l'irrazionalità della forma salario (vale a dire del salario in quanto remunerazione del valore le lavoro, e non come remunerazione del valore della forza lavoro; si veda per questo il capitolo 4.5), cosa che Marx aveva già constatato a partire dalla base delle rivendicazioni dei diritti dei lavoratori, così come se li rappresentano i capitalisti (mew 23, S.5623). [*3]  Ciò significa che quando in una società borghese gli uomini, siano essi lavoratori o capitalisti, tentano di imporre i loro interessi, ciò avviene pima di tutto sotto la forma feticistica del pensiero e della percezione che dominano la coscienza quotidiana. Qualsiasi cosa succeda, le lotte di classe posseggono anche una dinamica propria. Possono portare a dei processi di apprendimento e di radicalizzazione, in cui viene rimesso in discussione anche il sistema capitalistico nella sua totalità. Il feticismo non è propriamente impenetrabile (undurchdringlich). Ed è avvenuto soprattutto proprio nella fase della costituzione del moderno capitalismo industriale che le lotte di classe dei lavoratori sono state represse dalla brutale reazione dello Stato (per esempio, attraverso la proibizione dei sindacati e degli scioperi, o perseguendo gli attivisti) che spesso hanno contribuito, a loro volta, a rafforzare i processi di radicalizzazione. Rispetto al 19° e all'inizio del 20° secolo, questa repressione immediata è diminuita in molti paesi (e in tutta una serie di paesi, tuttavia svolge sempre un ruolo determinante). Oggi, nei paesi capitalisti avanzati (führend) c'è una regolamentazione giuridica più o meno forte delle forme in cui avviene il conflitto diretto tra borghesia e proletariato: la lotta di classe deve di certe poter aver luogo, ma senza che questo possa costituire un pericolo per il sistema (ecco che, ad esempio, in Germania, il diritto di sciopero e di coalizione vengono garantiti legalmente, ma viene garantito anche il diritto del datore di lavoro di attuare dei blocchi, l'autonomia tariffaria viene anch'essa garantita, mentre, al contrario è vietato lo sciopero politico). Im maniera tale che alcune determinate forme di lotta vengono liberate dalla repressione direttamente dello Stato, mentre altre vengono represse ancora più violentemente.
Nella storia del marxismo, spesso, riguardo ai concetti di classe e di lotta di classe sono state tratte due conclusioni erronee. Da una parte, la situazione della classe e la coscienza di classe sono state collegate in un modo tale che la seconda si sarebbe dovuta necessariamente sviluppare più o meno rapidamente; e dall'altro lato, veniva ammesso che questa coscienza di classe aveva più o meno un contenuto «rivoluzionario». Per questo motivo, non era raro che qualsiasi lotta di classe venisse considerata come se si fosse trattato dell'annuncio dell'arrivo della lotta finale. Veniva pertanto ammesso che il proletariato si sarebbe necessariamente sviluppato in modo da diventare una classe cosciente e rivoluzionaria parallelamente allo svilupparsi del capitalismo. Certo, la storia ci mostra delle situazioni in cui alcune parti del proletariato hanno agito in maniera rivoluzionaria, tuttavia tali situazioni non sono da intendersi come il risultato di una tendenza generale della metamorfosi del proletariato in una classe rivoluzionaria, ma piuttosto come l'espressione di circostanze storiche concrete (per esempio, nel 1918, nella Germania vinta, con la perdita di legittimità degli ambienti aristocratico-militari che fino ad allora erano stati al comando). Il fatto che alcune parti del proletariato avessero un orientamento rivoluzionario fu solamente, per questo motivo, un fenomeno passeggero.
Le numerose «analisi di classe» marxiste che si sono poste la domanda «chi è che appartiene al proletariato?», partivano tuttavia da questa rappresentazione di un proletariato che doveva diventare necessariamente rivoluzionario. Si pensava che con un proletariato definito in maniera analitica, si fosse trovato il «soggetto rivoluzionario». Fino a che i proletari reali non avessero chiarito quale fosse il rapporto con il proprio ruolo, si rendeva perciò necessario aiutarli - soprattutto per mezzo di un «partito di classe», titolo che veniva rivendicato da diversi candidati, e per il quale sono state combattute aspre e cruenti battaglie. Queste due conclusioni erronee, si ritrovano anche in Marx, così come si trova in lui una concezione deterministica della storia sulla quale si sono basati, soprattutto sul Manifesto comunista, vale a dire proprio nel testo che ha sempre giocato un ruolo assai importante nel marxismo tradizionale e nei partiti dei lavoratori. Nel Capitale, Marx è particolarmente più prudente. Comunque sia, rimane in lui un eco del determinismo storico della sua giovinezza. Alla fine del I Libro, Marx traccia in maniera assai succinta, su tre pagine, la «tendenza storica dell'accumulazione capitalistica» (secondo quello che è il titolo della sezione). Come prima cosa, riassume l'emergere del modo di produzione capitalistico che consiste nell'espropriazione dei piccoli produttori privati (piccoli agricoltori ed artigiani). Nel corso della cosiddetta «accumulazione primitiva», essi perdono la loro proprietà dei mezzi di produzione, in modo tale da essere costretti a vendere la forza lavoro ai capitalisti. Quello che poi avviene è un cambiamento fondamentale, su base capitalistica, del processo di produzione: le piccole fabbriche diventano delle grandi fabbriche, ed ha luogo una concentrazione ed una centralizzazione del capitale, in cui verranno sistematicamente utilizzate la scienza e la tecnologia, i mezzi di produzione verranno economizzati e le economie nazionali verranno ad essere integrate nel mercato mondiale. Marx continua dicendo:
« Con la costante diminuzione del numero dei magnati del capitale che usurpano e monopolizzano tutti i vantaggi di questo processo di trasformazione, cresce anche il peso della miseria, dell'oppressione, dell'asservimento, dell'abbrutimento e dello sfruttamento. Ma cresce anche la insofferenza di una classe operaia in costante aumento e che è formata, unita e organizzata dallo stesso meccanismo del processo di produzione capitalista. Il monopolio del capitale diventa un ostacolo e una costrizione per il processo produttivo che si è sviluppato assieme al monopolio stesso e subordinato adesso. La centralizzazione dei mezzi di produzione e la socializzazione del lavoro raggiungono un punto in cui diventano incompatibili con il loro involucro capitalista. E questo viene spezzato. Suona l'ultima ora della proprietà privata capitalista. Gli espropriatori vengono espropriati. » p.856 [*4]
In questa descrizione, lo sviluppo del proletariato in classe rivoluzionaria ed il rovesciamento del dominio del capitale appaiono come un processo inevitabile. E a tal riguardo, Marx, in una nota, cita ancora il Manifesto comunista in cui dice della borghesia: «La sua caduta e la vittoria del proletariato sono entrambe altrettanto inevitabili» [*5] (Il Capitale, p. 857, note 252).
Nel nascente movimento operaio, simili annunci sono stati ripresi allegramente, persino quando si faceva quotidianamente l'esperienza di esclusione e scoramento dovuta a quella società borghese di cui veniva annunciata la fine. Nella stampa socialdemocratica precedente alla prima guerra mondiale, e più tardi, in quella comunista, queste tre pagine del Capitale venivano stampate e citate molto spesso, in modo tale che la concezione dell'analisi marxista ne sarebbe stata fortemente impregnata. In ogni caso, queste previsioni non vennero affatto confermate dalle ricerche stesse di Marx. In che misura il monopolio del capitale si è «trasformato in un ostacolo insormontabile» (cfr. Il Capitale, p.431)? Questo non si è mai verificato. Il fatto che i frutti ed il costo sociale dello sviluppo capitalistico siano inegualmente ripartiti in maniera così estrema, non è un ostacolo al suo sviluppo , ma - proprio come giustamente evidenzia l'analisi di Marx - è quella la forma primitiva del suo movimento. Ed il fatto che il proletariato, con l'affermarsi del modo di produzione capitalistico, sia talmente cresciuto numericamente in modo da, grazie alla grande industria, potersi «unire» e «formare» [*6] (come se il proletariato avesse dovuto organizzarsi in sindacati, e politicamente per esistere realmente come proletariato), questo è di certo vero, ma che si sviluppi necessariamente in una classe rivoluzionaria, questa non è una deduzione che si possa fare a partire dall'analisi di Marx. Piuttosto, al contrario, il Capitale fornisce degli elementi che permettono di comprendere il perché gli sviluppi rivoluzionari siano così rari, perché l'«indignazione» alla quale si fa riferimento nella citazione non divenga immediatamente una lotta contro il capitalismo: con l'analisi del feticismo, dell'irrazionalità della forma salario, e della formula trinitaria, Marx ha mostrato come il modo di produzione capitalistico costruisca un'immagine di sé in cui i rapporti di produzione capitalistici emergono a partire dalle condizioni di tutta la produzione in modo tale che i cambiamenti possono avvenire solo nel quadro dei rapporti capitalisti. Certo, ci può essere uno sviluppo rivoluzionario, questo non è escluso, ma è tutt'altro che un risultato necessario. Nel passo citato, Marx trae delle conclusioni che si basano su un determinismo storico che non è giustificato a partire dalla descrizione categoriale che egli fa del capitale. In tal senso, ed in questa misura, questo passaggio appare come l'espressione delle sue speranze, piuttosto che delle sue analisi, al punto che l'espressione di quell'entusiasmo rivoluzionario finisce per avere il sopravvento sul «freddo scienziato». Tuttavia, la descrizione del modo di produzione capitalistico non si trova legato da nessuna parte a queste dubbie conclusioni che ha fatto a proposito delle classi sociali. Non è possibile determinare in anticipo se e come questo modo di produzione arriverà alla sua propria fine. A tal riguardo, non esiste alcuna certezza. C'è solamente una lotta, il cui esito rimane aperto.

- Michael Heinrich - Pubblicato il 24/4/2020 su LireMarx. -

NOTE:

[*1] - Karl Marx, Friedrich Engels, Corrispondenza, volume 3, 1852-1853, Edizioni sociales, 1972, p.79, lettera del 5 marzo 1852. Non resistiamo a citare la seguente frase tratta dalla lettera: «...Gli sciocchi ignoranti come Heinzen, che negano non solo la lotta di classe, ma l'esistenza stessa delle classi, mostrano solo che nonostante tutta la loro melma sanguinolenta, le loro urla, che vogliono spacciarsi per dichiarazioni umanistiche, mantengono le condizioni sociali in cui la borghesia assicura il suo dominio, per il risultato finale, per il nec plus ultra della storia; dimostrano di essere solo servi della borghesia, una servitù tanto più ripugnante in quanto questi idioti non comprendono affatto nemmeno la grandezza e la necessità transitoria di questo stesso regime borghese. »

[*2] - Eccolo, nella sua totalità: « I proprietari della semplice forza-lavoro, i proprietari del capitale e i proprietari fondiari, le cui rispettive fonti di reddito sono salario, profitto e rendita fondiaria, in altre parole, gli operai sala- nati, i capitalisti e i proprietari fondiari, costituiscono le tre grandi classi della società moderna, fondata sul modo di produzione capitalistico. Senza dubbio è in Inghilterra che la società moderna nella sua struttura economica ha raggiunto il suo sviluppo più ampio e più classico. Tuttavia la stratificazione delle classi non appare neppure lì nella sua forma pura. Fasi medie e di transizione cancellano anche qui tutte le linee di demarcazione (nella campagna tuttavia in grado molto minore che nelle città). Ma per la nostra analisi ciò è irrilevante. Abbiamo visto che la tendenza costante e la legge di sviluppo del modo di produzione capitalistico è di separare in grado sempre maggiore i mezzi di produzione dal lavoro e di concentrare progressivamente in larghi gruppi i mezzi di produzione dispersi, trasformando con ciò il lavoro in lavoro salariato ed i mezzi di produzione in capitale. E a questa tendenza corrisponde, d’altro lato, la separazione autonoma della proprietà fondiaria dal capitale e dal lavoro, o la trasformazione dì tutta la proprietà fondiaria nella forma di proprietà fondiaria corrispondente al modo di produzione capitalistico. La prima domanda a cui si deve rispondere è la seguente: che cosa costituisce una classe? E la risposta risulterà automaticamente da quella data all’altra domanda: Che cosa fa si che gli operai salariati, i capitalisti ed i proprietari fondiari formino le tre grandi classi sociali?
A prima vista può sembrare che ciò sia dovuto all’identità dei loro redditi e delle loro fonti di reddito. Sono tre grandi gruppi sociali, i cui componenti, gli individui che li formano, vivono rispettivamente di salario, di profitto e di rendita fondiaria, della valorizzazione della loro forza-lavoro, del loro capitale e della loro proprietà fondiaria. Tuttavia, da questo punto di vista, anche i medici, ad esempio, e gli impiegati verrebbero a formare due classi, poiché essi appartengono a due distinti gruppi sociali, e i redditi dei membri di ognuno di questi gruppi affluiscono da una stessa fonte. Lo stesso varrebbe per l’infinito frazionamento di interessi e di posizioni, creato dalla divisione sociale del lavoro fra gli operai, i capitalisti e i proprietari fondiari. Questi ultimi, ad esempio, divisi in possessori di vigneti, possessori di terreni arativi, di foreste, di miniere, di riserve di pesca.
» [Il manoscritto si interrompe qui.]

[*3] - « Man begreift daher die entscheidende Wichtigkeit der Verwandlung von Wert und Preis der Arbeitskraft in die Form des Arbeitslohns oder in Wert und Preis der Arbeit selbst. Auf dieser Erscheinungsform, die das wirkliche Verhältnis unsichtbar macht und grade sein Gegenteil zeigt, beruhn alle Rechtsvorstellungen des Arbeiters wie des Kapitalisten, alle Mystifikationen der kapitalistischen Produktionsweise, alle ihre Freiheitsillusionen, alle apologetischen Flausen der Vulgärökonomie. ».
«Si comprende quindi l’importanza decisiva che ha la metamorfosi del valore e del prezzo della forza-lavoro nella forma di salario, ossia in valore e prezzo del lavoro stesso. Su questa forma fenomenica che rende invisibile il rapporto reale e mostra precisamente il suo opposto, si fondano tutte le idee giuridiche dell’operaio e del capitalista, tutte le mistificazioni del modo di produzione capitalistico, tutte le sue illusioni sulla libertà, tutte le chiacchiere apologetiche dell’economia volgare.» (Il Capitale, Libro I).

[*4] - « Mit der beständig abnehmenden Zahl der Kapitalmagnaten, welche alle Vorteile dieses Umwandlungsprozesses usurpieren und monopolisieren, wächst die Masse des Elends, des Drucks, der Knechtschaft, der Entartung, der Ausbeutung, aber auch die Empörung der stets anschwellenden und durch den Mechanismus des kapitalistischen Produktionsprozesses selbst geschulten, vereinten und organisierten Arbeiterklasse. Das Kapitalmonopol wird zur Fessel der Produktionsweise, die mit und unter ihm aufgeblüht ist. Die Zentralisation der Produktionsmittel und die Vergesellschaftung der Arbeit erreichen einen Punkt, wo sie unverträglich werden mit ihrer kapitalistischen Hülle. Sie wird gesprengt. Die Stunde des kapitalistischen Privateigentums schlägt. Die Expropriateurs werden expropriiert. » (mew 23, S. 790)

[*5] - « Ihr Untergang und der Sieg des Proletariats sind gleich unvermeidlich » (mew 23, S. 791, Fn 252)

[*6] - Cfr. Il Capitale.

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