venerdì 21 agosto 2020

Il verde e il grigio

Il gioco della critica consiste nel giustapporre dei pezzi, ipotizzando qua e là dei possibili contatti - sempre arbitrari - nella speranza che possa apparire un qualche disegno (coerente, incoerente, figurativo o cubista), una mappa che possa rendere facile (o difficoltoso) l'accesso ad un testo già noto. Nel caso di Joyce, per esempio dell'Ulisse di Joyce, i riferimenti accessibili vanno a formare un percorso quasi automatico: Omero, Vico, Flaubert (e Beckett, in quanto continuatore). Cosa succede, per esempio, nel passare da Balzac a Joyce? Si tratta di progetti analoghi, in quello che è il loro desiderio di totalità ed esaurienza: ma quello che  Balzac fa in 91 libri (finiti; ce ne saranno altri 46 che rimangono incompleti, alcuni solo nella fase del titolo), Joyce lo condensa in un solo libro (o due, se consideriamo anche Finnegans Wake). Ulisse racconta tante storie, ed ha altrettanta ambizione di immergersi nei suoi personaggi quanto ne ha la Commedia umana di Balzac, ma il procedimento con cui lo attua è radicalmente diverso: è assai più una enigmatica condensazione che una estensività pedagogica. Di fronte alla Commedia umana e all'Ulisse, il lettore viene ugualmente invitato a spendere un'enorme quantità del suo tempo alla decifrazione. Nel caso di Balzac, si tratta di un tempo che all'inizio appare lineare, estensivo, prolungato, cronologico, che viene percepito a partire dal succedersi delle opere, dei libri: si immaginino 91 libri in una libreria dedicata esclusivamente a Balzac); mentre nel caso di Joyce si tratta di un tempo informe ed irregolare, una lettura che invoglia e sollecita alla decifrazione parola per parola, frase per frase. Nel primo, l'energia è diffusa; nel secondo, concentrata.

Nel libro "James Joyce A to Z: The Essential Reference to the Life and Work" gli autori, A. Nicholas Fargnoli e Michael Patrick Gillespie riservano un lemma a Balzac. Lo fanno citando un saggio scritto nel 1903 da Joyce su Ibsen (un saggio sul dramma "Catilina", scritto tra i 1848 ed il 1849 e che viene rappresentato per la prima volta nel 1881) nel quale egli critica Balzac per la sua «mancanza di precisione». Tuttavia, ad essere interessante è il fatto che il rimando che gli autori fanno usando un riferimento a Balzac che è presente in Finnegans Wake: più precisamente, un riferimento a Balzac che Joyce mescola con un riferimento ad Oscar Wilde: « the squidself which he had squirtscreened from the crystalline world waned chagreenold and doriangrayer in its dudhud » (186.6-8).
Il riferimento di Joyce a Balzac, è qui a "La pelle di zigrino" [«chagreenold»], romanzo di Balzac pubblicato nel 1831, in cui si racconta la storia di un giovane che entra in possesso di un magico pezzo di pelle (o di cuoio) che esaudisce i suoi desideri (solo che ad ogni desiderio soddisfattogli, la pelle diminuisce di dimensione e assorbe parte dell'energia vitale del giovane). Joyce prende lo «chagrin» dell'originale francese ("La peau de chagrin") e lo prolunga mediante l'aggiunta della parola «green» e della parola «old», preparando in questo modo il terreno per il successivo riferimento, quello ad Oscar Wilde: « chagreenold and doriangrayer ». Così il verde dello chagrin viene declinato insieme al grigio di doriangrayer, vale a dire di Dorian Gray (il romanzo ed il personaggio di Oscar Wilde), anch'egli coinvolto in un sistema magico di retribuzione e castigo (come avviene con la pelle in Balzac, anche il quadro in Wilde riceve la pena dell'invecchiamento, che tuttavia non viene condivisa dal protagonista).

fonte: Um túnel no fim da luz

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