venerdì 17 maggio 2019

Il Maestro del Concreto

Peter Laemmle: «Sorprende che i temi più importanti della sua opera affondino le radici in esperienze di ordine biografico. Massa e potere, il problema della morte, i caratteri, la satira: tutto ciò appare essere relazionato ad esperienze concrete da lei vissute, probabilmente, assai presto. E tutta la sua opera si distingue per la concretezza di quelli che sono i suoi punti di riferimento, al punto che sarebbe possibile definirla come un'escursione nel concreto. È nota la sua speciale avversione per il pensiero astratto, per i sistemi di pensiero. Mi interessa sapere da dove proviene questa sua precoce tendenza all'osservazione concreta, che l'ha aiutato, se le proviene dalla famiglia, e a quali esperienze personali è collegata.»

Elias Canetti: «La mia prima consapevolezza di ciò che è concreto mi arrivò dalla lettura di Robinson Crusoe, all'età di sette anni. Quell'uomo da solo su un'isola, che deve raccogliere e fare da sé solo tutto ciò di cui ha bisogno per poter vivere. L'individuo ha così tanta importanza, manca di così tante cose, ha bisogno di tanto, al punto che ciascun dettaglio necessario alla vita assume una sua importanza. Da quel momento in poi, per me, ciò che è concreto non ha mai più perso importanza. A volte passava in secondo piano, nel corso dei molti processi di apprendimento che costituiscono la giovinezza, ma poi veniva ben presto riacceso da un nuovo e decisivo intervento. Forse l'impulso più forte che ho ricevuto in quella direzione sono stati i quadri di Brueghel, a Vienna. Li conobbi quando all'età di diciannove anni tornai a Vienna, ed erano così tanto diversi da tutti quegli altri quadri che avevo visto fino a quel momento, che per un certo periodo di tempo sono andato tutti i giorni al Kunsthistorisches Museum, dove passavo ore ed ore davanti a quei quadri. Quelle che erano le innumerevoli piccole figure dipinte nei suoi quadri potevano essere apprese come se fossero degli oggetti. La loro varietà e la loro ricchezza erano tali che non ci si poteva stancare di guardarle. Brueghel fu, allora, per me il più importante dei pittori. Anzi, di più: divenne il maestro del concreto. Allo stesso tempo, si trattava anche di riconoscere e valutare la materia. Uno dei principali stimoli che ho ricevuto dalla Chimica, che studiavo in quegli anni, ha a che fare con il trattare sostanze tangibili. Andavo tutti i giorni in un laboratorio, ed ho trascorso tutto un primo anno impegnato in analisi qualitative, ed un secondo anno in analisi di verifica. Fra la facoltà di chimica ed i Brueghel non c'era molta distanza, e così andavo a vederli ogni volta che potevo, anche se era solo per un'ora. In tal modo, sono stato esposto a delle influenze molto diverse e che, tuttavia, allo stesso tempo incidevano su di me, e che potevano essere intese come se fossero un esercizio del concreto. In Brueghel ammiravo l'esattezza dell'osservazione, e cercavo di fare lo stesso nell'ambito della mia propria vita. Ma non posso dire che la mia tendenza all'osservazione concreta, che da allora si è indubbiamente rafforzata, sia nata in quel momento: stava lì già da prima. Credo che venne provocata dai trasferimenti in altri paesi, che avvennero già nella mia prima infanzia. Non siamo mai rimasti in una città per più di qualche anno: sei anni in Bulgaria, due anni in Inghilterra, tre a Vienna, cinque a Zurigo, tre a Francoforte... Nuove lingue, nuove scuole, nuovi compagni di classe, nuovi insegnanti... Era impossibile non prestare attenzione alle differenze tra le esperienze precedenti e quelle nuove. Direi quasi che quando si trattava di nuove lingue, farlo era vitale. Il frequente cambiamento, il viaggio iniziale, mi ha dato una sensazione di linearità, della convivenza fra molti oggetti, creature e usanze, insieme al diritto di tutte ad esistere. Tutto quello che finiva troppo presto mi appariva come un limite ed un impoverimento. La lettura dei viaggi degli esploratori, un'autentica passione, rafforzò in me questa tendenza ad una dedizione plurale nei confronti del mondo. Insieme alle mie esperienze personali, indubbiamente già abbondanti, e alla lettura, sapevo che c'erano un'infinità di cose, e anche tutto questo poteva essere vissuto, dal momento che mi stavano ancora aspettando. Per me, sarebbe stato impossibile fare finta che tutto questo non esisteva solo perché ancora non lo conoscevo. La sensazione della molteplicità del vivibile, del carattere aperto del mondo, divenne così forte da farmi diffidare di ogni sistema chiuso. Ogni volta che sentivo di essere sul punto di rimanere impigliato in un sistema, mi salvavo facendo un salto improvviso, forte, come se fuori ci fosse la vita.»

Elias Canetti - da "Conversaciones con Peter Laemmle" (1994)

fonte: Calle del Orco

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