martedì 23 aprile 2019

Le lancette di un orologio al polso di un morto

«Viviamo in una barbarie permanente, e amministrarla assumerà forme di violenza militare».
- Intervista di «Sul21» a Marildo Menegat - 11/2/2019 -

Le crisi cicliche del capitalismo hanno sempre prodotto situazioni distruttive, insieme a regressioni alla barbarie. Tali crisi, tuttavia, non sono solo meramente cicliche. Esse vanno accumulandosi, diventando così sempre più crisi sistemiche e strutturali, in cui la regressione alla barbarie diventa sempre più permanente. Stiamo già vivendo quella che è una situazione di barbarie permanente, dove il sistema insiste a funzionare con la medesima identica logica, anche se l'umanità e la natura non riusciranno a sopravvivere ad una simile situazione.  È questa una delle tesi centrali del libro «A Crítica do Capitalismo em Tempos de Catástrofe» (Editora Conseqüência), de Marildo Menegat, professore di Filosofia all'Università Federale di Rio de Janeiro. Menegal, in una intervista a «Sul21», ha parlato del suo libro, il quale, fra le altre cose, analizza l'attuale fase del capitalismo, che sta portando il mondo in un vicolo cieco. «Perché si possa continuare ad avere un lavoro, a produrre merci e a far circolare il denaro, in quanto base di questa società, dobbiamo distruggere l'umanità e la natura», sostiene.
Menegat, inoltre, valuta su scala globale quella che è la situazione brasiliana in questo scenario di barbarie permanente. Per lui, la vittoria di Bolsonaro è l'espressione politica di un collasso sociale.  Secondo i criteri dell'ONU, il numero di violenze che avvengono in Brasile caratterizzano quella che è già una situazione di guerra civile a bassa intensità. Menegat richiama l'attenzione sul ruolo svolto dai militari in un simile scenario, e rispetto all'esperienza avuta ad Haiti: «Nella misura in cui il capitalismo sta collassando in tutto il mondo, inclusa l'America Latina - vedi il caso del Venezuela, dell'Argentina e, in un certo qual modo, del Brasile - per esso, diventa necessario garantire spazi territoriali nei quali possa ancora eesere capace di accumulare. Ad Haiti, l'esercito brasiliano è riuscito a fare questo non solo rispetto al Brasile, ma a tutta l'America Latina. Probabilmente, il proseguimento di quest'esperienza verrà ad essere in Venezuela.»

Sul21: Il sottotitolo del suo libro parla di "far girare le lancette dell'orologio che si trova al polso di un morto". Nel contesto della sua analisi circa lo stato attuale del capitalismo, qual è il significato che assume tale espressione?

Marildo Menegat: «Per circa vent'anni, ho portato avanti un'analisi del marxismo che gli facesse pelo e contropelo, unendomi ad una lettura internazionale che va avanti da un periodo di tempo ancora più lungo, soprattutto negli Stati Uniti e in Germania, che si chiama Critica del Valore. La critica del valore poggia su due assi molto importanti. Il primo consiste nel fare una critica di quelle che chiamiamo le categorie che si trovano alla base della società moderna, come, per esempio, lavoro, denaro, valore, merci. Dall'altro lato, la seconda asse è quella che tenta di analizzare il processo di crisi del capitalismo, un tema assai controverso e complesso. Controverso, in quanto il marxismo, alla fine del XIX secolo e all'inizio del XX, portò avanti della grandi discussioni riguardo quello che era il respiro storico del capitalismo, chiedendosi se si trattasse di una forma eterna di produzione, o se oppure avesse un tempo storico determinato. Inoltre, è stato anche discusso intorno a quali fossero i segnali di una possibile crisi strutturale di tale forma di vita sociale. Gli autori che parlavano della possibilità di un collasso del capitalismo, alla fine smarrirono il senso delle loro argomentazioni, allorché, nel periodo del dopoguerra, il capitalismo si ricostruì. Ma questi autori avevano ragione a dire che il capitalismo aveva un limite storico. Rosa Luxemburg, ad esempio, sosteneva che il capitalismo aveva un limite di espansione. Arriva un dato momento in cui la sua riproduzione allargata non riesce più a produrre alcun nuovo valore.
In sostanza, il capitalismo è una sfera a parte dell'economia, la quale domina tutte le altre sfere della vita sociale. Si tratta di una novità storica. Ciò non è avvenuto nell'Antichità, e neppure nel Medioevo. Moses Finley, uno storico ebreo-tedesco che emigrò in Inghilterra durante la seconda guerra mondiale, afferma che nell'Antica Grecia e nell'Antica Roma quello che noi chiamiamo modernamente economia non esisteva. È ovvio che queste società avevano bisogno di una sfera di produzione di quella che era la loro esistenza materiale, così come ne ha bisogno ogni e qualsiasi società. Ma nessuna società ha mai prodotto questo per mezzo delle oggettivazioni astratte, nel modo in cui il capitalismo produce. Il valore è un'oggettivazione astratta. Il capitalismo si regge attraverso una logica di accumulazione delle oggettività astratte, che sta diventando sempre più folle. Perciò, quando parliamo di crisi economica, stiamo parlando dell'essenza del capitalismo. Il valore, per essere prodotto, dev'essere estratto dal plusvalore. Solo che questa estrazione di plusvalore dipenderà sempre più dallo sviluppo delle forze produttive. C' un preciso momento dello sviluppo della tecnica, nel quale il lavoro umano diventa residuale, e non accumula più quel nuovo valore che permetta un processo di espansione del capitale. La critica del valore comincia a sviluppare un'analisi che dice come, a partire dagli anni '70, con la Terza Rivoluzione Industriale, si sia cominciato a raggiungere quello che è questo limite storico. A partire da allora, i fenomeni che osserviamo nel capitalismo sono sempre più un'espressione di tale limite dell'accumulazione. La crisi del 1973-1975 è già un'espressione di questo. Da quella crisi in poi, tutta la storia del capitalismo è un disperato tentativo, da parte del capitale, di cercare una via d'uscita a questo limite. Faccio parte della generazione degli anni '80, ed in quegli anni, in Brasile, vennero create organizzazioni come il PT [Partido dos Trabalhadores], la CUT [Central Única dos Trabalhadores], l'MST [Movimento dos Trabalhadores Rurais Sem Terra]. È stato nel mezzo di queste esperienze che ho cominciato a pensare a quali fossero i limiti programmatici di quelle organizzazioni. Ciò che ci mobilita come orizzonte politico, ormai non è più fattibile. Alla fine degli anni '80, l'Unione Sovietica stava collassando, ed il socialismo reale smetteva di esistere. Il limite programmatico che dobbiamo affrontare, è quello per cui oggi non c'è spazio per una critica radicale del capitalismo che difenda un'altra forma di vita sociale. Tale limite consiste nel fatto che il capitalismo, in quanto forma sociale totale globale, è arrivato al capolinea, ed ha dato così inizio ad un ampio processo di collasso. La mia elaborazione affronta tale collasso dal punto di vista della periferia, dal punto di vista della nostra esperienza brasiliana. Sviluppo questa elaborazione, a partire dal concetto di barbarie. «La Critica del Capitalismo al Tempo della Catastrofe» è il quarto libro di questo mio percorso di elaborazione teorica
».

Sul21: Nei suoi libri, esiste quindi una linea di continuità?

Marildo Menegat: « Sì. Dagli anni '90 al 2018, ciò che sto facendo, è cercare di specificare che cos'è che io chiamo barbarie. Questo concetto era già presente nell'Antichità. Per i greci, la barbarie era qualcosa che si trovava sempre esternamente rispetto alla loro cultura. Nel caso dei Romani, il quadro è un po' più complesso, poiché avevano compreso che anche la loro stessa cultura poteva produrre barbarie, nonostante il fatto che loro chiamassero tutto questo più con il nome di decadenza. Per l'Illuminismo, la barbarie sarà sempre esterna: l'indigeno, il colonizzato, chi non é europeo occidentale. In Marx, c'è una riflessione assai lucida a proposito della barbarie. Per lui, la barbarie è un prodotto dello sviluppo stesso del capitalismo. Marx pensa questo concetto in due momenti. Da un lato, parla di una barbarie momentanea. In tutti i momenti di crisi - che sono ciclici nel capitalismo - si produce una situazione distruttiva, con regressioni alla barbarie. Tuttavia, queste crisi non sono meramente cicliche. Si accumulano anche, e così diventano sempre più crisi sistemiche e strutturali, dove la regressione alla barbarie diventa sempre meno momentanea. La barbarie va diventando in tal modo sempre più permanente. Nella nostra epoca, essa è permanente. Ed è qui che emerge l'idea di far girare le lancette dell'orologio che si trova al polso di un morto. Il sistema insiste a voler funzionare, ma l'umanità non sopravvive a questo ».

Sul21: Le crisi del capitalismo che avvennero alla fine del XIX secolo e all'inizio del XX furono "risolte" per mezzo di due guerre mondiali. Quest'elemento di distruzione è una condizione per la sopravvivenza del capitalismo?

Marildo Menegat: « Di sopravvivenza non direi; però la guerra moderna nasce con il capitalismo. Robert Kurz mostra come uno degli aspetti fondamentali delle origini del capitalismo sia legato alle armi da fuoco. Queste armi hanno introdotto uno squilibrio in quella che era la guerra feudale, la quale aveva delle armi che venivano prodotte in maniera artigianale. Fra i signori feudali, l'equilibrio del combattimento era ragionevole. Quando le armi da fuoco cominciano ad essere introdotte, si viene a produrre un immenso squilibrio di potere. Inseguire queste armi, diventa una questione di vita o di morte. Le armi non vengono più prodotte nelle officine artigianali. E per poter essere acquisite, si esige un tipo di mediazione che è il denaro, in quell'epoca sotta forma di oro, argento, metalli preziosi. Le armi da fuoco producono una enorme fame di denaro, la quale finirà per disorganizzare completamente la società medievale e darà inizio ad un processo di riorganizzazione della vita sociale.
A partire da questo momento storico - nel XVI e nel XVII secolo - la guerrà divenne parte permanente del processo di produzione e di riproduzione del capitalismo. Ogni importante economia del mondo, aveva un significativo settore degli armamenti. Il grande salto del capitalismo industriale, avvenuto in Inghilterra, nel XIX secolo, avviene durante le guerre napoleoniche. Tali guerre, richiesero all'industria inglese un settore di produzione di beni strumentali, di macchinari ed armi, separato dal settore di produzione di beni di consumo. Pertanto, la produzione di armi è inerente alla storia del capitalismi. In alcuni momenti, anche la produzione di armi diventa un buon modo di dare uno sbocco alla sovraccumulazione di capitale. Ad essere distruttiva è l'intera logica del capitalismo. Il capitalismo è un modo di produzione distruttivo. Tornando a quella che era l'idea di Marx, la barbarie è il telos, è il fine in sé del capitalismo. Non è certo una base di organizzazione sociale che possa essere compatibile con la costruzione di una civiltà emancipata. Aspettarsi dal capitalismo le basi di questa emancipazione umana è un enorme errore
».

Sul21: Se consideriamo tale logica distruttiva e l'attuale contesto politico ed economico internazionale, qual è, nella tua valutazione, la possibilità che la crisi possa sfociare in una nuova grande guerra su scala globale?

Marildo Menegat: « È già in atto. Negli anni '90, ci sono stati alcuni sintomi dell'attuale crisi in corso, col collasso dell'Unione Sovietica e dell'Est europeo, con lo smantellamento della Jugoslavia, con la guerra dei Balcani, la crisi del debito in America Latina e del Nord Africa, fra le altre cose. Questo contesto storico produrrà un tipo di fenomeno sociale del tutto nuovo: delle nuove forme di guerra civile che ormai non hanno più alcuna concezione definita di che cosa sia la presa del potere. C'è un collasso dell'economia e dello Stato, e questo spazio viene occupato dalla violenza. Nei Balcani, abbiamo visto come ha avuto luogo questa forma di guerra civile, con la pulizia etnica e con le azioni della NATO. L'altro esempio, è il processo di separazione delle repubbliche che facevano parte dell'Unione Sovietica, come la Georgia e la Cecenia. In America Latina, il nostro schema è stato diverso. Qui, questo processo si è espresso attraverso un'esplosione di criminalità che non sventolava alcuna bandiera nazionale o etnica, sebbene siano i poveri ed i neri ad essere schiacciati dalle armi.
Alla fine degli anni '70 e all'inizio degli '80, il numero di morti per cause esterne in Brasile non superava gli 11.000 all'anno. Verso la metà degli anni '90, quel numero era già salito fino a 36.000 morti. Si tratta di una crescita assai superiore a quella della popolazione che c'è stata in quel periodo. Pertanto, abbiamo una situazione di violenza endemica che è il risultato di scontri armati che si verificano nei territori urbani. Non abbiamo a che fare con eserciti definiti, ma c'è una guerra permanente. Abbiamo una media di 29 morti (per cause esterne) ogni 100.000 abitanti. Secondo le Nazioni Unite, queste cifre sono quelle di una guerra civile di media intensità. Quindi, anche se non c'è una guerra civile dichiarata, essa esiste. Questa guerra civile non dichiarata è contemporanea a quella occorsa in Cecenia e nelle altre parti del mondo, ciascuna con caratteristiche particolari, ma che fanno tutte parte dello stesso processo di crisi del capitalismo. Che cos'è questa crisi? L'organizzazione della società per mezzo della produzione di merci, insieme alla sua permanente espansione, ormai non è più possibile. C'è una quota sempre più crescente della popolazione che è in eccedenza. E queste persone superflue sono dei soggetti monetari senza denaro. Tutti noi che viviamo nel capitalismo abbiamo bisogno di denaro per poter soddisfare le nostre necessità. C'è una parte sempre più grande di persone che non ha alcun modo per accedere a questo denaro, e rimane così esclusa dalla vita economica. Assistiamo a  questo fenomeno in molte parti del mondo, ciascuna con le sue particolarità che si dimostrano sempre più letali.
Nei Balcani, abbiamo visto quello che la critica del valore chiama Guerra di Ordinamento Mondiale. Queste guerre di ordinamento mondiale hanno una caratteristica differente rispetto alle vecchie guerre imperialiste, dove c'era una grande potenza che voleva dominare i territori. L'Inghilterra e gli Stati Uniti si espandevano dominando territori. La stessa Germania nazista tentò di espandersi dominando territori. Al momento, l'ultima grande superpotenza, gli Stati Uniti, non hanno alcun interesse a dominare direttamente dei territori. Invece, fanno delle guerre di intervento per poter mantenere minimamente, in diverse regioni del mondo, degli spazi di accumulazione di capitale. In Medio Oriente, ad esempio, ogni accumulazione di capitale passa attraverso il controllo della popolazione di quella regione in modo da non for collassare il resto dell'Europa occidentale.
Negli anni '90, l'immigrazione della popolazione della regione dell'ex Jugoslavia è arrivata a circa un milione di persone. È stato il primo grande focolaio di rifugiati europei. Oggi, nel mondo, controllare queste masse di rifugiati è diventata una questione strategica per poter mantenere ancora possibili le isole di accumulazione di  capitale. Anche in America Latina ci sono questi problemi. Ad un primo livello, questi conflitti vengono organizzati come guerre civili, ma poi tendono ad espandersi, e in questo ampliarsi poi tendono ad essere guerre di un altro ordine, guerre aperte che implicano l'intervento degli eserciti di più paesi. Forse questo può aiutarci a comprendere un po' quello che è uno dei fenomeni che si trova dietro quella che è la grande presenza militare nell'amministrazione Bolsonaro. Nella mia lettura, questo fenomeno ha una relazione diretta con la nuova fase, per cui entriamo in questo processo di guerre che sono immanenti al collasso del capitalismo. Le guerre degli anni '90, sono oramai insufficienti a spiegare le guerre che iniziano dopo il 2008, e che hanno una portata più generalizzata ed esigono interventi più aperti
».

Sul21: Quindi, i militari brasiliani potrebbero costituire quella che è una formulazione rispetto a questo fenomeno?

Marildo Menegat: « Sì. L'esperienza brasiliana ad Haiti è servita a definire tutto questo. In un primo momento è servita a controllare un paese che era collassato. In relazione ad Haiti, la paura dell'ONU non era che la popolazione stesse morendo di fame, ma quella che desse inizio ad un processo di migrazione di massa. Era necessario garantire minimamente la governabilità dei paesi della regione. L'intento che era alla base della risoluzione dell'ONU, che decideva che sarebbe stato il Brasile a guidare la missione dei caschi blu, era quello di far sì che la popolazione rimasse ad Haiti. Ad Haiti, l'esercito brasiliano acquisisce un'esperienza di intervento e di governo senza precedenti per quell'esercito. Il generale Augusto Heleno, insieme agli altri generali che presero parte alla missione, divenne praticamente il vice presidente di Haiti. Dove il presidente era una figura formale, di facciata. Buona parte del governo era nelle mani dei generali brasiliani, ici compresi i ragionevoli finanziamenti dell'ONU. Questi generali dovevano anche rimanere in contatto con i comandanti dei principali eserciti che facevano parte del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, in particolar modo con l'esercito americano. Per i militari brasiliani, questa esperienza internazionale definirà la consapevolezza del ruolo che avrebbero dovuto svolgere in futuro, in America Latina. Nella misura in cui il capitalismo sta collassando in tutto il mondo, inclusa l'America Latina - si vedano i casi del Venezuela, dell'Argentina e, in un certo qual modo, del Brasile - è necessario garantire spazi territoriali dove il capitalismo sia ancora capace di accumulare. Ad Haiti, l'esercito brasiliano è stato addestrato a fare questo non solo in Brasile, ma anche in tutta l'America Latina. Il Venezuela, possibilmente, sarà il proseguimento di quest'esperienza ».

Sul21: In un dibattito tenutosi a Porto Alegre, in gennaio, Paulo Arantes ha detto che i militari brasiliani considerano il Venezuela come una potenziale Siria. Pensi la stessa cosa?

Marildo Menegat: « Esattamente. Il collasso del Venezuela ha già prodotto una massa di rifugiati che assomma all'incirca a 3 milioni di persone, che sono andati in Colombia, Ecuador, Brasile, ed una parte minore negli Stati Uniti ed in Europa. I futuri sviluppi che coinvolgono il Venezuela, sono chiaramente articolati con lo scenario precedentemente descritto. In questo processo di collasso del capitalismo, l''America Latina sta entrando in una nuova fase. Nella misura in cui vanno collassando le frontiere nazionali,  producono man mano un incredibile movimento di masse umane. Il capitalismo brasiliano è il capitalismo più organizzato dell'America del Sud e possiede dei settori di attività che hanno della capacità di sopravvivere un po' meglio nei confronti della valanga che si delinea all'orizzonte. Perciò, è naturale che buona parte di queste popolazioni sia attratta dal Brasile. Per i militari, un miglior controllo di queste frontiere ed una capacità maggiore di intervenire all'interno di questi paesi, per controllarne le popolazioni, diventa una questione fondamentale ».

Sul21: Nel contesto dell'analisi che fai a proposito dell'America Latina allo stato attuale di crisi del capitalismo, l'elezione di Bolsonaro sarebbe come una specie di espressione politica di questo collasso che è in atto?

Marildo Menegat: « Sì. La tua osservazione è perfetta. I governi del PT [Partido dos Trabalhadores] si sono trovati nel bel mezzo di questo processo di collasso che è in atto a partire dagli anni '80. negli ultimi 40 anni, abbiamo avuto tre delle quattro peggiori crisi della nostra storia. La prima di queste quattro crisi, è avvenuta nel 1929 e, curiosamente, è stata la più mite delle quattro. Poi abbiamo avuto quella del 1981-1982, che è stata violentissima e ha definito la fine della dittatura militare. In seguito è arrivato il periodo di Collor. E, infine, la crisi del 2014-2017. Considerando questa nostra storia, consapevolmente o inconsciamente, il dibattito politico si riduce a come amministrare  quelle crisi, che ormai sono solo i sintomi di un collasso. Non siamo ripresi bene da nessuna di esse. Un buon criterio di osservazione di tutto questo, risiede nel peso dell'industria rispetto al PIL brasiliano, che è in calo dagli anni '80. Siamo un paese in deindustrializzazione; un processo, questo, che è un marchio del mondo odierno. Tranne la Cina, la deindustrializzazione è una realtà in tutto il mondo, inclusi gli Stati Uniti, dove è un serio problema.
I quattordici anni dei governi del PT [Partido dos Trabalhadores] sono stati una forma dell'amministrazione di questa crisi. Nel momento in cui ha associato questo collasso del capitalismo ad una regressione permanente verso la barbarie, va detto che i governi del PT sono stati forme di gestione della barbarie. In che modo il PT attua questa amministrazione della barbarie? C'è da dire intanto che possiede un know-how che è andato accumulandosi in quelle che sono state le sue esperienze municipali nelle prefetture. In queste prefetture, sviluppa il concetto di governabilità sociale, il quale consiste nel rendere redditizie persone che, dal punto di vista sociale ed economico, non lo erano. Nella misura in cui l'economia smette di assorbire le persone "insostenibili", monetizzare questi individui diventa una questione fondamentale se si vuole assicurare la continuità della loro esistenza. Il PT fa questo a bassa intensità, attraverso un insieme di programmi sociali, che consentono a queste persone di poter mangiare, di vestirsi, di avere accesso alla scuola per i loro figli, vale a dire, un minimo di condizioni di esistenza sociale secondo quello che è un modello culturale molto degradato.
Il PT [Partido dos Trabalhadores] è riuscito a realizzare questo nel governo federale anche per una pura coincidenza, ed è proprio questo caso che aiuta a spiegare il concetto di crisi che ho menzionato prima. Il capitalismo, ormai a partire dagli anni '70, non è più in grado di espandersi in maniera vigorosa, producendo nuovo valore. Pertanto, allora si espande portando avanti un'accumulazione di valore fittizia, e quest'accumulazione fittizia è il processo speculativo. Per mezzo di tale processo, ciascuno di noi prevede e consuma ora quello che pensa di andare a produrre in futuro. Vale a dire, consuma nel presente quel futuro che pensa di poter avere, ma che non necessariamente andrà a realizzare. Secondo questa logica, a partire dagli anni '70, sono state prodotte delle grandi bolle a livello mondiale, le quali stanno reggendo l'economia. Questo meccanismo ritarda una crisi molto più brutale, e crea l'illusione che l'economia starebbe funzionando. E' in questo che consiste il far girare le lancette dell'orologio che si trova al polso di un morto.
Alla fine degli anni '90, abbiamo avuto la grande bolla dei dot.com, quando abbiamo assistito alla crescita delle imprese come Microsoft e Apple. All'inizio del XXI secolo, quella bolla è scoppiata. Nel mese di aprile del 2001, la bolla di New York precipita, un chiaro segnale del fatto che questo meccanismo aveva della difficoltà nel continuare a riprodursi. Una volta svuotata questa bolla di alta tecnologia, si sono create due nuove grandi bolle, quella delle costruzioni civili e quella delle materie prime. La bolla immobiliare delle costruzioni coinvolge Stati Uniti, Spagna, Inghilterra e diversi altri paesi nel mondo, mentre la bolla delle materie prima interessa la Cina e buona parte dell'America Latina. Queste bolle sono articolate, e costituiscono un medesimo movimento di realizzazione di una capitale che non trova valore reale. È un capitale che ha solo forma contabile e che è ha bisogno di continuare a riprodursi in maniera contabile.
Quest'ultima bolla ha coinciso con il periodo in cui il PT [Partido dos Trabalhadores] aveva vinto le elezioni. In quel periodo, avevamo una grande espansione nella produzione di materie prime come ferro, petrolio, soia, mais ed altri prodotti. In questo modo, è stato possibile riequilibrare un'economia che era già avviata, cosa che permette al PT di ristrutturare al minimo alcune funzioni statali, e garantire quelle risorse per poter fare delle politiche pubbliche che, come ho detto, sono politiche di amministrazione della barbarie. Quando questa bolla scoppia, nel 2008, nel governo del PT si erano già prodotte delle crisi. A partire dal 2008, Lula sarà costretto a fare una politica anticiclica, aumentando l'indebitamento pubblico. In un primo momento, l'economia risponde bene, e cresce più del 7%, Abbiamo un periodo di ri-articolazione dell'economia. Nel 2008-2009, si riequilibra anche la bolla internazionale, fino a che, nel 2012, scoppia e scompare completamente. È in questo periodo che cominciano le crisi dei governi di Dilma.
Ciò che permetteva al PT [Partido dos Trabalhadores] di amministrare la barbarie non esiste più, ma la gestione della barbarie continua ad essere necessaria. La via della governabilità sociale adottata dal PT non è più possibile, ma bisogna gestire queste masse umane senza alcuna funzione per il sistema. La mio ipotesi è che la gestione della barbarie verrà ora assunta per mezzo di forme di violenza militare, sia attraverso l'Esercito, sia attraverso la polizia militare o le milizie. In Brasile, la diffusione delle milizie, da nord a sud, è un fenomeno spaventoso e sconcertante. Siamo entrati in una nuova fase di quest'immensa degradazione sociale, dove il bolsonarismo si mostra come la forma aggressiva più in grado di interpretare i bisogni di coloro che nel nostro paese  hanno ancora un qualche ruolo nell'accumulazione del capitale
».

Sul21: Nel libro, si sostiene la necessità di una profonda trasformazione teorica, da parte della sinistra, che tenga conto di questo scenario di degrado sociale. A partire da quali categorie, dovrebbe verificarsi questo cambiamento? Ai fini di questo compito, in che misura è importante l'opera di Marx?

Marildo Menegat: « Marx resta ancora un'opera obbligatoria, ma non può essere letto in maniera fondamentalista. Come tutte le opere storiche, richiede un lavoro di attualizzazione e contiene alcune insidie relative al tempo storico in cui è stata elaborata e redatta. In generale, i marxisti sono una forza modernizzatrice, e non anticapitalista. I marxisti più tradizionali, che tutti noi conosciamo, che militano in partiti ed in movimenti sociali, come orizzonte storico condividono l'idea secondo cui il capitalismo è un modo di produzione in grado di generare un livello di benessere per l'umanità. Una simile idea è assolutamente insostenibile. Nel corso di tutto il XX secolo, siamo venuti a conoscenza di quelle che erano le elaborazioni di Marx più adeguate alle situazioni di modernizzazione. Noi, brasiliani, siamo stati guidati per molto tempo dall'idea che produrre un parco industriale sovrano fosse l'apice della modernità. Le categorie del pensiero di Marx, hanno bisogno di essere messe in moto dal punto di vista di un'analisi critica. Una delle idee che dev'essere discussa, è quella che dice che il lavoro è un elemento ontologico della vita sociale. Il lavoro, in realtà, non è una categoria fondamentale della vita umana, dal momento che, nella società moderna, esso è un'attività astratta. Chiamiamo lavorare, tanto quello che è il lavoro relativo a finire un corso come studente universitario, quanto il lavoro di qualcuno che spazza la strada. Entrambi stanno lavorando. In cosa consiste l'astrazione del lavoro? Si tratta di un'attività che viene misurata dal tempo. E questa attività misurata dal tempo produce un valore e riceve un valore di scambio, ma in tale attività non c'è niente di emancipante. È solo un'attività necessaria all'accumulazione di valore e all'accumulazione di capitale. Lavoro, merce e denaro non sono forme eterne, bensì forme di una data società. E sono forme astratte ed irrazionali. Per poter continuare a mantenere il lavoro, la produzione di merci e la circolazione del denaro, in quanto fondamento di questa società, allora dobbiamo distruggere l'umanità e la natura. È un'assurdità, ma la logica che viene attuata socialmente è questa. Se non svolgiamo una critica radicale a questi fondamenti che ci muovono socialmente, ci troveremo di fronte ad una bizzarra situazione, dalla quale non c'è alcuna via d'uscita. L'umanità, nonostante tutto quello che ha accumulato, dovrà acconsentire alla propria autodistruzione. Non è forse una follia, tutto questo? »

- Intervista pubblicata l'11 febbraio 2019 su Sul21 -

fonte: Sul21

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