domenica 14 giugno 2020

L'avevamo tanto amato!!

Premessa
In un'epoca come questa, in cui non si fa altro che insistere quotidianamente su quella che sarebbe la distinzione tra «settori essenziali» e «settori non essenziali» dell'economia capitalista, ecco che questo breve testo di Robert Kurz appare essere particolarmente salutare. La feticizzazione del «valore d'uso» è parte di una naturalizzazione del capitalismo e di quelle che sono le sue categorie di base  (valore, merce, lavoro e denaro). Al giorno d'oggi, il prodotto merce cosiddetta «utile» (oppure: «essenziale») viene sempre più plasmato per mezzo della logica astratta della valorizzazione, e si riduce pertanto ad una mera funzionalità unidimensionale, la quale diventa distruttiva, tossica, reificante, e che non tiene in nessun conto la sofferenza e i desideri complessi degli individui. Questa critica del valore d'uso, che viene fatta nel contesto della critica del valore e da una parte della sinistra tedesca, è stata evidenziata in maniera particolare da un articolo essenziale della filosofa tedesca Kornelia Hafner (morta poco dopo Kurz), «Il feticismo del valore d'uso». Una traduzione sarà quanto prima disponibile grazie alla rivista Jaggernaut. [*1]

Addio al Valore d'Uso
- di Robert Kurz -

L'abbiamo amato così tanto, il valore d'uso. Nella critica dell'economia politica, è sempre stata la categoria preferita della sinistra. Per il marxismo tradizionale - sempre impegnato in una lettura positivista della teoria marxiana - tutto quanto l'apparato concettuale de Il Capitale è in realtà costituito da definizioni positive, ontologiche. E la critica e la trasformazione sociale dovrebbero prendere tali categorie come loro punto di partenza, al fine di governarle in maniera più ragionevole e più umana, ma non in vista della loro abolizione. Ma il concetto di valore di scambio ha avuto sempre un qualcosa di quantomeno leggermente discutibile. Soltanto il valore d'uso sembrava essere storicamente innocente. «La difesa del valore d'uso» è diventata perciò la parola magica che permette di potersi così dotare di un movente trascendentale, pur accettando la produzione di merci. E non era stato forse lo stesso Marx che aveva affermato che, nel «processo di metabolizzazione con la natura», il valore d'uso era una determinazione sovra-storica?
Può darsi benissimo che lo abbia detto. Ma a volte, occorre che l'intento critico di Marx debba essere spinto ancora di più, fino ad andare contro la lettera della sua teoria. Se quelli che sono i concetti centrali della critica dell'economia politica vanno compresi in quanto negativi, critici, ecco che allora tutto ciò deve valere allo stesso modo anche per il valore d'uso. E ciò non designa affatto un'«utilità» in sé, bensì solamente quella che è un'utilità sotto i dettami del moderno sistema di produzione di merci. Per Marx, nell'Ottocento, tutto ciò non appariva ancora poi così chiaramente. Il pane e il vino, i libri e le scarpe, la costruzione di case e l'assistenza medica, fra di esse sembravano assomigliarsi tutte, indipendentemente dal fatto che fossero prodotte in maniera capitalistica o meno. Una tale situazione è radicalmente cambiata. Gli alimenti vengono coltivati in funzione delle norme e degli standard del loro imballaggio e confezionamento; i prodotti hanno una loro «obsolescenza programmata», in modo che quelli nuovi vengano acquistati rapidamente, prima che scadano quelli vecchi; le persone malate vengono trattate secondo degli standard commerciali, come se fossero delle automobili in fila davanti ad un autolavaggio. Ed il dibattito, che va avanti da decenni, circa le conseguenze distruttive del trasporto privato e dell'espansione urbane, finora non ha portato a niente.
Evidentemente, ciò che viene chiamata l'«utilità» diventa sempre più controversa ed opinabile. Quale sarebbe la relazione tra quelli che erano il vecchio ethos ed il vecchio pathos relativi al valore d'uso e la situazione attuale, nella quale, grazie alla tecnologia, si può guardare un film su uno schermo minuscolo quanto un francobollo, nel mentre che allo stesso tempo stiamo facendo jogging?  Via via che lo sviluppo capitalistico va avanti e progredisce, diventa sempre più chiaro che la categoria del valore d'uso è essa stessa una categoria negativa all’interno del sistema di produzione di merci. Non si tratta più di pensare a come ed in che modo il valore d'uso sia l'opposto sostanziale e qualitativo del valore di scambio, ma si tratta piuttosto di vedere come la qualità sostanziale venga stessa modellata dal valore di scambio. Il valore d'uso si rivela essere la «svalutazione» del piacere e della bellezza, e questo avviene attraverso la sottomissione delle cose all'astrazione del valore di scambio. Ed a sintetizzare questi due aspetti, quello dell'«uso» e quello della forma sociale astratta dello scambio, è proprio la categoria del «valore».
Più esattamente, si tratta di una riduzione di quello che è il concetto di stesso di «utilità». Il punto di partenza per arrivarci, è il valore d'uso di quella merce che è la forza lavoro. Com'è noto, la forza lavoro non conta se essa viene vista a partire dal fatto che produce delle cose concretamente utili, ma essa assume importanza a partire dal fatto che produce un plusvalore. Il valore d'uso si trova perciò ad essere del tutto degradato rispetto, ed a confronto col valore di scambio. E questo specifico valore d'uso della merce che è la forza lavoro, si riflette sempre più su tutte quante le altre merci.  Vediamo sempre più chiaramente come in realtà tutte queste cose non sono altro che dei rifiuti che fanno parte del processo di valorizzazione del capitale. In termini di contenuto materiale, permane solo quello che è l'aspetto «funzionale»: la mina anti-uomo si deve attivare e deve esplodere in maniera affidabile, ed è questa la sua «utilità». Il capitalismo non si interessa per niente del «che cosa», della qualità del contenuto in quanto tale, ma solamente del «come». Una simile concezione unidimensionale dell'«utilità» non può essere altro che distruttiva. Qui non si tratta di un qualche sofisma teorico, bensì di quella che è la nostra vita pratica quotidiana. Una nuova critica, più profonda, del capitalismo, non può più essere ingenua ed innocente nei confronti del concetto di valore d'uso.

- Robert Kurz - Pubblicato su Neues Deutschland, il 28/05/2004 -

NOTA

[*1] - Kornelia Hafner, « Gebrauchswertfetischismus », in Diethard Behrens (dir.), Gesellschaft und Erkenntnis. Zur materialistischen Erkenntnis- und Ökonomiekritik, Verlag, Fribourg-en-Brisgau, 1993. 

fonte: Critique de la valeur-dissociation. Repenser une théorie critique du capitalisme

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