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sabato 12 ottobre 2024

Dalla “Rivoluzione Militare” alla “Poli-Crisi”…

Nuova guerra fredda o "guerra civile mondiale"?
- Wertkritik e la teoria critica del capitalismo in un'epoca di conflitti -
di Frederick Harry Pitts

Introduzione: Il post-neoliberismo e la "policrisi"
La Wertkritik, o "Critica del Valore", è un filone del pensiero critico marxiano, emerso in Germania alla fine del XX secolo (Larsen et al., 2014; Neary, 2017; Robinson, 2018; van der Linden, 1997). Tra i suoi pensatori chiave troviamo Robert Kurz (2003, 2009;); Ernst Lohoff (Lohoff, 2013), Anselm Jappe (Jappe, 2017), Roswitha Scholz (Scholz, 2013) e Norbert Trenkle (Trenkle, 2013). I temi chiave hanno a che fare con una rigorosa teorizzazione del valore e del lavoro nella produzione e nella circolazione (vedi Pitts 2020, Cap. 2; Pitts 2022, cap. 5), una feroce critica dell'antisemitismo di sinistra, l'analisi dello Stato, in quanto parte inseparabile della società capitalista, e una teoria del crollo capitalista incentrata sulla sua ineludibile capacità di sovrapproduzione, a causa di uno sviluppo tecnologico sempre più fuori controllo. Un altro aspetto della Wertkritik, spesso meno documentato nella sua ricezione anglofona, riguarda tuttavia la sua attenzione alla guerra. Qui, è particolarmente interessante il resoconto, da parte di Kurz, delle origini del lavoro astratto così come viene tratteggiato nel suo "economia politica delle armi da fuoco", che mostra il modo in cui essa si è sviluppata, a partire dalla "rivoluzione militare", decisiva per l'ascesa del capitalismo; così come dagli scritti di Lohoff sulla "guerra civile mondiale", e dalla diagnosi culturale di Trenkle, a proposito dei conflitti che caratterizzano i nostri tempi.

La prima parte di questo testo introduce questo corpus di lavori, applicando la Wertkritik alla comprensione della storia, del presente e del futuro della relazione esistente tra la guerra e il modo in cui essi teorizzano lo sviluppo del capitalismo, contro le affermazioni dei commentatori mainstream e radicali. Dopo aver introdotto questo filone sottovalutato del pensiero marxiano moderno, la seconda metà dell'articolo esplora la luce potenziale che, in un'epoca di conflitti, la Wertkritik può gettare sul capitalismo contemporaneo. La seconda metà inizia considerando come la Wertkritik differisca da altri approcci che, nei loro resoconti della violenza e del capitalismo, mettono in primo piano l'imperialismo o il colonialismo. Secondo Lohoff e Trenkle, gli eventi recenti accrescono la sensazione di lunga data che il concetto convenzionale di imperialismo abbia ormai esaurito la propria utilità. Essi sostengono che l'attuale "ordine imperiale" - nella misura in cui esiste - non è più contrassegnato, come nelle fasi precedenti, da un'egemonia occidentale orientata alla realizzazione dei propri interessi economici. L'idea che, per esempio, l'Occidente sia coinvolto in una sorta di imperialismo per mezzo dell'espansione dell'UE o della NATO, nelle parti orientali dell'Europa, così facendo proietta sul desiderio di sicurezza degli stati baltici e nordici, una visione del mondo che sarebbe più a suo agio nel diciannovesimo secolo, piuttosto che nel ventunesimo. Inoltre, l'espansionismo militare dei paesi opposti all'Occidente - come la Russia - si basa assai meno su un evidente desiderio di impegnarsi in una corsa alle risorse legata a interessi economici razionali, piuttosto che su patologie nazionali irrazionali, o su una volontà di potenza impermeabile alla minaccia di una rovina economica per mano delle sanzioni occidentali. L'assenza di interessi economici tradizionali che spingono i conflitti contemporanei – compresi quelli in Medio Oriente di cui sono parte diverse potenze globali e regionali – mette in discussione sia l'attribuzione di termini come "imperialismo" sia l'idea stessa che il contesto attuale assomigli davvero a una "nuova" o "seconda" versione della guerra fredda, realista e razionalmente calcolatrice, testimoniata nel ventesimo secolo (Achcar, 2023; Schindler et al., 2023). Quello che invece vediamo, è un complicato terreno di conflitto attraversato dalle rivendicazioni in competizione, da parte di una gamma di poteri di dimensioni diverse, che agiscono in combinazioni a volte contraddittorie, nel contesto di un dato teatro.

Alcuni di questi poteri - suggeriscono i pensatori qui trattati - si pongono come se fossero una resistenza antimperialista contro un Occidente decadente, mentre contemporaneamente si impegnano in violenze espansionistiche all'estero, in una repressione autoritaria in patria, e tentano attivamente di far avanzare le loro economie grazie al commercio con l'Occidente sui mercati mondiali. Nel frattempo, le democrazie liberali dell'Occidente, acquisiscono esse stesse delle caratteristiche autoritarie, in quanto adattano le loro sfere interne per poter affrontare la sfida posta da questa rivalità sempre più intensa, cercando in gran parte di mantenere la stessa apertura al commercio che aveva caratterizzato il periodo della globalizzazione. La «strana forma di cooperazione e confronto», come la chiama Lohoff (2022), insita in questa convergenza, ben difficilmente rappresenta quel tipo di "nuova" o di "seconda" guerra fredda che alcuni vedono attualmente dividere il mondo in due, rappresentando invece piuttosto precisamente proprio quella «guerra civile mondiale» che Kurz teorizzava occupasse gli interstizi sfilacciati dello stesso ordine globale o imperiale; dal momento che gli attori statali e non statali cercano di rimodellarlo radicalmente a loro immagine. Proprio come accade con le nozioni obsolete di "imperialismo", ecco che inquadrare il panorama delle minacce in evoluzione disponendole intorno a una «nuova guerra fredda» in arrivo, ci porta a una visione del conflitto visto come se si trattasse di un gioco giocato da attori razionali, i quali possono allocare risorse rispetto a  particolari problemi apparenti basati su una relazione esterna tra forze in competizione. Comprendere l'attuale conflitto come una più complessa «guerra civile mondiale», e farlo secondo le linee teorizzate dai pensatori della Wertkritik, evidenzia proprio le complicate relazioni tra potenze in competizione tra di loro, e il carattere intrecciato dei fattori interni e internazionali; dal momento che i rivali si confrontano e convergono l'uno con l'altro in quella che è una scena globale frammentata. È interessante notare che i recenti commenti dei pensatori della tradizione della Wertkritik tendono verso una spiegazione, e a una risposta, fondamentalmente culturale per molte di queste tendenze; piuttosto che verso quella che, in una fase iniziale, era la spiegazione materiale-economica offerta da Kurz e altri.

Un risultato di tutto questo, è l'osservazione secondo cui un'errata «esternalizzazione dell'autoritarismo» - come afferma Trenkle (2022a, 2022b) - possa spingere a una risposta in Occidente che sta assumendo dimensioni autoritarie, nel migliore dei casi nazionalistiche o militaristiche, mentre le democrazie liberali cercano di isolarsi politicamente ed economicamente dalla minaccia aliena da essi percepita. Trenkle identifica il riarmo e l'aumento delle spese militari, vedendoli come esempi del modo in cui «le società del cosiddetto Occidente arrivino sempre più ad assomigliare al loro stesso nemico esternalizzato». È importante sottolineare che il resoconto qui presentato, mette sotto una luce diversa quella che è stata ampiamente vista come una svolta "post-neoliberista" nel capitalismo (Davies & Gane, 2021), la quale coinvolge in una politica industriale rafforzata, la maggiore invenzione statale espressa catturata nella "Bidenomics" – che è a sua volta una continuazione di alcuni aspetti del trumpismo negli Stati Uniti – che fornisce un caso di studio di alcune di queste tendenze superficialmente "neo-keynesiane" (Merchant, 2023). Questo modello di capitalismo, apparentemente post-neoliberista - e il suo impegno per l'innovazione e la politica industriale - sembrano essere evidentemente orientati verso lo sviluppo di economie più verdi, più dinamiche e più inclusive, basate sulla stimolazione delle forze produttive; in risposta a un periodo di cosiddetta "poli-crisi" caratterizzato da turbolenze finanziarie, dalla pandemia di COVID-19 e dalla catastrofe climatica. Tuttavia, a volte il concetto popolare di "poli-crisi" nasconde all'interno come un vago senso di tutto ciò che è collegato in relazione a ciò che invece fa davvero funzionare le cose. La Wertkritik richiama l'attenzione su una spiegazione alternativa, per il carattere mutevole del capitalismo, che si basa, non sulla "poli-crisi" o sullo sviluppo delle forze produttive, ma piuttosto sulle forze irrazionali e distruttive in gioco nelle forme intensificate di conflitto e confronto che emergono all'interno e tra le potenze in competizione.

Piuttosto che i cambiamenti economici o ecologici di per sé, che spingono la riconfigurazione del capitalismo nel tempo presente, o le modalità convenzionali di "competizione sistemica", ci viene suggerito che qualcosa di più oscuro e più profondo sostiene quelle trasformazioni che vengono valutate positivamente da tutta una serie trasversale di voci politiche. In questo senso, la Wertkritik aggiunge peso alle affermazioni che emergono da alcuni osservatori – sia critici che favorevoli – secondo cui la tendenza "neo-keynesiana" o "post-neoliberista" del capitalismo contemporaneo, incarnata nella Bidenomics, non rappresenti tanto una risposta economica razionale alla poli-crisi, quanto piuttosto una mossa strategica in quella che è un'epoca di conflitti sempre più in intensificazione (Anderson, 2023; Luce, 2023; Mercante, 2023). Gli impatti di quella che alcuni vedono come una nuova era dell'imperialismo, mentre altri inquadrano invece come se si trattasse di una "seconda" o "nuova" guerra fredda, hanno pertanto delle ampie conseguenze per quel che riguarda la teorizzazione del capitalismo. In alternativa agli attuali approcci, radicali e mainstream, alla comprensione del momento presente, queste dinamiche dovrebbero essere viste come parte integrante della combinazione di convergenza e scontro espressa dal concetto di guerra civile mondiale, nella quale l'assalto autoritario, nelle democrazie liberali, permea sempre più la struttura interna della società e dell'economia, come se fosse una salva nelle lotte sulla scena internazionale. In questo processo di convergenza, gli Stati stanno cercando una soluzione a un problema costruito in termini di una «nuova guerra fredda» che taglierebbe il mondo e i suoi paesi in due, piuttosto che di quella che invece potrebbe essere meglio caratterizzata come se fosse una guerra civile mondiale, che attraversa i paesi stessi e alla quale potrebbe essere necessaria una serie diversa di risposte. Dopo aver notato che, a partire dalla critica marxiana dell'economia politica che si trovava nella spiegazione data da Kurz della guerra e del capitalismo, ora l'odierna Wertkritik tenda piuttosto a mettere al primo posto una critica della cultura, più vicina nello spirito alla tradizione della teoria critica, concludiamo considerando quali sono le implicazioni dovute ai modi alternativi di prassi nell'attuale epoca del conflitto. Per i pensatori della Wertkritik - concludiamo, notando - qualsiasi risposta dev'essere incentrata su una lotta sociale emancipatrice volta a difendere e ad estendere gli imperfetti diritti e le libertà promesse ma non completamente realizzate dalle democrazie liberali, all'interno e soprattutto al di là delle società, sempre più ripiegate su sé stesse, dell'Occidente borghese.

Frederick Harry PittsPubblicato su European Journal of Social Theory Volume 27, °4 Nov. 2024 -

1 – Continua  -

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