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venerdì 16 marzo 2007

un chiaroveggente ... irregolare



Jan Waclaw Makhaïski. Rivoluzionario polacco (1866-1926), Makhaïski, sulla base di una lunga frequentazione dei bagni penali zaristi, e degli ambienti rivoluzionari russi, pervenne ad una conclusione estrema: il socialismo non è altro che l'ideologia degli intellettuali, che questi ultimi fanno valere nei confronti degli operai al fine di imporsi come nuova classe dominante.
Mal conosciuto e poco commentato, per Makhaïski, la storia sarebbe una lotta permanente degli operai per continuare la battaglia rivoluzionaria, non per abbattere lo stato ma per fare pressione al fine di ottenere migliori condizioni di vita.
La crescita della società capitalista è impensabile senza la crescita della società colta e dell'intellighenzia, l'esercito dei lavoratori intellettuali. Anche coloro i quali hanno interesse a considerare tale classe come non-possidente - come un proletariato "istruito" - non possono negare che l'intellighenzia assomiglia, per il suo tenore di vita, alla borghesia.
Makhaïski denuncia così il carattere mistificatorio di un socialismo "legale", che riproduce gli schemi dell'ordine sociale esistente. Liquidato come "anarchico" dai comunisti, e considerato un adepto del marxismo dagli anarchici, Makhaïski, operaista ante-litteram, ha denunciato tutte le "deviazioni", a cominciare da quelle di Marx, che accusa di privilegiare il lavoro complesso, a scapito del lavoro semplice, e di essere il profeta di una nuova classe dominante.

Nel 1899, comincia a studiare il marxismo ed il socialismo sotto tutte le loro forme. Utilizza allora come riferimento storico le giornate di giugno 1848, quando la Repubblica democratica fece bersagliare il fior fiore del proletariato parigino, per dimostrare che i proletari avevano assai più nemici di quelli che il Manifesto comunista di Karl Marx aveva conteggiato. Questi nemici non sono solamente i capitalisti, proprietari dei mezzi di produzione, ma anche tutta una frazione della borghesia, sedicente democratica, acquistata in apparenza alla causa operaia, ma che difende in realtà degli interessi economici e storici molto distinti da quelli degli operai.
Questo componente "democratico" della borghesia corrisponde per Makhaïski ad un fenomeno socio-economico legato all'evoluzione industriale della società. Lo sviluppo formidabile della meccanizzazione provoca la nascita e lo sviluppo di un nuovo strato di lavoratori qualificati e competenti poi: tecnici, ingegneri, scientifici, gestori ed amministratori che, unendosi ai notabili già al posto di comando, avvocati, giornalisti, professori ed altre persone , controllano e gestiscono sempre la vita sociale ed economica, senza però disporre delle leve di comando detenute dall'oligarchia industriale e finanziaria.
La posizione di questa nuova classe è vulnerabile. Sebbene partecipi ed approfitti dello sfruttamento capitalista resta alla mercé dell'arbitrarietà dei capitalisti; per cui tende ad avvicinarsi ai proletari e, allo stesso tempo, in apparenza, a difendere la loro causa. Ciò gli permette da un lato di svincolarsi dal ruolo che gioca nel loro sfruttamento, e dall'altra parte di vendere meglio i suoi servizi ai suoi datori di lavoro, pur coltivandoil progetto di sostituirsi a loro.
L'espressione politica di questa classe è, secondo Makhaïski, il socialismo che "nei suoi attacchi contro l'industria non tocca per niente lo stipendio del direttore e dell'ingegnere" e "considera inviolabili tutti i redditi dei colletti bianchi in quanto stipendi dei lavoratori intellettuali" Makhaïski ne deduce che «Il socialismo del XIX secolo non è, come affermano i suoi sostenitori, un attacco contro i fondamenti del regime dispotico, che esiste dai secoli in ogni società civilizzata sotto l'aspetto dello stato. E' l'attacco ad una sola forma di questo regime: la dominazione dei capitalisti. Anche in caso di vittoria, questo socialismo non eliminerebbe lo sfruttamento secolare, eliminerebbe soltanto la proprietà privata dei mezzi materiali di produzione, della terra e delle fabbriche...»
Pertanto continua: "L'espropriazione della classe dei capitalisti non significa affatto l'espropriazione di tutta la società borghese." Con la soppressione dei capitalisti privati, la classe operaia moderna - gli schiavi contemporanei - non cesserà di essere condannata ad un lavoro manuale per tutta la propria vita; di conseguenza, la plusvalenza nazionale creata da loro non scompare, ma passa nelle mani dello Stato democratico, come fondo di mantenimento per l'esistenza parassitaria di tutti gli sfruttatori, di tutta la società borghese. Quest'ultima, dopo la soppressione dei capitalisti, continua ad essere una classe dominante, come prima, quella dei dirigenti e governatori; resta la proprietaria del profitto nazionale che si distribuisce sotto la stessa forma: onorari dei lavoratori intellettuali; quindi grazie alla proprietà familiare ed al suo modo di vita, questo sistema si conserva e si riproduce di generazione in generazione."

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